Sommario: 1.1 – Il mafioso ed il confessionale 1.2 – Le situazioni giuridiche soggettive del ministro di culto.
2.1 Il pentimento spirituale del mafioso
La condanna della mafia ha posto la Chiesa di fronte ad una serie di riflessioni, in concomitanza con il Giubileo Straordinario sulla misericordia, indetto da Papa Francesco.
La condanna inappellabile dei mafiosi, da parte della Chiesa, comporta la scomunica e relative sanzioni disciplinate ai cann. 1184 e 1364. Ci si è chiesti, appunto, se ciò possa escludere la propensione alla misericordia che è tratto caratterizzante l’ordinamento canonico183. I quesiti, ancora oggi senza una netta risposta, sono molti e solo per citarne alcuni, ci si è chiesti se la condanna della scomunica vada “dichiarata” e “ufficialmente riconosciuta”184, inoltre se la
Chiesa dovesse attendere i vari gradi di giudizio, prima della condanna definitiva.185
L’effetto della condanna, che porta in sé la scomunica ai mafiosi, ha scosso un gruppo di detenuti del carcere di Lariano che ha inscenato una protesta, a seguito delle parole pronunciate da Papa Francesco a Cassano allo Jonio – 21 giugno 2014 – di scomunica dei mafiosi e quindi di coloro i quali percorrono la “strada del male” e che non siano in comunione con Dio186. Lo sciopero della Messa durò circa venti giorni e Mons. De Luca intervenne e ricordò ai detenuti che la
182 N. Fiorita, Mafia e Chiesa, in Rivista telematica (www.statoechiese.it) n.27/2012, 24 settembre 2012.
183 A. Mantineo, La condanna della mafia nel recente Ministero: profili penali
canonistici e ricadute nella prassi ecclesiale delle Chiese di Calabria e Sicilia,
Luigi Pellegrini Editore, 2016.
184 V. Bertolone, L’enigma della zizzania, Rubbettino, 2016. 185 A. Mantineo, Op., cit.
186 G. Caporale, ‘Ndrangheta, 200 detenuti al cappellano: ‘’Cosa veniamo a fare a
messa se il Papa ci scomunica?’’, in La Repubblica, 6 luglio 2014, sito web:
68 Chiesa ed il Papa “non cacciano nessuno”187. Sul punto, la Nota sulla
‘ndrangheta, redatta dalla Conferenza Episcopale Calabra, riferendosi
al mafioso, quale persona umana e battezzata, nonostante ritenga necessaria l’applicazione delle leggi penali canoniche, ribadisce l’invito alla conversione, assicurando che la Chiesa non abbandona il mafioso in questo laborioso percorso, ma lo accompagna con pazienza e amore, come ricordato dalla Misericordiae Vultus di Papa Francesco. Infatti, gli stessi vescovi calabresi ritengono che la scomunica quando viene comminata è monito per un possibile ravvedimento, nell’ottica della misericordia, finalizzata alla guarigione interiore ed alla riparazione.188
La Nota dei Vescovi calabresi, in una lunga disamina del fenomeno mafioso e dell’atteggiamento che debba assumere la Chiesa per contrastarlo, pone l’accento sul sacramento della Riconciliazione. Si richiede al mafioso di dimostrare un pentimento concreto e conseguente volontà di uscire da una situazione di peccato, altrimenti non gli si potrà conferire l’assoluzione sacramentale nel rito della riconciliazione, né tantomeno l’accesso all’Eucarestia. Senza un cambiamento concreto e pubblico, senza una vera presa di distanza dagli ambienti criminali non si può parlare, sicuramente, di pentimento e di conversione. Questi sono i segni indispensabili che, come precisa la Nota, permettono un reinserimento pieno del peccatore nella comunità e per un percorso interiore di ricostruzione interiore. Nell’impossibilità per i Vescovi di “vedere il cuore di una persona; solo i segni esterni possono farci cogliere la tensione suscitata dallo Spirito Santo per una vita nuova, ispirata al Vangelo’’189. I segni di cui si parla sono il “consegnarsi alla giustizia, una vita nuova in stile
187 G. Caporale, Sciopero della messa. La rivolta dei detenuti scomunicati dal
Papa, in La Repubblica, 7 luglio 2014.
188 Conferenza episcopale calabra, Nota sulla ‘ndrangheta, 25 dicembre 2014, in sito web: ( http://www.dongiorgio.it/04/01/2015/conferenza-episcopale-calabra- nota-pastorale-sulla-ndrangheta/ ), consultato in data 16 luglio 2018.
