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Cap IV Sant’Antonio Abate

3. Il territorio della parrocchia di Sant’Antonio Abate

Per tracciare il perimetro del distretto parrocchiale di Sant‟Antonio Abate, con le riserve che nella premessa sono state specificate, sono stati enucleati i riveli di coloro che dichiaravano di appartenere alla parrocchia e risiedevano effettivamente in immobili di cui erano proprietari.

Sul supporto planimetrico tracciato da Pietro Bardet, nella copia redatta da Giuseppe Daniele custodita a Palermo e, per le zone entro il perimetro murario col prezioso aiuto del rilievo cartografico eseguito da Gian Francesco Arena, sono state individuate le aree in cui ricadevano le suddette abitazioni. Le ubicazioni delle relative strade e contrade citate nei riveli hanno permesso di delineare i confini, o meglio, l‟area di pertinenza di ogni parrocchia. Si è già ricordato, infatti, il criterio secondo il quale si limitava l‟ambito di ciascun distretto. Si rammenta brevemente, pertanto, che il principio di riferimento era costituito dalle vie percorse dal parroco e dagli ingressi che su tali strade prospettavano. Ogni alloggio cui si accedeva attraverso un particolare percorso viario era incluso in uno specifico territorio parrocchiale, il che comportava, a volte, nelle zone di confine, la suddivisione di uno stesso isolato in più distretti. Non conoscendo la distribuzione interna degli immobili, è impossibile determinare con assoluta precisione le linee di confine. È altresì possibile individuare con ampia attendibilità l‟area di pertinenza di ciascuna parrocchia e le strade che competevano a ciascun parroco, con alcune riserve esclusivamente per gli immobili ubicati nelle zone di passaggio tra un territorio parrocchiale e quello limitrofo.

I dati offerti dai riveli risultano nel complesso largamente attendibili. Nonostante ciò appaiono certamente alcune incongruenze che non mancheremo di sottolineare e analizzare.

Le riserve riguardano sette denunce intestate rispettivamente a Placido Bellassai, ad Anselmo Luvarà, a Filippo Manganaro, all‟oratorio dei Santi Simone e Giuda nel convento di San Girolamo, a quello del Santissimo Rosario, nel convento di San Domenico, alla chiesa di Santa Maria della Neve sotto titolo di San Mercurio, alla chiesa di Santa Maria dell‟Agonia, detta anche dei Tre Re, appartenente al clero greco e alla chiesa di San Bartolomeo dei Conciatori di Cuoio.

Placido Bellassai dichiarava di abitare nella Strada Nuova e nella contrada di San Placidello. Le due informazioni sembrano apparentemente in contrasto: con il toponimo strada Nuova si designava all‟epoca la via Austria, così denominata in onore del viceré don Giovanni d‟Austria, vittorioso comandante della flotta di Lepanto. Tralasciando i commenti sulla forte capacità dei toponimi di conservarsi inalterati nel tempo -dopo due secoli l‟appellativo di “nuova” si accompagnava ancora costantemente alla strada realizzata nel Cinquecento- è opportuno cercare di chiarire le indicazioni contraddittorie che ci giungono dal rivelo di Placido Bellassai. La strada Nuova o Austria, importante arteria urbana che collegava, anche visivamente, la piazza della cattedrale con il Palazzo Reale, non era vicina alla contrada di San Placidello; quest‟ultima prendeva il nome dalla chiesa di San Placido, poi Santa Maria dell‟Indirizzo, ubicata nei pressi della porta Eustachia; si tratta presumibilmente di una imprecisione del compilatore che attribuì la denominazione di strada Nuova, con la quale si designava tradizionalmente la via Austria, anche alla strada Cardines,

