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Il sistema industriale italiano: produzioni labour

Sembra che uno degli elementi di vulnerabilità del sistema industriale italiano sia rappresentato dalla specializzazione in prodotti e servizi a basso valore

aggiunto(210). «I settori trainanti delle esportazioni italiane sono stati costituiti da

cuoio, mobili, ceramiche e lavorazione di minerali non ferrosi, in un quadro nazionale dove il 75% delle esportazioni è rappresentato da beni materiali

caratterizzati dal basso valore aggiunto»(211). Di recente: «L’Italia è sempre più

specializzata in tecnologie basse e medio basse, mentre le nostre eccellenze tecnologiche, anche se a volte particolarmente brillanti, pesano molto poco sulla produzione totale: non fanno massa critica. I settori che hanno in Italia un peso superiore alla media dei grandi d’Europa (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna) restano quelli tradizionali, molto aperti peraltro alla concorrenza internazionale. Si tratta di comparti che utilizzano processi produttivi relativamente facili da imitare e replicare all’estero, che richiedono investimenti sul marchio più che sulla ricerca di base e che si trovano a concorrere sul prezzo con produttori provenienti da paesi il cui costo del lavoro è più basso»(212). In Italia le produzioni labour intensive (ad alto assorbimento di manodopera, domanda elastica rispetto al costo del lavoro e alta propensione all’outsourcing) incidono per ben il 18% sul valore aggiunto dell’intero comparto manifatturiero (assoluta peculiarità rispetto ai competitor, che registrano percentuali decisamente più contenute). Con riferimento a queste tipologie di produzioni (per

(210) «Valore addizionale creato in una particolare fase della produzione, ovvero valore del prodotto meno il valore di tutti gli input usati in produzione». J.E. Stiglitz, A. Charlton, Commercio equo per tutti, cit., p. 30.

(211) A. Volpi, Ritardo, crisi, declino. Storia e cronache delle difficoltà economiche italiane, cit., p. 61. (212) R. Sorrentino, L’Italia, Paese a bassa tecnologia, IlSole24Ore, 23 novembre, 2012, p. 22. XVII Rapporto sull’economia globale e l’Italia del Centro di documentazione e ricerca Luigi Einaudi (Sull’asse

di equilibrio) curato da Mario Deaglio, docente di Economia internazionale all’Università di Torino. «I

settori di punta delle nostre esportazioni sono, per oltre il 30%, di prodotti a basso contenuto tecnologico e ad alta intensità di manodopera poco qualificata […]: alimentare, tessile e abbigliamento, mobili, pelletteria, meccanica semplice». P. Angela, L. Pinna, Perché dobbiamo fare più figli, cit., p. 175.

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quota del mercato globale) l’Italia si piazza in terza posizione (7%) preceduta solo da Usa (11%) e Cina (36%).

Il Prof. Deaglio, individua alcuni elementi di debolezza della cultura d’impresa italiana: la stabilità dei vertici aziendali, che soccombe al modello estero di gioco

di squadra dinamico; le nutrite ed elefantiache gerarchie, che prevedono livelli

aziendali più numerosi rispetto all’estero, che si caratterizza invece per una pronunciata organizzazione orizzontale impregnata di cultura collaborativa; la continuità tra finanza e famiglia con il ricorso prevalente al credito bancario e dell’autofinanziamento, nel mentre i competitor europei intercettano ingenti

risorse da mercati finanziari liquidi e trasparenti(213). Per Volpi «investiamo poco

in ricerca, istruzione, tecnologia, banda larga, servizi. Investiamo poco nell’efficienza energetica e nelle fonti rinnovabili, dipendiamo sempre più dall’estero per l’energia»(214).

