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Nel suo romanzo Rosso come una sposa Anilda Ibrahimi abbraccia un arco storico che va dal 1923 al 2003, ultima data menzionata nel romanzo, seguendo l’avvicendarsi delle generazioni della famiglia albanese dei Buronja. Nelle prime pa- gine l’io narrante, che di quella famiglia fa parte, presenta Kaltra, il luogo da cui la saga prende avvio, con le seguenti parole:

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Il paese si trovava nascosto fra le montagne. Sembrava non essere in contatto con niente e con nessuno tranne che con il tempo. Se non ti si fermava il cuore pas- sando per la gola di quelle montagne eri fortunato, o almeno così diceva una vecchia canzone. Ma questo pericolo non esisteva perché raramente capitava che qualcuno passasse per Kaltra.2

Sin dalle prime pagine il lettore è dunque avvisato che il suo punto di osser- vazione sulla storia è il più defilato possibile dalle ribalte dei grandi eventi ma pro- prio questo lo induce in seguito a conferire uno statuto di eccezionalità a tutto ciò che riesce a insinuarsi nella gola di quelle montagne e a lasciare un segno nella vita del paese. La particolare condizione del “paese azzurro”consiste nell’essere fuori dal mondo e in profonda sintonia con un tempo pre – storico inteso come durata delle singole vite, scansione delle generazioni, passaggio delle stagioni sganciate dal com- puto degli anni. Sin dalla prima riga del romanzo compaiono infatti degli indicatori temporali che non si ancorano a una data ma fluttuano nel ritmo stagionale o in quel- lo sonno – veglia:

Arriva in una mattina di settembre, in un’arsa stagione dove le piogge tarda- no a venire. […] Quella notte Saba se la ricorderà per sempre. […] È una tranquilla giornata d’autunno […]. È una domenica d’inverno […]. È un giorno come tanti, un giorno caldo in cui gli animali cercano riparo all’ombra3.

Nel corso della Parte I del romanzo queste indicazioni ricompaiono ad inter- mittenza variabile associate ad altre indicazioni di durata (“Dopo dieci anni di questa

2 A. Ibrahimi, Rosso come una sposa, cit., p. 17. 3 Ivi, pp. 5, 16, 19, 61, 100.

vita”, “Dopo quattro anni”4) che non hanno però né la data di inizio né quella di ter-

mine. In questo tempo fluttuante che conosce i colori delle stagioni e registra le va- riazioni climatiche ma non il numero degli anni, si staccano due o tre date significa- tive. La prima è il 1923: il saggio Habib capostipite dei Buronja, nel tentativo di sciogliere un furioso corpo a corpo in cui il suo figlio maggiore sta avendo la peggio, uccide involontariamente l’altro contendente. Questa data infausta pone il presuppo- sto per la nascita di una nuova famiglia: per evitare una scia di vendette Meliha, la moglie di Habib, decide infatti di cedere metà dei terreni alla famiglia dell’ucciso e di siglare la pace con un matrimonio che legherà per sempre i due clan. A latere dell’evento che è iscrivibile nella storia privata di due famiglia leggiamo:

Corre l’anno 1923 e il governo nuota in acque torbide. L’anno successivo un prete esiliato in America tornerà per fare la prima rivoluzione democratica del Paese. Ma non durerà a lungo: si sa che non si tiene il potere con le prediche di Dio. Regole e pene esemplari, ecco cosa vuole questo Paese selvaggio dove è facile andare al comando ma non altrettanto rimanerci.5

Il brano fa riferimento alla figura storica di Theofan Stilian Noli, vescovo or- todosso di Durazzo che giunse al potere in seguito a una rivolta popolare contro i bey, i signori feudali albanesi, e ricoprì nel 1924 il ruolo di primo ministro del go- verno democratico. Il suo esperimento politico venne rovesciato dalla reazione di Ahmet Zogu, bey del feudo di Mati, e futuro re Zog. Il portato storico della data ri- mane comunque estraneo alla storia della famiglia che riesce a tenere a distanza an-

4 Ivi, pp. 6, 34. 5 Ivi, p. 20.

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che i rappresentanti del potere pubblico i “gendarmi di Ahmet Zogu” passati per in- dagare sul delitto nel tentativo di “impedire gli effetti del Kanun”:

– Andate tranquilli, – dicono i parenti del ragazzo morto – è una cosa che non vi riguarda, è una cosa che riguarda solo le nostre famiglie.6

Dunque il legame fra eventi privati ed eventi pubblici risponde ai binomi in- terno-esterno, vicino-lontano e il contatto della grande storia con le storie individuali è epidermico: come in un calendario l’appuntamento o l’evento privato chiosano la data senza che si stabilisca fra il numero e il fatto un rapporto intrinseco.

