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La Chiesa e la 'ndrangheta in Calabria

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

La Chiesa e la ‘ndrangheta in Calabria

Il Candidato

Il Relatore

Vittoria Amelio

Chiar.mo Prof.

Pierluigi Consorti

(2)

Ad Antonia per avermi insegnato che non esiste ‘l’uguale o il diverso’, ma esistono persone. Esistono persone con emozioni, da vivere pienamente.

A papà e mamma, per avermi insegnato che vivere onestamente è l’unica strada percorribile.

E a te – Antonella – perché, nella tua continua lotta per la vita, mi hai insegnato che il sorriso è l’unica ‘arma’ da utilizzare per risultare vittoriosi in ‘eterno’.

(3)

INDICE

Introduzione 1

Capitolo I

L’evoluzione del fenomeno mafioso e la Chiesa

calabrese

1.1 – Fenomeno mafioso e sua evoluzione. 8

1.2 – Una possibile “questione meridionale cattolica”. 13

1.3 – La mafia strumentalizza la religiosità popolare. 17

1.3.1

– ‘’Mamma di San Luca’’ e il ruolo del

Santuario della Madonna di Polsi. 23

2.1 – La posizione della Chiesa-Istituzione. 25

2.1.1 – Nasce una nuova coscienza. 27

2.1.2 – La priorità della conversione. 30

(4)

3.1 – Ordinamento canonico: la ‘ndrangheta quale “struttura

pubblica di peccato” che comporta la scomunica. 34

3.2 – Ordinamento giuridico italiano: verso la codificazione

dell’art. 416 bis c.p. 37

3.2.1 – Dalla prima Commissione parlamentare

antimafia all’elaborazione giurisprudenziale della

definizione di associazione di tipo mafioso. 42

3.2.2 – La legge Rognoni-La Torre 13 settembre 1982

n. 646 e successive modifiche. 43

3.3 – La Chiesa e le istituzioni dello Stato. 47

3.3.1 – Allo studio un vademecum sulla scomunica per

corruzione e associazione mafiosa. 48

Capitolo II

La confessione e il pentimento del mafioso

1.1 – Il mafioso e il confessionale. 51

1.2 – Le situazioni giuridiche soggettive del ministro di

culto. 54

(5)

1.2.2

– La libertà di esercizio del sacro ministero ed

il reato di favoreggiamento personale. 62

2.1 – Il pentimento spirituale del mafioso. 67

2.1.1 – Il pentimento giudiziario del mafioso. 71

Capitolo III

Esequie mafiose

1.1 – La celebrazione delle esequie in casi particolari. 76

1.1.2 – La negazione delle pubbliche esequie per i

peccatori manifesti. 82

1.2 – Come muore uno ‘ndranghetista. 87

2.1 – Il potere di intervento dell’autorità di pubblica

sicurezza sulla negazione delle pubbliche esequie. 90

2.1.2 – Il caso del parroco di Platì avverso l’ordinanza

di divieto dei funerali pubblici per il boss Giuseppe

Barbaro. 92

(6)

1

INTRODUZIONE

La presente tesi ha come oggetto l’analisi, mediante la consultazione di documenti ufficiali emanati dalle autorità ecclesiastiche, delle modalità di contrasto alla ‘ndrangheta utilizzate dalla Chiesa.

Ai fini del lavoro e per un inquadramento della tematica in maniera più corretta possibile, è stato necessario indagare sia le origini e l’evoluzione del fenomeno sia, soprattutto, i rapporti esistenti tra l’organizzazione criminale calabrese e la Chiesa.

È stato così ravvisato quanto l’istituzione religiosa si sia inizialmente e per lungo tempo disinteressata al fenomeno, probabilmente per una sottovalutazione della sua reale portata criminale.

A partire dall’Ottocento e per diversi decenni, la mafia calabrese ha tratto beneficio da questo silenzio1, riuscendo a

strumentalizzare per i propri fini il sentimento religioso popolare e i riti cattolici, grazie anche a una forma di devozione da parte dei calabresi non matura e consapevole. La mafia, infatti, ha utilizzato la religione prendendone in prestito il rito del battesimo, la figura del padrino, le immagini sacre per adattarle alle proprie esigenze e soggiogare una popolazione che si caratterizzava per un grado di alfabetizzazione molto basso e per una devozione ottusa e poco consapevole.

Solo negli anni ’50 del ‘900 si hanno le prime denunce, le prime lettere pastorali e si inizia a inquadrare la ‘ndrangheta per quello

1 Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, Acqua Santissima. La Chiesa e la

(7)

2 che è: un’organizzazione criminale di stampo mafioso, che corrode e inquina la società nella quale opera2.

Bisogna, però, attendere gli anni ’70 per vedere nascere all’interno della Chiesa una nuova coscienza e un’idea più consapevole della criminalità organizzata. Infatti in questi anni troviamo una denuncia sempre più chiara, attraverso l’emanazione dei primi comunicati della Conferenza Episcopale Calabra, dove si ricercano le cause del dilagare del fenomeno e si indica il modus

operandi nei confronti dell’organizzazione per la Chiesa e per le

istituzioni civili3.

È il 1975 l’anno della svolta nella lotta contro la mafia. Nella riunione di agosto dello stesso anno, i presuli calabresi prendono atto, in Calabria, di tanti fatti criminosi e di faide atroci e si rivolgono soprattutto a tutti coloro i quali operano nella vita civile affinché siano rimosse le cause remote e prossime di tali fenomeni patologici, che hanno origine nel sottosviluppo economico, culturale e sociale della Calabria e si esprimono, anche, riguardo alla triste realtà della mafia che prospera in diversi settori4.

Il 30 novembre 1975 viene emanata la lettera pastorale dal titolo “L’episcopato Calabro contro la mafia, disonorante piaga della società’’5. I vescovi nuovamente si esprimono con fermezza e rigore

contro uno dei mali più gravi che affliggono la società calabrese e che contribuiscono alla situazione di degrado e poco sviluppo materiale e spirituale. Ulteriore novità è che i Vescovi calabresi si pronunciano tutti insieme, elevando la loro voce all’unisono, in modo coraggioso e

2 Lettera collettiva: I problemi del Mezzogiorno, 1948, consultabile sul sito: www.progettopolicoro.it.

3 A. Mantineo, La condanna della mafia nel recente Magistero: profili penali

canonistici e ricadute nella prassi ecclesiale delle Chiese di Calabria e Sicilia.

Luigi Pellegrino Editore, 2016.

4 Conferenza episcopale Calabra, “Bollettino Ecclesiale del Clero. Organo

Uifficiale per l’Arcidiocesi di Catanzaro e la Diocesi di Squillace”, anno LII, serie

II, anno 20°, nn 4-5 agosto-ottobre 1975, p. 158. 5 Ibidem.

(8)

3 senza mezzi termini. Circa un decennio dopo, di particolare menzione è l’operato del Vescovo di Locri – Gerace Monsignor Antonio Ciliberti, nominato il 7 dicembre 1988. Il suo episcopato, in un difficile contesto criminale come la locride, inizia con corpose denunce, tanto che le ‘ndrine locali non tardano nel rispondere e posizionano – sotto le finestre dell’episcopio – tre colpi di lupara. Si tratta del primo Vescovo costretto a vivere sotto scorta dello Stato. L’azione intimidatoria non arresta l’azione di questo coraggioso e illuminato Vescovo, convinto che un pastore debba spendersi fino all’ultimo per il proprio gregge. È sempre egli che invita i parroci a leggere, durante la messa domenicale, una lettera in cui si esortano i fedeli a non acquistare merce nei negozi direttamente riconducibili a uomini appartenenti ad ambienti criminali.

Quest’azione di denuncia e condanna della mafia calabrese non si arresta e continua. A partire dagli anni ’90 iniziano a esserci, da parte della Chiesa, delle direttive specifiche e più incisive contro la ‘ndrangheta e dagli anni 2000 in poi la Conferenza Episcopale Calabra si impegna nella società civile al fine di “porsi come interlocutore valido degli enti civili nel settore delle politiche sociali”. Altra iniziativa lungimirante è la creazione nelle principali città calabresi di Fondazioni antiusura, al fine di combattere il crimine gestito dalla mafia6.

Cresce sempre di più all’interno della Chiesa calabrese la consapevolezza di quale sia il reale volto della ‘ndrangheta fino all’affermazione che essa sia “negazione del Vangelo”, ossia l’antivangelo7, come espressamente detto dalla Conferenza Episcopale

Calabra, il 17 luglio 20148.