(213) Il 23 ottobre 2012: «Piazza Affari diminuisce drasticamente il suo peso all’interno del panorama internazionale. Secondo quanto riportato dalla ricerca Indici e Dati pubblicata dal centro studi di Mediobanca, nella classifica delle Borse mondiali Milano è scivolata al 20esimo posto dal nono di dieci anni fa. Gli ultimi tempi, inoltre, non hanno regalato grandi soddisfazioni agli investitori: dal gennaio 2011 ad ottobre 2012 soltanto una su cinque delle aziende quotate a Piazza Affari ha fatto segnare una performance positiva».

http://it.finance.yahoo.com/notizie/piazza-affari-scivola-20esimo-posto-144700909.html. (214) A. Volpi, Sommersi dal debito, cit., p. 7.

76 Contenuto tecnologico del settore manifatturiero nel 2007(215)

Peso percentuale dei sottosettori sul totale Paesi/Settori a prevalente

tecnologia

Alta Medio-alta Medio-bassa Bassa

Francia 15,1 29,2 28,1 27,6 Regno Unito 14,1 28,7 23,9 33,2 Germania 10,4 45,4 24,2 20,0 Italia 7,3 28,1 31,5 33,1 Spagna 5,2 27,9 33,5 33,4 Media 4 Paesi (escludendo l’Italia) 11,2 32,8 27,4 28,5 Media 5 Paesi 10,4 31,9 28,2 29,5

La bolletta energetica delle imprese italiane sconta un mix non opportunamente diversificato (abbandonato il nucleare, penalizzato dal Vajont appare fortemente sbilanciato in favore dei combustibili fossili). In sintesi l’Italia utilizza soprattutto petrolio e gas (Chanel n. 5 secondo un amministratore delegato Enel). L’alto costo dell’energia (il 50-60% in più dei concorrenti europei) è la principale vulnerabilità del distretto cartario lucchese. Secondo Cristina Galeotti, presidente Assindustria Lucca, le sfide apicali del distretto cartario di Capannori sono sintetizzabili nella crescita dimensionale delle aziende (già significativa), nell’internazionalizzazione, nella capacità di fare rete, di attrarre nuovi investimenti e di innovare senza dimenticare «l’ecosostenibilità, che abbraccia sia la riduzione dei consumi idrici che la produzione di energia da cogenerazione (molte aziende hanno realizzato un impianto proprio), che il riutilizzo di carta da macero»(216).

(215) Elaborazione su dato Ocse, Stan Database for Structural Analysis, 2011. Classificazione settoriale Isic revision 3. IlSole24 Ore, 23 novembre 2012, p. 22.

(216) «Da questa area arriva il 75% di tutto il tissue (carta per uso igienico-sanitario) prodotto in Italia». S. Pieraccini, I giganti della carta temono solo l’energia, IlSole24Ore, 23 novembre 2012, p. 48.

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3.4.1 Internazionalizzazione e domanda interna. L’Ice guarda ai Brics

La direttrice degli investimenti è sintetizzabile nel binomio innovazione e qualità; sarà opportuno percorrerla senza titubanza alcuna. L’auspicata internazionalizzazione delle imprese dovrebbe apportare apprezzabili benefici al sistema Paese. «Gli studi recenti elaborati da Irpet e Censis mettono in luce come la via d’uscita attualmente perseguita passa soprattutto attraverso una ripresa delle esportazioni, dato che la domanda interna, sia quella delle famiglie sia

quella delle pubbliche amministrazioni, langue»(217). In termini aggregati sarebbe

opportuno però considerare le esportazioni nette. Se la partita è attiva rappresenta una contribuzione alla crescita del reddito nazionale (per il 60% determinato dai consumi privati). I consumi delle famiglie (falcidiate da scarsa fiducia e disoccupazione a due cifre) registrano una contrazione nel 2012 del 4,1% (sull’anno precedente. Le previsioni riferiscono di -1,9% nel 2013 e un modesto +0,2% nel 2014). Gli investimenti fissi lordi crollano (-8,9% 2012, - 2,3% nel 2013 e +2,5 nel 2014). Le esportazioni totali sono previste in crescita (+1,8% 2012, +2,2% 2013, 4,7% 2014) ma il dato sulle importazioni tradisce il

perdurare delle crisi, -8,1% 2012, -0,3% 2013 e +4,3% nel 2014(218).

