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comincia e finisce’. Anche il bambino seppur in un primo momento dispiaciuto abbandona il gioco tuttavia senza eccessiva tristezza, come lo spettacolo e il mnemodramma anche il tempo del gioco ha una fine e un inizio molto chiari che separano questa attività dal normale scorrere degli accadimenti: ‘il gioco ha un inizio e una fine assoluti’. Quest’ultima parte del ludus rappresenta un aspetto verso il quale si è rivolta l’attenzione di molti teorici del teatro, primo tra tutti Bertold Brecht. Lo straniamento brechtiano è infatti riconducibile alla capacità di delusione insita nell’evento teatrale. L’attore che si strania è un attore che delude e si delude, che continuamente risveglia se stesso e lo spettatore dall’illusione scenica342.

Le tecniche di abbandono e di controllo rientrano a livello fisiologico nella logica duale del concetto di stimolo e rilascio della dopammina. Possiamo notare un’assonanza di queste due categorizzazioni ferseniane anche nei concetti filosofici di Eros e Thanatos, ripresi da Freud in “Al di là del principio del piacere”343 e intesi come “pulsione di vita” e “pulsione di morte”; dove l’Eros è l’abbandono allo stato di trances344, mentre Thanatos è la paura della morte, che si lega alle tecniche di controllo345. Inoltre il passaggio dalla prima fase del training (tecniche di abbandono e controllo) al mnemodramma integra, all’interno dl lavoro di addestramento, il lavoro di visualizzazione fondamentale nell’allenamento ideomotorio. Nel lavoro con l’oggetto infatti il soggetto lavora con l’oggetto sperimentandolo sensorialmente, visualizzandolo mentalmente e rivedendo il video del lavoro svolto346.

3.4. Il Sistema di G. I. Gurdjieff

La terza visione alternativa di lavoro su se stessi che vogliamo analizzare è quella del maestro armeno G.I.Gurdjieff, e l’ideazione della “quarta via” o “via dell’uomo astuto”.

Tre sono, secondo Gurdjieff, le vie che conducono all'immortalità, o al “risveglio spirituale”. Le tre categorie più conosciute sono la “Via del fachiro”, la “Via del monaco” e la “Via dello yogi”. Esiste poi un'altro lavoro su se stesso, prodotto dall'insieme di questi tre: la “Quarta via” o “Via dell'uomo astuto”. La “Via del fachiro” è una lotta per sviluppare la volontà fisica, il potere sul corpo. È costituita da terribili esercizi simili a

342 Crf. F. Frassetto, L’origine dell’evento teatrale, tesi di laurea.

343 S. Freud, Al di là del principio del piacere (1920), trad. it. A. M. Marietti e R. Colorni, Torino, Bollati Boringheri, 1975.

344 Questo stato potrebbe essere direttamente collegato all’attivazione del sistema endocannabinoide dell’organismo analizzato dalla PNEI.

345 Il collegamento fisiologico potrebbe essere qui con il sistema oppiaceo ipotalamo, gonadi, surreni (HPA) postulato dalla PNEI, che si attiva nei momenti di maggiore stress dell’organismo ed è strettamente collegato con il prosperare di meccanismi di dipendenza e automatismo. Il sistema oppiaceo e quello endocannabinoide, sono per la PNEI due sistemi di autoregolazione del corpo umano completamente distinti tra loro, che si alternano continuamente all’interno dell’organismo. Il disequilibrio di questi due sistemi a vantaggio del meccanismo stressatorio HPA porta l’organismo ad un forte abbassamento delle difese immunitarie e ad un indebolimento della volontà rendendo l’individuo più soggetto alle dipendenze chimico fisiche, emozionali, e dunque ad automantismi.

346

Questo triplice lavoro sarà riproposto anche nelle tecniche di OAT. Riteniamo fondamentale lavorare sul continuo passaggio dall’esperienza agita fisicamente e sensorialmente (azione reale), all’azione rivista con l’ausilio di uno schermo (azione visualizzata), all’azione vista con gli occhi della mente (azione immaginata). Queste tre fasi dell’azione, nel training, susseguendosi e integrandosi, permettono una reale modificazione dell’azione (scenica). Ci proponiamo in seguito di produrre altri esperimenti e test sia sullo spettatore sia sull’attore, in grado di fornirci la mappa fisiologica del soggetto (o anche soltanto uno screening cerebrale attraverso l’uso della tecnologia Emotiv) mentre egli vive queste tre fasi di lavoro.