L’autrice d’altra parte rintraccia la responsabilità di questo dissidio nella tur- bolenza di una storia che si impone dall’alto come volontà dei potenti su un popolo che procede invece secondo tradizioni secolari:

Questo popolo, giustamente, non vuole capire. Ne ha viste tante di guerre, di governi, di leggi, ma grazie al Kanun la gente può regolare la vita intera.7

Il Kanun, il codice consuetudinario albanese la cui nascita risale al tardo Me- dioevo, regola la vendetta che la famiglia dell’ucciso può agire sui parenti maschi dell’uccisore risalendo fino al terzo grado. Per quanto il codice sia frutto di un’ideologia patriarcale, gerontocratica e vendicativa secondo Ibrahimi costituisce una fonte di diritto certa e radicata rispetto all’alternanza dei poteri politici e alla transitorietà delle loro regole. Ma la giustificazione di questo codice consuetudinario,

6 Ibidem. 7 Ibidem.

che ha lasciato spesso tracce feroci nel tessuto sociale albanese, non trova riscontro sul piano narrativo laddove l’autrice sceglie invece di raccontare un patto fra fami- glie che costituisce per l’appunto un’infrazione al Kanun. Il codice prevede infatti la possibilità del perdono, per altro quasi mai praticata, ma non della riparazione trami- te cessione di beni o denaro alla famiglia dell’ucciso. La scrittrice fornisce dunque un exemplum di risoluzione dei conflitti opposto a quello vigente e lo fa scegliendo una mediatrice donna, Meliha, che propone un patto basato sulla riparazione anticipando il passaggio da un diritto di natura feudale a una giurisprudenza contrattualistica e borghese.

Dopo questo evento gli anni si succedono senza che la grande storia lasci se- gno di sé sulla minuta storia di Kaltra. L’avvento del fascismo e l’alleanza di re Zog con Mussolini non vengono menzionati e nemmeno la seconda guerra mondiale sembra modificare la vita del paese azzurro se non fosse per due drammatici episodi: l’uccisione dei fratelli partigiani di Saba, figlia di Meliha e nonna dell’autrice, e il crollo di un aereo. All’inizio del Capitolo settimo Parte I, leggiamo: “I tedeschi sta- vano per arrivare. Fino a quel momento la guerra non si era tanto sentita, a Kaltra.”8

Ma in realtà il primo contingente straniero avvistato sarà italiano: tre soldati sorpresi a sguazzare nel fiume da nonna Saba mentre con le sue cognate è intenta al lavoro dei campi. Un episodio pacifico e, grazie ai reciproci fraintendimenti linguistici, bur- lesco. Mentre invece:

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Non si scherza con i tedeschi. Saba, ogni volta che racconterà il loro arrivo a Kaltra, proverà ancora il terrore di quel momento.

Racconterà che camminavano sempre diritti con il fucile in avanti. Che arri- vavano senza far rumore, ma già si sentiva il cambiamento dell’aria, e a guardarli in faccia un brivido freddo percorreva la schiena.9

Dall’arrivo dei tedeschi fino all’unica data esplicitata, il 1945, il raccordo fra gli avvenimenti paesani e il tempo della grande storia, è puramente deduttivo e pro- cede per approssimazioni. Innanzitutto i tedeschi arrestano i soldati italiani che dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre del 1943, da alleati sono diventati nemici del Reich. Le famiglie di Kaltra nascondono i soldati braccati e Omer, il marito di Saba, ne prende in casa due, Toniò e Oreste, un po’ per aiutarli ma anche per essere aiutato, visto che al lavoro preferisce le sbronze di grappa. I due manifestano la gratitudine per non essere stati consegnati ai tedeschi lavorando tutto il giorno per il loro ospite fino al 1945 quando tornano in Italia. 10

