Nonostante gli atavici ritardi (infrastrutture, giustizia civile, corruzione, burocrazia, Mezzogiorno) il tessuto manifatturiero italiano, articolato nei distretti, è l’asse portante del Paese (il 16,7% del Pil con ambizioni del 20%. Considerando l’edilizia sale al 22%) secondo in Europa solo a quello tedesco. A livello mondiale, oltre alla Germania ci precedono nell’ordine Giappone, Cina ed Usa.
(279) http://spectrum.ieee.org/static/interactive-patent-power-2012. «una sola richiesta permette di proteggere l'innovazione in 146 nazioni offrendo tutela alle novità considerate più rilevanti, quelle per cui aziende e centri di ricerca ipotizzano uno sfruttamento su scala globale». Gli Usa hanno formalizzato quasi 50mila richieste. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-09/brevetti-cina-batte-tutti- 220838.shtml?uuid=AbzqBoIH.
(280) Ibidem.
«In 2011, China received 526,412 applications compared to 503,582 for the US and 342,610 for Japan». Republic of Korea 178.924, European Patent Office 142.793, Germany 59.444, India 42.291, Russian Federation 41.414, Canada 35.111, Australia 25.526, Brazil 22.686. (Italy 9,721. 17esima).
101
Vi sono comparti in cui la Penisola vanta un indiscusso primato. «Nel 2011 l’Italia ha surclassato la Germania per attivo con l’estero nelle macchine per imballaggio, nella refrigerazione commerciale, nella rubinetteria, in varie tipologie di pompe, nelle macchine industriali per i prodotti da forno e la pasta, nelle macchine per la lavorazione del legno, della carta, dei metalli, delle ceramiche e delle pelli, negli yacht, negli elicotteri e nei satelliti aerospaziali, nella grande caldareria, nei laminatoi per metalli, nelle turbine a gas, in numerosi
prodotti della siderurgia e dell’industria dell’alluminio»(281). Fatto notorio il
primato nel settore moda: pur con poche medie aziende (e tante piccole) le esportazioni ammontano a 40 miliardi di euro su circa 80 di fatturato complessivo. Si tratta del 50% ben superiore al 40% medio del settore manifatturiero. Ormai 1/3 della capacità produttiva è però all’estero. Buona la
performance anche nel mobile e alimentare (pur in frazionale arretramento).
Non solo 47 siti Unesco patrimonio dell’umanità ma anche 8° al mondo per peso percentuale del manifatturiero sul valore aggiunto mondiale nel 2011. Solo per fare un esempio il Pil della regione Toscana (patria di Firenze, Siena, Pisa, Lucca, dai campanili alla campagna) copre circa il 6,8% del totale italiano ed è prodotto per circa il 40% del settore manifatturiero, soprattutto dai settori moda,
metalmeccanico e orafo(282). Per esigenze di completezza, negli ultimi anni, si
registra a livello nazionale un arretramento apprezzabile: «L'Italia è scivolata all'8° posizione nella classifica dei paesi produttori, con una percentuale sul valore aggiunto del manifatturiero che passa dal 4,5% al 3,3%. Ci hanno superati Brasile, India e Corea del Sud, mentre in testa alla classifica restano Cina, Stati
(281) M. Fortis, L’Italia che cresce all’estero, IlSole24Ore, 15 gennaio 2013, p. 34.
(282) http://www.irpet.it/index.php?page=infotoscana_economia. La Toscana vanta ben 6 siti Unesco: centro storico di Firenze (1982), Piazza del Duomo (Pisa, 1987), centro storico di San Gimignano (1990), centro storico di Siena (1995), centro storico di Pienza (1996), Val D’Orcia (2004). La Toscana è a seconda regione italiana per dotazione di infrastrutture culturali, con un indice di 176,3 contro una media nazionale di 100. […] Nel 2011, la cultura ha generato un valore aggiunto di 5.166 milioni di euro, pari al 5,3% della ricchezza prodotta in regione, dando impiego a circa 110 mila persone, equivalenti al 6,3% degli occupati regionali (34.700 imprese culturali, quarta dopo Lombardia, Lazio e Veneto. In termini relativi rappresentano l’8,3% del totale). http://www.rivistasitiunesco.it/articolo.php?id_articolo=1859.