182 torture autoinflitte. Se il soggetto non muore durante l'addestramento sviluppa la volontà fisica ma non la funzione emozionale e intellettuale. La “Via del monaco” è quella della fede, del sentimento religioso e del sacrificio. È caratterizzata da fortissime emozioni religiose e da una immaginazione di carattere spirituale molto intensa. Il soggetto sviluppa la volontà sulle emozioni, ma corpo fisico e capacità intellettuali possono restare non sviluppate. La terza Via è quella “dello yogi” o “della conoscenza, dell'intelletto”; chi la intraprende dispone di tutte le conoscenze intellettuali necessarie, ma non può fare nulla, poiché la volontà fisica e quella emozionale restano non sviluppate. Queste tre vie hanno un punto in comune; incominciano da un passo molto difficile, ovvero un cambiamento di vita radicale, totale. Si tratta di una via “contro natura”, in qualche modo “contro Dio”.

Nelle condizioni ordinarie della vita civilizzata, la situazione di un uomo, anche intelligente, che cerca la conoscenza, è senza speranza, poiché egli non ha la minima possibilità di trovare attorno a sé qualcosa che somigli ad una scuola di fachiri o ad una scuola di yogi; quanto alle religioni dell'occidente, sono degenerate a tal punto che da molto tempo non vi è più nulla di vivente in esse. Infine, dall' 'occultismo' o dallo 'spiritismo' non c'è altro da aspettarsi che qualche ingenua esperienza. E la situazione sarebbe veramente disperata se non esistesse un'altra possibilità, quella della 'quarta via'347.

Questa via non comporta una totale rinuncia della nostra vita ordinaria, anche se per percorrerla occorrono una serie di fattori favorevoli. Inoltre, a differenza delle tre direzioni precedenti, la “Quarta via” non ha una forma definita, poiché deve essere trovata. La condizione di partenza dell'uomo è la migliore possibile, poiché lo rappresenta. Le sue condizioni gli sono naturali. Gurdjieff suggerisce un lavoro contemporaneo sulla volontà fisica, su quella intellettuale e su quella emotiva. L'uomo che sceglie questa direzione non deve fare nulla se prima non comprende il significato del suo agire. I risultati ottenuti sono proporzionali al livello di coscienza derivato dal proprio lavoro. Questo genere di lavoro su se stessi non richiede alcuna “fede”. Un uomo sulla “Quarta via” deve assicurarsi personalmente della verità di ciò che gli viene detto. Quando si lavora su uno dei tre aspetti lo si deve fare contemporaneamente anche sugli altri due; ad esempio quando si esercita il corpo, si deve lavorare simultaneamente sul pensiero e sulle emozioni, ecc. Per percorrere questa direzione occorre avere accesso ad un sapere particolare, che gli esercizi che operano contemporaneamente sui tre piani tendono a sviluppare. Questa via, infine, elimina il superfluo nel lavoro di ciascuno (che invece si è mantenuto nella tradizione delle altre vie). Ognuno evita il lavoro inutile per lui.

Così, allorché un uomo raggiunge la volontà mediante la quarta via, egli può servirsene, perché ha acquistato il controllo di tutte le sue funzioni fisiche, emozionali ed intellettuali. Egli ha risparmiato per giunta molto tempo con questo lavoro simultaneo e parallelo sui tre lati del suo essere348.

Ed ecco un altro “frammento” di Ouspensky in direzione di questa “Quarta via”, che ricorda quella nostra situazione base o livello 0, richiesto come punto di partenza del soggetto che si sottopone al training OAT:

Cosa deve fare un uomo che si rende conto di non aver abbastanza energia per raggiungere lo scopo che si è fissato? La risposta è che ogni uomo normale ha abbastanza energia per cominciare un lavoro su di sé. È necessario soltanto che egli impari ad economizzare, in vista di un lavoro utile, l'energia di cui dispone e che, la maggior parte del tempo, dissipa in pura