6 A. Mantineo, Op., cit., p. 73.

7 Conferenza Episcopale Calabra, 17 luglio 2014, Comunicato della Sessione Straordinaria, Paola (Cosenza) in Filippo Curatola- Enzo Gabrieli- Giovanni Scarpino.

(9)

4 Successivamente, nello stesso anno, durante un’altra riunione della Conferenza Episcopale Calabra, viene emanata il 25 dicembre

una Nota Pastorale sulla ‘ndrangheta, all’interno della quale, in

continuità con gli interventi del Magistero episcopale calabrese dell’ultimo quarantennio, si avverte la necessità di rivolgersi a tutti i cittadini, dando loro una “lettura” del momento storico, alla luce del Vangelo e in rapporto al fenomeno ‘ndranghetistico. In questo contesto, i pastori delle Chiese che sono in Calabria fanno riecheggiare il grido contro la mafia, già lanciato, prima, da San Giovanni Paolo II (“Convertitevi, verrà il giudizio di Dio)9, e, ripetuto, da Papa

Francesco durante la visita pastorale a Cassano all’Jonio nel giugno del 2014.

Una presa di posizione così netta ha provocato conseguenze anche sul piano giuridico, con lo studio di quale fosse la pena da applicare agli affiliati dei clan mafiosi. In tale ambito, i diversi canoni del Codice rimettono la scelta sull’irrogazione della pena alla discrezionalità dell’autorità ecclesiale, in quanto, nel diritto canonico, vige la necessità di salvaguardare l’integrità dei valori essenziali per la realizzazione della salus animarum, oltre che del singolo reo-peccatore anche della comunità affidata alla sua cura pastorale.

Lo svolgimento di attività criminali di stampo mafioso rientra tra i “delicta graviora”, la cui pena massima è quella della scomunica, così come detto da Papa Francesco nel 2014 durante la messa nella piana di Sibari. L’attività criminale mafiosa rientra in tale categoria di delitti in quanto crimini accomunati tanto dal fatto di offendere beni giuridici aventi primaria rilevanza nell’ordinamento canonico, tanto alla circostanza di essere riservati alla competenza della Congregazione per la dottrina della Fede10. A tal riguardo è bene far rilevare che quest’ultima non si è mai attivata a rendere effettiva la

9 Giovanni Paolo II, Omelia per la Messa nella Valle dei templi, Agrigento, 9 maggio 1993.

(10)

5 condanna per i mafiosi, anche dopo la ferma posizione assunta dalla Conferenza Episcopale Calabra.

Da quanto affermato sul diritto Canonico e sulla regolamentazione del modo di infliggere le sanzioni, appare chiaro che il rapporto tra Chiesa e ‘ndrangheta e pena è, quindi, molto complesso e, ovviamente, deve tenere conto anche dei rapporti tra le istituzioni ecclesiastiche e quelle statali.

A tal proposito, per meglio comprendere il rapporto tra Chiesa e ‘ndragheta e tra Chiesa e Stato nella lotta al crimine organizzato di stampo mafioso, ho esaminato la confessione e il pentimento del mafioso e, infine, la negazione delle pubbliche esequie per i mafiosi.

Da tale analisi è emerso che nel primo caso, ossia la confessione di un soggetto appartenente a un’associazione di stampo mafioso, il ministro di culto nel somministrare tale sacramento, qualora dovesse ricevere informazioni mafiose, incontra il limite del sigillo sacramentale. Sigillo che gli impone di rispettare il silenzio che si configura quale segreto assoluto che non ammette eccezioni. Questo, forse, potrebbe presentarsi quale limite nella continua lotta alla mafia da parte dello Stato italiano.

Nel caso delle esequie mafiose, i chierici hanno assunto, a volte, atteggiamenti, antitetici. In quanto molti sono stati e sono i chierici che hanno dato seguito alle ordinanze di divieto di pubbliche esequie emesse dai vari questori delle province calabresi, ma non sono mancati atteggiamenti ostili e, forse, inappropriati di chi ha opposto resistenza. Perciò ho analizzato il caso di un parroco di Plati, Giuseppe Svanera.

In conclusione la Chiesa persegue l’obiettivo di contrasto alla ‘ndrangheta e, in generale, al fenomeno mafioso puntando soprattutto all’invito alla conversione delle anime peccaminose e criminali. Però, per estirpare la ‘ndrangheta, si rende necessario una reale azione

(11)

6 congiunta e sinergica – che è prima di tutto culturale – tra Stato, Chiesa e società civile.

(12)

7

CAPITOLO I

L’EVOLUZIONE DEL FENOMENO

MAFIOSO E LA CHIESA CALABRESE

Sommario: 1.1 – Fenomeno mafioso e sua

evoluzione. 1.2 – Una possibile “questione

meridionale cattolica”. 1.3 – La mafia

strumentalizza la religiosità popolare. 1.3.1 –

‘’Mamma di San Luca’’ e il ruolo del Santuario

della Madonna di Polsi. 2.1 – La posizione della

Chiesa-Istituzione. 2.1.1 – Nasce una nuova

coscienza. 2.1.2 – La priorità della conversione.

2.1.3 – L’azione concreta delle Chiese calabresi.

3.1 – Ordinamento canonico: la ‘ndrangheta quale

“struttura pubblica di peccato” che comporta la

scomunica. 3.2 –

Ordinamento giuridico italiano:

verso la codificazione dell’art. 416 bis c.p. 3.2.1 –

Dalla prima Commissione parlamentare antimafia

all’elaborazione

giurisprudenziale

della

definizione di associazione di tipo mafioso. 3.2.2 –

La legge Rognoni-La Torre 13 settembre 1982 n.

646 e successive modifiche. 3.3 – La Chiesa e le

istituzioni dello Stato. 3.3.1 – Allo studio un

vademecum sulla scomunica per corruzione e

(13)

8

1.1 Fenomeno mafioso e sua evoluzione

A partire dall’Ottocento e per molti decenni, la mafia calabrese ha tratto beneficio dal silenzio della Chiesa e solo negli anni ’50 del ‘900 si sono registrate le prime denunce, le prime lettere pastorali e si è iniziato così a concepire la ‘ndrangheta come un “cancro esiziale”11.

Come sottolineato da Forgione e Ciconte, la ‘ndrangheta è stata storicamente sottovalutata e sottostimata, motivo per il quale ha assunto un ruolo di preminenza all’interno di qualsivoglia ambito sociale. Le ragioni di questo devono essere ricercate all’interno della storia calabrese che ripercorreremo brevemente, per meglio inquadrare il contesto nel quale ci si muove all’interno di questo studio.

La posizione marginale assunta dalla Calabria e da gran parte del Sud è stata evidente già prima dell’unificazione nazionale sotto il Regno delle Due Sicilie -Stato sovrano dell’Europa meridionale- perché molto decentrata e distante dai due centri più importanti: Napoli e Palermo12. I calabresi hanno partecipato attivamente anche al Risorgimento, al quale si sono accompagnate forme di opposizione, quali il brigantaggio13.

Quest’ultimo sembra che degenerò in ‘’picciotteria’’14,

antecedente storico della ‘ndrangheta, diffusosi a Reggio Calabria

11 Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, Acqua Santissima. La Chiesa e la

‘ndrangheta: storie di potere, silenzi e assoluzioni, Mondadori, 2014.

12D.Lopriero, ‘Ndrangheta e Chiesa, consultabile sul sito www.scienzepolitiche.unical.it.

13 Ibidem, p. 2.

14 Cfr. D. Lopriero, Op. cit., p. 2 e M. Andrigo, L. Rozza, Le radici della

‘ndrangheta, Nutrimenti, 2011, dove si afferma che il brigantaggio e quindi i

briganti dirigendo le proprie scorribande a danno dei ceti meno abbienti, imperversavano sentimenti che, a livello popolare, erano molto condivisi. Il brigantaggio, accompagnato da alterne fortune, degenerò in ulteriori soprusi. Degenerazione del brigantaggio fu la c.d. “picciotteria”, una organizzazione dotata

(14)

9 dalla fine dell’Ottocento. La ‘’picciotteria’’ si allontana dalla dimensione pseudoromantica propria del brigantaggio per acquisire alcune delle caratteristiche tipiche della criminalità organizzata e che si ritrovano ancora oggi nella moderna ‘ndrangheta15. La

‘’picciotteria’’ utilizzava metodi violenti e intimidatori, anche a danno dei contadini e dei ceti meno abbienti.

