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Tradizione egizia, il corpo come tempio: fisiologia della “macchina umana” 1 La visione del corpo nell’antico Egitto

La concezione alla quale facciamo riferimento133, e che sembra essere all’origine di tutte le dottrine filosofiche esoteriche antiche, è sintetizzabile nella prima frase della tavola

132 Neuroni che, come accennato nel primo capitolo, si attivano “per imitazione”, con proprietà dunque sia cognitive sia motorie e per questo essenziali nel lavoro scenico poiché permettono allo spettatore un’esperienza motoria “analoga” a quella dell’attore soltanto attraverso la visione dell’azione fisico- emotiva del performer.

77 smeraldina134 attribuita ad Ermete Trismegisto, “come in alto, così in basso”135. Non si tratta solo di saper cogliere le assonanze tra l’universo dell’esistente (macrocosmo) e il corpo umano (microcosmo), si tratta in questo caso di assumere un punto di vista apparentemente opposto alla scienza occidentale moderna, che sembra riconoscere negli organi dell’essere umano l’espletamento di determinate fondamentali funzioni fisiologiche atte alla sopravvivenza dell’organismo. Al contrario, la tradizione ipotizza delle “funzioni” che si incarnano nell’organismo e manifestano loro stesse nel mondo organico attraverso la vita degli animali, delle piante, dell’essere umano e dei propri organi. In questo senso si può parlare di una teoria “emanazionistica” di derivazione Plotiniana contrapposta al “creazionismo”136.

Per meglio definire questo “ribaltamento di prospettiva” ci affidiamo alle parole di una tra le più importanti studiose di egittologia a noi note: Isha Swaller De Lubicz.

La concezione classica del cosmo è: l’universo inteso come sistema ben ordinato’. Se si considerassero separatamente un macrocosmo e un microcosmo come due cose distinte, entrambi si troverebbero nel tempo e nello spazio, e avrebbero una loro dimensione. Una visione del genere descriverebbe una realtà relativa al loro aspetto fenomenico, cioè all’esistenza sensorialmente percepibile degli elementi che li costituiscono. Essa però non prenderebbe in considerazione le forze o i moventi che determinano le forme percettibili dei ‘cosmi’, e di conseguenza stabilirebbe un rapporto errato – un confronto di grandezze – tra l’universo ‘grande cosmo’ e il ‘piccolo cosmo’ umano. Per noi invece si tratta di coglierne l’identità attraverso le funzioni causali e la loro proiezione nell’esistenza fenomenica. In quest’ultimo caso, la diversità tra i cosmi consiste nel fatto che l’‘esistenza’ è il mondo delle apparenze nel quale le forze causali si manifestano nel tempo e nello spazio: in altre parole, è il mondo delle funzioni incorporate sotto forma di organi lungo tutta la scala degli esseri. Questa scala, che va dal livello più basso degli organismi viventi fino alla loro sintesi globale rappresentata dall’uomo, è la scala della coscienza, ossia della conoscenza di ciascuna funzione essenziale, acquisita per esperienza vitale di ogni elemento organico che ne è l’effetto manifestato. Tutti gli elementi organici sono impronte delle funzioni causali divenute effettive. L’uomo, come prodotto finale in atto della natura, è la sintesi di tutte le ‘incarnazioni’ funzionali, e il suo organismo riassume la totalità delle impronte suddette. L’incarnazione delle funzioni causali costituisce una genesi. Ora, dal momento che le medesime funzioni essenziali rappresentano le cause attive di ogni tipo di genesi, è evidente che i loro effetti sono governati da leggi fondamentali identiche (cosa che spiega le analogie tra tutti gli effetti risultanti). Vi è quindi analogia funzionale tra il mondo vitalmente organizzato del sistema solare e il mondo organizzato della terra, e tra questi due e quello dell’uomo; esiste allora un rapporto analogico tra il macrocosmo da una parte, e il microcosmo umano che ne rappresenta l’immagine-sintesi dall’altra. Ma poiché tutti gli organismi sono la proiezione e l’incarnazione di funzioni causali, esiste allora un ‘mondo causale’ di cui il mondo fenomenico non è che l’effetto. Questo, precisamente, è il caso dell’essere terrestre che riassume in sé tutte le ‘possibilità’ funzionali:

134 “Si narra che la Tavola di Smeraldo fosse l’unica cosa che Adamo portò con sé dal Paradiso Terrestre, quando non fu più degno di vivere là nello stato di perfezione che Dio aveva predisposto: la Tavola di Smeraldo gli fu data proprio dalla bontà divina per aiutarlo a ritrovare la via della perfezione. Questa Tavola, sepolta con Adamo, è stata sempre conosciuta dai veri sapienti e cultori delle cose divine in ogni tempo e luogo della terra, anche se il suo ritrovamento è sempre stato e sempre sarà molto difficile per ciascuno. Questa leggenda esprime l’unità spirituale della vera Tradizione esoterica, base di tutti i culti religiosi dell’umanità. È lo spirito di verità, il Mercurio tre volte grande, che ha istruito i saggi illuminati del passato e che, nelle vesti del grande sacerdote Melchisedèc, ha benedetto Abramo e in quelle dei tre Magi ha riconosciuto nel Bambino la manifestazione di ciò che era stato preannunciato ed atteso. Corpus Hermeticum”. In Omar e Zaira, p. 20 e nota 10 p. 44.

135 Quod est inferius, est sicut (id) quod est superius, et quod est superius, est sicut (id) quod est inferius, ad perpetranda (“penetranda” o “praeparanda”) miracula rei unius. Che l’inferiore è come il superiore ed il superiore è come l’inferiore per compiere i miracoli di una cosa unica.

78 cioè l’uomo. Nell’uomo il mondo causale si riflette come mondo funzionale organico, ma mentre quest’ultimo è limitato nel tempo e nello spazio in quanto corpo fisico, le forze e gli stati più sottili dell’universo penetrano invece l’uomo come onde coincidenti che superano i confini della sua forma materiale, e nei loro confronti egli è limitato soltanto dai limiti della propria coscienza. L’uomo è un microcosmo nello stesso senso in cui lo è l’albero rispetto al seme che lo contiene virtualmente; virtualità che in tal senso rappresenta il suo macrocosmo, poiché il seme contiene tutte le possibilità dell’albero: la sua specie, la sua varietà, e tutte le sue proprietà. Ma il seme può svilupparle solo se riceve dal cielo e dalla terra le energie corrispondenti. A maggior ragione l’uomo, che ha in sé il seme totale dell’universo, ivi compreso il seme degli stati spirituali, può identificarsi alla totalità e nutrirsene; e quindi la relazione del microcosmo con il macrocosmo non è più una relazione di forma e di grandezza, ma un’identità che dipende solo dal grado di perfezionamento dell’essere umano rispetto all’uomo in quanto finalità prevista dalla causa137.

Su queste basi, iniziamo un approccio alla visione egizia del corpo umano, dei suoi Neter, delle sue funzioni, provando a delineare un corpo simbolico di tradizione ermetica da confrontare con la fisiologia scenica abbozzata nel capitolo primo di questo studio. Per poter mettere in relazione la nostra fisiologia scenica con l’idea di “corpo simbolico”, ci occorre prendere confidenza con una terminologia che oggi appare ai nostri occhi tutt’altro che scientifica, invasi come siamo da una serie di visioni pseudo-neo-spiritualistiche dell’ultim’ora che spesso hanno preso “in prestito” alcuni dei termini che seguono, banalizzandoli e svuotandoli di significato. Occorre qui fare un piccolo sforzo per prendere contatto con una visione, quella egizia – tutt’altro che superata – di consapevolezza interiore. Riteniamo la comparazione tra corpo simbolico e fisiologia scenica fondamentale per lo sviluppo teorico della nostra indagine.

Ciò che la moderna psicologia ha definito in molteplici modi: istinto, inconscio, pulsione sessuale, energia vitale, ecc., ha nella tradizione egizia un unico termine/simbolo atto a definire ciò che fa agire le varie funzioni organiche: il fuoco. Questo è, sotto i suoi vari aspetti, il loro animatore e l’agente efficiente di ogni vita funzionale. Molteplici sono le manifestazioni di questa spinta (da noi definita nel primo capitolo “piano emozionale” semplicemente per distinguerlo dal piano fisico e mentale e rimarcare l’impossibilità della sfera razionale e cosciente dell’individuo di “parlare in vece delle emozioni”) ma unica, secondo la riflessione egizia, è la sua fonte. Proviamo ora a sintetizzarne i vari aspetti, utilizzando la terminologia propria della tradizione egizia.