347 P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Roma, Astrolabio, 1976, p. 57. 348 Ivi, p. 59.

183 perdita. L'energia viene soprattutto spesa in emozioni inutili e sgradevoli, nell'ansiosa attesa di cose spiacevoli possibili e impossibili, consumata dai cattivi umori, dalla fretta inutile, dal nervosismo, dall'irritabilità, dall'immaginazione, dal sognare ad occhi aperti e così via. L'energia viene sprecata da un cattivo lavoro dei centri, dalla tensione inutile dei muscoli, sproporzionata rispetto al lavoro compiuto; dal perpetuo chiacchierare, che ne assorbe una quantità enorme, dall' interesse accordato ininterrottamente alle cose che accadono intorno a noi o alle persone con le quali non abbiamo nulla a che fare e che non meritano nemmeno uno sguardo; dallo sciupo senza fine della forza di attenzione e così via. Dal momento in cui l'uomo comincia a lottare contro tutte queste abitudini, risparmia una quantità enorme di energia, e con l'aiuto di questa energia può facilmente intraprendere il lavoro dello studio di sé e del perfezionamento di sé349.

Il problema in seguito si farà più complesso, poiché l'uomo, da Gurdjieff paragonato ad una fabbrica su tre piani (istintivo-motorio, emozionale, e mentale) con incredibili potenzialità di cui non utilizziamo che una minima parte, non produce che ciò che gli è indispensabile per la sopravvivenza.

L'organismo è in grado di produrre le sostanze utili alla crescita del corpo fisico, “astrale” e “mentale” a partire dal proprio nutrimento: il cibo che mangiamo, l'aria che respiriamo, le nostre impressioni. Ma queste sostanze lavorate dentro l'alambicco del corpo umano, necessitano di qualcosa che sia contronatura, di un “salto”, che Gurdjieff chiama “shock addizionale”.

La crescita interiore (che nel sistema prevede uno sviluppo del centro emozionale superiore, ed un successivo sviluppo del centro intellettuale superiore) per Gurdjieff è un processo materiale assolutamente analogo a quello della crescita del corpo fisico. Un bambino, nutrito di cibo, aria ed impressioni, può crescere. Per crescere anche interiormente, sono necessarie le stesse sostanze, ma in quantità molto superiori. Dunque la “fabbrica” dovrà imparare ad economizzare il proprio lavoro. Oltre al cibo, all'acqua e all'aria, noi ci nutriamo dunque delle impressioni che ci pervengono dalla natura, che percepiamo sotto forma di “vibrazioni”.

Dobbiamo tuttavia ricordarci che con ogni impressione esterna, sia che prenda forma di suono, di visione, di odore, noi riceviamo dall'esterno una certa quantità di energia, un certo numero di vibrazioni; questa energia che dall'esterno penetra nell'organismo è un nutrimento350.

Per creare ed alimentare oltre al nostro corpo fisico anche i “corpi superiori”, l'uomo deve operare su se stesso un “processo di trasformazione”.

Il processo della trasformazione in sostanze più fini delle sostanze che entrano nell'organismo è retto dalla legge d'ottava351.

Gurdjieff insiste con questo misterioso parallelo musicale; infatti il processo di trasformazione, come già accennato, incontrerà degli ostacoli che potranno essere superati soltanto tramite un “aiuto dall'esterno” da lui definito shock addizionale che musicalmente corrisponde al passaggio tra il si e il do e tra il mi e il fa.

Gli “shock addizionali” sono tre e corrispondono ai tre tipi di nutrimento.

349 Ivi, p. 199. 350 Ivi, pp. 201-202. 351 Ivi, p. 202.

184 Il primo shock addizionale corrisponde al nutrimento fisico e si ottiene cercando di “ricordarsi di sé” come se si percepisse un oggetto e contemporaneamente si fosse in grado di vedere “noi stessi dal di fuori” che guardiamo quell'oggetto, di essere coscienti della nostra azione. Le analogie con il concetto di “doppio” artaudiano sono qui particolarmente evidenti.

Il secondo si ricava dall'aria, si tratta di essere coscienti del nostro pensiero, di un lavoro consapevole sulle emozioni. Per gli alchimisti questo è il passaggio che permette di trasmutare i metalli vili in oro, ed è solo da questo punto in poi che il lavoro su se stessi viene in qualche modo cristallizzato. Fintanto che non si realizza questa trasformazione, tutto può essere interamente perduto. I risultati sono nel pensiero e nell'emozione, non sono ancora risultati reali, obiettivi.

La pratica della non espressione delle emozioni sgradevoli, della non identificazione, della non considerazione interiore, è la preparazione al secondo sforzo352.