A Reggio Calabria, sul finire dell’800, la politica si unisce al malaffare, in una realtà caratterizzata da estrema povertà. L’agricoltura è in affanno, le aree produttive in calo e il commercio in stallo16.

La lotta aspra e violenta per la costituzione del nuovo Stato nazionale vede, da una parte, la Destra liberale e massonica, espressione della proprietà terriera; dall’altra, il movimento borbonico-clericale, che fa capo alla curia vescovile17. Lo scontro si fa più aspro in occasione delle elezioni amministrative di Reggio Calabria, dove si teme la vittoria dei nemici dell’unità nazionale. La politica finanziaria della Destra storica aveva provocato un profondo malcontento tra i ceti meno abbienti, la criminalità mafiosa finisce per godere di “un’informale legittimazione” attraverso una forma primordiale di “voto di scambio”, in cambio di libertà negli affari e nelle attività delittuose. In questo contesto di malcontento e di crisi dei settori alimentari, si fa strada il mutualismo. La ‘ndrangheta si presentava come una “società di mutuo soccorso”, un’aggregazione di solidarietà sociale, che prevedeva una tassa d’iscrizione e il pagamento di una quota mensile18. Si trattava di un’aggregazione primitiva e

di proprie regole e rituali e che si diffuse soprattutto nella provincia di Reggio Calabria. Se, da una parte, i briganti perseguono l’obiettivo di riequilibrio delle disparità sociali, dall’altra, gli affiliati alla picciotteria perseguono propri interessi, al fine di arricchirsi e acquisire potere criminale. Ecco perché la picciotteria si allontana dalla visione pseudoromantica del brigantaggio.

15 Mario Andrigo e Lele Rozza, Le radici della ‘ndrangheta, Nutrimenti, 2011, p. 15.

16 N. Gratteri e A. Nicaso, Padrini e padroni, Mondadori, 2011, cit., p. 15. 17 N.Gratteri e A.Nicaso, Padrini e padroni, Mondadori, 2011.

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10 prepolitica, composta soprattutto da gente di umili condizioni, che, in un ambiente arretrato come quello dei villaggi calabresi, si organizzavano in sette segrete19, al fine di ottenere rispetto e dignità, altrimenti irraggiungibili da parte di nullatenenti.

Quanto alle origini della mafia calabrese, le conoscenze sono piuttosto disomogenee e frammentarie. L’incertezza si ravvisa, ad esempio, nella varietà stessa di nomi con i quali il fenomeno della mafia calabrese è stato designato. Le sentenze, successive, all’unità d’Italia, utilizzano termini quali ‘’camorra’’, ‘’maffia’’ e ‘’picciotteria’’ per far riferimento al fenomeno suddetto20. A partire

dal ‘900, in alcune sentenze, appare l’espressione ‘’Onorata società’’, che sarà poi ampiamente utilizzato tra le masse contadine. Il termine ‘ndrangheta si impone, solo, nei decenni successivi ed è la variante grecanica di ‘’onorata società’’21.

L’arricchimento della ‘ndrangheta ha conosciuto un processo molto lento negli anni a cavallo tra ‘800 e per i primi anni del ‘900, mentre dai primi decenni del XX secolo tale processo si accelerò. Questo perché si erano intensificati gli interventi finanziari dello Stato e migliorarono le condizioni economiche degli ‘ndranghetisti, quindi iniziarono i primi rapporti tra ‘ndrangheta e politica. Tale rapporto, tutt’oggi esistente22, influenzava, a monte, le elezioni politiche e,

successivamente, le attività delle pubbliche amministrazioni23. Dopo la caduta del regime fascista si registra, anche in provincia di Reggio Calabria, la nomina di sindaci mafiosi da parte del governo militare alleato24. Così l’onorata società riesce ad influenzare la vita pubblica, ad esempio, impone guardiani di sua fiducia ai proprietari, controlla il collocamento della manodopera intervenendo

19 G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, Giuffrè Editore, Milano. 20 G. Turone, Op. cit., p. 86.

21 G. Turone, Op. cit., p. 87. 22 Ibidem, p. 87.

23 Ibidem, p. 87.

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11 al fine di intimorire e minacciare il bracciante che reclama rispetto per l’orario di lavoro25.

Negli anni ’50 lo Stato è sempre meno incisivo nella repressione del fenomeno mafioso e va consolidandosi il rapporto ‘ndrangheta-politica in termini di scambio di favori al fine di procacciare voti. Stessa situazione si registra negli anni Sessanta. Anni in cui le ‘ndrine calabresi puntano ed ottengono ulteriori territori e ulteriori nuovi spazi economici e, soprattutto, nel settore edilizio. Occasioni proficua è costituita dai lavori di costruzione dell’autostrada tra Salerno e Reggio Calabria, che permettono alla ‘ndrangheta un’ascesa imprenditoriale. Ascesa che è stata favorita dalle ditte del Nord vincitrici delle gare di appalto, le quali, ancor prima di essere avvicinate, prendono contatto con le ‘ndrine per contrattare il pagamento della tangente in cambio di protezione, l’assunzione di ‘ndranghetisti come guardiani etc26. La prassi illegale seguita per la

costruzione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria è quella che verrà seguita per la realizzazione di altre opere pubbliche di pari o di maggiore rilievo27. Il punto è che in tale decennio e in quelli successivi

l’intervento pubblico diventa, nell’economia calabrese, il fattore dominante e viene, regolarmente, per una quota consistente, dalle varie ‘ndrine28.

In conclusione, la ‘ndrangheta degli anni ’90, nonostante le indubbie specificità, pare presentare punti in comune con la mafia siciliana e con la camorra-impresa che a esso si ricollega. Essa, appare

25 Il controllo, da parte della ‘ndrangheta, diviene attivo anche negli anni successivi al 1950, così come testimonia il fenomeno del caporalato. F. Novarese, Mafia e

organizzazione del lavoro in Calabria, in AA.VV., Mafia, ‘ndrangheta e camorra,

a cura di Borrè e Pepino, cit., pp. 167 ss.

26 Tale realtà emerge, alla Camera dei deputati, dal sottosegretario agli interni Salizzoni in risposta ad alcune interrogazioni parlamentari: «le imprese industriali, quasi tutte del Nord Italia, si piegano e favoriscono il prosperare della mafia». Camera dei deputati, V legislatura, seduta del 18 novembre 1969.

27 Si veda P. Arlacchi, L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, in AA.VV.

Mafia e istituzioni, cit., p. 104.

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12 come “un elemento di raccordo, di cerniera e di collegamento tra le mafie operanti negli altri territori del Mezzogiorno”29. Mafia siciliana

e ‘ndrangheta presentano caratteri comuni, come la dimensione della capacità imprenditoriale, capacità militare e, soprattutto, capacità di penetrazione nelle istituzioni e ciò ha portato, tra gli anni Settanta e Ottanta, a studiare il fenomeno ‘ndranghetistico soffermandosi più sulle analogie esistenti tra i due fenomeni, piuttosto che approfondire l’analisi delle differenze storiche ricollegabili a epoche ormai remote30. Però ciò non è rilevante, in quanto non sono importanti i differenti nominativi che le varie cosche – per la ‘ndrangheta o la mafia siciliana – abbiano assunto o che il “il guardiano” calabrese sia o non sia affine al “campiere” siciliano, perché in un’ottica di evoluzione dei due fenomeni la ‘ndrina o ‘’locale’’, ‘’campiere” o “guardiano” riflettono i due versanti di una realtà sociale che ben può essere considerata unitaria31.

Dal breve e, certamente, non esaustivo excursus storico appena fatto, possiamo comprendere quindi che, già a partire dagli anni precedenti all’unità d’Italia, la Calabria ha sperimentato forme di consenso sociale a favore delle primitive forme di associazioni mafiose, piuttosto che a favore dello Stato, poco preparato a rispondere alle istanze dei cittadini calabresi. Ciò che pare mancare da sempre a buona parte della società calabrese è ‘’il senso dello Stato’’, il riconoscimento diffuso, popolare, che lo Stato – o melius, la cosa pubblica – c’è, ma non solo in senso negativo, piuttosto in senso assolutamente positivo32.

Possiamo affermare che le radici del fenomeno mafioso vanno inquadrate, anche, in una “questione meridionale’’ ancora irrisolta e in

29 E. Ciconte, ‘Ndrangheta dall’unità a oggi, Roma-Bari 1992, cit., p. 363. 30 Cfr. S. Mannino, Caratteristiche della ‘ndrangheta in provincia di Reggio

Calabria, in AA. VV. Mafia, ‘ndrangheta e camorra, a cura di Borrè e Pepino, cit.,

pp.84 ss.

