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Il segreto ministeriale e il sigillo sacramentale

Nel documento La Chiesa e la 'ndrangheta in Calabria (pagine 60-67)

Sommario: 1.1 – Il mafioso ed il confessionale 1.2 – Le situazioni giuridiche soggettive del ministro di culto.

1.1 Le situazioni giuridiche soggettive del ministro di culto

1.1.1 Il segreto ministeriale e il sigillo sacramentale

140 Cfr. G. Alpa, Manuale di diritto canonico privato, Padova, Cedam, 2009, pp. 1314.

141 A. Licastro, I ministri di culto nell’ordinamento giuridico italiano, Milano, Giuffrè Editore, 2005, p. 220 cit.: ‘’Ministro di culto pertanto è colui che agisce per realizzare la finalità tipica della Confessione, essendo investito, con esclusione degli altri membri del gruppo della totalità o, talvolta, persino di una sola delle attribuzioni apicali di carattere strettamente religioso, tanto che il suo agire tende a presentarsi come agire della Confessione stessa’’.

142 A. Licastro, I ministri di culto nell’ordinamento giuridico italiano, Milano, Giuffrè Editore, 2005.

56 La domanda che ci si pone è se, nella somministrazione del sacramento della penitenza, è concesso al ministro di culto divulgare o comunque denunciare quanto avrà appreso.

In generale, la facoltà di astenersi dal deporre su quanto hanno conosciuto in ragione del ministero è una delle garanzie che si riconosce al ministro di culto144. Quindi, riconoscendo la facoltà di silenzio al ministro di culto, si va a proteggere sia la funzione ministeriale sia il fedele, il quale è consapevole del fatto che rivolgendosi al ministro di culto potrà contare sulla sua riservatezza. Il silenzio potrà essere opposto solo qualora riguardi fatti conosciuti in ragione del ministero e non rilevano, quindi, fatti di cui sia venuto a conoscenza per ragioni diverse145.

Tale facoltà va tenuta distinta dall’obbligo religioso per i sacerdoti di non violare la segretezza del sigillo sacramentale146. L’inviolabilità del sigillo sacramentale è posto dal Catechismo della Chiesa Cattolica all’art. 1467, il quale prevede che “data la delicatezza e la grandezza di questo ministero e il rispetto dovuto alle persone, la Chiesa dichiara che ogni sacerdote che ascolta le confessioni è obbligato, sotto pene molto severe, a mantenere un segreto assoluto riguardo ai peccati che i suoi penitenti gli hanno confessato. Non gli è lecito parlare neppure di quanto viene a conoscere, attraverso la confessione, della vita dei penitenti. Questo segreto, che non ammette eccezioni, si chiama il “sigillo sacramentale”, poiché ciò che il penitente ha manifestato al sacerdote rimane “sigillato” al sacramento “e dalle norme del Codice di Diritto Canonico al can. 983”. Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore rendere noto anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa. All'obbligo di osservare il segreto sono tenuti anche l'interprete, se c'è, e tutti gli altri ai quali in qualunque modo sia giunta

144 P. Consorti, Diritto e religione, Editori Laterza, settembre 2014. 145 Ibidem, p. 200.

57 notizia dei peccati dalla confessione” e, al can. 1388, il quale disciplina la sanzione a cui va incontro colui che viola tale divieto e si stabilisce che: “il confessore che viola direttamente il sigillo sacramentale incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; chi poi lo fa solo indirettamente sia punito proporzionalmente alla gravità del delitto”.

Per la fattispecie in esame, quindi, non esistono eccezioni, in quanto il segreto è assoluto ed inviolabile147. Colui che è tenuto al sigillo sacramentale è solo il confessore e la cui rivelazione è dolosa, perché è effettuata con intenzionalità e consapevolezza148. Il sigillo medesimo non può essere mai infranto, neanche parzialmente e nessuna causa potrà giustificarne la violazione – infatti non esiste alcuna dispensa dall’obbligo – neppure al fine di promuovere un bene o di evitare un danno privato o pubblico. Tale dovere del sigillo, in capo al confessore, sorge dal momento in cui un penitente espone i suoi peccati al fine di ottenere l’assoluzione, anche qualora questa non venisse concessa automaticamente149.

In base alla dottrina classica, infatti, al confessore è vietato coltivare qualsiasi ricordo. Se in qualche momento gli venisse in mente, dovrà allontanare il pensiero, come farebbe con qualsiasi pensiero illecito o negativo150.

In relazione alla violazione del divieto di coltivare qualsiasi ricordo, in ambito penale, si distingue tra violazione diretta e indiretta.