102
Uniti, Giappone e Germania. La competitività italiana cala. Ma il paese si difende mutando la specializzazione merceologica: i beni legati alla moda sono passati dal 21,5% dell'export nel 1991 al 13,9% nel 2011 mentre i prodotti con maggiore intensità tecnologica ed economia di scala sono saliti dal 60,8 al 66,9%. L'industria italiana si è anche riposizionata sui mercati esteri, con la UE che è scesa dal 61,4% dell'export nel 2000 al 55,6% nel 2011 ed i paesi emergenti saliti dal 21,3 al 29,3»(283). Questi dati vengono ripresi nel libro di Volpi: «la produzione industriale non riparte, anzi in tre anni si è ridotta del 17% (dal 2007 il calo è del 25%). Si tratta di un dato particolarmente preoccupante perché proprio la crisi ha dimostrato l’assoluta insostituibilità del manifatturiero, sempre più nelle mani dei paesi emergenti, con la Cina che da sola sfiora il 22% della produzione mondiale contro l’8% del 2000. […] Nel caso italiano il manifatturiero garantisce circa l’80% degli incassi ottenuti dalle esportazioni e 2 punti di Pil pro-capite ogni punto di Pil aggiuntivo in termini di
industrializzazione, costituendo il bacino della buona occupazione»(284). Per
Piero Formica «la fabbrica di oggetti materiali è indiscussa protagonista della produttività, della R&I (Ricerca e innovazione) e dell’export. Sono i valori immateriali, idee e competenze coltivate dalla manifattura, che fanno crescere la produttività, istigano all’innovazione e mettono in moto il commercio
internazionale»(285). Si tratta di intercettare i nuovi sviluppi della manifattura: le
nanotecnologie, la stampa tridimensionale per configurare oggetti (che saranno sempre più intelligenti), la meccanica di precisione e la robotica (qui l’Italia è preceduta solo da Germania e Giappone). Altri comparti da implementare: chimica di base, aerospaziale, nucleare (forse), biotecnologie. Questi settori hanno un’incidenza significativa sulle ragioni di scambio (quantità di export necessaria ad acquistare una determinata quantità di import) e a cascata su Pil,
(283)http://www.confindustria.vr.it/confindustria/verona/istituzionale.nsf/%28$linkacross%29/9C8A41621 6EE9331C1257A2100355324/$file/Nota%20settimanale%2022_4-10giugno_%202012_per%20sito.pdf. (284) A. Volpi, Sommersi dal debito, cit., pp. 78-79. «Ogni euro in più nell’attività manifatturiera genera almeno un altro euro di attività nel resto dell’economia». C. Fotina, Per la manifattura obiettivo 20% del
Pil, IlSole24Ore, 24 gennaio 2013, p. 4.
103
bilancia commerciale e tasso d’inflazione. Lo studio di Unicredit e Prometeia sulla competitività della filiera (dall’approvvigionamento delle materie prime
alla distribuzione del prodotto) evidenzia ottime prospettive nei settori
dell’elettrotecnica, della componentistica meccanica e dei macchinari. «Per robot e macchinari si raggiungono punteggi quasi massimi in più fasi, non solo nella qualità dei prodotti finiti, ma anche nel livello competitivo di prime lavorazioni e
fasi intermedie»(286). Si registrano apprezzabili difficoltà nei settori dell’auto, del
legno arredo e delle costruzioni. Il posizionamento della filiera è sintetizzato in un indice strutturato intorno a quattro capisaldi: quota sui mercati esteri, rapporto tra cash flow e oneri finanziari, produttività calcolata dall’incidenza del fattore lavoro sul valore aggiunto e il tasso di innovazione figlio del numero di brevetti europei. Per Mario Cattaneo siamo Un popolo di scienziati, malgrado tutto. Dopo aver evidenziato le ataviche vulnerabilità del sistema Italia nella ricerca (modesti finanziamenti pubblici e privati, contenuta percentuale del personale impiegato rispetto al totale della forza lavoro, bassi salari d’ingresso) registra che la scienza italiana ha punte d’eccellenza straordinarie: la fisica delle particelle (si pensi al contributo al Large Hadron Collider di Ginevra) e la ricerca aerospaziale. «In Italia è stato costruito più del 50% del volume abitabile della Stazione spaziale internazionale. Lo spazio è l’unico settore ad alta tecnologia in
cui il bilancio import export è positivo»(287). In termini di energia elettrica
prodotta da fonti rinnovabili al 2011 l’Italia registra un lusinghiero 23,8% non lontano dal 26% di Europa 2020.