A questa storia di pietas verso il braccato si oppone il racconto dell’uccisione dei fratelli partigiani di Saba scesi dalle montagne per far visita alle mogli e alla vec- chia madre. Un ufficiale nazista irrompe con i suoi soldati nella casa avita dove i tre uomini stanno riabbracciando le donne e i figli. Dei tre Isan è il più felice perché ha scoperto che il suo incontro con la moglie, nove mesi addietro, ha dato inizio a una nuova vita: Behije è all’ultimo mese di gravidanza. Ma la felicità si converte in tra- gedia. Nel gruppo dei parenti l’ufficiale nazista individua come bersaglio proprio la

9 Ivi, p. 39. 10

Personaggi di soldati italiani che lavorano nelle famiglie contadine albanesi compaiono an- che ne Il generale dell’armata morta di Ismail Kadaré, Longanesi, Milano 2009, ma risultano figure servili e niente affatto integrate.

donna incinta, la afferra, la tiene sotto tiro per ottenere informazioni e, quando Isan reagisce alle sue provocazioni con uno sputo, la sventra con la baionetta. Infine sca- rica il mitra sui tre fratelli:

Behije non ha il tempo di guardare. Si trova per terra con le viscere fuori, anzi con il bambino fuori. Mette le mani per proteggerlo. Èl’ultimo movimento che fa. Una scarica di mitra la prende in pieno sulla fronte, sul corpo e sul bambino. La stessa scarica arriva pure ai tre fratelli.11

Il nome del delatore che ha avvisato il commando nazista rimarrà ignoto per anni finché il colpevole non lo confesserà in punto di morte. Si tratta di un membro del Fronte nazionale, ma la sentenza di Saba è assolutoria: “Non ha importanza, – di- rà – È stata colpa della guerra. Ci ha fatto diventare tutti delle bestie”12. Nonna Saba

usa il plurale perché sa che anche all’interno della sua famiglia si nasconde la memo- ria di un fatto spietato: sua sorella Bedena durante l’ultimo anno di guerra ha lasciato che le fiamme bruciassero i superstiti di un disastro aereo pur di arraffare l’oro rac- chiuso in delle casse cadute dal cielo:

Di quella notte Bedena non può cancellare i gemiti delle persone che brucia- vano lentamente incastrate tra i rami degli alberi. Erano ancora vive quando lei era arrivata insieme a tutta la famiglia del marito, sospiravano in idiomi sconosciuti chiedendo l’unica cosa che in quella situazione non aveva bisogno di traduzione. Ma l’aiuto che aspettavano era arrivato dopo tanto tempo, quando i loro corpi ormai era- no carbonizzati.13 11 Ivi, p. 45. 12 Ivi, p. 46. 13 Ivi, p. 111.

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Esempi di pietas e crudeltà verso lo straniero si consumano all’interno della stessa famiglia e nello stesso arco temporale quasi a sottolineare la centralità del libe- ro arbitrio fra le varie opzioni offerte dalla storia. All’origine della storia familiare si pongono dunque tre episodi, uno di natura privata e due di natura storica, destinati a modificare la vita degli individui con il loro carico di conseguenze sia economiche che morali. Il risarcimento tramite la cessione di terre alla famiglia del ragazzo ucci- so comporterà infatti per i Buronja il passaggio da una condizione di ricchezza a una condizione di precarietà ma valorizzerà un aspetto importante del codice etico inter- no a una famiglia che antepone le ragioni della vita alla statica conservazione dei propri beni. Negli altri due casi ci troviamo invece di fronte a episodi che fanno da cornice ad exempla di empietà: la violenza contro gli inermi e l’avidità dell’oro an- che a costo della vita altrui. Nella narrazione della Ibrahimi anche il dato storico in- clina a una funzione etica giacché popoli e individui che sono stati protagonisti di violenza sono poi accomunati nella sconfitta che, data per scontata nel caso dei tede- schi, viene invece evidenziata nel destino esistenziale di Bedena madre di una figlia ritardata.