147 Ary Waldir Ramos Dìaz, Un sacerdote può violare il segreto della confessione

per salvare la vita di qualcuno? Intervista al cardinale Mauro Piacenza, penitenziere maggiore del Vaticano, in Rivista online Aleteia, sito web: (

https://it.aleteia.org/2014/11/14/un-sacerdote-puo-violare-il-segreto-della- confessione-per-salvare-la-vita-di-qualcuno/ ), consultato in data 12/07/2018. 148 B. F. Pighin, Diritto sacramentale, Venezia, Marcianum press, 2006. 149 Ibidem, p.291.

150 Ary Waldir Ramos Dìaz, Un sacerdote può violare il segreto della confessione

per salvare la vita di qualcuno? Intervista al cardinale Mauro Piacenza, penitenziere maggiore del Vaticano, in Rivista online Aleteia, sito web: (

https://it.aleteia.org/2014/11/14/un-sacerdote-puo-violare-il-segreto-della- confessione-per-salvare-la-vita-di-qualcuno/ ), consultato in data 12/07/2018.

58 La prima che si esplica nella rivelazione dei peccati dichiarati e nell’identificazione del relativo autore, è punita con la massima pena, ossia la scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica (can. 1388 §1).

La violazione indiretta viene causata mediante le parole, gli atti o le omissioni che portano alla conoscenza di aspetti marginali oppure a dedurre con buona probabilità, ma in modo generico o in forma di sospetto, un peccato confessato e il relativo peccatore, è sanzionata con una pena proporzionale alla gravità del reato151.

Il canone in esame considera “nefanda’’ ogni violazione e quindi appare irrilevante la distinzione tra violazione diretta o indiretta152. Il segreto deve coprire ogni peccato - mortale o veniale, occulto o pubblico - che il penitente avrà confessato come proprio oppure perpetuato in collaborazione con altri soggetti, l’eventuale negazione dell’assoluzione e il tipo di soddisfazione imposta153. Infatti, il

ministro di culto è tenuto, per vincolo del diritto divino, a rispettare la massima riservatezza, altrimenti provocherebbe danni al sacramento e rischierebbe di allontanare il penitente, il quale finirebbe per perdere la fiducia riposta nel confessore154.

Quindi, se al confessore non è concessa alcuna modalità di rivelazione di quanto espresso dal penitente in confessione, al “titolare della comunicazione effettuata – secondo legge canonica – sarà concesso autorizzare il ministro di culto a rivelare una circostanza confessata che lo riguardi in modo esclusivo”155. Nell’eventualità che si verifichi una tale circostanza, si deve chiedere al penitente che la sua licenza sia espressa fuori dal confessionale e secondo modalità che possa escludere ogni fraintendimento, che potrebbe danneggiare l’innocenza del ministro, la santità del sacramento e provocare

151 F. B. Pighin, Op. cit., p.292 152 Ibidem, p.292

153 Ibidem, p. 292 154 Ibidem, p. 293 155 Ibidem, cit., p. 293

59 scandalo tra i fedeli. Il penitente, però, potrebbe rientrare tra i destinatari del decreto generale della CDF del 23 settembre 1988 che irroga la scomunica latae sententiae a “chiunque capti, servendosi di un qualsiasi strumento tecnico, o divulghi attraverso un mezzo di comunicazione sociale, quanto detto dal confessore o dal penitente nel sacramento della confessione, ciò sia se la confessione è vera o simulata, sia se è propria o di terzi”156.

Un esempio, che aiuterebbe a comprendere l’applicazione dell’inviolabilità del segreto confessionale, potrebbe essere il decreto del vescovo di Locri-Gerace sulla condizione dei fedeli appartenenti ad associazioni ecclesiali contro i quali venga iniziato un procedimento penale157. In tale decreto si prevede che ogni fedele, laico, religioso o chierico, appartenente ad associazioni ecclesiali, nei confronti dei quali venga iniziato un procedimento penale presso i tribunali dello Stato italiano, di uno Stato estero o, eventualmente, di un ordinamento giuridico superiore venga sospeso con provvedimento dell’Ordinario diocesano da ogni ufficio, mansione o servizio svolto nell’associazione. “Se il soggetto coinvolto non comunichi, per negligenza o dolo l’inizio del procedimento penale, ogni fedele ha il dovere di informare almeno l’Ordinario diocesano” (art. 2, par. 2). Però all’art. 2 par. 3, è fatto salvo il segreto della confessione e della direzione spirituale.