Nel grafico rispettivamente: consumi, investimenti fissi lordi, esportazioni, importazioni

(217)A. Volpi, Sommersi dal debito, cit., p. 80.

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Y=C+I+G+XN Y= reddito prodotto (Pil) C= consumi

I= investimenti G= spesa pubblica XN= esportazioni nette

Per Guido Tabellini «la produttività delle imprese è fortemente correlata con la loro internazionalizzazione. Quasi certamente ciò riflette una causalità bidirezionale: esporto di più perché sono più produttivo, ed a sua volta la

concorrenza internazionale mi spinge a diventare ancora più produttivo»(219).

Secondo il Csc la domanda interna (famiglie e imprese) è in evidente contrazione «zavorrata da elevata incertezza, bassa fiducia (ai livelli del 1996), minor reddito

da lavoro e scarso credito»(220).

Per Stefano Porcellini, direttore generale e consigliere esecutivo della Biesse(221) «l’export è l’unica ciambella di salvataggio contro la crisi»(222). Il distretto pesarese del mobile da cucina sconta uno strutturale ritardo nell’innovazione: «gli operatori internazionale del mobile investono in linee flessibili per produrre in tempo reale arredamento personalizzato. Le aziende italiane continuano a scommettere sul design, sul fattore estetico, ma con

processi di produzione obsoleti»(223). Di nuovo si palesano improcrastinabili

esigenze di innovazione di prodotto e di processo: «la proiezione sui mercati internazionali extraeuropei, insieme alla capacità di innovare e al posizionamento sulle fasce alte di qualità, fa già oggi la differenza anche nei settori che sono in sofferenza sul mercato domestico. Ma questi fattori avranno un peso sempre

(219)http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-04-10/italianita-rimedio-peggiore-male- 142218.shtml.

(220) R. Bocciarelli, La domanda interna zavorra il Pil, IlSole24Ore, 29 novembre 2012, p. 53. (221) L’azienda produce macchine per la lavorazione del legno.

(222) G. Oddo, Le cucine di Pesaro alla sfida dei mercati, IlSole24Ore, 25 ottobre 2012, p. 49. (223) Ibidem.

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maggiore in futuro, per rispondere alla crescente domanda di beni alto di gamma

proveniente dai paesi emergenti»(224).

Si badi che il perimetro degli emergenti è in fase di ridefinizione: non più solo i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che segnano il passo, ma anche Turchia, Indonesia, Thailandia, Filippine, Malesia, Corea del Sud, Vietnam, Egitto, Tunisia, Nigeria, Angola e Marocco. Si palesano buone prospettive anche

in Messico, Perù, Cile, e Colombia(225). Le aziende che hanno il mercato

domestico come riferimento (ormai appare chiaro) soffrono conseguentemente al calo dei consumi e degli investimenti. Quelle export oriented registrano avanzi commerciali consistenti. «Complice anche il calo dell’import dovuto al crollo dei consumi e degli investimenti domestici, il saldo commerciale con l’estero è tornato positivo, pari a 11 miliardi di euro. Quello relativo ai soli prodotti manufatti ha […] toccato quota 94 miliardi […] quinti al mondo dietro Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud, con tutti gli altri Paesi del G-20 in rosso»(226).