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anticamente della Giudecca, perché essa fu parimenti oggetto di interventi durante il XVI secolo, quando questa area della città fu interessata dall‟ ampliamento della cinta difensiva. La zona in cui ricadeva l‟abitazione di Placido Bellassai doveva essere in ogni caso al confine tra i due distretti parrocchiali di Sant‟Antonio Abate e di San Nicolò dell‟Arcivescovato. Infatti, la strada della Giudecca, in altre denunce della stessa serie associata al toponimo di San Placidello, è inserita nel

quartiero di San Nicolò l‟Arcivescovato121; la piazza della Giudecca, tuttavia, ricadeva nel limitrofo distretto. Rimane pertanto il dubbio dell‟appartenenza di Placido Bellassai all‟una o all‟altra parrocchia, anche se si ritiene del tutto congruente l‟inserimento nel territorio di Sant‟Antonio Abate.

Non ha permesso risultati utili la ricerca sulle proprietà limitrofe: il confinante di Placido Bellassai, Andrea Ricciari dichiarava di essere parrocchiano di San Lorenzo (tuttavia Andrea Ricciari non ha denunciato Placido Bellassai come proprio confinante in alcuna delle proprietà a sé intestate). Il secondo caso ha, invece, trovato immediata soluzione: con certezza il bene dichiarato dal rivelante era incluso nel territorio di San Leonardo. A quest‟area apparteneva, infatti, l‟immobile in cui abitava Anselmo Luvarà, nel teatro marittimo, presso la Porta di Coculi (o dei Cannizzari). La proprietà del confinante Carlo Chiarello, in San Leonardo, ne costituisce la prova. L‟errata inclusione nella circoscrizione di Sant‟Antonio Abate è da imputare ad un semplice errore materiale o ad un mancato aggiornamento dei dati amministrativi relativi alla residenza. L‟unico motivo per giustificare l‟appartenenza a questo distretto è offerto, infatti, da Pietro Luvarà, fratello di Anselmo, che affittava un appartamento nella strada del Collegio dei Gesuiti intestato a Giuseppe, Ottavio e Francesca Porco122. L‟alloggio, di sei camere, con porticato, magazzino e tre balconi di ferro, valutato 385 onze, ricadeva con certezza nella circoscrizione di Sant‟Antonio Abate e poteva fungere da abitazione per i fratelli Pietro, Anselmo e Letterio Luvarà che vivevano insieme, denunciando un nucleo di complessive cinque persone.

Il terzo caso dubbio riguarda Filippo Manganaro che abitava nella strada della vinella detta la Manna e dichiarava di appartenere alla parrocchia di Sant‟Antonio. In realtà questo toponimo era in genere associato al segmento più settentrionale della Magistra Ruga che attraversava da nord a sud la città assumendo varie denominazioni a seconda dei tratti; via della Manna nei pressi della chiesa di Santa Maria la Porta, via dei Torciari, via dell‟Uccellatore, dei Gentiluomini, della Correria, dell‟Albergaria e Sant‟Antonio123

. Il tratto denominato strada della Manna era pertanto diametralmente opposto all‟area di Sant‟Antonio e ricadeva nella circoscrizione parrocchiale di San Leonardo. Tuttavia esisteva un vicolo, chiamato della Manna, situato nei pressi della Giudecca124. Si tratta, senza dubbio, della vinella cui fa cenno il rivelo, confermato, in altre denunce della stessa serie. Nessun riscontro certo è scaturito dalla verifica dei confinanti Domenico Scimone e Marcello Randazzo. Quest‟ultimo aveva una casa a tre appaltati in contrada di San Mercurio125

, zona attigua alla Giudecca. In ogni caso l‟individuazione del toponimo associato al quartiere della Giudecca, rende compatibile l‟inserimento di Filippo Manganaro nella parrocchia di Sant‟Antonio.

