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Neuropsicologia di alcune esperienze ottenute con pratiche di lavoro interiore A questo punto della ricerca teorica, diventa essenziale definire quello che di questa

qualità di presenza è misurabile. È ormai indubbio che pratiche di lavoro interiore producano modificazioni di natura fisiologica. La ricerca di una precondizione per una nuova fisiologia scenica, prevede senza dubbio un abbassamento delle frequenze cerebrali alte in favore di quelle più basse. Questa minor dispersione elettrica del cervello, (misurabile sulla parte esterna dell’encefalo per mezzo dell’EEG) insieme ad un implemento della coerenza cerebrale, determinano uno stato di maggior rilassamento e ascolto. Svariate sono le discipline, le tecniche che si propongono di ottenere questi risultati fisiologici.

3.5.1. Le neuroscienze incontrano le pratiche sacre

Illuminante per la nostra ricerca sull’Edp lo studio del Dott. Franco Fabbro, studioso di filosofia, teologia e medicina. Laureato in medicina e specializzatosi in neurologia, è attualmente professore ordinario di neuropsichiatria infantile presso l’Università di Udine. Il suo libro “Neuropsicologia dell’esperienza religiosa”358, egli affronta in modo profondo ed esaustivo le basi neuropsicologiche del misticismo declinate ed aggiornate in riferimento alle più recenti ricerche scientifiche. Da molti anni Fabbro si occupa dello studio del cervello, del suo sistema evolutivo, dei sistemi psichici che l’uomo adotta in relazione al funzionamento del proprio sistema nervoso, lavorando approfonditamente sulle connessioni tra corpo e psiche. Per meglio comprendere questo nuovo stato di coscienza, questa situazione extra quotidiana del corpo-mente che può essere definita di super coscienza o di consapevolezza profonda che l’attore esperisce quando si pone in una condizione ricettiva nei confronti dell’Edp, ci occorre dunque deviare momentaneamente il nostro studio dal campo del teatro per occuparci dei fenomeni neurofisiologici che si rilevano in alcuni casi di mistici cristiani. Questo stato psicofisico da noi ricercato si spinge ai limiti delle potenzialità dell’essere umano. Lo studio dell’antropologia, della fisica, delle neuroscienze, ci porta ora nel campo misterioso della metafisica e dell’antroposofia, verso il lato oscuro del mondo. Certe scienze sono per così dire, arrivate al Finis Terrae. Con il suo studio interdisciplinare animato da curiosità e questioni quasi escatologiche, con la sua attenzione alla sfera del sacro e in particolare ai fenomeni di estasi e beatitudine su cui si imperniano le tradizioni spirituali, esaminando con rigore metodologico alcune delle principali ipotesi per spiegare l’esistenza negli esseri umani di circuiti cerebrali coinvolti nell’esperienza religiosa, il Dottor Fabbro lavora affinché il Finis Terrae si trasformi nel

188 Capo di Buona Speranza. Noi con lui, ci limitiamo a rilevare che le basi fisiologiche, (i circuiti cerebrali, i neurotrasmettitori) e lo stato di coscienza dei soggetti coinvolti in un’esperienza religiosa, in situazioni di estasi ed in alcuni stati di trance, sono gli stessi utilizzati dall’attore-danzatore che si mette in risonanza con l’Edp. Le esperienze spirituali, chiamate anche esperienze “mistiche” o peak experiences sono fenomeni di natura extra quotidiana che, secondo Fabbro, sono spesso evocati da tecniche di meditazione o preghiera. L’individuo può sperimentare percezioni esplicite – come avere delle visioni o sentire delle voci – o vaghe (come un sentimento di vicinanza al numinoso), associate ad un vissuto emotivo. In relazione alle esperienze spirituali il Dott. Franco Fabbro distingue gli stati di coscienza modificata ottenuti tramite la preghiera, la meditazione e le esperienze spirituali dai tratti di personalità conseguenti alla pratica meditativa o ad alcune esperienze mistiche; i primi hanno una durata limitata nel tempo – da pochi minuti a qualche ora – mentre i tratti della personalità conseguenti ad una pratica costante della preghiera e della meditazione oppure da significative esperienze spirituali, diventano predisposizioni e apprendimenti persistenti a livello cognitivo, affettivo e della consapevolezza di sé. Infatti, praticare la preghiera, o la meditazione o abbracciare importanti esperienze mistiche può modificare in maniera durevole alcune componenti cognitive, portando il soggetto a modificare la propria percezione di sé, di se stesso nel mondo, in alcuni casi addirittura alla conversione. Queste pratiche tendono a modificare anche le componenti caratteriali dei soggetti che vi si sottopongono, producendo un durevole senso di calma, di benessere, un’aumentata consapevolezza nel campo sensoriale e percettivo e una modificazione della relazione tra pensieri, sentimenti e l’esperienza del sé, fino a stati di consapevolezza superiore o trascendentale, unita ad un’elevata integrità morale.