Origine di ogni cosa manifesta è il fuoco animatore del mondo, luce essenziale e principio causale di tutto ciò che esiste; chiamato “Verbo” da Giovanni Evangelista e Horus dall’Antico Egitto (Horus our nella sua accezione universale) (l’‘Or della Qabbalah). Nella sua “incarnazione umana” è chiamato Cristo dall’Evangelo e Horus degli uomini” dall’Egitto (“l’Horus che sorge dalle membra dell’uomo”). È un unico Principio: lo Spirito, la luce nelle tenebre, il fuoco di tutti i saggi. Il fuoco, di cui conosciamo gli aspetti distruttivi, calorici e luminosi, ne è la manifestazione. Imprigionato nella materia, è il dragone cinese e lo Ptah egiziano. Dualizzato dalla sua caduta nella Natura, è detto satanico o sethiano nel suo aspetto concretizzante; è detto Luciferico o Horusiano nel suo aspetto liberatore. Nell’aspetto reattivo che suscita in tutto ciò che esiste, è la vita e produce tutti gli aspetti dell’energia.

Secondo la tradizione egizia il fuoco si manifesta nel corpo umano per mezzo della

79 vita del sangue e di tutti gli organi, attraverso la forza energetica del midollo e di tutto il sistema nervoso.

Più precisamente la tradizione riconosce la doppia corrente di vita, Ida e Pingala (dette ‘anima di Ra’ e ‘anima d’Isiride’), che circola a destra e sinistra della superficie curva del midollo spinale e che, se funziona correttamente, sembra in grado di mettere in azione la corrente spirituale Sushumna che sale al centro del midollo. Questo triplice flusso invisibile è il ‘serpente di fuoco’ degli Yogi. È questa la corrente di fuoco, ‘Sushumna’, che sfocia nel ‘centro coronale’ (centro sottile e non fisico) simboleggiato dalla benda del Faraone, come diadema di Tout-Ankh-Amon. Un serpente d’oro lo attraversa dalla nuca fino alla fronte, dove si erge la testa del cobra dopo essere uscito da un attorcigliamento che rappresenta il centro energetico. È questo il ‘fuoco di vita’, rappresentato dall’uraeus (iar = colui che sale) che si eleva fino al centro frontale. È la fonte unica di energia, i cui due aspetti sono chiamati in Cina yin e yang, che designano in generale la natura complementare. Qualsiasi forma fisica e qualsiasi potenza assumano nella realtà materiale le manifestazioni derivate da questo “principio primo”, per accostarsi al sapere egizio occorre non dimenticare mai l’unicità della loro sorgente. Il fuoco sarà causa e agente di tutte le operazioni della natura138.

Il concetto di coscienza. Prima di procedere nello studio della tradizione egizia in relazione al sistema corporeo al fine di accostare il sapere della tradizione alle nuove conoscenze scientifiche, occorre accennare al concetto di coscienza. La coscienza nella tradizione egizia, non ha nulla a che vedere con il concetto di coscienza al quale siamo abituati a fare riferimento, ovvero alla coscienza, che nel senso comune del termine si riduce alla mera coscienza cerebrale. Questa presunta “coscienza”, che orienta tutta la nostra attenzione verso le testimonianze dei sensi e dell’intelligenza razionale è, secondo gli egizi, inutile o addirittura dannosa. La “vera coscienza” o “coscienza innata”, capace di plasmare tutti i regni della natura e assopita nell’uomo dalla sua educazione artificiale, diviene coscienza istintiva nel regno animale. Quello che nell’accezione comune del termine siamo soliti definire coscienza, coincide dunque con il piano più basso della coscienza cerebrale, che altro non è che uno specchio riflettente pensieri o deduzioni basate su associazione di idee, impressioni o emozioni, delle quali non siamo in grado di discernere provenienza o grado di realtà. In altre parole, quello che definiamo coscienza coincide con una proiezione mentale di ciò che crediamo di essere, di volere o di fare, ma di fatto è qualcosa che il soggetto subisce poiché ignora le influenze esteriori o interiori che determinano le sue azioni o i suoi gesti, poiché la sua coscienza cerebrale non è in contatto con i suoi stati di coscienza reale. La “vera coscienza” e la “coscienza cerebrale” viaggiano, per così dire, su due frequenze differenti. Il soggetto che non ha sperimentato i suoi differenti stati di coscienza reale sottoponendosi ad un addestramento di natura iniziatica, subisce le pulsioni. Il suo libero arbitrio sarà dunque ipotizzato solo in modo razionale, ma sarà di fatto di natura meramente illusoria. Secondo la tradizione egizia, proprio questa illusione fa dell’essere umano un burattino irresponsabile, inerme di fronte al proprio destino. È proprio questa illusione ad essere la causa principale degli errori disastrosi che commettiamo, dunque essa rappresenta il primo ostacolo da riconoscere ed eliminare, per ritrovare lo scopo originale della nostra esistenza e non morire completamente alla nostra funzione originale.