31 G. Turone, Op. cit., p. 98.

32 D. Lopriero, cit., ‘Ndrangheta e Chiesa, consultabile sul sito www.scienzepolitiche.unical.it.

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13 una cultura deviata, che vuole esercitare una supplenza alle deficienze e assenze dello Stato, ai suoi ritardi e alla sua stessa impostazione sociale, ma è anche vero che questa forma di criminalità si è trasformata in una piovra, che cerca di sostituirsi allo Stato e vuole dominare il territorio. Tale deleterio fenomeno ha infestato la vita sociale calabrese ed è penetrato anche in certi scenari religiosi di alcune comunità ecclesiali locali.33

1.2 Una possibile ‘’questione meridionale

cattolica’’

Dopo aver analizzato sommariamente l’evoluzione della ‘ndrangheta in uno scenario che vede lo Stato impreparato, e forse, assente nel contrastare il fenomeno fin dalle sue origini, ora cercheremo di analizzare le possibili connessioni, i rapporti e gli sviluppi che vedono protagonista la Chiesa cattolica e di conseguenza, l’adattamento della religione cattolica nei paesi del Sud Italia.

Isaia Sales, docente di storia della criminalità organizzata del Mezzogiorno d’Italia, pone un’interessante domanda. Si chiede, cioè, se esiste una questione meridionale all’interno della Chiesa italiana, una specie di questione cattolica meridionale34. E se è sì, quali ne sono i termini e in che modo tale specificità abbia inciso sul rapporto con le mafie.

La risposta è sicuramente sì e va ricercata proprio nello sviluppo storico delle regioni del Nord, rispetto a quelle del Sud.

La Chiesa meridionale perseguiva obiettivi che venivano elaborati e proposti da Roma, ma ha risentito dei caratteri che nell’insieme ha assunto la società meridionale nel corso di una lunga

33 A. Mantineo, La condanna della mafia nel recente Magistero: profili penali

canonistici e ricadute nella prassi ecclesiale delle Chiese di Calabria e Sicilia.

Luigi Pellegrino Editore, 2016.

34 Isaia Sales, I preti e i mafiosi. Storia di rapporti tra mafie e chiesa cattolica. B.C., Dalai Editore, 2010.

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14 trasformazione storica. A tal punto che anche all’interno di un divenire condiviso della Chiesa italiana – con una dottrina fortemente unitaria – si sono manifestate specificità frutto dell’intreccio tra i caratteri assunti dalla trasformazione della società e dell’economia meridionale e la visione unitaria e nazionale entro la quale si sono mosse la dottrina e la pratica cattolica. Insomma, la gerarchizzazione e l’impostazione unitaria di una Chiesa universale non sono state da intralcio alla sua meridionalizzazione, un’adesione cioè ad alcuni tratti della specifica evoluzione del contesto in cui operava. La Chiesa meridionale oltre a essere contrassegnata dal contesto storico-economico-sociale, ha a sua volta influenzato i caratteri dell’ambiente, della società, dei valori, della mentalità dei meridionali35. Troviamo uno scenario in cui la dottrina e la prassi «universale»36 si sono modellate sul contesto e che hanno, di conseguenza, condizionato e modificato. La Chiesa è stata l’unica struttura nazionale molto prima della formazione d’Italia, ma ha dovuto “regolarsi” sulla base dei vari Stati che componevano l’Italia prima della sua unificazione.

A questo punto vanno ricercati i caratteri e la durata della «questione meridionale» all’interno della Chiesa cattolica italiana. Il carattere mediterraneo del vissuto religioso al Sud ha radici profonde, ma dalla Controriforma37 diventa più accentuata fino alla totale

identificazione tra spirito controriformista e peculiarità del sentire religioso meridionale. La Chiesa del Sud sembrava più esposta a credenze superstiziose.

All’inizio, dopo il Concilio di Trento, si voleva estirpare, con le nuove regole ed i nuovi culti, il carattere precristiano se non pagano di abitudini radicate da lungo tempo nelle popolazioni meridionali. L’impatto dei decreti tridentini al Sud fu traumatico, con conseguenti

35 Ibidem, cit. p. 205. 36 Ibidem, p. 205.

37 La Controriforma ha comportato un rinnovamento spirituale, teologico, liturgico e di riorganizzazione, mediante le quali la Chiesa ha riformato le proprie istituzioni dopo il Concilio di Trento.

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15 resistenze culturali e mentali da parte sia del clero sia del popolo38. Si è finiti per vedere le vecchie abitudini, piuttosto che sradicate, in simbiosi con la nuova religione indotta dalla Riforma, tanto che la religiosità barocca è diventata elemento caratterizzante della meridionalità.

Dal ‘600 in poi il modello barocco di religiosità si impone e non sarà messo in discussione per tre secoli. La società meridionale entrerà in sintonia con la Controriforma, ne assorbirà alcuni dei caratteri costitutivi e altri l’interpreterà in modo originale. Il sud, anche geograficamente parlando, resterà separata dal resto dell’Europa e di tale isolamento il Sud ne risentirà. Ciò porta ad un differente adattamento, da regione a regione, dell’applicazione del Concilio tridentino39.

Al Sud, l’aver conservato una struttura feudale quasi fino all’epoca contemporanea, l’adagiarsi in rapporti economici e sociali caratterizzati da una natura gerarchica, portano a mantenere solida una religiosità fondata sulla devozione, sui riti, sulle forme, sulle funzioni, sulle feste. Stante una sincera pietà popolare, le figure eccellenti di preti, di vescovi e di cardinali furono solo delle eccezioni in un contesto dove il dato caratterizzante era dato dall’amministrazione dei sacramenti più che la sollecitazione di virtù, con i santi più protettori delle comunità che modificatori della realtà. Insomma, il Sud conservò una religiosità passiva e devozionale che contribuì a mantenere inalterati i privilegi feudali e le strutture produttive del Sud, a differenza del Nord che aveva ‘’elaborato’’ una religiosità più attiva e responsabilizzante del singolo credente, che andò a incidere positivamente sull’economia e sulla società40.

38 Isaia Sales, Op. cit, p. 206.

39 G. Galasso, L’altra europa. Per un’antropologia storica del Mezzogiorno

d’Italia, Editore Guida, 2009, cit., p. 73.

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16 «Quella della Controriforma fu una religiosità che frenava le cattive passioni, ma non si trasformava in una vita etica e politica; era insomma religiosità legalista ed esteriore»41.

Dopo l’Unità d’Italia al Nord vediamo il fiorire di oratori, accompagnati da un forte attivismo sociale; casse mutue; banche operative. Invece, al Sud niente di tutto ciò era ancora presente. Bisogna attendere il secondo dopoguerra per assistere al consolidarsi di oratori «boschiniani»42 e le iniziative cooperative e sociali sono quasi inesistenti. In questo contesto di arretratezza culturale, sociale ed economia, si fa strada uno dei primi caratteri propri della religione meridionale, il culto dei santi che prevale sull’insegnamento del catechismo, sull’impegno civico e sociale e le feste esprimeranno ancora la sostanza della religiosità meridionale.

Giovanni XXIII, intorno agli anni ’60 del ‘900, indisse un concilio ecumenico per un rilancio delle esperienze religiose collettive e di nuove forme di impegno e di testimonianza43. Però, il mondo cattolico meridionale sembra essere estraneo agli stimoli conciliari e così facendo mostra tutta la sua arretratezza culturale e sociale rispetto alle altre realtà cattoliche. La crisi della DC, iniziata negli anni ’80 del ‘900, dà spazio al rinnovamento della Chiesa del Sud e consente che i preti meridionali diventino segno di rinnovamento. Forse è la politica, con il suo legame con le istituzioni, a frenare l’aspirazione di cambiamento di parte del mondo cattolico. Proprio qui, la Chiesa inizia a “vedere” la mafia e l’istituzionalizzazione della Chiesa, la sua identificazione con le istituzioni politiche non ha permesso di trattare come un male le mafie che erano parte integrante delle stesse istituzioni44.

41B. Croce, Storia dell’età barocca in Italia, Laterza, Bari, 1957, cit., p. 498. 42 Isaia Sales, Op. cit., p. 210.

43 G. Vernucci, «La Chiesa post conciliare», in Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, Einaudi, Torino 1995, cit., p. 318.