Gli altri riveli fonte di perplessità riguardano istituzioni religiose: l‟oratorio dei Santi Apostoli Simone e Giuda nel convento di San Girolamo126, l‟oratorio del Santissimo Rosario nel convento di San Domenico, la chiesa di Santa Maria della Neve, sotto titolo di San Mercurio, la chiesa di Santa Maria dell‟Agonia, e la chiesa di San Bartolomeo dei Conciatori di Cuoio. Bisogna ribadire che la disamina dei riveli palesa con evidenza una maggior trascuratezza nelle denunce intestate ad istituzioni ecclesiastiche. Inserite per la prima volta nel censimento per ottemperare agli obblighi fiscali imposti dopo il concordato tra il pontefice Benedetto XIV e il governo borbonico, queste

121 ASP, Fondo Deputazione del Regno, vol. 3460, ff. 46v-47. Si tratta del rivelo del Monastero dello Spirito Santo che possedeva una casa grande appalazzata…in tre appaltati…nella strada della Giudeca, detta S. Placitello, e

nel quartiero di San Nicolò l‟Arcivescovato…

122 ASP, Fondo Deputazione del Regno, vol. 3420, f. 134v

123 Cfr. P. BRUNO; C. ARDIZZONE, Stradario storico della città di Messina, Messina, 1963, pp. 65-66 124

ASP, Fondo Deputazione del Regno, vol. 3452, f. 127 125 ASP, Fondo Deputazione del Regno, vol.3436, f. 343 126 Cfr. C. D. GALLO, Annali, Apparato, op. cit., p. 143

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dichiarazioni appaiono a volte incomplete e imprecise, oltreché tardive. Non poche di esse risultano consegnate tra il 1752 e il 1757, cioè parecchi anni dopo l‟avvio ufficiale della numerazione di anime e beni. Inoltre non tutti gli enti religiosi figurano censiti. Con questa premessa si esamineranno le dichiarazioni ritenute poco attendibili, escludendo l‟aspetto della fiscalità e limitandoci esclusivamente al dato urbanistico, cioè all‟appartenenza o meno al distretto parrocchiale.

L‟oratorio dei Santi Simone e Giuda, ad esempio, non ricadeva, come dichiarato, nel territorio di Sant‟Antonio Abate. Situato entro il convento di San Girolamo, ubicato a sua volta nella circoscrizione di San Nicolò dell‟Arcivescovato, non poteva appartenere alla parrocchia di Sant‟Antonio, così come specificato nel rivelo del procuratore, il sacerdote Antonino Crea. In realtà, quando la denuncia fiscale era intestata ad un delegato con funzioni di amministratore, la parrocchia specificata nel rivelo era quella cui apparteneva il procuratore stesso, in alcuni casi non coincidente con il territorio in cui ricadeva l‟istituzione religiosa. Ne è un esempio lampante la dichiarazione dell‟oratorio di San Francesco alle Stimmate, o dei Mercadanti, presentata dal procuratore Placido Piccolo127. Il luogo di culto apparteneva senza ombra di dubbio alla circoscrizione di Sant‟Antonio, ma il corrispondente rivelo è contrassegnato dalla chiosa S.

Leonardo. Il canonico Placido Piccolo, in effetti, viveva con i fratelli Alessio, decano, e Diego,

sacerdote, in un palazzo del teatro marittimo presso la porta dei Cannizzari128, censito nel territorio di San Leonardo.

Il convento di San Domenico, per lo stesso motivo, offre dei dati contrastanti tanto da immaginarlo diviso tra due distretti parrocchiali: la chiesa e l‟area conventuale erano, secondo il rivelo presentato dal priore fra‟ Tommaso Fabioni, ubicate nel distretto di San Lorenzo; l‟oratorio del SS. Rosario, posto dentro il chiostro insieme alle altre cappelle, sedi di confraternite, era denunciato dal procuratore, lo stesso sacerdote Antonino Crea; questo rivelo era contrassegnato dalla chiosa

Sant‟Antonio Abate, sull‟ultimo foglio.