Definire il concetto di coscienza della tradizione egizia è di fatto quasi impossibile, poiché qualsiasi definizione è orientata esclusivamente alle facoltà cerebrali di chi ne fruisce. Si potrebbe dire che la coscienza umana individuale al momento della nascita comprende la coscienza acquisita nelle precedenti esperienze e si innesta sulla coscienza

80 della specie umana, la quale comprende già tutte le coscienze della natura. Questo tentativo di definizione non fornisce però una visione degli stati di coscienza che vanno a costituire la “realtà immortale” del soggetto. Nonostante il tentativo di definizione sia insufficiente, potrebbe rivelarsi utile servirsene per diminuire la resistenza dell’intelligenza razionale, mostrandole la possibilità di assistere, come fosse uno spettatore, all’acquisizione di una conoscenza che la supera139.

L’essere umano non conosce sperimentalmente i suoi diversi stati di coscienza mosso com’è, in modo meccanico, dalle pulsioni. Il suo libero arbitrio è illusorio. Secondo la visione egizia, ciò che noi chiamiamo “coscienza” non è che la nostra coscienza cerebrale, una proiezione mentale di ciò che supponiamo di essere, di volere o fare, ma che effettivamente subiamo perché ignoriamo le influenze esteriori o interiori che determinano le nostre azioni: la coscienza cerebrale dell’essere umano ordinario non è più in contatto con i suoi stati di coscienza reale di quanto lo siano due ricetrasmittenti sintonizzate su frequenze diverse. Ma la coscienza cerebrale (registrazione delle nozioni, impressioni e convinzioni create per mezzo della riflessione cerebrale e dell’educazione) non sopravvive alla dissoluzione dell’essere fisico, emotivo e mentale e non si inscrivono così in quello che la Tradizione considera l’essere immortale.

L’umanità-animale, con le facoltà intellettuali che dipendono dal suo cervello, è chiamata l’automa.

2.1.2. Corpi, organi e loro relazioni funzionali nella tradizione egizia

Per studiare gli organi e le loro funzioni secondo la tradizione egizia occorre tentare di tradurre il termine “Neter”. Potremmo inizialmente immaginare i Neter come archetipi funzionali che gli organi incarnano, anche se la questione è in realtà molto più delicata e complessa. Un arto o un organo attribuito o dedicato dalla tradizione egizia ad un particolare Neter, non necessariamente rappresenta quello stesso Neter o le sue funzioni.

Gli egizi sono soliti incrociare le nozioni e definire un soggetto fisico o un fenomeno dall’effetto che questo produce piuttosto che dalle caratteristiche fisiche. Inoltre la tradizione egizia non attribuisce sempre gli stessi Neter alle stesse membra o organi del corpo umano. I riferimenti variano a seconda delle funzioni che vengono considerate nel testo al quale si fa riferimento. È dunque possibile avvicinarsi alla comprensione di un testo studiando non i singoli Neter e tentando forzatamente di abbinarli ad una specifica regione dell’organismo umano, ma analizzando i rapporti intenzionalmente stabiliti tra i Neter, proprio come non si “conosce” una melodia sapendo il nome delle note che la compongono (tutto il pezzo musicale può essere eseguito in un’altra tonalità, dunque con note completamente differenti), ma provando a percepire il particolare e unico rapporto armonico tra i suoni che la compongono. “In compenso, se si tiene conto dei giochi di parole e dei simboli, i nomi degli organi e dei Neter rivelano direttamente le loro funzioni vitali o cosmiche”140.