Riportiamo qui di seguito le testimonianze di alcune esperienze mistiche cristiane che vale la pena mettere in relazione con altri stati psicofisici analoghi. Confronteremo questi stati con quelli dei praticanti di meditazione vipassana, e con altre esperienze di tecniche che trovano le loro origini in oriente, passeremo ad occuparci di tecniche occidentali come quelle relative alla dinamica mentale di Hosé Silva o dell’ipnosi dinamica sviluppata da Stefano Benemeglio e fondata sull’alternanza nel soggetto di stati di tensione e rilascio. Torneremo infine al teatro con le esperienze di alcuni attori durante il lavoro con Grotowski nella dialettica di apoteosi e derisione, con le esperienze degli attori di Alessandro Fersen durante il lavoro sul mnemodramma attraverso la tecnica dell’abbandono e del controllo, e cercheremo ancora ai margini del teatro e della danza con il “Lavoro” di Gurdijeff.

Lavoreremo su analogie e differenze, analizzando scrupolosamente che cosa, a livello fisiologico, cambia in questi stati alterati di coscienza rispetto al nostro livello standard di consapevolezza e come può il soggetto che si trova in questo stato extra- quotidiano utilizzare le nuove potenzialità del suo strumento di lavoro (il proprio corpo- mente) per ottenere risultati reali, suggeriti dalla sua nuova percezione della realtà.

Percezione della realtà che come il costruttivismo psicologico oggi ci insegna avrà il compito, come in ogni sistema individuale di conoscenza (sistema di significati

soggettivi) di costruire previsioni rispetto a ciò che potrà accadere, in modo da

programmare adeguatamente le nostre azioni in funzione degli scopi attivati in ogni specifico momento. Non è necessario che le previsioni costruite siano vere rispetto alla realtà ontologica. L’importante è che queste rappresentino modelli utili per orientarsi e muoversi all’interno del proprio mondo.

189 Dunque, per occuparci degli studi che Fabbro ha realizzato, dobbiamo considerare in primo luogo che fare delle esperienze religiose significa vivere delle dimensioni fisiche, cioè reali. Reali nella misura in cui consideriamo la “realtà” non come una verità ontologica ma come una visione del cervello che concorda con i fatti esterni. In secondo luogo, l’ipotesi della “realtà come visione congruente”, che prende in considerazione la possibilità che ciò che noi definiamo “reale” sia della stessa natura del sogno, della visione o dell’allucinazione, se da un lato rischia di aprire una serie di lunghissime discussioni di natura filosofica circa l’esistenza o meno di una realtà oggettiva, dall’altro liquida definitivamente il discorso teorico, occupandosi non più di stabilire una definitiva (e a nostro modo di vedere inarrivabile) verità oggettiva, ma piuttosto di verificare finalmente “sulla nostra pelle” che risultati da quella visione da noi definita realtà.

I prossimi casi analizzati da Fabbro di mistici cristiani servono proprio a capire e verificare “che frutti da” quella visione, vissuta dai soggetti come reale dal punto di vista fisiologico, e successivamente trarre, per così dire dai frutti, un modello di comportamento psicofisico per noi utile dal punto di vista dell’addestramento teatrale: il training per l’attore organico.

Tecniche e testimonianze cristiane. Analizziamo in sequenza una serie di testimonianze di mistici cristiani, ma non solo, che rivelano fondamentali tratti comuni. Dopodiché proviamo ad analizzare le analogie che questi stati psicofisici rivelano nei confronti delle esperienze di trance o di stati extra-quotidiani prodotti nell’attore-danzatore con specifici training.

Nella festa del glorioso S. Pietro (del 29 Giugno 1559), mentre ero in orazione, vidi, o per meglio dire sentii vicino a me Gesù Cristo […]. Avevo la netta sensazione che mi fosse vicinissimo e che fosse proprio lui a parlarmi. […]. Mi sembrava che Gesù Cristo mi camminasse sempre a fianco […]. Sentivo chiaramente che mi stava sempre al lato destro […]. L’evento si manifestava all’anima in una luce più chiara del sole359.

