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Cap IV Sant’Antonio Abate

1. Le notizie storiche e la cartografia

L‟antica parrocchia di Sant‟Antonio Abate sorgeva nelle vicinanze della Porta di Giano, non lungi

dalla piazza dello spedale1. Secondo il Gallo2 era la più amplia e popolata Pieve, perché oltre ad abbracciare una vasta porzione del territorio intra moenia, comprendeva due tra i quattro estesi borghi che circondavano la città: Zaera (o Ciaera) e Portalegni; gli altri, Buzzetta e San Leo erano rispettivamente inclusi nei distretti di San Leonardo e di Santa Maria dell‟Arco.

Procedendo da sud verso nord si incontrava il primo borgo che si estendeva per la lunghezza di un miglio, nell‟area urbana meridionale, tra le porte Imperiale e Zaera; quest‟ultima, eretta dal Senato nel 16713, era stata ideata come primo segno di una nuova cinta urbana, destinata ad includere entro la città murata l‟omonimo borgo, popolato all‟epoca da diecimila abitanti. Ancora era ignoto il destino non facile che attendeva la città: la rivolta antispagnola con le sue tragiche conseguenze, la peste del 1743, il terremoto del 1783, imposero una brusca svolta a qualsiasi disegno di ampliamento: la porta Zaera rimase solitaria icona di un progetto non attuato, testimonianza silente del declino che dalla fine del secolo XVII e per tutto il XVIII della città l‟intera città subì. Inevitabile il decremento demografico che vanificò qualsiasi intenzione di dilatare il perimetro murario.

Il secondo abitato extra moenia era chiamato borgo Portalegni dal nome della fiumara, detta anche delle Luscinie, dei Pizzillari, e, nel medioevo, di S. Philippus Parvus o lu Pichulu4, che attraversava a meridione la città. Il toponimo Portalegni faceva riferimento all‟antico jus lignandi che l‟università di Messina esercitava su questo luogo5. L‟ insediamento cominciò a svilupparsi a

sud-ovest, a ridosso delle mura urbane, tra la fine del XV secolo e i primi anni del XVI , e raggiunse in breve una popolazione di tremila anime. Le abitazioni furono edificate sui lotti concessi dal monastero di San Gregorio, proprietario di tutto il terreno6. Il borgo era definito dal Gallo bellissimo

e ameno con l‟aria più salubre che vi sia in tutta la città, chiamata Aria media dai fisici, non partecipando né del salino né del crudo, poiché dal mare è più d‟un miglio distante e lo stesso dalle selve…7

Il territorio extra moenia sotto la giurisdizione ecclesiastica della parrocchia di Sant‟Antonio Abate era, dunque, molto esteso. Nel 1607, dopo il decesso del rettore, l‟arcivescovo Bonaventura Secusio tentò di dividere l‟ampio distretto in tre parti, per assicurare un‟assistenza spirituale più efficace ai fedeli ma le ingerenze esterne sulle decisioni del presule erano in questi anni molti forti, tanto che il concorso bandito per le tre chiese andò deserto. Così il Secusio vide annullato il suo provvedimento dalla Sacra Congregazione, cui d‟altra parte l‟arcivescovo fu costretto a ricorrere in diverse occasioni per risolvere più di una controversia8. Sin dal Trecento, infatti, la chiesa

1 Cfr. V. AMICO, op. cit. , p. 84. La chiesa viene definita ampia e molto frequentata . Cfr. anche P. SAMPERI, op. cit., p. 44

2 C.D.GALLO - G.OLIVA, Annali, Apparato,op. cit., pp. 99-100 3

C. D. GALLO- G. OLIVA, Annali, Apparato, op. cit., p. 93

4 ASM, Fondo Notarile, vol. 8, not. L. Camarda, f. 308v, (30 dicembre 1472, VI indizione). Cfr. anche, per altre notizie sulla fiumara di Portalegni o S. Filippo il Piccolo M. GRAZIA MILITI, Vicende urbane e uso dello spazio a Messina

nel secolo XV, in AA. VV. , Antonello a Messina, ed. Di Nicolò, Messina, 2006, pp. 59-72

5

G. LA FARINA, Messina e i suoi monumenti, ristampa fotolitografica dell‟edizione del 1840, Messina, 1985, ed. GBM, p. 47

6C. D. GALLO, Annali, Apparato, op. cit. , pp. 99-100 7

Ibidem 8

Colgo l‟occasione per esprimere i miei più sentiti ringraziamenti alla dott.ssa CONCETTA MELLUSI, che mi ha gentilmente offerto in consultazione la sua tesi di laurea, La diocesi di Messina nelle relazioni <<ad limina>> del

primo Seicento, relatore prof. C. Magazzù, Università degli Studi di Messina, facoltà di Lettere e Filosofia, corso di

laurea in Società, Culture ed Istituzioni Europee, A.A. 2006-2007, pp. 38-39 e p. 66. A p. 86 è la trascrizione della relazione in merito all‟increscioso episodio: <<Insuper in eadem Messanae civitate, in qua ut dictum est, decem sunt