139 La tradizione tentando una definizione di coscienza incompleta utilizza un “sotterfugio” al fine di creare una sorta di armistizio, ovvero placando la nostra combattiva ragione al fine di approfittare del silenzio ottenuto per essere in grado di percepire il richiamo intimo della propria inquietudine e trovare un modo per risvegliare la nostra “vera coscienza”.

81 Essendo l’automa il supporto degli stati superiori dell’uomo, sono comunque i suoi elementi costitutivi il primo oggetto di studio e di osservazione e la conoscenza delle leggi che reggono la sua armonia e la prima condizione da soddisfare per equilibrarne le funzioni.

Realizzare l’uomo totalmente cosciente è secondo la visione egizia, la sola cosa necessaria e, se vogliamo acquisire la conoscenza di questo percorso, occorre studiarne la complessità in modo da rendere evidente l’interdipendenza dei diversi elementi che lo compongono e la possibilità di regolarli coscientemente. Concentrando l’attenzione su una visione semplice e globale, evocatrice dell’unità dell’essere e del gioco di sintesi di tutte le funzioni vitali, questa conoscenza permetterebbe di risvegliare la coscienza dell’armonia che la regge e che la mette in rapporto con le identiche funzioni dell’universo, insegnando a mantenerle in equilibrio, agendo sull’una per mezzo delle altre. L’essere umano è un universo i cui stati sottili possono agire sui più grossolani, a condizione di porre questi ultimi sotto il dominio dei primi. Per rimediare ai disordini organici occorre dunque operare sull’universo del soggetto in modo organico e tenendo conto delle funzioni universali che ne regolano il comportamento fisiologico: l’azione locale non è che un rimedio provvisorio.

Vi sono dei mezzi per mettere i diversi “ambiti” dell’uomo nelle condizioni favorevoli ma, per prima cosa diamo al nostro “ambito” intellettuale le nozioni indispensabili per orientare il pensiero in modo conforme a una visione sintetica.

L’essere umano secondo la visione egizia è costituito da cinque corpi: quattro percepibili materialmente, il quinto conoscibile soltanto attraverso la sensibilità dei suoi punti di contatto.

• Corpo osseo: lo scheletro;

• Corpo di carne: inviluppo di pelli (interne ed esterne), tessuti fibrosi, muscolari e connettivi ecc.;

• Corpo di vasi (con i suoi fiumi, ruscelli e bacini);

• Corpo di luoghi generatori e di condotti trasmettitori della forza nervosa: sistema nervoso, con il midollo, l’encefalo e i nervi;

• Corpo di “linee di forza” o “meridiani”: si tratta di termini impiegati dall’agopuntura cinese per designare delle linee di forza (cioè di energia molto sottile) i cui punti sensibili (esteriormente) rivelano la loro relazione con uno degli organi, che esteriorizzano (nell’inviluppo cutaneo) i punti di sensibilità “riflessi”, rivelanti lo stato dell’organo al quale essi corrispondono.

Questi cinque corpi (ognuno con la propria natura, il proprio ritmo e il proprio ruolo particolare) sono così armoniosamente associati che dipendono gli uni dagli altri e compongono un universo completo (con il suo sole, i suoi pianeti, i suoi punti cardinali, i suoi due poli, il suo inferno, i suoi limbi e i suoi paradisi) di luoghi funzionali cooperanti alla rigenerazione, al sostentamento e alla trasformazione delle sostanze necessarie all’esistenza del corpo animale.

Gli stati di essere più sottili (che costituiscono la superiorità dell’uomo sull’animale) hanno i loro punti di contatto fisici in certi centri vitali, per mezzo dei quali l’automa può

82 entrare in relazione con essi. La manifestazione più tangibile del mondo delle cause è quella delle funzioni che reggono la nostra esistenza.

Corpi e organi, nella tradizione egizia, hanno un reale significato solo dentro il gioco di sintesi delle funzioni vitali, evocatrici dell’unità dell’essere.

2.2. Alchimia e fisiologia: alcuni esempi