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“I criminali adulti in mezzo ai quali crescevamo – i nostri padri, nonni, zii e vicini – erano pieni di tatuaggi.”133

Questa forma di decorazione parlante, che forni- sce a chi ne conosce i segni tutte le informazioni necessarie riguardo all’identità del tatuato, è parte integrante della cultura criminale sovietica. In particolare il tatuaggio siberiano, che Lilin fa risalire alle tradizioni degli Urca, si realizza attraverso pro- gressivi interventi che a partire dall’età di dodici anni narrano per segni la storia dell’individuo e le tappe della sua educazione criminale ivi incluse le permanenze in carcere. Si tratta dunque di una carta d’identità scritta in un alfabeto iniziatico che rende impossibili le contraffazioni e che si rivela molto utile nelle transazioni crimi- nali. Ma nei romanzi di Lilin l’arte del tatuaggio si propone soprattutto come il cam- po in cui si dispiega la crescita dell’io.

In Educazione siberiana il narratore dichiara infatti la sua attrazione di bam- bino per i disegni che istoriano i corpi degli adulti e in Storie sulla pelle ci rende par- tecipi di un processo che sia pure attraverso qualche passo falso lo porterà a diventa- re tatuatore. Come in ogni percorso di formazione il conseguimento del proprio o- biettivo coincide infatti con l’avvenuta maturità e l’una cosa non si dà senza l’altra. All’inizio Nicolai, dopo aver a lungo osservato e ricopiato i disegni dei tatuaggi, cer- ca di bruciare le tappe e, durante un’improvvisata vacanza da scuola, istoria con una biro la pelle dei suoi compagni che lo ringraziano entusiasti con piccoli doni. Il cor- teo trionfante dei nuovi tatuati di ritorno in città si imbatte però in un anziano crimi-

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nale che li ammonisce aspramente e, giunto a casa, Nicolai si trova ad affrontare l’ira del nonno. Apprendiamo così che nell’arte del tatuaggio la libera iniziativa si traduce in un osceno quanto insensato scimmiottamento.

– Questa storia dei marchi criminali che vi siete disegnati addosso… se mi capiterà di sentire un’altra volta una cosa del genere, se vengo a sapere che tu e i tuoi amici vi siete segnati senza il permesso di un’autorità, correndo dietro allo scemo… ti giuro sul mio amore per la Vergine Maria, Madre del nostro Signore Gesù Cristo, farò in modo che né a te né ai tuoi amici rimanga un solo centimetro di pelle viva su cui poter ripetere la bestemmia che avete fatto.134

Dalle parole di nonno Boris emerge che lo statuto del tatuaggio siberiano è i- niziatico e sacro, dunque i suoi disegni sono impraticabili senza la guida di un saggio ed anche inimitabili se non si vuole cadere nel reato di blasfemia. Queste caratteristi- che lo distinguono nettamente dalle altre forme di tatuaggio e pongono il problema della condivisibilità di tale esperienza. In Educazione Siberiana i personaggi adulti che si tatuano senza rispettare le tappe di attesa del rito iniziatico o rivolgendosi ad- dirittura a un “copista” esterno alla comunità sono puniti con la morte: è il caso di un poliziotto che ha contraffatto il tatuaggio siberiano per poter carpire i segreti crimina- li della comunità ma anche di un giovane detenuto che ha creduto in questo modo di potersi accreditare nella gerarchia interna al carcere.

A rendere impenetrabile il tatuaggio siberiano oltre alla sua complessità è l’obbligo del silenzio a cui il tatuato è tenuto sul significato dei segni tracciati sul suo corpo. Il protagonista di Storie sulla pelle sconta questa inaccessibilità durante un

lungo periodo di apprendistato in cui studia i tatuaggi e li ricopia con il consenso di nonno Lëša, un kol’šik, ovvero un tatuatore di grande esperienza e prestigio, senza tuttavia capire cosa significhino. All’inizio Nicolai crede di poter comprendere il senso dei disegni attraverso un sistema di traduzione e dunque si concentra sulle ri- correnze dei simboli e sulla loro ipotetica attinenza alla biografia del tatuato ma sco- pre ben presto che i disegni cambiano di significato a seconda della loro posizione sul corpo. Inoltre i singoli elementi stabiliscono una rete di senso che non è possibile tradurre maglia dopo maglia, ma che deve piuttosto essere interpretata nel suo insie- me. Insomma gli strumenti per apprendere l’arte del tatuaggio non hanno niente a che vedere con le capacità intellettuali e razionali di un individuo e non riguardano neppure la sfera della sua volontà come ben sa nonno Lëša:

