Il rapporto GreenItaly 2011, realizzato dalla Fondazione Symbola e da
Unioncamere, mette in evidenza che «quasi un’impresa su quattro (il 23,9% del
totale, ovvero circa 370mila imprese, 150mila industriali e quasi 220mila dei servizi) ha realizzato negli ultimi tre anni (2008-2010), o realizzerà entro quest’anno (2011), investimenti in prodotti e tecnologie che assicurano un
maggior risparmio energetico od un minor impatto ambientale»92. Risulta
emblematica la dinamica occupazionale associata: «il mondo del lavoro italiano ingloba ormai come dato strutturale un crescente orientamento professionale verso la green economy, al cui ambito potenziale può essere ricondotto oltre il 38% delle assunzioni programmate dalle imprese dell’industria e dei servizi nel 2011: si tratta, in valori assoluti, di circa 227.000 assunzioni sul totale di quasi 600.000 previste dalle imprese nel corso dell’anno. Al loro interno, particolarmente dinamiche risultano essere le figure green in senso stretto, per le quali le imprese hanno espresso per questo 2011 una domanda che ha raggiunto le 97.000 unità, con un incremento relativo di circa un punto e mezzo percentuale
annuo sul totale delle assunzioni programmate»(93). Prospettive certo di sicuro
avvenire. Per esigenze di completezza è necessario constatare che lo stato dei fatti è decisamente meno roseo. L’Ispra individua in Italia 57 siti contaminati pari al 3% del territorio nazionale ed una nutrita schiera di stabilimenti Rir (Rischio
incidente rilevante) con Livorno in penosa evidenza. La città orbita tra la terza e
la quarta posizione a seconda che si tenga conto del rapporto tra il numero e l’estensione del territorio comunale ovvero del solo numero in valore
assoluto(94). Questi i dieci impianti più inquinanti in Italia per emissioni di co₂ (al
2007): centrale termoelettrica Federico II Brindisi sud (proprietà Enel 14.198 milioni di tonnellate), Ilva Taranto (10.620), centrale termoelettrica di Taranto
(92) http://www.symbola.net/assets/files/Rapporto%20GreenItaly%202011%20def_1326724049.pdf. (93) Ibidem.
(94)http://www.isprambiente.gov.it/files/aree-urbane/presentazione_rossi_aree_urbane_2012.pdf. Da valutare il progetto di rigassificatore con capacità 4 miliardi di metri cubi.
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(Edison 9.502), raffinerie Saras di Sarroch (6.259), centrale termoelettrica di Montalto di Castro (Enel 4.582), centrale termoelettrica di Fiume Santo Sassari (Endesa Italia 4.314), centrale termoelettrica di Fusina Venezia (Enel 4.246), raffineria di Gela (Eni 3.875), centrale termoelettrica di Vado Ligure (Tirreno
Power 3.824), centrale termoelettrica di La Spezia Enel 3.665(95).
Secondo il rapporto dell’Ocse inerente le problematiche ambientali relativo all’annualità 2013 delle 30 città europee con qualità dell’aria pessima e potenzialmente lesiva per la salute umana, più della metà si trovano entro i confini nazionali. La produzione di rifiuti urbani risulterebbe correlata al Pil in ragione di un moltiplicatore ben superiore all’unità e le discariche (15 mila, più
della metà illegali) contaminano sistematicamente il suolo e talvolta le falde
acquifere. L’infrastruttura idrica è carente, con perdite intorno al 30% dei volumi in transito a fronti di intere località servite in maniera (almeno) precaria. Per l’Ocse è necessario che «l'Italia rafforzi l'applicazione delle normative ambientali e migliori la coerenza della governance e delle politiche, realizzando a pieno le
sinergie tra obiettivi economici, ambientali e sociali a livello nazionale. […] La
cooperazione e il coordinamento tra autorità nazionali e regionali restano insufficienti. Le varie regioni adottano approcci variegati, e spesso incoerenti tra loro, in materia di gestione delle acque e dei rifiuti, di cambiamento climatico e
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di promozione della conformità alle norme ambientali»(96). Paiono emergere le
incongruenze del federalismo di gestazione italiana, già foriero di aumenti consistenti di spesa pubblica (il tema sarà trattato in seguito). È interessante rilevare l’approccio sistemico dell’Ocse che opportunamente coniuga sviluppo economico ad istanze ambientali e sociali, propugnando una ridefinizione del concetto di benessere. Si plaude all’aumento delle accise sui carburanti da implementare (secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico) con una carbon tax ed un dimagrimento significativo dei sussidi agli
autotrasportatori. Le risorse generate dovrebbero abbassare la fiscalità che grava sulle parti produttive del paese (segnatamente le imprese). Corrado Clini rileva che l’alta tassazione riferibile alla tutela del territorio confluisce (indebitamente) nella fiscalità generale, mentre più opportunamente andrebbe ascritta a capitoli di spesa di eguale tenore (efficienza energetica e fonti rinnovabili).