Tali affermazioni meritano una riflessione più approfondita in merito al convento di San Domenico. La sede conventuale, come è ribadito dalla denuncia fiscale intestata al priore fra‟ Tommaso Fabioni129, apparteneva al territorio di San Lorenzo, che tuttavia confinava con la circoscrizione di Sant‟Antonio.Non è del tutto inverosimile, quindi, che l‟ingresso all‟oratorio del SS. Rosario fosse indipendente e che, per la distribuzione degli ingressi sugli assi viari (in seguito si illustreranno le fonti documentarie che hanno permesso di individuare questo criterio già anticipato nei precedenti capitoli) appartenesse alla circoscrizione di Sant‟Antonio.

La possibilità di entrate distinte per l‟area conventuale e per gli oratori che si aprivano nel chiostro è suggerita dalla copia autentica della lettera proveniente da Roma inviata al priore del convento di San Domenico, fra‟ Eugenio Casalaina, dal cardinale Giustiniano il 3 febbraio 1582130

. In essa si ricorda l‟esistenza dentro il chiostro del convento di cinque cappelle, nelle quali una grande moltitudine di fedeli assisteva abitualmente alle messe. Il documento ne cita una in particolare, dedicata a San Giorgio, della nazione genovese. Le cappelle sopperivano alle dimensioni anguste della chiesa conventuale, definita picchola et incomoda. 131 Tuttavia la proibizione di far entrare le donne all‟interno dei monasteri di clausura, causata da un Breve ordinario pontificale, determinò l‟impossibilità di accedere al chiostro con conseguenti disagi. Seguì grande confusione, e molta

diminuzione del culto divino, massime nelle feste, per il gran concurso delle genti et la scomodità de la chiesa.132In ragione di ciò fu concesso il permesso di accedere al chiostro sia alle donne che

127 ASP, Fondo Deputazione del Regno, vol. 3450, ff. 181-181v 128

ASP, Fondo Deputazione del Regno, vol. 3450, f. 180v 129

Cfr. ASP, Fondo Deputazione del Regno, vol. 3457, ff. 297v-299v; si tratta dell‟addizione al rivelo, dove è specificata l‟appartenenza alla parrocchia di San Lorenzo.

130 Cfr. ASM, Fondo Corporazioni Religiose soppresse, vol. 104, Libro Nero del Convento di San Domenico, ff. 357-357v

131 Ivi, f. 357 132 Ibidem

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agli uomini, considerando quest‟area conventuale pars ecclesiae, ovvero aperta a tutti i fedeli133

. Dal chiostro in poi doveva, invece, essere rigidamente osservata la regola claustrale.

Per ciò che riguarda l‟oratorio del Santissimo Rosario si può ipotizzare la necessità di rispettare le suesposte esigenze. Otto anni prima della missiva inviata dal cardinale Giustiniano, cioè nel 1574, la confraternita dei Bianchi sotto titolo del Santissimo Rosario aveva avuto concessa una cappella all‟interno della chiesa conventuale. I confrati ottennero il permesso di costruire un nuovo altare e un nuovo edificio a condizione che contemplasse il sepolcro del defunto Giovanni Andrea de Pattis, tumulato nella chiesa e nella cappella loro temporaneamente affidata134. Il permesso fu accordato dal priore fra‟ Bartolo Mili il 12 dicembre 1574 al governatore della confraternita Tommaso de Pirroni ad effettu che in ditta cappella pozano ditti gubernatori qui pro tempore erunt alloro libitu

di volunta construere uno novo altare et quello edifitio che allora piacira supto il detto nome de Iddio et Nostro Signore Jesu Cristo cum questo che sotto detto altare mi resti il tumolo nel quale al presente vi è detto condam magnifico Joanni Andrea de Patti.135

Alla luce di quanto suesposto è possibile che, nel tempo, sia stato approntato un ingresso autonomo per la nuova cappella che ospitava il sepolcro di Giovanni Andrea Patti e l‟oratorio del Santissimo Rosario, meta di grande devozione per molti fedeli, in modo da consentire il rispetto delle regole claustrali. Altresì è possibile che i percorsi viari su cui gli accessi prospettavano determinassero l‟appartenenza a due distinte parrocchie, Sant‟Antonio Abate per gli oratori e il chiostro e San Lorenzo per il complesso conventuale. Questa circostanza, considerando la posizione della chiesa e dell‟adiacente chiostro nella cartografia storica136