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17 L’identificazione della Chiesa meridionale con il tradizionalismo è una delle cause della mancata presa di distanza dai mafiosi, tradizionalisti per eccellenza nel senso di difensori armati degli interessi delle classi dominanti e dei valori di ordine, famiglia e fede in cui la Chiesa si riconosceva. Al Sud è sempre stato pensabile conciliare violenza, prevaricazione e religione. Infatti, il cardinale Ruffo scrive «La Chiesa si è confusa con il mondo meridionale, ne ha condiviso valori, mentalità, regole, comportamenti, parole. Non è stata sopra la società guidata dal Vangelo, ma dentro la società guidata dal suo essere mondano». Il giudice Scarpinato ritiene che la religione cattolica ha svolto questo ruolo di legittimazione della violenza sia per la borghesia, sia per le classi popolari e da entrambe le classi provenivano i mafiosi. «Mentre per la classe dominante non c’era stato bisogno di una legittimazione religiosa in quanto la violenza faceva già parte integrante del potere feudale, per la borghesia e per il ceto popolare ci voleva una legittimazione di altro tipo, visto che la legge formale considerava comportamenti criminali quelli che per loro erano normali»45. Il credo religioso non ha contenuto la violenza, ma le ha

fornito una giustificazione.

Santi Romano ritiene che nel momento in cui la Chiesa utilizza il silenzio o la comprensione verso le ragioni di altri ordinamenti, come ad esempio le mafie, è proprio lì che ne riconosce le funzioni e finisce per legittimarla46.

1.3 La mafia strumentalizza la religiosità popolare

Nelle regioni meridionali l’adattamento del culto cattolico, come abbiamo visto, si è modellato in base alla mentalità della gente

45 S. Lodato, R. Scarpinato, Il ritorno del principe. La criminalità dei potenti in

Italia, Editore Chiarelettere, 2008, cit., p. 194.

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18 del Sud poco matura culturalmente tanto da non cogliere l’essenza della religiosità popolare, ma limitandosi alla sua “esteriorità”. Tale contesto si è protratto fino ai giorni nostri. Infatti, la religiosità popolare e in particolare le feste in cui viene celebrato il culto cattolico sono state utilizzate come momento per trovare legittimazione sociale, ma spesso anche per sancire vincoli, formalizzare spartizioni, stabilire gerarchie, decretare ed eseguire sentenze mafiose. «Attraverso i riti religiosi è talora avvenuto uno sfoggio del potere mafioso»47 e la reazione della Chiesa a tutto questo ha avuto diverse fasi.

L’analisi dei legami che si stabiliscono tra religiosità popolare e mafia pone all’attenzione anche alcune connessioni simboliche, ad esempio relative alla strumentalizzazione della stessa simbologia religiosa nel quadro delle manifestazioni di forza dei mafiosi, che prevedono ad esempio un vero e proprio rito di iniziazione, che porta la memoria del battesimo.48 Il “battesimo mafioso” si presenta come una cerimonia di affiliazione alla setta sulla base di un rapporto tra padrino e figlioccio simile ad un vincolo di sangue. La ‘ndrangheta stessa appare fondata sulla ‘’famiglia’’, sì da mimare alleanze costruite su vincoli simili a quelli di parentela che sorgono in forza dei sacramenti49.

L’uso di un linguaggio che evoca, continuamente, l’elemento spirituale lo possiamo riscontrare nei gradi che un affiliato dell’organizzazione criminale può raggiungere, quali ‘’santista’’ o ‘’sacrista’’50. Nella Relazione annuale della Direzione Nazionale

Antimafia, 1 luglio 2011- 30 giugno 2012, nella parte dedicata

47 P. Fantozzi, Disorientamenti e privazioni che la ‘ndrangheta propaga, in E. Stamile, I. Schinella (a cura di), «è Cosa Nostra». Una pastorale ecclesiale per

l’eduzione delle coscienze in contensti di ‘ndrangheta, Atti del convegno, Falerna,

26-27 gennaio 2007, Progetto 2000, Cosenza 2008, cit., p. 73. 48 A. Mantineo, Op., cit., p. 77.

49 L. Staropoli, La ‘’santa’’ setta. Il potere della ‘ndrangheta sugli affiliati e il

consenso sociale sul territorio. Laruffa Editore, 2015.

50 D. Bilotti, Simbologia religiosa e crimine organizzato: uno storico equivoco. Rivista telematica: Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2008.

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19 all’analisi complessiva del fenomeno mafioso e della struttura dello stesso, si evince una struttura unitaria caratterizzata da diverse sedi, le ‘’locali’’ che operano su base territoriale e fanno capo alla ‘’mamma di San Luca’’, luogo principale della ‘’federazione’’ malavitosa e con una forte centralità geografica. Ancora, ogni locale che sia caratterizzata da almeno sette componenti e che abbiano raggiunto un grado ‘ndranghetistico assai elevato, quale quello di “Santa’’, si compone di una Società Maggiore e di una Minore. Oltre all’unitarietà organizzativa, si ribadisce una unitarietà psicologica nell’adesione di ogni singolo accolito ad un progetto criminale collettivo proprio dell’associazione nel suo complesso, accumunato da identità di rituali di affiliazione e dalla comunanza della c.d. copiata, ossia la terna di soggetti abilitati a conferire determinate cariche, quali la “Santa’’.

Sempre nella suddetta Relazione della DNA, si riconosce che la ‘ndrangheta vive, non solo in un mondo fatto di omicidi e traffici globalizzati, anche di una cultura che ha al suo centro Madonne, Santi e riti religiosi. In ampi strati della coscienza collettiva si è stratificata l’idea che la legittimazione sociale della ‘ndrangheta, il suo essere un inevitabile componente della società calabrese trovi un supporto anche nel sentire religioso.

In questa dimensione para-religiosa, gioca un ruolo particolare la figura dell’Arcangelo Gabriele, ma secondo una visione di uomo irritabile e spietato e non già nella sua forza evocativa del nuncius come occasione evangelica universale51. È l’Angelo Giustiziere, preso come simbolo delle ‘’locali’’. Con il medesimo riferimento ad una simbologia cristiano cattolica, si ricorre impropriamente all’immagine di San Michele Arcangelo, la quale viene utilizzata durante il rito del battesimo per giurare fedeltà all’organizzazione criminale52. Rito di

51 D. Bilotti, Simbologia religiosa e crimine organizzato: uno storico equivoco. Rivista telematica: Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2008.

52 Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, Acqua Santissima. La Chiesa e la

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20 iniziazione che prevede il dover pungersi il dito o un braccio con un ago, facendo scorrere gocce di sangue sull’immagine di S. Michele Arcangelo –protettore della ‘ndrangheta- che verrà poi data alle fiamme53.

La mafia piega i simboli religiosi al suo volere, quindi, i simboli evocano i pensieri e se si riesce a controllare i simboli si è in grado di esercitare il controllo anche sul pensiero e quindi sulla coscienza degli individui54.

La partecipazione attiva e visibile alle feste religiose, con l’assunzione di ruoli di rilievo nelle medesime feste, ha potato la Chiesa, i Pastori ed i parroci - di recente - a condannare episodi in cui, durante feste popolari religiose si verificavano atti di reverenza nei confronti dei mafiosi del posto, utilizzando spesso la pratica dell’inchino di fronte alle loro abitazioni. Mafiosi che, ostentando il loro potere, ricambiavano mediante offerte generose a vantaggio della propria parrocchia55.

Nella Regione Calabria la pietà popolare e la devozione sono condizionate al capomafia locale. Questo perché ci troviamo di fronte ad una religiosità devozionale poco matura, che riesce a strumentalizzarne i simboli religiosi e che porta, quindi, a un indebolimento dei principi originari su cui si fonda la pietà popolare.

Invero, la pietà popolare – relativamente alla religione cattolica – è un modo legittimo di vivere la fede, di sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari. Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, il Santo Padre Francesco aveva indicato la pietà popolare come ‘’frutto del Vangelo’’, puntualizzando come ‘’esiste un certo cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un’autentica pietà

53 N. Gratteri, A. Nicaso, Fratelli di sangue, Luigi Pellegrini Editore, 2006. 54 L. Staropoli, La ‘’santa’’ setta. Il potere della ‘ndrangheta sugli

affiliati e il consenso sociale sul territorio. Laruffa Editore, 2015.