69 penitenziale e un percorso di discepolato, restituire quanto non è stato guadagnato onestamente, la richiesta pubblica di peccato, la disponibilità al risarcimento ed alla riparazione e, ancora, un impegno serio nella carità’’190. Nonostante l’agire della Chiesa e della
magistratura siano nettamente distinte, l’aver indicato tra i segni visibili di pentimento il “consegnarsi alla giustizia” ci fa ben comprendere il rispetto reciproco ed il percorso comune intrapreso dalle Istituzioni per debellarne il fenomeno.
Il percorso che accompagna il mafioso lungo la strada che lo condurrà ad un’autentica conversione – come è stato già sottolineato – è laborioso tanto che la CEC evidenzia la disponibilità della Chiesa ad “accoglierli e a mettersi accanto a loro per aiutarli in ogni modo nel cammino di conversione”.
La conversione, così com’è illustrata dalla Nota, non può essere ridotta ad atto intimistico, in quanto possiede una componente essenziale, ossia la riparazione per il male inferto agli altri e al corpo sociale e quindi per le ingiustizie commesse a danno della società e dei suoi componenti. Nel caso specifico dello ‘ndranghetista “l’espiazione-riparazione non potrà certo ridare vita agli uccisi, o alle vittime dei reati e degli atteggiamenti mafiosi, ma potrà almeno contribuire alla ricostruzione personale e spirituale e, soprattutto, potrà, con una vita diversa, attaccare il male alla radice, per demolire le fondamenta stesse dell’organizzazione mafiosa.”191. Nel caso del mafioso, la conversione comporta un impegno fattivo affinché sia debellata tale “struttura di peccato”192, ad esempio con l’indicazione
all’autorità giudiziaria di situazioni e uomini che, se non fermati prontamente, potrebbero continuare a provocare ingiustizie. La mancanza di una tale indicazione da parte del mafioso convertito
190 Ibidem. 191 Ibidem.
192 Espressione utilizzata dalla Nota pastorale sulla ‘ndrangheta e che allude alla mafia.
70 andrebbe a violare il dovere della riparazione ed apparirebbe essenzialmente un atteggiamento di omertà.193
A quanti, invece, ancora vivono in queste “strutture di peccato” si rinnova l’invito che Giovanni Paolo II rivolse ai detenuti, in visita al carcere di Reggio Calabria nel 1984, ossia quello che Gesù ha ancora fiducia in quanti, macchiati dal peccato, si trovano a scontare una pena presso istituti penitenziari, dove, più di ogni altro luogo, il detenuto ha la possibilità di meditare sui propri diritti e sui propri doveri cristiani in modo da cancellare l’esperienza vissuta dal futuro della propria vita194. Giovanni Paolo II riteneva che il detenuto potesse comprendere, più di ogni altro, il valore del pentimento, della conversione del ritorno al Padre.
Inoltre, c’è un nesso tra peccato di cui si pente il mafioso e pena da assumere in espiazione del peccato. Il teologo G. Moioli scrive “la situazione di peccatore, nel peccatore stesso, può non essere totalmente ricostruita dalla contrizione, confessione, assoluzione; ed è in ogni caso morale dal punto di vista cristiano “fare penitenza”, anche nella sofferenza, per i propri peccati. Ma se la contrizione nella carità giustifica pienamente, codesta “penitenza per i peccati” sarà innanzitutto da vedere in funzione della piena e perfetta carità. Non per arbitrio divino, ma per una insufficiente carità, si deve “soddisfare” per la “pena temporale” dovuta al proprio peccato e la soddisfazione è per la piena conversione alla carità”. Suddetta impostazione teologica implica che, nel caso di peccati legati all’appartenenza mafiosa, la “soddisfazione” del peccato sia da vedere anche nelle pene sancite dalla condanna definitiva della magistratura, alle quali il mafioso, sicuramente, potrebbe cercare di non sottrarsi195.
193 M. Pennisi, Per i mafiosi, conversione o scomunica?, Online international newspaper, 3 settembre 2017.
194 Giovanni Paolo II, Discorso ai detenuti del carcere di Reggio Calabria, in www. Vatican.va, 7 ottobre 1984.
195 C. Scordato, D. Mogavero, V. Murgano, Una pastorale per i mafiosi? Spunti di
71 Per concludere possiamo affermare che nell’appello alla conversione, approntato dai vescovi calabresi, si utilizza il potere della misericordia e del perdono, affinché si possano, ancora, “recuperare i figli appartenenti alle mafie”196, perché anche la comminazione di una
scomunica non esclude un possibile ravvedimento del peccatore. Infatti la scomunica ha per la comunità ecclesiale una funzione pedagogica197.