Quando la produzione delle “sostanze fini” si arresta nel nostro organismo, noi dobbiamo essere in grado di farla riprendere, con uno shock meccanico che sia anche cosciente. Con la “cristallizzazione” dei risultati ottenuti con il secondo shock si produce un contatto momentaneo con il centro emozionale superiore e l'uomo prova nuove emozioni e nuove impressioni.

Ma nelle condizioni ordinarie, la differenza tra la velocità delle nostre emozioni abituali e la velocità del centro emozionale superiore è così grande che non vi è possibilità di contatto e che non arriviamo a sentire in noi le voci che parlano, e che ci chiamano, del centro emozionale superiore353.

Il terzo shock corrisponde alle impressioni e produce un contatto con il centro intellettuale superiore, solo dopo l'attivazione del centro emozionale superiore.

Per questo “salto” la natura non ci ha predisposti. Occorre creare uno “shock artificiale”, connesso con il momento in cui un'impressione entra nella nostra coscienza. Si tratta di uno sforzo da compiere nel momento in cui riceviamo un'impressione per esserne coscienti. L'esempio di tale contatto con il centro intellettuale superiore ci è dato solo dalle descrizioni delle esperienze di mistici, di stati estatici.

Questi stati possono essere prodotti da emozioni religiose, a meno che essi non appaiano, per brevi istanti, sotto l'azione di narcotici particolari, o in certi stati patologici quali l'epilessia e le lesioni del cervello per traumi accidentali354.

Senza sforzo, anche se quello shock artificiale potesse raggiungerci in qualche modo, non avrebbe alcun effetto sulla nostra coscienza. È solo lo sforzo prolungato, la continua ricerca della presenza e dell’equilibrio tra i centri che, secondo il sistema, permette all’individuo dapprima di risparmiare l’energia che in seguito gli sarà necessaria per evolvere contattando quelli che Gurdjieff chiama i “centri superiori”.

Se ci unissimo al centro intellettuale superiore senza un appropriato training non succederebbe

352 Ivi, p. 212. 353 Ivi, p. 216. 354 Ivi, p. 217.

185 nulla, anzi semplicemente perderemmo conoscenza travolti da un torrente di pensieri, emozioni e visioni che irromperebbero nella nostra mente. Per ottenere un contatto proficuo e permanente con i centri superiori, occorre regolare ed attivare il lavoro dei centri inferiori equilibrandoli tra loro e sgravandoli da lavori pertinenti ad altri centri. Occorre placare il flusso di pensieri che ci fa spendere energia, le emozioni spiacevoli, la fretta, l'inquietudine e ogni sorta di attività non necessaria, la tensione continua dei muscoli che sono contratti anche quando non facciamo nulla, il parlare continuamente ecc.355.

Terremo in seria considerazione questo tentativo da parte di Gurdjieff di regolare azioni, parole, pensieri, ed emozioni quando formalizzeremo il training necessario a “percepire” l'Edp, consapevoli che il lavoro svolto da grandi maestri come Gurdjieff, seppure descritto – forse volutamente – in modo alquanto fumoso, misterioso e a volte contraddittorio dai suoi allievi (Ouspensky su tutti), sarà una “lanterna” per noi, da sempre votati all'arte del naufragio. Uno dei tre test che precede il nostro addestramento prevede infatti una particolare attenzione sul piano fisico-motorio, su quello emozionale e su quello mentale contemporaneamente.