Ricordo la notte, e quasi il punto esatto dell’estremità della collina, quando la mia anima si aprì all’infinito e ci fu un confluire dei due mondi, l’interiore e l’esteriore […]. Stavo da solo con chi aveva fatto me, e tutta la bellezza del mondo, e l’amore e il dolore, e persino la tentazione. Non Lo cercavo, ma sentivo l’unisono perfetto del mio spirito col Suo. L’ordinario senso delle cose intorno a me si sbiadiva. Al momento non restava altro che un’ineffabile gioia ed esaltazione […]. L’oscurità conteneva una presenza che era tanto più percepita perché non era visibile. Non potevo avere alcun dubbio che Egli fosse là più di quanto non ci fossi io. In realtà, mi sembrava di essere, se possibile, il meno reale dei due […]. Da quel momento, nessuna discussione che ho udito sulle prove dell’esistenza di Dio è più stata in grado di scuotere la mia fede. Avendo provato una volta la presenza dello spirito di Dio, non l’ho più perduto. La mia certezza più assoluta della Sua esistenza è profondamente radicata in quell’ora di visione, nel ricordo di quella esperienza suprema […]. Sono consapevole che ciò potrebbe giustamente essere chiamato mistica360.

Non approfondiamo oltre il lavoro di visualizzazione mentale di cui la preghiera necessita per ottenere i risultati psicofisici sperati. Ci permettiamo però di evidenziare le macroscopiche analogie che tutte le forme di preghiera hanno con la meditazione e con il

359 F. Fabbro, L'istinto del sacro in Id, Neuropsicologia dell'esperienza religiosa (prf. S. Teresa D'Avila in Sicari, 1994, p. 104), Roma, Ed. Astrolabio, 2010, p. 27, passim.

360 F. Fabbro, L'istinto del sacro in Id, Neuropsicologia dell'esperienza religiosa (prf. l’esperienza descritta da James, 1998, pp. 75, 76) in Sicari, 1994, p. 104, p. 27, passim.

190 lavoro di visualizzazione e di autosuggestione da noi proposto. È secondo noi semplice pregiudizio considerare sempre la preghiera e la meditazione come una sorta di “fuga dalla realtà sensoriale” da parte di chi le pratica. Ad esempio, la meditazione vipassana, a differenza di altre forme meditative, intende sviluppare la massima consapevolezza di tutti gli stimoli sensoriali e mentali, affinché se ne colga la reale natura e ci si incammini per tale via verso la liberazione. Il corpo e la mente sono il campo nel quale è possibile scoprire, con una visione attenta, la verità del mondo fenomenico e quella che porta alla sua estinzione.

Grazie alla funzione anticipatoria del cervello (ma più che di “anticipazione dell’azione” sarebbe corretto definire questi meccanismi già come “azione”, poiché essi fanno già parte dell’azione pur precedendo l’ordine motore che è solo la punta dell’iceberg di una serie di processi stratificati) possiamo quindi constatare che, a livello neurobiologico, un’azione esiste anche prima della completa esecuzione muscolare che, a seconda delle esigenze, può essere anche completamente inibita.

Un’azione inibita è pur sempre un’azione e, anche senza declinarsi nello spazio distale, cambia l’equilibrio biologico dell’intero organismo: ci modifica. Anzi, potremmo forse dire che le azioni inibite sono paradossalmente più importanti di quelle eseguite, perché ci consentono di non commettere errori e di scegliere sempre l’azione adatta al contesto. Sembra che il nostro sistema nervoso sia continuamente attraversato da azioni potenziali che vengono inibite e selezionate361.

E se “avere un’intenzione non è soltanto avere un motivo per agire ma anche avere un corpo orientato verso un obiettivo”362, oggi le neuroscienze sembrano confermare le grandi intuizioni dei Maestri del teatro del 900, che vedono nella dialettica anticipazione/inibizione (accettazione e rifiuto per Mejerchol’d, abbandono e controllo per Fersen ecc.) la base fisiologica per l’addestramento dell’attore verso un’azione consapevole.

Dunque fisiologicamente l’azione consapevole è determinata soprattutto dalla capacità proiettiva del cervello e dal rifiuto di tutte le possibilità che sono inibite dal nostro sistema corporeo prima di attivarci in direzione dell’azione scelta.