Altro discrimine in pregiudizio alle imprese vocate al mercato interno è la dilatazione dei tempi di pagamento in spregio alle indicazioni comunitarie. Il riferimento è alla direttiva 2011/7/Ue (recepita dal legislatore nazionale con d.lgs. 212/2012): (se non diversamente statuito e comunque senza pregiudizio manifesto per il creditore) è fatto obbligo di regolare il corrispettivo delle transazioni commerciali (tra pubbliche amministrazioni e privati ovvero esclusivamente tra privati) in un arco temporale variabile (in prima

approssimazione) tra i 30 e 60 giorni. Oltre alle ristoro delle spese di recupero

(224) G. Chiellino, Qualità e innovazione per uscire dal tunnel, IlSole24Ore, 31 ottobre 2012, p. 45. (225) E. Della Ratta, La nuova geografia degli investimenti rivaluta i «Next 11», IlSole24Ore, 3 dicembre 2012, p. 17. In generale secondo l’Istat «i paesi extra-Ue pesano per il 44% sull’export italiano (circa 180 miliardi) contro il 56% della Ue». I primi dieci mercati sono: Germania (13,1%), Francia (11,6%), Usa (6,1%), Svizzera (5,5%), Spagna (5,3%), Regno Unito (4,7%), Cina (2,7%), Belgio (2,6%), Turchia (2,6%), Russia (2,5%). Stabile l’Europa, in forte contrazione la Cina le prospettive più incoraggianti si intravedono Usa, Nord Africa, Russia, Turchia e America Latina. Congiunturale il Giappone (legato alla ricostruzione post tsunami). L. Cavestri, Il made in Italy esplora nuove rotte, IlSole24Ore, 3 dicembre 2012, p. 15. Ad annullare il saldo attivo la bolletta energetica.

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(del credito) si prevedono interessi di mora (automatica) pari al tasso delle operazioni di rifinanziamento principale presso la Bce (cosiddetto tasso Refi ora a 75 punti base) incrementato di 800 punti base.

Le esportazioni italiane di beni e servizi ammontano in totale a 473 miliardi di euro (391 merci e 82 servizi) pari al 3,5% dell’export mondiale. L’incidenza sul Pil è del 28% (La Germania è al 50%). Le prospettive del Piano per l’export 2013-2015 appaiono ambiziose (se non altro per l’esiguo finanziamento, pari a 30 milioni, meno della metà dei competitor): esportazioni a 617 miliardi di euro (509 merci, 107 servizi), quota export mondiale al 3,8% con incidenza sul Pil

italiano al 32%, per arrivare nel 2018 al 36,7%(227). Riccardo Monti, presidente

dell’Agenzia Ice (licenziataria del piano sopra menzionato), auspica una Export

Bank sul modello tedesco (similare, in prima approssimazione, a quelle di Usa,

Cina e Corea del Sud). L’attività dell’istituto (specificamente rivolta

(227) C. Fotina, Piano del Governo: in tre anni possibile un balzo del 30%, IlSole24Ore, 17 gennaio 2013, p. 2.

81 all’internazionalizzazione delle imprese) sarebbe propedeutica a contenere i costi

di garanzia e di finanziamento. Si potrebbe intanto iniziare rafforzando il Simest (il Progetto per l’Italia di Confindustria invita a dotarlo di 250 milioni di risorse aggiuntive). Vanno in questa direzione gli accordi siglati da Sace (controllata da

Cassa depositi e prestiti come Simest) con 18 primari istituti creditizi con la

finalità di «soddisfare le esigenze di liquidità delle imprese all’estero, legate a

contratti di esportazione, esecuzione di lavori o progetti di

internazionalizzazione»(228).

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3.4.2 Credit Crunch, Basilea 3 e le operazioni Ltro (cenni)

La stretta creditizia (credit crunch) deprime gli investimenti. Margini in risalita (spread alti a fronte di irs ed euribor ai minimi storici), oneri aggiuntivi, richiesta di garanzie, contrazione dell’ammontare e ravvicinamento delle scadenze si interfacciano con una redditività estremamente volatile. Certo la ritrosia palesata dagli istituti di credito ha un alibi nell’aumento esponenziale dei