, poteva verificarsi solo a una condizione: che l‟accesso all‟area della corte interna, in cui si aprivano le cappelle, avvenisse dalla strada, denominata via dei Librai, che fiancheggiava a sud il lotto del convento e aveva origine dalla piazza della cattedrale. Al contrario, l‟ingresso nell‟area strettamente conventuale doveva avvenire attraverso le strade che circondavano a nord e a ovest il complesso. Se con questa premessa si può giustificare l‟appartenenza a due diversi distretti parrocchiali, una siffatta interpretazione appare, tuttavia, forzosa. A metà del Settecento l‟intero complesso di San Domenico era incluso nel distretto di San Lorenzo. La spiegazione più ovvia è da cercare nella persona del procuratore, il sacerdote Antonino Crea, che risiedeva certamente nella parrocchia di Sant‟Antonio, indipendentemente dall‟appartenenza dell‟oratorio del SS. Rosario al territorio di San Lorenzo. Tuttavia Antonino Crea non è censito tra i singoli ecclesiastici proprietari di immobili e non ci è dato sapere dove abitasse.

Un altro ragionamento deve essere adottato per Placido Carnabuci, procuratore della chiesa di Santa Maria della Neve, sotto titolo di San Mercurio; il discorso è in questo caso diverso perché il rivelante specificava che il luogo di culto si trovava nel quartiere, o sìa parrochia di S. Antonio

Abbate. Inoltre Placido Carnabuci non abitava in questo distretto. Egli gabellava una casa nella

strada Nuova, proprio all‟incrocio con la via Cardines, intestata ad Antonio Ruffo Moncada, principe della Floresta137. L‟alloggio, di due vani e bottega, era valutato cento onze e ricadeva sicuramente nella circoscrizione di San Nicolò dell‟Arcivescovato. La parrocchia denunciata nel rivelo della chiesa di San Mercurio era, pertanto con certezza, quella cui apparteneva l‟edificio di culto per il quale il Carnabuci svolgeva le funzioni di procuratore.

L‟edificio di culto, in ogni caso, si trovava al confine tra le due circoscrizioni. Altre fonti indicano un possibile passaggio dall‟uno all‟altro distretto nel corso degli anni. Ad esempio lo stato delle anime rinvenuto nell‟archivio di San Nicolò dell‟Arcivescovato che specifica tra i quartieri

133 Ibidem; tuttavia nel documento si specificano le occasioni in cui tale permesso era concesso. Esse riguardavano le processioni nel nome di Dio e del Santissimo Rosario e la partecipazione alle messe durante le feste delle cappelle, dal primo vespro fino al tramonto del sole del giorno seguente.

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Cfr. ASM, Fondo Corporazioni religiose soppresse, vol. 104, Libro Nero del Convento di San Domenico, ff. 56-61

135 Ivi, f. 57v 136

Cfr. N. ARICÒ, Cartografia, op. cit., pp. 91-93 (planimetria di Gian Francesco Arena ); la chiesa e il convento di San Domenico sono identificati dal n.66

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appartenente alla propria circoscrizione, nel 1788, quello di San Mercurio138. Tuttavia, in questa data, erano già intervenute delle modifiche dei confini tra le circoscrizioni parrocchiali, provocate dal terremoto del 1783. Ancora, per tornare al conteggio di anime e beni del 1748, si citano alcune denunce di residenti in prossimità della chiesa. Ad esempio, Francesco Insigneri che abitava in una casa di sua proprietà nel piano di San Mercurio139, era inserito tra i parrocchiani di San Nicolò dell‟Arcivescovato. Stessa dichiarazione giungeva da uno dei confinanti di Placido Bellassai, Domenico de Simone140, che denunciava una casa a due appaltati nella contrada di San Mercurio e nel cortiglio di Pitonti, definita sua abitazione.