Il rapporto Manufacturing the future: the next era of growth and innovation licenziato dal McKinsey Global Institute avalla tali asserzioni: «contribuisce alla crescita della produttività il doppio rispetto alla sua quota di occupazione. Nelle principali economie avanzate e in via di sviluppo genera il 70% delle esportazioni. Svolge un ruolo fondamentale nell’affrontare le sfide sociali: dalla riduzione del consumo di energia e risorse naturali al contenimento delle
(286) L. Orlando, Meccanica in testa tra le filiere, IlSole24Ore, 3 dicembre 2012, p. 20. (287) M. Cattaneo, Un popolo di scienziati, malgrado tutto, in Limes, 2009, n. 2, pp. 207-210.
104
emissioni di gas ad effetto serra»(288). La più pronunciata capacità di
investimento nella sostenibilità ambientale è confermata dalle analisi di Symbola: «nella manifattura, la quota di imprese che realizzano investimenti green sfiora il
28% a fronte di un più ridotto 22% nel terziario. […] Tra le attività
manifatturiere, oltre alla chimica ed alle attività connesse sostanzialmente all’energia (prodotti petroliferi e public utilities), spicca la filiera della meccanica, mezzi di trasporto, elettronica e strumentazione di precisione,
assieme alla lavorazione dei minerali non metalliferi»(289). L’industria è al 50%
degli obiettivi nazionali in materia di risparmio energetico. I dati sono sintetizzati nel Paee (Piano d’azione per l’efficienza energetica) e recano la data del 2016. Indietro i trasporti (25%), sprofonda il terziario (8%). Ottima la performance del
residenziale 67%(290). Nell’articolo Il nostro decennio perduto Gian Paolo
Caselli e Gabriele Pastrello propugnano «una politica di reindustrializzazione e
reinfrastrutturazione del paese» come volano per la crescita(291). Nei primi anni
2000 Luciano Gallino lanciava il monito della sistematica desertificazione
industriale intravvedendo il pericolo (concreto) di diventare colonia industriale
(La scomparsa dell’Italia industriale, 2003).
(288) P. Formica, Manifattura di nuovo regina, cit.
(289)http://www.symbola.net/assets/files/Rapporto%20GreenItaly%202011%20def_1326724049.pdf. (290) Di recepimento della Direttiva 2006/32/Ce e ss. Da leggersi di concerto con il Pan (Piano d’azione per le energie rinnovabili). F. Rendina, Vantaggi fiscali alle case efficienti, IlSole24Ore, 24 gennaio 2013, p. 38. Il settore terziario al 2010 aveva conseguito un risparmio energetico di 5042 Gw/h anno (contro i 24590 previsti al 2016). L’industria 8270 Gw/h anno (20140 quelli previsti sempre al 2016). Il residenziale 31427 Gw/h anno contro l’obiettivo fissato a quota 60027.
http://www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/Sintesi_PAEE_01_luglio_2011.pdf. (291) G. P. Caselli, G. Pastrello, Il nostro decennio perduto, in Limes, 2011, n. 2, p. 240.
