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Il mafioso e il confessionale

Nel documento La Chiesa e la 'ndrangheta in Calabria (pagine 56-59)

Sommario: 1.1 – Il mafioso ed il confessionale 1.2 – Le situazioni giuridiche soggettive del ministro di culto.

1.1 Il mafioso e il confessionale

Dalla storia delle esperienze vissute dai ministri di culto delle Chiese del Sud e dalla storia dello Stato italiano, attraverso le testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia, si nota una certa ‘’resistenza’’ degli uomini d’onore ad accostarsi al sacramento della confessione129. Laddove ciò avvenisse, il mafioso cercherebbe sempre

una giustificazione per le proprie colpe130. Questo perchè, come è stata già riscontrato in precedenza, esiste ancora la tendenza verso una

129 Cfr. F. Pighin, Diritto sacramentale, Venezia, Marcianum Press, 2006. Dove alla confessione vengono dati diversi nomi. Ciò che a noi interessa è il significato di confessione quale atto mediante il quale ‘’il penitente fa una sincera ammissione in coscienza del male che egli ha compiuto, che avrebbe potuto non commettere e che avrebbe dovuto non commettere ed è quindi una verifica mediante l’accusa esterna dei peccati’’, p. 261.

52 strumentalizzazione della religione e, in questo caso, del sacramento della confessione.

Difatti, molto spesso, nei confessionali gli uomini d’onore si accostano alla figura di Gesù Cristo ritenendosi, erroneamente, innocenti come lo stesso, pur chiedendo perdono per i propri peccati131.

Il mafioso che si accosta al sacramento della confessione, nel fare un’accusa dei propri peccati di mafia e contestuale rivelazione di informazioni mafiose, viola uno dei “comandamenti’’ caratterizzanti l’organizzazione di appartenenza. In quanto, per la ‘ndrangheta, così come per tutte le organizzazioni di stampo mafioso, il principio generale è quello del segreto. Quest’ultimo può essere esaminato sotto due aspetti principali: quando i membri di un’organizzazione cercano di mantenere segrete certe informazioni a coloro che sono estranei all’organizzazione (segretezza esterna), e quando i membri di un’organizzazione cercano di mantenere le informazioni segrete ad altri membri dell’organizzazione (segretezza interna)132. Il problema

del segreto riguarda entrambi gli aspetti, con una prevalenza del primo aspetto riguardante la segretezza delle proprie attività verso soggetti esterni, quali, ad esempio, la magistratura e le forze dell’ordine. Anche se in misura più circoscritta, riguarda anche il secondo, quindi verso l’interno dell’organizzazione, tra le diverse unità organizzative. Il saper tacere è una capacità tipica delle società segrete133. Infatti l’organizzazione mafiosa viene accostata, spesso, al termine “omertà’’, per indicare la reticenza informativa. Nell’accezione corrente, tale concetto indica un comportamento omertoso di segretezza e soprattutto di rifiuto di cooperare con gli organi dello Stato, in particolare in caso di inchieste su fatti criminosi.

131 Ibidem, par. 5.1, p. 6

132 M. Catino, L’organizzazione del segreto nelle associazioni mafiose, Rassegna Italiana di Sociologia, fascicolo 2, aprile-giugno 2014 in Rivistaweb – Il Mulino. 133 G. Simmel, Sociologia: indagine sulle forme di associazione, 1908.

53 Nel rapporto tra ministro di culto, sacramento della confessione e mafioso, uno dei problemi pastorali emergenti, che la Chiesa ha cercato e cerca di affrontare, è quello di un certo numero di latitanti e del nuovo fenomeno dei collaboratori di giustizia, impropriamente definiti “pentiti’’.

Proprio a seguito dei problemi pastorali, la Chiesa deve salvaguardare il suo volto evangelico e vigilare affinché non sia strumentalizzato il ministero della Chiesa.

Quanto al primo aspetto, la Chiesa ha una sua responsabilità nella formazione di una coscienza civile di rifiuto del costume e della mentalità mafiosa e si impegna nell’opera educativa e formativa, ma non confonde la sua azione pastorale con quella dello Stato. Quindi, vigila affinché sia custodito il volto evangelico della comunità ecclesiale quale luogo dell’annuncio della misericordia di Dio e perché il perdono, la grazia, l’amore disinteressato rimangano sostanza pastorale134. Impegno civile e azione propriamente pastorale della Chiesa possono incontrarsi, ma non sono la stessa cosa135.

Relativamente al secondo aspetto – vigilare perché non sia strumentalizzato il ministero della Chiesa – la Chiesa non può non rivolgere ai mafiosi l’appello alla conversione e quindi porre in essere tutto ciò che possa condurre i mafiosi a tale conversione. Però, dovrà vigilare affinché il mafioso non strumentalizzi l’esercizio del ministero di annuncio della misericordia di Dio, ad esempio durante il periodo della sua latitanza e non si configuri come copertura o favoreggiamento di quanti hanno violato la legge di Dio e quella degli uomini136.

Quanto al problema che ruota attorno ai latitanti, analizziamo il caso in cui il mafioso sia dichiarato – a seguito del decreto che

134 Salvatore Privitera, Cosimo Scordato, Domenico Mogavero e Vincenzo Murgano, Una pastorale per i mafiosi? Spunti di riflessione, in Aggiornamenti sociali 1/1998, 065. Pastorale e mafia 1.

135 Ibidem, p. 92 136 Ibidem, p. 92

54 dispone la latitanza137 – latitante e richieda al sacerdote colloqui ed assistenza spirituale.

Salvatore Privitera, docente di teologia morale, ritiene che il sacerdote non sarebbe obbligato ad andare da un latitante, tranne che

in articulo mortis, ma potrebbe affrontare tale rischio nel pieno

rispetto del ruolo assunto dalla magistratura, la quale potrebbe – successivamente – scoprire i suoi “contatti’’ e potrebbe non riconoscerli come connessi col ministero. Il latitante che richiede assistenza spirituale per convertirsi, di solito, è già convertito e ha bisogno di prendere più chiara coscienza del proprio peccato, di ricevere il perdono sacramentale e di intraprendere l’iter sociale della sua conversione, che si esplica nel cercare riparazione, nel costituirsi e nel fare di tutto per prevenire altre ingiustizie138.

Pertanto il sacerdote, raggiunto da una richiesta di andare a trovare il latitante, potrà sentirsi in dovere di svolgere il proprio ministero sacerdotale, ma solo per una volta e per incoraggiare il soggetto a intraprendere l’iter sociale che lo porterà alla conversione. Perché, recarsi ripetutamente da un latitante assumerebbe i connotati di una “cappellania” del tutto indebita, in quanto si finirebbe per essere corresponsabili, a fare da mediatori ed inoltre perché, dal punto di vista morale, frequentarlo è come assumere un comportamento accondiscendente nei confronti di ciò che il latitante è ed è stato in passato139.

1.1 Le situazioni giuridiche soggettive del ministro di

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