Eccoti la prima lezione, piede scalzo: non conta quello che desideri, ma quello che fai per ottenerlo. Vuoi imparare a leggere e interpretare i tatuaggi come si fa con qualsiasi lingua, e non capisci che è impossibile, che i simboli devi sentirli, devi saper intuire l’anima che c’è dentro. I simboli parlano attraverso i sentimenti, e per i sentimenti non esiste un alfabeto. Le parole sono il cane che hai a casa, i dise- gni dei tatuaggi sono il lupo che incontri nel bosco: fisicamente assomiglia al cane, ma ogni sua mossa ti piglia di sorpresa e ti chiarisce che è lui il padrone. Non siamo noi a dominare i simboli, sono loro a muovere la nostra vita.135

La rinuncia all’affermazione del proprio io, l’osservazione umile del lavoro altrui, la crescita attraverso le esperienze della vita sono le uniche indicazioni che Nicolai riceve dal suo maestro. Non stupisce dunque che il narratore ometta di de-

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scrivere il momento in cui il protagonista raggiunge la piena conoscenza di quest’arte: in primo luogo per non tradire il carattere iniziatico del tatuaggio ma an- che perché la comprensione del suo linguaggio corrisponde alla crescita individuale e presuppone dunque un percorso difficilmente sintetizzabile. Sta di fatto che al lettore viene assegnato il ruolo dello spettatore che può ammirare l’arte ma, come un tempo Nicolai, non riuscirà a comprenderla. Fra i lettori reali può comunque trovarsi il de- stinatario ideale, colui che dopo aver seguito e condiviso il percorso sentimentale, ovvero le storie sulla pelle del suo autore, acquisterà a sua volta la maturità necessa- ria per una comprensione globale. Rimane cioè aperta la possibilità che la crescita umana a cui l’esperienza di lettore concorre possa un giorno consentire anche ad altri l’accesso al mondo dei simboli, ma si tratta di una possibilità controversa perché ne- gata dai tradizionalisti e auspicata dagli innovatori. Nonno Lëša che rappresenta la conservazione afferma infatti

Comunque: per ora ti basti sapere che il marchio è l’unico modo che abbia- mo per difenderci da chi ci vuole annientare, è il posto segreto dentro il qual possia- mo nascondere ciò che per noi è sacro. Non portiamo i marchi per vantarci davanti agli altri, ma perché quello è l’unico mondo incontaminato che ci è rimasto. Chiede- re a un criminale onesto cosa significa il suo marchio è peggio che pronunciare una bestemmia.136

In questa accezione il tatuaggio crea una barriera linguistica inaccessibile ai poteri storici che combattono la società criminale e ne assicura così la sua sopravvi- venza. I segni tatuati sulla pelle, come le formule magiche, delimitano uno spazio se-

parato e impenetrabile in cui il mito della violenza onesta può continuare a vivere. A questa interpretazione se ne affianca però un’altra secondo la quale il tatuaggio è una forma d’arte e come tale è destinata all’universalità:

Già nella fase di studio dei disegni, ho cominciato a chiedermi e chiedergli perché ogni tatuaggio non poteva essere inteso elusivamente come una forma d’arte, piccola o grande che fosse. Il mio maestro mi rispondeva che la vera arte è una for- ma di protesta, quindi ogni opera d’arte deve creare contraddizioni, far discutere. Per la sua filosofia, il tatuaggio criminale era la forma d’arte più pura che esisteva al mondo.137

In questa accezione il tatuaggio offre invece la possibilità di una condivisio- ne. Il tatuaggio in quanto forma d’arte, sia pure minore, potrebbe cioè un giorno esse- re coltivato anche da chi non fa parte della comunità. Ma dal momento che si tratta di una forma di protesta, anzi dell’essenza stessa della protesta, la sua adozione genera- lizzata equivarrebbe ad un rovesciamento dello statuto sociale esistente. Anche l’ipotesi dell’estensione del tatuaggio al di là dei confini della mitica società siberia- na finisce dunque col coincidere con una prospettiva che non è storica, ma utopistica. Se invece abbandoniamo la profezia di rivolta totale e rimaniamo all’interno della storia, sia pure abilmente manipolata o fantasticamente rivissuta dall’autore, colpisce che a fronteggiare il modello totalitario del potere sovietico sia stata posta una comu- nità autoritaria il cui il potere è gerarchico e il cui sapere è iniziatico. L’anti-stato de- gli Urca non è dunque tale perché ideologicamente agli antipodi dello stato sovietico di cui condivide la negazione di ogni pratica democratica, il rifiuto della libera inizia-

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tiva e mutatis mutandis anche la gerarchizzazione, ma perché rappresenta una realtà concorrenziale nella gestione del potere e soprattutto nello sfruttamento delle sue ri- sorse economiche.