È possibile allora mettere tutto questo in connessione con il lavoro dell’attore: moltiplicare il bagaglio d’atti è un processo fondamentale non solo per quel che riguarda la composizione scenica, ma anche e soprattutto per quel che concerne l’improvvisazione, nelle sue molteplici dimensioni. Disporre di bagaglio motorio più ampio è prima di tutto un modo per affrontare con maggiore fluidità e sicurezza le situazioni impreviste insite nello spettacolo dal vivo. Ma non solo, acquisire un ampio bagaglio motorio è anche la conditio sine qua non di un efficace processo di improvvisazione. E’ ciò che, in altri termini, ci potrebbe spiegare quella particolarissima situazione in cui il performer sente di controllare e di compiere delle decisioni senza fare ricorso ad un ragionamento esplicito363.

361 G. Sofia, Le Acrobazie dello spettatore. Dal teatro alle neuroscienze e ritorno, pp. 69-70. 362 Ibidem.

191 3.6. Visoni, prospettive e limiti delle pratiche precedenti ad OAT

All’inizio del presente capitolo abbiamo preso in considerazione alcuni studi teorici e alcune pratiche che consideriamo essere una base di studio sulla quale appoggiare il nostro training. Se la fisiologia teatrale avrà il suo più chiaro riferimento nell’antropologia teatrale coniata dall’ISTA, il training per l’attore organico (OAT) farà riferimento tra le altre alle pratiche di allenamento ideomotorio, alla psicocibernetica, alle tecniche di controllo mentale di Silva e alle pratiche di ipnosi dinamica del dottor Stefano Benemeglio sopra citate. In questo paragrafo ci sembra opportuno chiarire il perché OAT, pur riferendosi e spesso utilizzando tecniche che derivano da questi studi, sviluppa un sistema nuovo e differente da quelli che lo hanno preceduto.

La psicocibernetica e l’allenamento ideomotorio si pongono come obiettivo quello di migliorare la qualità del gesto fisico in una performance sportiva, attraverso un lavoro di visualizzazione. Abbiamo visto come queste pratiche richiedano, avendo già acquisito una particolare esperienza motoria, di focalizzare l’attenzione usando la spinta emotiva della motivazione, di concentrarsi, visualizzare il gesto che si desidera perfezionare (la visualizzazione non dev’essere solo di tipo visivo e dall’esterno, ma collegata con le sensazioni, le emozioni che compiere quel gesto ci produce o ci ha prodotto) ed infine ripetere più volte in modo costante la pratica di visualizzazione. Queste utilissime tecniche di perfezionamento psicofisico del gesto hanno il limite, pur coinvolgendo le tre parti dell’encefalo, di porsi l’obiettivo di migliorare esclusivamente la performance fisica del soggetto. Se ci sembra naturale, come ci ricorda il già citato Artaud che il lavoro del corpo abbia una forte eco sul lavoro dell’anima, o, in altre parole, che il lavoro sul corpo “risuoni” anche sul piano emozionale (ad esempio creando nel soggetto fiducia nei propri mezzi fisici e in generale nelle proprie capacità) e sul piano mentale (il soggetto legge immediatamente l’utilità di essere migliorato fisicamente e stima nuovi obiettivi legati alle nuove possibilità), crediamo che si possa sviluppare una tecnica più completa, che lavori per alzare il livello di attenzione del soggetto contemporaneamente sul piano fisico, emozionale e mentale.

Per quanto riguarda il metodo Silva, la tecnica di Coué, e le pratiche di meditazione Vipassana, l’obiettivo sembra avere molti punti di contatto con il nostro. Potremmo postulare come macro obiettivo di questi studi quello generico di modificare i propri comportamenti per migliorare la qualità della vita (nel nostro caso si tratterebbe principalmente di migliorare la qualità della presenza scenica dei soggetti). In termini più fisiologici (e senz’altro riduttivi), scopo pratico è quello di abbassare le frequenze dei soggetti, rilassarli e permetter loro attraverso la visualizzazione di stimolare l’emisfero sinistro implementando la coerenza interemisferica. Il metodo Silva, che prende chiaro spunto dalla meditazione Vipassana, prevede una pratica di rilassamento (training autogeno) guidata o meno, con occhi chiusi, “sguardo” al centro della fronte, prima attenzione e poi rilassamento di ogni singola zona del corpo partendo dall’altro, un rilassamento totale di corpo ed emozioni ed infine la visualizzazione di uno schermo mentale sul quale dapprima si proiettano oggetti semplici, poi un episodio realmente accaduto (sempre ricco di particolari sensoriali e fortemente conessi con il proprio stato emotivo del momento) ed infine si sostituisce all’episodio reale un episodio immaginato che produca risultati migliori in quella condizione. Secondo questa tecnica, visualizzare il comportamento che si vuole tenere in quella situazione contribuisce a incrementare la possibilità che ciò accada nella realtà. La tecnica di Coué, più semplice, prevede dopo un