Npl, non performing loan, ovvero incagli, sofferenze e anche ritardi(229). Da non

trascurare gli stringenti vincoli imposti da accordi internazionali (più o meno volontari): Basilea 1 (1988, riserva pari all’8% del credito concesso,

indistintamente), Basilea 2 (2004, accantonamento proporzionale al rischio

ponderato secondo esposizione, probabilità, perdita in caso di inadempienza e scadenza del credito) e dal 2015 Basilea 3 che ritraccia i parametri con enfasi su: liquidità (Liquidity Coverage Ratio Lcr attività liquide di elevata qualità e Net Stable Funding Ratio Nsfr di più ampio respiro), capitale, copertura dei rischi e contenimento della leva finanziaria (primo pilastro), gestione dei rischi e vigilanza (secondo pilastro), disciplina di mercato e requisiti di informativa,

terzo pilastro(230). Prescrizioni più stringenti valgono per le istituzioni finanziarie cosiddette a rilevanza sistemica. Il rispetto di taluni parametri (segnatamente

(229) «In Italia le partite problematiche (inclusi crediti ristrutturati, incagli e scaduti) ammontano a circa il 12% del totale crediti, un livello ritenuto simile al Regno Unito, ma ben inferiore al 25% della Spagna e ai livelli intorno al 30% di Irlanda e Grecia». M. Monti, Le aziende alle prese con il calo del credito ora

guardano ai bond, IlSole24Ore, 12 gennaio 2013, p. 26.

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quelli di liquidità) è stato differito nel tempo (2019) al fine di sostenere

l’economia reale e non soffocare i timidi segnali di ripresa(231

). A parziale discarico degli istituti creditizi è il difficile coordinamento tra le iniziative proposte a vario titolo dagli enti regolatori: del Comitato di Basilea si è detto, ora si aggiunga Bce, Eba e Comitato europeo per il rischio sistemico. Il sistema bancario europeo sembra convergere (marzo 2014) verso un meccanismo di vigilanza unico (cosiddetto Ssm) sotto l’egida della Bce ed una ricapitalizzazione mediante il meccanismo europeo di stabilità (Esm con dotazione 500 miliardi) senza appesantire ulteriormente i bilanci pubblici. L’istituto di Francoforte appare sostenere con pervicacia l’obiettivo della stabilità dei prezzi (indice armonizzato dei prezzi al consumo Iacp inferiore al 2%) con intervento sull’aggregato M3: «circolante, depositi bancari a breve termine, pct, strumenti di mercato monetario, quote dei fondi di investimento monetario, obbligazioni con

scadenza inferiore ai 2 anni emesse dalle Istituzioni finanziarie monetarie»(232).

In conseguenza della crisi (finanziaria prima economica dopo valutaria durante: Brasile contro Washington, Washington contro Pechino, Bundesbank contro Tokio) si sono aperti margini per operazioni straordinarie di mercato aperto a 3 anni (Ltro, Longer Term Refinancing Operation). Sono stati iniettati nel sistema oltre 1000 miliardi di euro (in due tranche da 489,19 e 529,53 miliardi di euro). Pare che la liquidità si sia riversata sui titoli del debito pubblico dei Paesi mediterranei senza apprezzabili benefici per l’economia reale (aumentano anche i depositi overnight presso la Bce cosiddetta deposit facility, remunerata allo 0%). Nel segno di aumentare la liquidità nel sistema è anche il taglio (dal 2% all’1% a partire da gennaio 2013) della riserva obbligatoria presso la Bce. Riccardo Sorrentino critica l’approccio (definito di maniera) ed invoca iniziative originali e comunque più coraggiose (i Chicago Plan o la banca a scopo limitato di Laurence Kotlikoff).

(231) http://www.repubblica.it/economia/2013/01/06/news/basilea_tre_banche_flessibilit-50013596/. (232) M. Arcelli, L’economia monetaria e la politica monetaria dell’Unione Europea, Cedam, Padova, 2007, p. 66.

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