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Con il suo terzo libro Non c’è dolcezza29 Anilda Ibrahimi ritorna in Albania

affrontando attraverso la storia di un’adozione il tema della memoria negata. In un piccolo paese costiero, simile nella sua arcaicità alla Kaltra di Rosso come una sposa, Lila ed Eleni vivono sin da bambine un’intensa amicizia che non viene meno neppu- re quando entrambe si innamorano di Andrea il ragazzo più bello del paese. Lila, una volta cresciuta, capisce di amare Niko, il fratello di Andrea, e va a vivere con lui in città dividendosi fra le cure di una famiglia sempre più numerosa e quelle della scuo- la dove insegna con passione. Eleni, che proviene da una famiglia contadina molto povera, rimane invece ad Urta continuando a fantasticare su una possibile unione con

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Paolo Rumiz, Jusef, il figlio della pace porta la speranza a Srebrenica in “la repubblica” 28 marzo 2012.

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Andrea che si sposa invece con l’affascinante Mandeta. Quando però il giovane vie- ne inspiegabilmente abbandonato dalla moglie sembra aprirsi anche per Eleni un’insperata possibilità. Andrea infatti accetta il matrimonio che suo padre, nel tenta- tivo di strapparlo alla sua tristezza, ha combinato con il padre di Eleni. Ben presto però la ragazza capisce che sarà impossibile cancellare in suo marito il rimpianto per la prima moglie senza la presenza di un figlio che dia vita e calore alla loro unione. Ma il bambino tanto desiderato non arriva perché Andrea è divenuto sterile in seguito a una malattia infantile mal curata ed è proprio questo il segreto che si cela dietro il l’abbandono della prima moglie.

Lila, che è già madre di tre figlie femmine e che di tanto in tanto ritorna ad Urta, prova compassione per il malinconico destino di Eleni. Rimasta incinta una quarta volta, dopo un sogno che le annuncia una quarta bambina decide che affiderà la neonata all’amica per renderla finalmente madre. Nasce invece un maschio, Ar- lind, ma la donna rimane fedele alla promessa fatta. Nonostante le obiezioni del ma- rito e il suo stesso crescente attaccamento al bambino, Lila lo porta dunque ad Urta e lo consegna ad Eleni. Il bambino crescerà grazie al latte di Hava, una balia tzigana, senza sapere niente della sua nascita ma mostrandosi incapace di un vero attacca- mento verso Eleni che a sua volta non riuscirà a dare al suo amore materno la forma della dolcezza. Lila, che si è consumata nel rimpianto per il suo bambino, muore di infarto e il suo corpo viene sepolto a Urta. Poco dopo giunge in paese anche la bara che contiene suo marito Niko che si dice si sia suicidato dopo la perdita della moglie. Ma quando, dopo il crollo del comunismo, il terreno del cimitero viene richiesto dai

suoi proprietari e si procede dunque alla riesumazione delle salme per collocarle al- trove, si scopre con sconcerto generale che il feretro di Niko è vuoto.

È in questa occasione che Arlind rivede le cugine, in realtà sue sorelle, e co- nosce Aneta, una zia di cui non ha mai sentito parlare perché in anni ormai lontani aveva disonorato la famiglia con il matrimonio con ex prigioniero politico. Poco do- po dalla figlia della vecchia balia zingara il giovane apprende la verità sulla sua na- scita. Le ultime pagine del romanzo sono dedicate alla ricerca del padre da parte di Arlind e Klara, la più giovane delle sorelle ritrovate. Grazie alle amicizie della zia Aneta e di suo marito con gli oppositori del regime di Enver Hoxa, diventati adesso i nuovi leader politici dell’Albania, si scopre che Niko in seguito al matrimonio diso- norevole di sua sorella Aneta era stato ricattato dai servizi segreti comunisti e costret- to a infiltrasi negli ambienti degli oppositori per svolgere un’azione di spionaggio politico. La sua morte è stata dunque una messinscena per ricollocarlo in un’altra zo- na strategica, l’Italia, dove già dal 1944 gli esuli del comunismo avevano organizzato un’opposizione. Niko, sotto le mentite spoglie del rifugiato politico, avrebbe dovuto spiare gli sviluppi dell’attività anticomunista, ma già da due anni ha fatto perdere le tracce di sé. Nell’ultimo capitolo Arlind decide di partire alla scoperta del padre.