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21 popolare’’56 e che si deve ‘’prestare attenzione, particolarmente nel

momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione’’. La pietà popolare può richiedere il discernimento e la denunzia da parte della Chiesa quando si riveli condizionata e asservita alla mentalità e ai costumi dei mafiosi; i Vescovi sono intervenuti più volte per ribadire quanto sia necessario modificare e denunciare una ‘’falsa’’ pietà popolare57. Riconoscere che nella pietà popolare è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice, non significa venir meno dalla responsabilità di educare la pietà del popolo cristiano.

Dinanzi a questo uso strumentale, a questo inquinamento della religiosità popolare, è nata la necessità di purificare con prudenza e pazienza, attraverso un contatto con i responsabili58.

Le azioni volte a purificare, riprendere e valorizzare la pietà popolare sono diverse, a partire dagli anni 2000 e che analizziamo in due momenti storici.

In un primo momento, nel 2002, il Direttorio su pietà popolare

e liturgia, elenca le varie forme di pietà popolare, devozione e pii

esercizi e pone indicazioni generali sulla loro collocazione all’interno dell’armonizzazione con la vita liturgica della Chiesa59. Quindi, è

compito dei Pastori d’anime trovare, in conformità al contesto vissuto da ogni Chiesa locale, il miglior modo di collocare pii esercizi e processioni60. A tale proposito, il Direttorio riconosce in capo

56 Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 24/11/2013, consultabile sul sito www.vatican.va.

57 A. Mantineo, Op., cit., p. 79.

58 Giovanni Paolo II, Messaggio all’Assemblea Plenaria della Congregazione per

il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 21 settembre 2001.

59 Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Direttorio su

pietà popolare e liturgia, Città del Vaticano 2002:

(http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccdds/documents/rc_con_ccdds _doc_20020513_vers-direttorio_it.html), consultato in data 06/03/2018.

60 Vescovo Mons. F. Milito, Guida per le celebrazioni, i pii esercizi e le

processioni della Settimana Santa, 2015

(http://www.oppido-palmi.chiesacattolica.it/home_diocesi/guida_per_le_celebrazioni__i_pii_esercizii_ e_le_precessioni_della_settimana_santa/00023286_Guida_per_le_celebrazioni__i_ pii_esercizii_e_le_precessioni_della_Settimana_Santa.html) consultato in data 06/03/2018.

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22 all’Ordinario del luogo una forma di responsabilità circa il regolare svolgimento delle manifestazioni della pietà popolare e, riconoscendo allo stesso anche determinati poteri, sottolinea come le disposizioni date da un Ordinario per il proprio territorio di giurisdizione riguardino la Chiesa particolare a lui affidata.

Nel 2015, nella Diocesi di Oppido Mamertina – Palmi, il Vescovo Mons. Milito dà vita alla stesura di una ‘’guida per le celebrazioni, i pii esercizi e le processioni della Settimana Santa’’ e nella Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, il Vescovo Mons. Luigi Renzo provvede ad emanare un “Regolamento diocesano per le processioni’’. Tra gli orientamenti e le norme pastorali, si precisa che il rito delle processioni è profondamente radicato nell’animo popolare ed è un mezzo per esaltare la propria identità religiosa e la propria coesione interna. Ogni processione deve mantenere il suo profilo teologico, liturgico e antropologico61. La volontà di contrastare la ‘ndrangheta, radicata nella pietà popolare, la rinveniamo nella sezione dedicata alla disciplina ed allo svolgimento delle stesse, dove si individuano i portatori delle statue. Quest’ultimi dovranno essere fedeli che vivono con assiduità la vita della parrocchia o della confraternita, ma la direttiva è molto restrittiva. Pertanto si intendono esclusi da tale ruolo coloro che abbiano riportato una condanna per associazione di stampo mafioso, abbiano in corso un processo per il medesimo reato o aderenti ad associazioni condannate dalla Chiesa, senza prima aver dato segni pubblici di pentimento e di ravvedimento62. Nell’intento di prevenire il verificarsi della pratica dell’inchino - ivi menzionato – è tassativamente vietato girare o sostare con le sacre immagini davanti a case o persone, tranne che si tratti di ospedali, case di cura, ammalati.

61 Vescovo Mons. L. Renzo, 12 febbraio 2015, Regolamento diocesano per le

processioni, pubblicato in www.diocesimileto.it, consultato in data 05/03/2018.

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23

1.4 ‘’Mamma di San Luca’’ e il ruolo del Santuario

della Madonna di Polsi

Nello scenario socio-culturale, a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento, inizia a registrarsi la presenza di uomini di ‘ndrangheta presso il Santuario della Madonna di Polsi, sito nel comune di San Luca. Anni in cui, l’uscita della statua della Madonna veniva celebrata a colpi di fucile esplosi per aria. Infatti, capitava che -al termine dei festeggiamenti- venissero trovati i corpi di persone giustiziate per essere venute meno alla consegna del silenzio o dell’onore63.

Santuario che, già nel 1894, come riportato dalla testimonianza di un commerciante, Rocco D’Agostino - di Santo Stefano d’Aspromonte, citato come teste ad un processo per l’omicidio di Pietro Maviglia - ospitava uomini di ‘ndrangheta riunitisi per mangiare con i soldi delle estorsioni. Infatti, due anni dopo, Pasquale Trimboli in un processo di fronte al Tribunale di Palmi parla di decine di boss raccolti a cerchio formato in un rituale di ‘ndrangheta.64

Le dichiarazioni di D’Agostino e Trimboli vengono confermate in un rapporto inviato, nel 1901, alla procura del Regno da un tenente dei carabinieri reali di Reggio Calabria dove, appunto, si afferma che presso il Santuario della Madonna di Polsi si radunano i principali capi delle associazioni a delinquere dell’intera provincia di Reggio Calabria. Colui che presiede tutte queste associazioni della provincia è Giuseppe Musolino, nominato ‘’capo onorario di tutte le società’’ e promotore dell’annuale incontro della ‘ndrangheta a Polsi.

63 N. Gratteri, N. Nicaso, Acqua Santissima. La Chiesa e la ‘ndrangheta: storie di

potere, silenzi e assoluzioni, Mondadori, 2014.

64 N. Gratteri, N. Nicaso, Acqua Santissima. La Chiesa e la ‘ndrangheta: storie di

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24 Luogo, da secoli, centro dei tre mandamenti giudiziari della provincia di Reggio Calabria65, definito appunto ‘’Mamma di San

Luca’’ e, soprattutto, luogo dove ogni anno, il 3 settembre in occasione della festa della Madonna, si nomina il capo dell’Associazione dai capi dei tre versanti66.

Si susseguono trent’anni di tregua, dove i boss cercheranno di proteggere il santuario ed i monaci lasciavano lo stesso incustodito per permettere l’accesso nei luoghi sacri ai pellegrini di passaggio. Tra il 1960 ed il 1970 furono molti i tentativi di spostare la consueta riunione annuale a Polsi presso altri luoghi, ma già qualche anno dopo Polsi torna ad essere sede del raduno e nessuno oserà più metterla in discussione.

Nel 2007, a seguito della strage di Duisburg, proprio a Polsi ed in occasione della festa della Madonna, le famiglie coinvolte nella faida di San Luca sanciranno la pace. Erano uomini divisi in faide, ma accomunati dalla devozione alla Madonna. Nei bunker vengono ritrovate immagini della Madonna di Polsi e, la stessa, viene esposta nel ristorante di Duisburg, teatro della strage. Infatti, in un rapporto della Questura di Reggio Calabria si legge “in quei luoghi il sacro si unisce al profano e tutto ha il sapore di religione, ma anche di mafia”. A differenza delle forze dell’ordine e della magistratura che decidono di far scortare e sorvegliare i numerosi pellegrini che vi si recavano, il vescovo di Locri, monsignor Morosini – nel 2010- minimizza ed afferma: “Cari fratelli, se anche oggi ci saranno incontri e patti illegali, del tipo di quelli che hanno intercettato l’anno scorso le forze dell’ordine, a noi poco importa. Sono cose che non ci riguardano. A noi interessa contemplare il volto materno di Maria.”. Le polemiche

65 Ibidem, capitolo I, La madonna che tutto vede, p. 6.

66 La struttura della ‘ndrangheta, per la provincia di Reggio Calabria, si costituisce di una Provincia o Crimine, all’interno della quale troviamo i tre mandamenti: Ionica (o Montagna), Tirrenica (o Piana) e Centro (o Reggio Calabria). Per le province di Vibo Valentina, Crotone, Catanzaro e Cosenza troviamo direttamente le locali, organizzate in ‘ndrine, che fanno capo al Crimine.