L‟ambiguità delle fonti per un‟area di confine tra i due distretti parrocchiali non può fornire verità inoppugnabili. Tuttavia, in mancanza di dati certi che neghino l‟inserimento nel distretto di Sant‟Antonio sono state ritenute attendibili, con le dovute cautele suesposte, le affermazioni del Carnabuci.

Analoghi dubbi sono riferibili al rivelo della chiesa di Santa Maria dell‟Agonia, o dei Tre Re, presentato da don Giuseppe Vinci, in seguito protopapa del clero greco. Questo luogo di culto è inserito dal Buonfiglio, che lo definisce l‟Agonia Vecchia, a canto cui è l‟altro detto di Nostra

Donna della Sanità141…, tra gli edifici appartenenti al territorio parrocchiale di San Nicolò

dell‟Arcivescovato. Tuttavia, rispetto ai primissimi anni del XVII secolo, la conformazione urbana aveva subito importanti modifiche: l‟annientamento del quartiere Terranova, l‟abolizione della sua parrocchia, ridotta a semplice beneficio, e l‟inserimento del suo territorio ormai quasi disabitato, sotto la giurisdizione ecclesiastica di San Nicolò dell‟Arcivescovato, può aver causato variazioni dei confini parrocchiali. Non sarebbe strano, perciò, ammettere una lieve traslazione a est del distretto di Sant‟Antonio Abate, per compensare la vasta superficie annessa alla parrocchia di San Nicolò, che sebbene quasi priva di anime, includeva tutti i militari alloggiati nelle fortezze del Salvatore e della Cittadella. Al contrario, la chiesa di San Bartolomeo, sede della confraternita dei Conciatori di Cuoio, prossima all‟omonimo bastione, inclusa dal Buonfiglio tra gli edifici religiosi appartenenti al distretto di Sant‟Antonio Abate, è registrata dal corrispettivo rivelo142

tra i luoghi di culto inseriti nella circoscrizione di San Nicolò dell‟Arcivescovato.

Come ulteriore verifica le informazioni dei riveli sono state messe a confronto con la tradizione storiografica, in particolare con Giuseppe Buonfiglio Costanzo che in Messina Città Nobilissima ha dedicato il terzo e il quarto libro alla rassegna degli edifici religiosi seguendo l‟ordine di appartenenza al sito. Tuttavia i luoghi sacri censiti si limitano, in questo caso, all‟area intra moenia e non contemplano i borghi Zaera e Portalegni, sebbene essi vi fossero già inclusi. Per sito si intendeva il territorio di ciascuna delle dieci antiche parrocchie (l‟undicesima, San Nicolò dei Greci, non aveva un distretto di pertinenza e accoglieva tutti i fedeli di culto greco-cattolico, ovunque residenti in città).

Secondo il Buonfiglio la contrada di Sant‟Antonio143, ossia la zona sotto la giurisdizione di questa parrocchia, partiva dalle antiche fortificazioni con le porte di Sant‟Antonio e di Giano, comprendeva la strada che scendeva verso il duomo, dove si trovava a sinistra l‟oratorio di San Cataldo144 e più in basso, a destra, dove si univano i due assi viari che conducevano al duomo, il monastero basiliano del SS. Salvatore Philantropos. Seguendo il percorso che sulla sinistra era fiancheggiato dall‟archivio della corte stratigoziale, si giungeva alla corte dell‟Ascensione dove un tempo si trovava l‟omonimo monastero e dove, all‟epoca del Buonfiglio, si situava il piccolo

138 Cfr. Archivio di San Nicolò dell‟Arcivescovato, Il documento, in fogli sciolti, è contenuto all‟interno di una carpetta in cartone che arreca l‟intestazione Registrazione battesimi e matrimoni, n° 1, anni 1783-1842

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ASP, Fondo Deputazione del Regno, vol. 3427, f. 260v 140

ASP, Fondo Deputazione del Regno, vol. 3436, ff. 367v-368