E’ evidente che bisogna essere sia guerrieri sia amanti. Nei testi spirituali a volte si sottolinea un aspetto piuttosto che l’altro, ma sono entrambe necessari. Krishna è guerriero e amante […]. Sebbene ci sia un’evidente continuità nell’insegnamento, spesso ho l’impressione che Madame de Salzmann dica qualcosa di nuovo rispetto a quanto portato da Gurdjieff. Sembra che adesso si sottolinei non tanto lo ‘sforzo’ quanto l’‘essere disponibili’ all’energia superiore che entra dalla sommità della testa […]. Ha detto ‘Tutto il lavoro è in relazione con l’energia superiore e con il permettere che questa mi attraversi, anche quando sono in movimento. A tal fine, i Movimenti sono un aiuto’. Da un lato del Lavoro – soprattutto negli scritti e nei discorsi di Ouspensky e Gurdjieff – si parla continuamente di volontà, sforzo, lavoro cosciente, impegno intenzionale e simili. Dall’altro Madame de Salzmann in particolare sottolinea l’essere disponibili, il lasciar andare. Negli stati avanzati di meditazione, non si è neppure preoccupati per il corpo. E’ come se il corpo fosse addormentato, non cambia posizione né chiede nulla. Ciò che conta è solo l’attenzione fine, liberata dalla preoccupazione del corpo o della mente per se stessi. Non contano la posizione, la respirazione o un qualche altro tipo di sforzo. Si potrebbe dire che un certo tipo di dimenticanza è parte del ricordare o dell’essere collegati con il Reale. Bisogna comprenderlo in modo da essere svincolati dalla propria volontà, sforzo, proposito e simili, e per poter essere capaci di ascoltare e servire uno scopo più alto. Come dice Madame de Salzmann. ‘Sono necessari sia lo sforzo sia il lasciar andare. E’ importante conoscere il punto di transizione. E’ molto sottile. L’ego fa lo sforzo, poi deve lasciar andare. Bisogna cercare l’equilibrio’. Vedo che gran parte dello sforzo ha lo scopo di liberare se stessi dal tempo che viene spostato. Solo allora ci può essere il qui e ora. Questo ‘ora’ è nel tempo ma non gli appartiene; si riferisce più a una qualità dell’essere. In questo senso si desidera e si ha bisogno di vivere nell’eternità, liberati dal tempo. Il tempo e l’immaginazione sono connessi molto intimamente. L’azione può essere sacra solo se compiuta da una prospettiva di eternità, situata nel presente356.

Il concetto di presenza è qui declinato secondo la logica divisione dei tre piani, fisico, emozionale e mentale; logica che riecheggia i moderni studi neuroscientifici e l’evoluzione cerebrale tripartita dell’essere umano. Lavorare sulle sensazioni e sull’attenzione è senz’altro compito dell’attore, il quale, per assolvere a questo compito, deve presentarsi al lavoro su se stesso sciolto, rilassato e tranquillo. In una parola, in ascolto.

Con ‘energia della mente’ intendo ‘attenzione’; con ‘energia del corpo’ intendo vari livelli di ‘sensazione’. Quando parliamo di ‘presenza’, mi pare si tratti di un’unione dell’attenzione con la sensazione che non si localizza in alcun luogo, ma si distribuisce nel tronco […]. Il corpo-

355 Da R. Ravindra, Un cuore senza limiti. Il lavoro di G.I. Gurdjieff con Madame de Salzmann, Torino Libreria Editrice Psiche, 2010, p. 136.

186 mente deve ascoltare e obbedire. Ecco perché deve essere rilassato e tranquillo, altrimenti non può ascoltare. Se non può ascoltare, non può obbedire357.

Come per Walt Whitman che si chiede il senso dell’esistenza e “che cosa ci sia di nuovo in tutto ciò” si risponde in lungo la strada: “che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso”, o come per il citatissimo Quinto Orazio Flacco che esorta la vergine a cogliere l’attimo che fugge perché “il tempo, lo sai, vola e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà” e come per tantissimi altri poeti, la ricerca è quella di uno stato psicofisico straordinario, qualcosa che è stato esperito in alcuni momenti limiti dell’esistenza e probabilmente in modo casuale, a cui ciascuno cerca di ritornare. La sensazione è che questa “ricerca dello straordinario” si spenga col passare del tempo (e della gioventù), come se “il quotidiano”, l’automatismo fisico, emozionale e mentale, ci impedisse di affacciarci ancora, con occhi di bambino gonfi di meraviglia, a riscoprire il vero sapore dell’esistenza. Molti poeti, filosofie, religioni, accennano all’essere umano come ad una macchina, a un essere addormentato a cui occorre svegliarsi per vivere davvero.

Si tratta dunque di una vigilanza costante, di un’attenzione che non deve diventare uno stato di continua tensione ma, al contrario, una alternanza tra tensione e rilascio. È proprio in questa eterna danza (che ricorda ad esempio il lavoro del nostro cuore o del respiro), che si cela il segreto della presenza.

La danza continua; sono invitato a prendervi parte. Non sono io che provo, ma mi viene offerto qualcosa per essere provato. Io sono messo alla prova. Per un certo tempo mi è stato ben chiaro che sebbene sia importante vedere, per me è ancora più importante essere visto dalla prospettiva privilegiata di una coscienza superiore. E’ necessaria una sottile combinazione tra sforzo e lasciar andare; al livello a cui ci si trova si può essere troppo passivi ma anche troppo attivi […]. E’ importante non fissarsi su una visione parziale. Sono necessarie sia l’agilità che