Torniamo all’esame del segreto ministeriale secondo le norme che sono proprie dell’ordinamento giuridico italiano.

Tale segreto si presenta quale deroga all’obbligo giuridico di testimoniare, i cui obblighi di natura pubblicistica sono delineati dall’art. 198 c.p.p.: “il testimone ha l’obbligo di presentarsi al giudice e di attenersi alle precisazioni date dal medesimo per le esigenze

156 AAS 80 (1988) 1367 in B. F. Pighin, op. cit., p. 293

157 M. Morosini, vescovo di Locri-Gerace, Decreto sulla condizione dei fedeli

appartenenti ad associazioni ecclesiali contro i quali venga iniziato un procedimento penale, Decreto vescovile 29 giugno 2013.

60 processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte”, al secondo comma si aggiunge che il teste non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale.

Il segreto ministeriale, venendo ad essere accostato al segreto professionale, rientra tra i motivi di astensione del soggetto chiamato a rendere testimonianza e la disciplina del segreto professionale è prevista all’art. 200 c.p.p, rubricato “segreto professionale”. Manca una definizione concettuale di segreto nel codice penale e nel codice di procedura penale, ma si può affermare che esso sia ciò che non può essere rilevato, ciò su cui si deve tacere158.

L’art. 200 c.p.p. precisa che la facoltà di non deporre è concessa “ai ministri di confessioni religiose i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano” e questa formula è difficilmente interpretabile159. Questo perché, in primo luogo, è difficilmente determinabile quali siano le confessioni religiose in parola, inoltre per la sua indeterminatezza, in quanto finisce per proteggere solo quei cittadini che appartengono alle citate confessioni160. Si può dedurre

che la norma non tiene conto della libertà religiosa, ma si limita a riservarla ai ministri di culto di sole confessioni che abbiano uno statuto che non contrasti con l’ordine giuridico italiano, inoltre quest’ultimo elemento non è facilmente valutabile161.

Tali garanzie sono attenuate quando l’autorità giudiziaria dubiti della fondatezza del segreto (art. 256 c.p.p.), ma tale indebolimento resiste nei confronti dei ministri di culto cattolici162. Infatti, secondo l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, che apporta modificazioni al concordato lateranense, si attribuisce una più ampia

158 S. Feroleto, La prova testimoniale e la tutela del segreto confessionale, Derecom, 21, 81-101, http://www.derecom.com/derecom/ , 2016

159 P. Consorti, Diritto e religione, Editori Laterza, Bari, 2014. 160 Ibidem, p. 200

161 Ibidem, p. 200 162 Ibidem, p. 201.

61 facoltà ai ministri di culto, all’art. 4 n. 4, ossia “gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero”.

In base alla disciplina sul segreto professionale, da una parte si riconosce al soggetto il diritto di astenersi dall’assumere l’ufficio di testimone e dall’altra non viene imposto l’obbligo di tacere, difatti: “la scelta tra il rispetto del segreto professionale ed il dovere di contribuire all’amministrazione della giustizia, è lasciata alla coscienza ed al prudente apprezzamento del professionista, il quale dovrà essere esaminato soltanto se, operando tale scelta, decida di collaborare con la giustizia”163. Il Legislatore, rimettendo tale possibilità ad alcune

categorie di soggetti - portatrici di segreto professionale – agisce nel rispetto della libertà di autodeterminazione della persona umana. Altra norma, parallela, è quella contenuta nell’art. 622 c.p., la quale stabilisce che “chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato od ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rileva, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio od altrui profitto è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad un anno o con la multa da 30 euro a 516 euro”. Quindi si punisce, dietro querela della parte offesa, chiunque riveli il segreto senza giusta causa e la norma protegge le comunicazioni qualificate dalla natura dei soggetti che agiscono, uno dei quali assume la conoscenza di un segreto a causa della sua professione, arte o del suo stato.164

Risulta evidente il differente trattamento normativo a seconda che si analizzi dal punto di vista dell’ordinamento giuridico italiano o del diritto canonico. Infatti, secondo l’ordinamento giuridico italiano, se il ministro di culto vuole testimoniare, in violazione del segreto, la

163 Poggiani, Cassazione sez. III, 14 dicembre 1965, in Giustizia Penale III, p. 424, 1996.

62 testimonianza è comunque valida. Mentre, per il diritto canonico essa è vietata a pena di scomunica165.

1.1.2 La libertà di esercizio del sacro ministero ed il

Nel documento La Chiesa e la 'ndrangheta in Calabria (pagine 60-67)