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Come muore uno ‘ndranghetista

Nel documento La Chiesa e la 'ndrangheta in Calabria (pagine 91-95)

dell’autorità di pubblica sicurezza sulla negazione delle pubbliche esequie 2.1.2 – Il caso del parroco di Platì

1.2 Come muore uno ‘ndranghetista

238 Conferenza episcopale calabra, Per una Nuova evangelizzazione della pietà

popolare, 30 giugno 2015, cit. p. 26, sito web: (http://www.oppido-

palmi.chiesacattolica.it/home_diocesi/in_evidenza/00023343_Il_Documento_della _CEC_Per_una_Nuova_Evangelizzazione_della_pieta_popolare.html), consultato in data 02/09/2018.

87 Dagli anni ‘70 ad oggi, sono diverse le storie di boss che hanno beneficiato di una celebrazione esequiale in contrasto con quanto fin qui analizzato. Solo per citarne alcuni, partiamo – ad esempio – dalla provincia di Crotone, luogo di insediamento di notevoli clan malavitosi, ancora oggi oggetto di importanti operazioni antimafia.

Negli anni ’60 a Crotone il boss è un certo Luigi Vrenna, alquanto temuto e rispettato. Inizia a far crescere i suoi affari grazie al contrabbando di sigarette240. Da buon mafioso devoto qual è, riesce – ben presto – a raccomandarsi al vescovo dell’epoca, al quale gli estorce con il terrore certificati di buona condotta pur di non ottemperare all’obbligo di soggiorno impostogli dall’autorità giudiziaria241. Il nipote, collaboratore di giustizia, racconta che il Vrenna intrattiene con la Chiesa un «rapporto speciale», infatti dà continuamente soldi alla Chiesa del quartiere dove vive. Nel 1973 Luigi Vrenna è destinatario di una misura cautelare in carcere con l’accusa di aver ucciso due fratelli, figli di un suo rivale e nel 1976 verrà condannato in via definitiva. A seguito della sua morte, avvenuta il 4 novembre del 1993, nonostante la condanna per la morte dei due fratelli ed i casi di adulterio che lo vedono protagonista, i suoi funerali vengono officiati nella Chiesa di San Francesco da due parroci. Ancora, il nipote racconta che «quel funerale gli era dovuto, il suo feretro meritava di uscire dalla chiesa con tutti gli onori. Per i preti aveva sempre fatto tanto»242. Ad onorare i funerali del boss ci sono moltissime persone, tra questi ci sono anche i rappresentati della famiglia De Stefano di Reggio Calabria, da sempre alleati dei Vrenna. Però, già un mese prima il vescovo di Crotone aveva ammonito «[…] picciotti e capicosca se cadranno vittime di regolamenti di conti o in

240 N. Gratteri, A. Nicaso, Acqua Santissima. Storia di rapporti tra Chiesa e

‘ndrangheta, Mondadori, 2013.

241 Ibidem, par. VI- funerali e matrimoni, p. 2/25. 242 Ibidem, cit., par. VI- funerali e matrimoni p. 3/25.

88 peccato per aver commesso omicidio, i loro funerali saranno limitati alla liturgia della Parola».243

Più a sud, e precisamente in provincia di Reggio Calabria, l’11 febbraio 1979 muore il boss Giorolamo «Mommo» Piromalli e due giorni dopo vengono celebrate le esequie. Grazie alla relazione di servizio dei carabinieri possiamo conoscere le modalità mediante le quali si è soliti officiare uno ‘ndranghetista. Il feretro è seguito da circa 5.000 persone, di cui centinaia capibastone e affiliati di tutte le consorterie calabresi e la cerimonia, scrivono, «ha toccato momenti di pura coreografia, tenuto anche conto che la cassa funebre […] di legno pregiato, aveva delle rifiniture bronzee cromate applicate ai quattro bordi, raffiguranti disegni ricami su ogni lato e sulle quali erano ricavati quattro piedi a forma di zampa d’aquila o di leone come per significare che la stessa contenesse un personaggio di alto prestigio e di comando nella malavita organizzata. Non si ha cognizione di quanto costasse e donde venisse anche se di grande valore e da tempo approntata»244.

La sociologa Alessandra Dino studiando la celebrazione dei funerali, osserva che, nell’economia delle relazioni sociali che il funerale è chiamato a rappresentare, gli elementi di valutazione sono il numero dei partecipanti al corteo funebre, la presenza o meno di ghirlande di fiori, l’atmosfera di stima ed affetto che si stringe intorno ai parenti del defunto e l’attenzione più o meno forte manifestata dal contesto in cui il defunto e la sua famiglia hanno vissuto ed operato245. Elementi che abbiamo visto esser presenti, tutti o solo alcuni, nelle storie dei boss calabresi.

Dobbiamo, però, illustrare anche la storia di chi non ha avuto modo di strumentalizzare la morte cristiana per riaffermare il rapporto

243 R. Arena, P. Bottero, F. Chirico, C. Riso e A. Russo, La ‘ndrangheta davanti

all’altare, Reggio Calabria, Sabbia Rossa, 2013, cit. p. 50.

244 N. Gratteri, A. Nicaso, Acqua Santissima. Storia di rapporti tra Chiesa e ‘ndrangheta, Mondadori, 2013, cit. par. VI, p. 6/25.

89 privilegiato con Dio e questo perché sono state loro negate le esequie pubbliche per ragioni di ordine pubblico.

Nel 2010 Don Pino Demasi – vicario generale della diocesi di Oppido-Mamertina – dà seguito alle disposizioni del questore che decide di vietare lo svolgimento dei funerali in forma pubblica e non fa entrare in chiesa, neppure per la benedizione, la salma di Domenico Alvaro, boss di Sinopoli246. In questa storia di negazione di pubbliche esequie, singolare è l’atteggiamento del figlio Antonio Alvaro, il quale esprime tutto il suo dissenso verso il comportamento del sacerdote. Dissenso che esprime attraverso una lettera al quotidiano «Calabria Ora» e nella quale ammonisce le autorità ecclesiastiche per non aver ottemperato al messaggio evangelico secondo cui di fronte a Dio siamo tutti uguali ed alla logica del perdono che cancella tutto. Allo stesso tempo il figlio del boss, quasi come se volesse rimarcare con forza il consenso sociale che gli viene dal ‘’suo’’ popolo, evidenzia come la cittadina di Sinopoli ha comunque prestato i suoi omaggi nei giorni dedicati al lutto247.

Concludendo, possiamo notare – negli anni – due atteggiamenti antitetici assunti dalle Chiese particolari di Calabria. Se in un primo momento la celebrazione delle esequie di uno ‘ndranghetista sembra essere una consuetudine esente da interrogativi, ad oggi molti sono i sacerdoti in linea con Don Pino Demasi, il quale nel 2013 afferma «Chiesa e Stato sono due realtà unite nella lotta alla mafia, senza con ciò voler esprimere un giudizio sul defunto. […] la Chiesa ha sfornato tutta una serie di documenti in cui si spiega con chiarezza che tra Vangelo e mafia non ci può essere alcun punto d’incontro»248.

246 N. Gratteri, A. Nicaso, Acqua Santissima. Storia di rapporti tra Chiesa e ‘ndrangheta, Mondadori, 2013.

247 Ibidem, par. VI Funerali e matrimoni, p. 15/25.

248 R. Arena, P. Bottero, F. Chirico, C. Riso e A. Russo, La ‘ndrangheta davanti all’altare, Reggio Calabria, Sabbia Rossa, 2013, cit., p. 84-85.

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