105 Peso del manifatturiero(292)
Quote percentuali sul valore aggiunto mondiale nel 2011(confronto con il 2007)
2007 2011 Variazione posizione 2007-2011 Cina 14,0 21,7 +1 Stati Uniti 18,4 14,5 -1 Giappone 9,4 9,4 - Germania 7,4 6,3 -
Corea del Sud 3,9 4,0 +2
Brasile 2,6 3,5 +4
India 2,9 3,3 +2
Italia 4,5 3,3 -3
Francia 3,9 2,9 -3
Russia 2,1 2,3 +2
Questa invece la contribuzione nazionale (prime 5) alla produzione europea dell’intero comparto manifatturiero (dati 2011, in percentuale): Germania 29,6,
Italia 13,2, Francia 10,6, Regno Unito 9,8, Spagna 7,8(293).
Il dibattito politico in Italia pare convergere sulla definizione puntuale di una politica industriale nell’interesse generale. L’espressione è di Giorgio Squinzi,
(292) Elaborazione Centro studi Confindustria su dati Fmi, Global Insight e Eurostat. Ibidem. (293)http://ec.europa.eu/enterprise/policies/industrial-competitiveness/monitoring-member- states/files/scoreboard2012_it.pdf.
106
presidente di Confindustria(294). Per Alberto Quadrio Curzio «andrebbe ritrovata
la spinta della ricostruzione post bellica dove le infrastrutture e l’industria hanno
determinato il vero decollo italiano»(295).
L’Unione Europea promuove scopertamente il comparto industriale tacciando di velleitarismo l’ulteriore terziarizzazione dell’economia comunitaria. «L’argomento è di grande attualità, dopo la recente presentazione delle linee guida per la reindustrializzazione nella Ue. Il pacchetto preparato dal commissario all’industria, Antonio Tajani, prevede l’obiettivo di portare la quota del Pil che dipende dall’industria dal 15 al 20% entro il 2020. Alta tecnologia, brevetto unico, formazione, accesso ai finanziamenti sono le linee chiave degli interventi previsti. Nella Ue l’industria rappresenta quattro quinti dell’export e
l’80% della spesa in ricerca e sviluppo»(296
). Di segno concorde il progetto Cars 2020. La Commissione europea promuove la crescita del settore auto (che occupa 12 milioni di persone) affinché la quota sul Pil europeo arrivi al 20% entro il 2020 (dal 16% attuale). Ormai ridondante il leitmotiv: competitività, ricerca e sviluppo, compatibilità ambientale.
3.6.1 Il rapporto Deloitte 2013: un’analisi comparata
Dal rapporto Deloitte sulla competitività dell’industria manifatturiera (2013) emerge un dato poco confortante per l’Italia. Il sondaggio condotto tra 550 manager la colloca al trentaduesimo posto (su 38 paesi ed in arretramento di ben 11 posizioni). L’indice di riferimento si struttura principalmente intorno a 3 aree tematiche: capacità di attrarre innovazione e talenti, ordinamento fiscale e finanziario ed infine costi di produzione, soprattutto materie prime e salari(297).
(294) N. Picchio, Industria, sì bipartisan a Squinzi, IlSole24Ore, 9 gennaio 2013, p. 7. Nel 2006 il governo Prodi (con Bersani allo sviluppo economico) partorisce il programma Industria 2015 incentrato su innovazione e partenariato pubblico-privato. Sotto le attese gli esiti.
(295) A. Q. Curzio, Italia-Europa, la centralità delle imprese, IlSole24Ore, 9 gennaio 2013, p. 1. (296) A. Biondi, Un manifesto per l’industria nell’Ue, IlSole24Ore, 29 ottobre 2012, p. 17.