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25 mosse dalla Chiesa locale contro “l’intromissione” della Polizia nelle cose di fede è davvero peculiare67.

È più di un secolo che Polsi è zona di interesse religioso della mafia calabrese e se ne parla ampiamente anche in letteratura.

Quindi, se in un primo momento si sono registrati atteggiamenti di indifferenza da parte di chierici nel luogo in cui i boss organizzavano summit68, nel 2017 il vescovo di Locri-Gerace monsignor Francesco Oliva sferza un duro attacco nei confronti delle ‘ndrine calabresi nell’intento di far tornare il Santuario quale luogo di riferimento esclusivamente spirituale.

2.1 La posizione della Chiesa- Istituzione

Il rapporto Chiesa-mafia merita di essere analizzato, anche, osservando l’operato della Chiesa quale istituzione.

In Calabria tutti i presuli dell’Episcopato Meridionale redigono una lettera collettiva dal titolo ‘’I problemi del Mezzogiorno’’ datata 25 gennaio 1948. Questo elaborato risente delle prime esperienze elettorali, amministrative e politiche del 1946 e si prefigge l’obiettivo di esaminare i problemi più pungenti delle nostre regioni ed indicare i principi, le direttive e i mezzi per una retta ed equa soluzione dei medesimi. Si considerano esigenze e problemi non estranei alla vita dello spirito, i quali nascondono più profonde carenze e rivelano la necessità di affermare una religione più pura e una giustizia più piena69. Con il progredire della civiltà e con la, conseguente, modifica dei rapporti sociali possono venir meno determinate condizioni ed è quindi necessaria un’opera di revisione e di critica. Tale progresso, che si denuncia nella lettera collettiva, ha spersonalizzato l’uomo delle sue

67 I. Sales, Op., cit., p. 95.

68 Simmut divenuti famosi grazie alle immagini dell’indagine ‘’Crimine’’. 69 Lettera collettiva: I problemi del Mezzogiorno, 1948, consultabile sul sito: www.progettopolicoro.it.

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26 riconosciute libertà costituzionali, finendo lo stesso per essere “oggetto’’ di diritto e non “soggetto’’, non più “fine’’ ma “strumento’’ e vittima di un progresso materiale ed apparente. Nonostante il sentire comune dei presuli nel voler concretamente eliminare i “mali’’ della società, non appare ancora in modo esplicito l’ammonimento a quella che è divenuta oggi una delle organizzazioni, se non l’organizzazione più pericolosa al mondo.

Non viene ancora predisposto tutto lo sforzo necessario a rendere efficace la propria ‘’pastorale antimafiosa’’70, infatti non si parla

espressamente di mafia, semplicemente la criminalità viene definita come un serio ostacolo ‘’alla strada della ricostruzione della pace del paese e della nostra terra’’. Il termine ‘’mafia’’, nell’accezione di delinquenza organizzata calabrese, compare solo nel 1975 in un noto documento dell’Episcopato Calabro71.

Oltre all’istituzione Chiesa, non si devono gettare nell’oblio le condotte di alcuni parroci. Parroci che potremmo definire veri e propri fautori dell’antimafia nei luoghi ad alta densità mafiosa72. Solo per

citarne alcuni, ricordiamo don Giacomo Panizza prete anti -‘ndrangheta e fondatore di ‘’Progetto Sud’’, destinatario di diversi atti intimidatori e don Pino de Masi – vicario della diocesi di Palmi ed esponente regionale di Libera. Il contributo dato da queste esperienze lo si individua nella capacità degli uomini della Chiesa di spostare l’impegno contro la mafia dal piano prevalentemente teorico a quello più pratico e concreto73.

Il Magistero che la Chiesa ha esercitato, assumendo un ruolo-guida nelle azioni per contrastare la mafia ed esercita, tutt’oggi,

70 N. Fiorita, Op. cit., p. 9.

71 L. M. Guzzo, La scomunica per i mafiosi nel diritto della Chiesa, tra

misericordia e responsabilità civile, lezione del 9 novembre 2016 nell’ambito del

corso ‘’Chiesa e lotta alla ‘ndrangheta’’, promosso dalla Conferenza Episcopale Calabra presso l’Istituto Teologico Calabro ‘’San Pio X’’ di Catanzaro.

72 N. Fiorita, Mafia e Chiesa, Rivista telematica: Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2012.

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27 mediante l’emanazione di lettere collettive, ci porta a credere che la strada intrapresa segni un punto di non ritorno per poter, finalmente, affermare la giustizia sociale e la legalità, come valori cristiani e della comunità politica74. Tutta quest’opera ha come fine quello di eliminare ogni fraintendimento tra religione e mafia e tra Vangelo e codice mafioso.

2.1.1 Nasce una nuova coscienza

Bisogna attendere gli anni ’70 per trovare una denuncia sempre più dettagliata del fenomeno mafioso, quando vengono emanati i primi comunicati della Conferenza Episcopale Calabra, che ne ricercano le cause e indicano il modus operandi per la Chiesa e per le istituzioni civili75.

Il 1975 rappresenta l’anno di svolta nella lotta contro la mafia. Nella riunione di agosto dello stesso anno, i presuli prendono atto, in Calabria, di tanti fatti criminosi e di faide atroci e si rattristano perché vengono coinvolti anche molti giovani.

Visto l’intersecarsi della vita religiosa all’interno di un più ampio scenario sociale, i presuli si rivolgono soprattutto a tutti coloro i quali operano nella vita civile affinché siano rimosse le cause remote e prossime di tali fenomeno patologici, che hanno origine nel sottosviluppo economico, culturale e sociale della Calabria e si esprimono, anche, nella triste realtà della mafia che prospera in diversi settori76.

Il 30 novembre 1975, viene emanata la lettera pastorale dal titolo ‘’L’episcopato Calabro contro la mafia, disonorante piaga della società’’. I vescovi levano nuovamente la loro voce contro uno dei

74 A. Mantineo, Op. cit., p. 63. 75 A. Mantineo, Op., cit., p. 64.

76 Conferenza episcopale Calabra, “Bollettino Ecclesiale del Clero. Organo

Uifficiale per l’Arcidiocesi di Catanzaro e la Diocesi di Squillace”, anno LII, serie

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28 mali più gravi, che affliggono la società e ne ritardano la evoluzione materiale e spirituale77. Ulteriore novità è che i Vescovi calabresi ora

si pronunciano collettivamente, in modo coraggioso e senza mezzi termini. Nella lettera ciascuno è richiamato al suo dovere, infatti ai Sacerdoti ed a quanti collaborano nel servizio pastorale del Popolo di Dio chiedono di rispondere all’universale attesa di amore fraterno e di giustizia, insegnando con la parola e con l’esempio a vivere completamente il Vangelo della riconciliazione e della pace, nel servizio di tutti i fratelli. I Vescovi si rivolgono, anche, ai fratelli nella fede delle altre regioni d’Italia affinché siano coscienti della gravità della situazione calabrese ed esprimano solidarietà attraverso l’opera di recupero e riabilitazione. Mentre a quanti fanno parte delle oscure associazioni mafiose, rivolgono l’invito ad abbandonare le squallide e disprezzabili vie del male. Alle autorità locali e nazionali rivolgono, infine, l’invito a comprendere ed a dare risposta alle legittime e urgenti istanze di lavoro, di abitazione, di servizi sociali, di promozione umana78.

Negli anni successivi al 1975 - ricordiamo esser stato l’anno che ha posto una pietra miliare per i successivi pronunciamenti della Conferenza Episcopale Calabra - la Chiesa particolare di Calabria, attraverso i Vescovi delle varie Diocesi, ha continuato ad affrontare il dannoso fenomeno della ‘ndrangheta emanando ulteriori lettere pastorali.

Il 7 dicembre 1988 è nominato Vescovo di Locri – Gerace Monsignor Antonio Ciliberti. Il suo episcopato, in un difficile contesto criminale come la locride, inizia con forti denunce, infatti la ‘ndrangheta locale non tarda nel rispondere e posiziona – sotto le

77 M. Casaburi, Vescovi calabresi e ‘ndrangheta nell’ultimo trentennio, Rivista semestrale di storia contemporanea, Anno X n.1 – giugno 2007, Pellegrini, p. 111. 78 Conferenza Episcopale Calabra, Documento dell’Episcopato Calabro contro la mafia, ‘’Bollettino Ecclesiale del Clero. Organo Ufficiale per l’Arcidiocesi di Catanzaro e la Diocesi di Squillace’’, anno LII- Serie II. Anno 20°- n.6, novembre- dicembre 1975.