192 breve rilassamento un ripetersi mentalmente frasi “mantra”, delle “formule magiche” (la più famosa è: “tutti i giorni, sotto tutti i punti di vista, vado di meglio in meglio”. A queste tecniche, OAT aggiunge lo studio della fisiologia organica che non si limita a gestire i miglioramenti psicofisici dei soggetti ma, attraverso la fisiologia teatrale, ridefinisce il concetto stesso di “presenza” e “presenza scenica” nell’ottica della co-costituzione del mondo (e dunque dell’atto scenico) ad opera di attore e spettatore. Attore, spettatore e la relazione tra questi due soggetti formeranno la rete organica di relazioni che OAT ha il compito di studiare prima e di percorrere poi, ben sapendo quanto di questa “realtà” sia opera della mente dello spettatore, ovvero del soggetto che “deve essere suggestionato” dall’operatore (attore).

Proprio un lavoro di suggestione ipnotica è invece previsto nelle tecniche di Stefano Benemeglio, il cui obiettivo è di modificare i propri comportamenti psicofisici ma soprattutto di condizionare quello degli altri. Come accennato brevemente in questo capitolo, l’ipnosi dinamica funziona attraverso la tecnica di procurare nel soggetto astante (spettatore, cliente ecc.) micro-tensioni (inconsce) causate dal comportamento non verbale dell’operatore (attore) che permette al soggetto uno scarico tensionale solo dopo aver (seppur solo momentaneamente) riconosciuto e vinto la propria discrasia conscio-inconscio (piano mentale e piano istintivo-emozionale) e dopo che questo ha prodotto un comportamento utile per l’operatore (di carattere spettacolare o di altro genere). Dunque “l’attore” stimolerebbe la discrasia tra conscio e inconscio del soggetto (spettatore), alzandone la tensione emozionale e mettendone “a nudo” (pur senza farne parlare) psicosi e nevrosi annesse. Soltanto con l’accettazione conscia del “contratto verbale” proposto dall’attore egli permetterebbe allo spettatore di rilasciare la tensione che lui stesso gli ha stimolato (ma non generato, poiché la tensione del soggetto, secondo Benemeglio, nasce dalla “differenza di potenziale” tra ciò che il soggetto desidera essere e ciò che egli è veramente). Limiti di questa (a nostro avviso eccezionale) pratica sono tutti negli obiettivi. Sfruttare le tensioni emozionali (stressatorie) dei soggetti al solo scopo di vantaggio personale può facilmente far passare in secondo piano l’obiettivo, per noi principale, di ipotizzare uno sviluppo interiore di se stessi e degli altri viaggiando nella direzione di un differente stato di presenza. L’innalzamento dell’attenzione sui tre piani è qui utilizzato quasi esclusivamente per gli scopi utilitaristici della propria personalità.

Discorso a parte per Stanislavskij, il quale con il suo metodo ha rivoluzionato il concetto stesso di teatro. Dall’immedesimazione in un personaggio, dalla divisione dell’obiettivo in sotto obiettivo, dai giochi sul se magico ecc. non può che partire qualsiasi tipo di lavoro su se stesso di natura teatrale. Naturalmente, partendo dal maestro russo e passando per Artaud, Grotovski, Fersen e Gurdjieff, ci auguriamo di conoscere e scoprire ancora molti altri “compagni di viaggio” che, partendo dal teatro, abbiano il coraggio di smarginare fuori dallo spazio scenico per provare con noi a scoprire nel modo più sincero e profondo possibile, il vero segreto della presenza.

Costruiremo dunque, sulla base di quanto detto, un sistema di allenamento teatrale che preveda, in fase iniziale, un reset completo delle proprie false credenze, una presa visione delle proprie dipendenze e un settaggio degli obiettivi. In una prima fase un’autosuggestione (gestita con visualizzazioni e suggestioni verbali, come frame ipnotici ripetuti, ecc.) e, solo in una seconda fase (quando il soggetto avrà in qualche modo staccato il proprio punto di vista da quello della sua “falsa personalità”) un lavoro di fascinazione sugli spettatori. Qui di seguito si prova ad approfondire proprio il rapporto con il proprio

193 “automa” o la propria “falsa personalità”, in molte dottrine, filosofie e religioni iniziatiche vero limite dell’essere umano e unico grande ostacolo all’evoluzione spirituale della coscienza.

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4. Costituzione dell’automa