(297)Global Manufacturing Competitiveness Index 2013, condotto dal Deloitte Global Manufacturing Industry Group in collaborazione con lo U.S. Council on Competitiveness. Al 2012 la top ten si compone di Cina (stabile rispetto al 2010), Germania (+6 posizioni), Stati Uniti (+1), India (-2), Corea del Sud (-2),
107
Più marginale il peso associato a: reti di fornitori, sistema giuridico e normative, infrastrutture fisiche, costo dell’energia, mercato interno, sistema sanitario, investimenti pubblici in innovazione. «La presenza di talenti in grado di guidare l’azienda verso l’innovazione si conferma essere il fattore chiave più importante per la competitività del settore manifatturiero globale, superando i classici fattori tipicamente associati al settore, quali il costo del lavoro, il costo dei materiali ed i costi energetici. […] Le aziende dovranno concentrarsi su prodotti che permettano una marginalità più alta ed implementare strategie di sostenibilità per
generare innovazione»(298). L’analisi è corretta. Non la correlazione diretta tra
istruzione e crescita (presupposto erroneo del lavoro di Maddison) ma coerentemente con la riflessione di Romer: conoscenza capace di generare
tecnologia, volano del conseguente sviluppo(299).
Taiwan (new entry), Canada (new entry), Brasile (-3), Singapore (stabile), Giappone (-4). Le prospettive a 5 anni descrivono mutate gerarchie: Cina (stabile), India (+2), Brasile (+5), Germania (-2), Stati Uniti (- 2), Corea del Sud (-1), Taiwan (-1), Canada (-1), Singapore (stabile), Vietnam (new entry). L’Italia è prevista ancora in inesorabile arretramento (34esima, -2).
G. Meoni, Così cambia l’atlante dell’industria, IlSole24Ore, 3 dicembre 2012, p. 17. Per dettagli: http://www.deloitte.com/view/it_IT/it/ufficiostampa/e75a0f79ffd1b310VgnVCM3000003456f70aRCRD. htm#.
(298) Ibidem.
(299) R. Giannetti, L’istruzione e la formazione del capitale umano, in P.A. Toninelli (a cura di), Lo
108 Rank 2010 Country name Index Score Rank 2012 Country name Index Score
1 China 10 1 China 10 2 India 8,15 2 Germany 7,98 3 R. of Korea 6,79 3 Usa 7,84 4 Usa 5,84 4 India 7,65 5 Brazil 5,41 5 R. of Korea 7,59 6 Japan 5,11 6 Taiwan 7,57 7 Mexico 4,84 7 Canada 7,24 8 Germany 4,8 8 Brazil 7,13 9 Singapore 4,69 9 Singapore 6,64 10 Poland 4,49 10 Japan 6,60 21 Italy 2,42 32 Italy 3,75
Rank (2017) Country name Index Score
1 China 10 2 India 8,49 3 Brazil 7,89 4 Germany 7,82 5 Usa 7,69 6 R. of Korea 7,63 7 Taiwan 7,18 8 Canada 6,99 9 Singapore 6,64 10 Vietnam 6,50 32 E.A.U 3,58 34 Italy 3,45
Dall’analisi congiunta con il rapporto Doing business 2013 (cit.) emerge l’importanza di un corpo normativo ad hoc per l’impresa. Forse la proposta del dimissionario governo presieduto da Mario Monti di istituire i tribunali delle
imprese (poi accantonata) superando l’accorpamento del 1942 tra diritto
109
3.7 Produttività del lavoro e contrattazione di secondo livello
Altra nota dolente del sistema Italia (comparativamente ai principali
competitor) è la bassa produttività del lavoro. In via preliminare occorre
delineare i contorni del parametro ed i fattori che paiono influenzarlo. L’indice di produttività (del lavoro) misura la quantità di un input (il lavoro) necessaria a produrre un'unità di output. In termini macroeconomici è dato dal rapporto tra reddito complessivo (Pil) e popolazione attiva. Risulta correlata positivamente con l’innovazione (soprattutto di processo), la tecnologia, la competenze e conoscenze del capitale umano (la dote di capitale per addetto influenza in maniera significativa il parametro). I dati Eurostat riferiti al 2011 palesano un penoso ritardo dell’Italia (32,5 euro per hour worked) rispetto ai principali partner europei: Francia (45,4), Germania (42,3) e Regno Unito (39,1 nel 2009 ultima annualità disponibile. La media dell’Ue a 27 è di 31,9).