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29 finestre dell’episcopio – tre colpi di lupara. Sarà il primo Vescovo costretto a vivere sotto scorta dallo Stato. Convinto, però, che un pastore debba spendersi fino all’ultimo per il proprio gregge, va avanti. Sempre lo stesso Vescovo invita i parroci a leggere, durante la messa domenicale, una lettera in cui si invitano i fedeli a non acquistare merce nei negozi direttamente riconducibili a uomini appartenenti ad ambienti criminali79.

È questa l’epoca dei sequestri di ‘ndrangheta e monsignor Ciliberti assume un ruolo fondamentale nel sequestro di Cesare Casella, avvenuto nel giugno del 1988. Accoglie la madre dello stesso ragazzo e, insieme, ne chiedono la liberazione che avrà esito positivo due anni dopo. Il caso Casella chiude l’epoca dei sequestri e si registra la nascita di una nuova coscienza collettiva. Il presule indica in tre punti l’impegno che la Chiesa “deve vivere nel combattere la mafia, evangelizzando, ponendosi come coscienza critica e formando le coscienze”80. Appunto, la formazione delle coscienze è il contributo

più prezioso della Chiesa nella lotta alla mafia e per l’effettivo decollo della religione81.

Incisiva fu la sua azione nell’educare il popolo alla fede. Nel 1993, in occasione della Santa Pasqua, scrive la lettera pastorale ‘’Vieni e seguimi’’, chiaro era il messaggio contro ogni forma di delega: “la Chiesa è una comunità in cui ogni membro ha un ruolo insostituibile: ciò che dovrò fare io non potrà mai essere fatto da altri; ciò che dovrai fare tu non potrà mai essere fatto da me”. Il suo obiettivo era orientato ad una pastorale della corresponsabilità. Infatti, Mons. Ciliberti, riteneva che il Sud non sarà mai liberato se non in una

79 L. M. Guzzo, 27/01/2014, Da Locri a Catanzaro, 25 anni di episcopato per

Ciliberti,, Il Quotidiano del Sud:

(http://www.quotidianodelsud.it/calabria/societa-cultura/2014/01/27/locri-catanzaro-25-annidi-episcopato-ciliberti), consultato 05/03/2018.

80 M. Casaburi, Borghesia mafiosa, Edizioni Dedalo, 2010, p. 312.

81 A. Cantisani, Criminalità organizzata e condizioni socio-economiche, in LA

Chiesa a Catanzaro e Squillace, “Bollettino Ufficiale”, n.s., anno IV, n.2,

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30 trasparenza etica di chi governa ed in un comportamento onesto di ogni cittadino.

Limitatamente al luogo dove operava, appunto la locride, credeva necessario un impegno che fosse comune, affinché si limitasse al minimo il pericolo di rimanere isolati e quindi soggetti ad infiltrazioni mafiose82. Il clima inizia a farsi pesante, quindi la Santa Sede lo promuove alla sede arcivescovile di Matera-Irsinia, il 6 maggio del 1993.

La Chiesa calabrese prende ben presto coscienza e consapevolezza del fenomeno mafioso. Negli anni seguono interventi ed altrettante ferme prese di posizione di condanna, talora anche ripetitive e non adeguatamente efficaci83, fino ad arrivare all’affermazione che la ‘ndrangheta è ‘’negazione del Vangelo’’, ossia l’antivangelo84.

2.1.2 La priorità della conversione

Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo’’ (Lc 13,5), è il titolo della Nota pastorale pubblicata dalla Conferenza Episcopale Calabra nel 2007. Questo Documento, a differenze delle esortazioni degli anni che lo precedono, intende invitare tutti ad un’autentica conversione di vita per una coerente testimonianza cristiana che possa dare nuova speranza alla Calabria85. Il lungo cammino intrapreso dalla Chiesa calabrese per il contrasto del crimine organizzato vive di varie

82 Mons. Francesco Oliva, Mons. Ciliberti, un Pastore tra la gente, Corriere della Calabria, 2017: (http://www.corrieredellacalabria.it/societ%C3%A0/item/56610-mons-ciliberti,-un-pastore-tra-la-gente) consultato in data 05/03/2018.

83 Così M. Casaburi, Vescovi calabresi e ‘ndrangheta, cit., p.131.

84 Conferenza Episcopale Calabra, 17 luglio 2014, Comunicato della Sessione Straordinaria, Paola (Cosenza) in Filippo Curatola- Enzo Gabrieli- Giovanni Scarpino.

85 Arcivescovo Metropolita V. Mondello, Se non vi convertirete, perirete tutti allo

stesso modo, Reggio Calabria, 2007:

(http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/diocesi/pagine/445/Se%20non %20vi%20convertire.pdf) consultato in data 06/03/2018.

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31 fasi, che culmineranno con la scomunica di coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso.

Nella Nota pastorale già citata, l’intervento dei Vescovi calabresi è segno tangibile della Manifestazione dell’identità cristiana, che nel suo essere esprime rispetto delle leggi, capacità di perdono e propensione al dialogo. Contro un potere mafioso che si infiltra nelle istituzioni deve nascere un senso critico, capace di discernere i valori e le autentiche esigenze evangeliche. I casi di connivenza tra criminalità organizzata e responsabili della cosa pubblica, portano ad una esortazione nei confronti del cristiano affinché si impegni nella

polis secondo valori che sono propri del credente che vive in Cristo.

È proprio nella priorità della conversione personale e comunitaria che si intende risolvere, anche se non ancora ‘’pienamente’’, la potenziale connivenza dell’uomo con la violenza. Poiché molte comunità ecclesiali, ingannate dal fascino del peccato, minimizzano la realtà del male o assumano un atteggiamento fatalistico di rinuncia. Nel male vi è una responsabilità che è non solo di chi “genera e favorisce l’iniquità e la sfrutta”, ma anche “di chi, potendo fare qualcosa per evitarla omette di farlo per pigrizia, per paura o omertà (…)”86. Quindi, un richiamo, forte, alla vita coerente ed il delinearsi di

una nuova cultura della vita: nuova perché in grado di risolvere i problemi che investono il nostro territorio; nuova perché è la sola che possa prosciugare la linfa vitale delle organizzazioni mafiose. In questo quadro di una ‘’nuova’’ cultura si colloca l’agire delle Chiese particolari di Calabria che, per favorire una rottura con la cultura mafiosa, dovranno agire attraverso il coraggio della coerenza, della testimonianza e della speranza.

Si citava tra le Manifestazioni dell’identità cristiana la capacità del perdono. Perdono che, in un’accezione teologica, è costitutiva di ogni relazione umana e deve essere invocata non tanto dall’offensore,

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32 quanto dall’offeso87. L’oggetto del perdono è, appunto, l’offesa, la cui

intenzionalità è quella di toccare ed intaccare, nella relazione umana, la dignità dell’uomo. Il perdono non è l’abdicazione paurosa delle proprie responsabilità, ma rifiuto della vendetta e della legge della faida. Il perdono è l’educazione della mente, appunto è questo l’obiettivo perseguito dai Vescovi calabresi attraverso il dialogo e la modifica delle forme ‘’deviate’’ di pietà popolare. Occorre, quindi, riferirsi all’offensore come uomo, pur non condividendone le condotte, per reintrodurlo nei suoi diritti, cioè nella dignità della persona. Vediamo quindi un agire pastorale che invita alla conversione, con conseguente perdono. Perché non sono altro che due facce della stessa medaglia.

2.1.3 L’azione concreta delle Chiese calabresi

Come evidenziato nei precedenti paragrafi la Chiesa cattolica tarda a iniziare a parlare di mafia. La ragione di ciò può essere dovuta a una sottovalutazione del fenomeno, tanto da definirla “semplice criminalità” per la quale non erano necessarie delle azioni forti e specifiche che tenessero conto della peculiarità di questo fenomeno deleterio. È a partire dagli anni ’90 che riscontriamo un atteggiamento differente e delle istruzioni specifiche e più incisive.

Infatti i vescovi, a partire dagli anni Novanta, si rendono conto che le loro denunce e le loro azioni presentano un’efficacia limitata, motivo per il quale i Monsignori Agostino, Cantisani e Bregantini si impegnano per una concreta azione operativa con obiettivo la rinascita socio-economica della regione, attraverso un’adeguata formazione dei giovani, la costituzione di cooperative di lavoro, la riduzione della grave piaga della disoccupazione e del preoccupante problema

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