2.6.1 Chimica green: Responsible Care
La chimica, per anni tacciata di scarsa compatibilità ambientale, promuove
Responsible Care. Si tratta de «il Programma volontario dell’industria chimica
mondiale basato sull’attuazione di principi e comportamenti riguardanti la
sicurezza e salute dei dipendenti e la protezione ambientale»(97). L’iniziativa è di
(96)http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-03-08/rapporto-ocse-italia-oltre- 150834.shtml?uuid=AbMm4CcH.
(97) http://www.federchimica.it/PRODOTTIESERVIZI/ResponsibleCare1.aspx. «Secondo i dati più recenti la chimica risulta essere oggi in Italia il settore più sicuro, insieme all’industria petrolifera, in termini di infortuni sul lavoro […]. Il comparto registra 9,4 infortuni per un milione di ore lavorate ed una malattia professionale ogni 3,5 milioni di ore di lavoro […]. Sul fronte ambientale la chimica ha migliorato la propria efficienza energetica del 45%, riducendo del 33% rispetto al 1990, i propri consumi
energetici e del 63% le emissioni di gas serra […]. Anche i consumi di acqua per usi industriali risultano
in diminuzione: solo 1,4% proviene da acquedotto ed il 9,8% da pozzo (sono le fonti più pregiate di approvvigionamento) mentre le fonti principali restano il fiume (11,9%) e soprattutto il mare (76,8%)». M. Meneghello, La via sostenibile della chimica italiana, IlSole24Ore, 30 ottobre 2012, p. 47. Secondo il presidente di Federchimica, Cesare Puccioni, lo sviluppo sostenibile rappresenta «una strategia indispensabile per un successo economico duraturo, che tuteli contemporaneamente l’uomo e l’ambiente che lo circonda». Ibidem. Il settore si caratterizza per la promozione della buona occupazione e per la promozione di competenze e conoscenze: «le 167 imprese associate a Federchimica che aderiscono al
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matrice canadese e nasce nel 1984 ad opera della CCPA (Canadian Chemical
Producer Association). Nel 1988 ne segue l’implementazione negli Stati Uniti
con l’adozione da parte della ACC (American Chemistry Council) e l’anno successivo in Europa (il referente comunitario è il CEFIC European Chemical
Industry Council). Riveste particolare interesse in tal senso la lettura del primo
bilancio di sostenibilità pubblicato dall’organizzazione europea: The chimical
industry in Europe towards sustainability. L’approccio è quello fin qui
dettagliato:
«this report is also a first step in strengthening our dialogue with key
stakeholders: in finding out what their expectations are, and responding to those expectations, as well as enhancing public awareness of the positive contributions made by our industry as part of the drive towards global sustainability»(98).
Le parole d’ordine sono di nuovo: people, planet, prosperity and products. Per esigenze di completezza è d’uopo proporre le considerazioni di Antonio Pascale. Apparentemente scevro da implicazioni di ordine ideologico, Pascale riferisce
che qualsivoglia reazione chimica produce inevitabilmente residui.
L’attestazione di una certa distanza da un modello ideale, lungi dall’abiura delle tematiche scientifiche incentiverebbe una consapevole e matura gestione dei
residui(99). Si tratta di promuovere una riflessione più articolata espungendo dall’equazione banali considerazioni di ordine emotivo, sensazionale e prescientifico. Recita il secondo principio della termodinamica: il rendimento di
una macchina termica è sempre inferiore all’unità.
progetto rappresentano oggi il 57% del fatturato aggregato dell’industria chimica del paese, per un totale di 44.429 dipendenti in buona parte laureati e per la stragrande maggioranza (95%) in possesso di un contratto a tempo indeterminato». Ibidem.
(98)http://www.cefic.org/Documents/Learn%20and%20Share/Cefic_Sutainability_Report2011-2012.pdf. (99) «I residui sono quello che resta delle molecole originali, dopo che si sono allontanati i componenti più reattivi, come idrogeno, ossigeno, azoto, carbonio, cloro. Per esempio, nella reazione tra acido nitrico e benzene, l’idrogeno del benzene e l’ossigeno dell’acido si combinano tra di loro per formare acqua, mentre i residui delle due molecole si combinano tra di loro (il nitrobenzene)». C.F. Gerhardt: la teoria
dei residui (1839, parte integrante della teoria dei tipi).
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