Ancora più scoraggiante l’analisi andamentale: fatto 100 il valore del 2005 l’Italia si caratterizza per un profilo stagnante (100,4 del 2011) seguita solo da
Lussemburgo (95,2), Malta (94,8) e Norvegia 94,2(300). Nel periodo ricompreso
tra il 1992-2011 la produttività del lavoro è aumentata di un magro 0,9% annuo. Il ritardo non può essere superficialmente ascritto all’alto costo del lavoro: In
(300)http://epp.eurostat.ec.europa.eu/tgm/refreshTableAction.do?tab=table&plugin=1&pcode=tsdec310&l anguage=en.
110
Italia è (mediamente) di 26,8 euro (orari), a fronte di 30,1 in Germania ed addirittura 34,2 in Francia. La Spagna registra un dato inferiore (20,6). In prima approssimazione (il dato è ampiamente sommario) incidono in misura preponderante i contributi a carattere previdenziale ed i versamenti a titolo di cassa integrazione ordinaria (e sovente per la mobilità). Ad appesantire il quadro la nuova Aspi (rivisitazione dell’indennità di disoccupazione partorita dalla riforma Fornero).
La riflessione teorica iscrive alla normativa vigente (in tema di lavoro
evidentemente) una significativa capacità di influenzare il parametro. Il tema
della flessibilità (entrata ed uscita dal mercato, orari, mansioni, minimi salariali) pare assurgere a discrimine. Di talune impostazioni critiche si è data contezza precedentemente. Succintamente si focalizza ora l’attenzione sulle novità della disciplina giuslavorista. Il Ccnl (contratto collettivo nazionale di lavoro) pare perdere il carattere dell’inderogabilità a favore di un marcato decentramento contrattuale (aziendale ovvero territoriale, più in generale di prossimità). La fattispecie lavoro subordinato a tempo indeterminato è marginale nelle nuove assunzioni (preferito il parasubordinato, accessorio, con vincolo associativo, di solidarietà). Sul tema l’accordo tra Governo, Cisl, Uil e le principali associazioni datoriali del 22 giugno 2009 (avvicinamento tra settore pubblico e privato) e l’art. 8 d.l. 138/2011 (convertito con l. 148/2011). La Cgil ha palesato a più riprese la sua ritrosia. L’inconciliabilità delle vedute (e l’integralismo delle parti)
111
non giova certo all’instaurazione di relazioni industriali improntate alla pacatezza ed armonia nel comune obiettivo di implementare i margini di produttività e competitività. Introdotto dalla l. 122/2010, marca la presenza nello scenario italiano proprio il contratto di produttività. Si tratta di una fonte di regolazione di secondo livello (aziendale o territoriale) riferita al solo settore privato. Il salario di produttività è indissolubilmente legato agli incrementi in termini di qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa e comunque correlato al risultato di Conto economico in termini di utili. L’incentivo è di natura fiscale e contributiva: imposta sostitutiva irpef del 10% (comprese addizionali regionali e comunali) e sgravio sugli accantonamenti ai fini previdenziali sia al lavoratore (100%) che alla parte datoriale (25%). Nonostante alcuni vincoli (limite di reddito e somma massima agevolabile per dipendente) riecheggiano i soliti parametri (ormai conosciuti. Si spera) segno che il posizionamento competitivo è ad essi strettamente correlato. Nei fatti «il Ccnl garantisce le condizioni economiche e normative comuni a tutti i lavoratori di un settore. Il secondo livello, aziendale o territoriale, si esercita sugli istituti che disciplinano la
prestazione lavorativa, orari ed organizzazione del lavoro»(301). Si tratta di
sperimentare nuovi modelli organizzativi vocati alla redditività, efficienza e qualità, riparametrarli continuamente in funzione dell’innovazione tecnologica (nel rispetto dei diritti dei lavoratori) e delle mutevoli e cangianti esigenze dei mercati (modelli flessibili di orario e ferie, cosiddetto multiperiodale, fungibilità delle mansioni, nell’auspicio del pieno utilizzo degli impianti). Per contenere gli effetti perversi dell’Irap (l’aliquota ordinaria è del 3,9% con punte del 4,97% nelle regioni con conti in rosso nella sanità. Garantisce gettito per circa 35 miliardi di euro. Le imprese labour intensive paiono maggiormente incise) il decreto salva Italia (art. 2 comma 1 d.l. 201/2011 convertito con l. 214/2011) prevede la deduzione dal reddito imponibile (ai fini Ires o Irpef) «di un importo pari all’imposta regionale sulle attività produttive (Irap) relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato». L’agevolazione
(301) D. Colombo, G. Pogliotti, Bonus produttività al bivio, IlSole24Ore, 12 gennaio 2013, p. 9. F. Barbieri, A. Rota Porta, Il rilancio della produttività, IlSole24Ore, 29 ottobre 2012, p. 9.