Già la trama del romanzo dimostra come gli eventi storico-politici siano de- clinati stavolta in chiave decisamente romanzesca. L’autrice non sembra infatti co- glierne le conseguenze se non in rapporto alla loro funzione di agnizione o di occul- tamento dei personaggi. In particolare è la figura di Niko a mostrare la compromis- sione più evidente con la trama della grande storia ed infatti sarà proprio la scoperta della sua doppia vita, divisa fra doveri familiari e ruolo di informatore del partito,

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che offre la possibilità di uno scarto narrativo finale procrastinando la possibilità di un riavvicinamento di Arlind al padre biologico. Quando ormai il fumo della menzo- gna familiare si è dissipato e il romanzo corre verso il lieto fine, la scoperta di una menzogna politica permette dunque la prosecuzione della suspense.

La mancanza di una datazione sia pur approssimativa dell’ingresso di Niko nei servizi segreti e la completa assenza di indizi biografici che rendano credibile a posteriori la scoperta del suo lato nascosto ne confermano il carattere di espediente funzionale alle esigenze della fiction: si tratta infatti di un contenuto narrativo che, sganciato dagli obblighi della verosimiglianza, può sedurre il lettore proprio per la nebulosità che lo avvicina alla categoria del mistero. Da padre presente e affettuoso Niko si trasforma nel “guerriero silenzioso”30 che, nonostante il crollo del comuni-

smo, non ritorna dalle figlie e fa perdere completamente le tracce di sé. Lo stato ap- pena abbozzato di questo personaggio che più di ogni altro è implicato nella storia sembra suggerire l’ipotesi che l’autrice si sia riservata uno sviluppo delle sue sorti narrative in una successiva puntata romanzesca. In ogni caso è interessante notare che l’intersezione fra la vita privata dei personaggi e gli eventi storici che ne hanno stravolto il corso non è mai narrata in presa diretta ma viene riesumato attraverso le rivelazioni di altri personaggi.

Questa scelta, che risulta funzionale alla suspense romanzesca, comporta un’ovvia riduzione dello spazio narrativo riservato alla dinamica degli eventi e all’analisi del loro impatto sui destini individuali. La storia viene infatti compressa

30 “Venivano chiamati “guerrieri silenziosi”, persone senza nome, senza faccia senza identità.

nella stretta misura del sommario, l’unica che può adattarsi al ritmo del discorso di- retto con cui il personaggio deputato compie la sua rivelazione.

I due tempi su cui l’autrice aveva giocato il suo primo romanzo albanese, il tempo ciclico e il tempo storico, si intrecciano anche in questa opera. La scansione del primo è affidata sin dall’inizio alla comparsa degli tzigani nel paese di Urta:

Arrivano con l’alba, rondini abituate al colore della notte. Rompono il silen- zio dei boschi con i loro violini. Spostano il vento seduto sull’azzurro del mare, men- tre il chiarore del cielo scivola sulle criniere dei cavalli.

– Arrivano gli tzigani, arrivano gli tzigani!31

La loro ciclica ricomparsa segna gli eventi pubblici e scandisce il ritmo pro- fondo della storia: sigla l’amicizia fra Lila e Eleni che da una zingara si fanno predire il futuro, accompagna il matrimonio di Andrea con Mandeta, culla l’infanzia di Ar- lind che degli zingari è fratello di latte. Il mancato appuntamento annuale degli tzi- gani ad Urta sottolinea invece un evento traumatico: la morte di Enver Hoxa. Dopo questo evento gli zingari non allieteranno più il villaggio con la loro musica ed ini- zierà la decadenza anche di questo microcosmo agricolo:

Gli affari degli tzigani a quanto pare non vanno più bene. I loro lavori non si vendono più bene. Con l’apertura del Paese al grande mondo moderno chi ha più bi-

31 A. Ibrahimi, Non c’è dolcezza, cit., p. 3. L’utilizzo del termine tzigani impone di per sé una

riflessione: risulta infatti molto meno politicamente e storicamente compromesso rispetto al termine zingari ma anche molto meno pertinente dal punto di vista etnico rispetto al termine rom. Si presta dunque a creare un’atmosfera atemporale e romantica.

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sogno delle loro pentole di rame? Per non parlare dei fermagli o dell’altra chincaglie- ria ornamentale. Perfino i loro orsi ballerini non attirano più nessuno.32

La morte del dittatore nella primavera del 1985 assume nel romanzo la fun- zione di termine post quem da diversi punti di vista: si collocano dopo questo evento la ricomparsa di zia Aneta, la scoperta di Arlind riguardo alla sua nascita, la scoperta della doppia vita di Niko, la diaspora degli tzigani che se ne vanno a lavorare in Gre- cia o cantano a pagamento nei matrimoni, la trasformazione di Urta da centro agrico- lo e pastorizio in probabile terreno di speculazione immobiliare per fini turistici. La fine del dittatore ha dunque un significato ambivalente perché segna la fine del tem- po della menzogna nella sua duplice accezione politica ed esistenziale, ma coincide anche con il tramonto dei luoghi e delle figure mitologiche. La rappresentazione di Urta prima della fine del comunismo risponde infatti nel romanzo a quella di un’arcadia paesana con spazi aperti e comunitari, natura fertile, riti condivisi, mentre poi tutto volge al peggio:

Il vento entra in ogni pertugio e fa sentire il suo grido. Tante cose sono cam- biate a Urta negli ultimi anni. I giovani non sono più giovani. Escono dall’adolescenza e diventano emigranti. Una rapida trasformazione collettiva li ha contagiati, insieme al resto.33

La morte del dittatore viene salutata come una liberazione dallo stesso An- drea, che pure aveva rivestito il ruolo di presidente della cooperativa agricola di Urta,

32 Ivi, p. 174. 33 Ivi, p. 160.

ma la voce dell’autrice, che si insinua a più riprese nel testo, individua nella fine del comunismo anche il venir meno di una specificità antropologica positiva:

All’imbrunire si sente lo scatto collettivo della chiusura dei portoni. Di col- lettivo a Urta è rimasto solo questo. Il cambiamento ha cancellato il nome del nemi- co della classe insieme all’usanza di dormire con le porta aperte. Nessuno è più né nemico né amico. Ora sono come tanta altra gente sparsa in tanti altri posti al mon- do.34

Al comunismo si attribuisce dunque una funzione identitaria che è in grado di segnare una differenza di valore con il resto del mondo e di cui esistono testimonian- ze anche in autori di altre nazionalità35

. Nella versione di Ibrahimi il comunismo col- labora al mantenimento di un tempo statico in quanto privo di ogni dialettica storica e ancorato all’esaltazione dell’esistente. Questa staticità, che è rafforzata dall’andamento circolare delle stagioni, consente la permanenza di un luogo intatto come Urta dove gli eventi si ripetono e in cui trovano accoglienza anche personaggi sovra-storici capaci di esprimere valori assoluti come nel caso degli zingari. Il popolo degli tzigani incarna l’idea di libertà creatrice esplicandola attraverso la musica, vir- tuale colonna sonora del romanzo, e sul versante femminile attraverso la maternità che per le donne zingare del romanzo non è un evento biologico ma una forma

34 Ivi, p. 173.

35 Marina Sorina in Voglio un marito italiano, cit., riflette su alcuni aspetti della vita sociale e

culturale ucraina sotto il regime comunista individuando nei suoi compatrioti una inclinazione alla vi- ta comunitaria che si esplica in atti di reciproca solidarietà. La mancanza di una cultura dell’individualismo permette inoltre al singolo di sentirsi protetto e sostenuto dal gruppo di riferimen- to, mentre la libertà individuale dell’Occidente democratico comporta solitudine e continua angoscia della scelta.

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dell’esistenza: Hava dona il suo latte al piccolo Arlind a cui è stato improvvisamente negato il seno materno e sua figlia Asmà ripete con lui, a distanza di tempo, lo stesso gesto per consolarlo del suo dolore. Fra la maternità rimpianta di Lila e quella negata di Eleni si colloca la maternità naturale e allargata delle donne zingare che costitui- scono una riserva mitica di latte e soprattutto di dolcezza in un romanzo segnato sin dal titolo, Non c’è dolcezza, dalla sua assenza.

Solo la crisi del dopo Hoxa ha il potere di storicizzare le grandi madri zingare calandole in una realtà economica in cui non vige più la naturalezza dello scambio. Non è un caso che una delle immagini più dure della loro caduta nello spazio storico sia collegata ancora una volta alla maternità: si tratta della richiesta di aiuto Asmà che, dopo essere stata denunciata come clandestina da un contadino greco, giunge si- no a Urta e bussa alla porta dei suoi vecchi amici affidando loro il figlio.

Eleni apre la porta e fa passare velocemente una donna con un fagotto fra le braccia.

– Dammi il bambino, – le dice Eleni dopo un attimo di esitazione.

Il piccolo squittisce senza risentire del passaggio dalle mani della madre a un’altra donna.

[…]

La giovane donna è stremata. Eleni si affretta a prepararle dei vestiti puliti, per lei e per il bambino.36

Asmà è ormai una delle tante incarnazioni storiche di donne braccate e perse- guitate della nostro Novecento e ha perduto la sua aura. Ma dopo di lei anche gli altri

personaggi del romanzo dovranno abbandonare il tempo mitico dell’infanzia e trova- re un loro cammino nella storia che riserverà ad ognuno di loro molto dolore.

3.2 Elvira Dones