112
ha effetto dall’esercizio 2007 e dovrebbe portare ad un beneficio variabile tra lo
0,6% e lo 0,8% del costo del lavoro(302).
3.7.1 Orario a menù e sistemi di welfare aziendale
Emblematica la vicenda della Zf di Caselle di Selvazzano (Padova) azienda metalmeccanica che produce componentistica per motori marini. Un software è deputato ad incrociare (e conciliare) le preferenze del personale dipendente (operai soprattutto) in tema di orario di lavoro con le alterne esigenze produttive dell’azienda. Il risultato è l’orario a menù, ritagliato (per quanto possibile) sulle singole richieste della forza lavoro. Importanti le ricadute in termini di produttività: «l'assenteismo è diminuito, aumentata la puntualità nella consegna, così come i margini di redditività. […] Per rendere possibile l'orario a menù, tutti hanno dovuto imparare a fare di tutto, aumentando la professionalità di
ciascuno»(303). Altro esempio la Permasteelisa Group di Vittorio Veneto.
L’azienda (partecipata dal capitale nipponico) è leader mondiale nella progettazione di involucri architettonici in vetro ed acciaio (con fatturato intorno al miliardo di euro). Il passaggio di mano a Js Group era consequenziale all’estrema frammentazione dell’azionariato che minava a più riprese le indicazioni del Cda. L’azienda veneta implementa il welfare aziendale conformemente a politiche di responsabilità sociale. Le direttrici sono: servizi alla famiglia ed il tema della tutela della salute. Nello specifico si tratta della gestione di un asilo aziendale (contestuale sgravio del 50% della retta a carico dei lavoratori), buoni benzina (pari a 200 euro) e soprattutto un programma di prevenzione di talune patologie oncologiche e cardiologiche. Infine una ben
congeniata polizza sanitaria, che ricomprende anche le cure dentarie(304).
Italcementi (famiglia Pesenti) sostiene con 550 euro mensili il reddito (magro) dei lavoratori dell’azienda in cassa integrazione guadagni (temporanea). L’impresa stanzia per ciascun lavoratore 1000 euro aggiuntivi da destinarsi a
(302) L. Gaiani, Il premio? Lo 0,7% del costo del lavoro, IlSole24Ore, 16 gennaio 2013, p. 3. (303) http://www.repubblica.it/economia/2010/04/14/news/operai_senza_orario-3335104/. (304) G. Bassi, Permasteelisa rafforza il welfare, IlSole24Ore, 16 gennaio 2013, p. 38.
113
spese mediche e rette scolastiche. Un esempio di responsabilità sociale
d’impresa declinata secondo i dettami della dottrina del cattolicesimo sociale. Il
ministro Clini registra la pronunciata sensibilità di Italcementi alle tematiche ambientali (in riferimento all’investimento di 150 milioni nello stabilimento di Rezzato): «una best practice italiana da proporre a livello europeo. L’investimento sull’ambiente può dare ritorni economici (riduce i consumi
energetici e le emissioni ed aumenta la produzione)»(305). Consequenziale l’avvio
della procedura di carbon footprinting ed il conferimento del marchio di qualità ambientale(306).