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messinese era stata protagonista di una grave crisi morale cui corrispondeva, però, un discreto potere economico e una posizione di forza della nobiltà cittadina9. Quest‟ultima sempre più era riuscita a penetrare nei vertici della chiesa peloritana attraverso esponenti del patriziato urbano, con scarse o nulle concessioni a chi tentava dall‟esterno di imporre qualsiasi autorità. La situazione del clero si aggravò nei secoli successivi; il quadro poco edificante dipinto dall‟arcivescovo Velardes si sofferma su religiosi dediti alla dissolutezza, all‟usura, al portare armi e <<altri gravi delitti>>10

. I presuli, pertanto, si videro più volte obbligati a comminare severe sanzioni disciplinari e coercitive tramite visite pastorali e sinodi diocesani. La grandissima circoscrizione di Sant‟ Antonio Abate rimase, dunque, nonostante i tentavi dell‟arcivescovo Secusio, indivisa. Ricadevano in quest‟ampia area diversi edifici religiosi monastici e conventuali o semplici luoghi di culto. La cartografia del Seicento e del Settecento illustra, a ridosso delle mura, i borghi sostanzialmente formati, con una consistenza edilizia non giustificabile se non facendone risalire la genesi ai secoli immediatamente precedenti; erano zone marginali rispetto al centro urbano che, tuttavia, risultavano intimamente legate alle dinamiche della città intra moenia. La germinazione spontanea lungo gli assi di penetrazione verso Palermo e verso Catania, costituiti dalle antiche vie consolari e dalle fiumare, pur confinandoli nell‟ambito di una cintura extra-urbana, condizionata dalla forte cesura delle mura, stabiliva un saldo, reciproco rapporto con la città intra moenia. Le comuni origini permisero in ogni caso, nel tempo, una diversificazione tra i borghi; ogni singolo insediamento mise in atto la vocazione precipua che conteneva in nuce11 . Il borgo Zaera era strettamente connesso alle percorrenze territoriali e agli interessi economici che scaturivano dai rapporti commerciali e artigianali, non dimenticando, allo stesso tempo, la vocazione agricola dell‟area, che includeva l‟ampia foce alluvionale del fiume Camaro. Il terreno, però, delimitato a sud-ovest dalla fiumara Zaera e a nord-est dalla fiumara di S. Marta, era solcato anche dalla fiumara S. Cecilia; era soggetto a continui allagamenti e spostamenti dell‟alveo dei torrenti e presentava una consistenza spesso paludosa12. Era prevalentemente dedicato, pertanto, alla coltura degli ortaggi nell‟ampia pianura antistante la costa, detta delle Moselle. In ogni caso risultò prioritaria, per la formazione del borgo, la rete di comunicazione viaria territoriale che ne costituì la trama principale: i percorsi di crinale per il valico dei Peloritani si incrociavano con l‟antico tracciato della consolare Valeria, il cosiddetto Dromo, che, nei pressi del torrente S. Cecilia, si biforcava in due rami. Il borgo nacque da questa forcella di strade, chiamata Le due Vie, sviluppandosi secondo un tessuto seriale a doppio pettine con caratteristiche prevalentemente artigianali e commerciali e continuando la sua espansione secondo una modalità lineare lungo l‟asse stradale del Dromo.Il borgo Portalegni, invece, era principalmente destinato alla coltivazione e allo sfruttamento agricolo delle ampie colline terrazzate; già agli inizi del Cinquecento, tuttavia, è attestata nelle vicinanze, sotto il colle del Tirone, anche una specifica attività artigianale, connessa alla presenza della terra argillosa e dell‟acqua della fiumara che favorì insediamenti di figuli13

. Il borgo si sviluppava altresì grazie al

earum plures habebat parochianos extra moenia, per aliquod spatium distans, habitantes et etiam intra moenia in maximo numero, quibus difficulter earum necessitati bus subveniri poterat, earum vacatione adveniente scilicet, quae sub titulo Sancti Antonii ob mortem rectoris fuit divisa, et erecta in tres Parochiales ad formam S.C. Tridentini, et pro singulis fuit propositum edictum ad concursuum qui ob non presentationem in tempore apud hanc sedem, suum non fuit sortitus effectum, sed Parochialis ipsa Sancti Antonii collata ab ipsa Sancta Sede nulla facta Mentione dictae divisionis, et divisio perseveraverit vita dicto predecessoris, adveniente tamen eiusdem omnia ad suum pristinum tempore vacatonis sedis redacta fuere, etc….>> Cfr. Archivio Segreto Vaticano, Sacra Congregazione del concilio, Relationes Diocesium, Messanem, , vol. 517 A, ff. 68r-72v

9 Crf. ENRICO PISPISA, Messina nel Trecento, Messina nel Trecento, in E. Pispisa, C. Trasselli, Messina nei secoli

d‟oro, Messina, 1988, pp. 255-256

10

Archivio Segreto Vaticano, Sacra Congregazione del concilio, Relationes Diocesium, Messanem, , vol. 517 A, ff. 55r-57v

11 ANTONINO AMATO, Studi per una storia delle strutture urbane dei borghi messinesi, in F. CHILLEMI, I borghi di

Messina. Strutture urbane e patrimonio artistico, Messina, 1994, pp. XIX-XLVIII

12

Ivi, p. XXVII

13 Cfr. NICOLA ARICÒ, Mestieri e spazio urbano a Messina nell‟epoca di Ferdinando il Cattolico, in Storia della città, n° 24, pp. 5-24 , ed. Electa, 1982

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percorso di valle che, inoltrandosi fino alla portella delle quattro Strade, consentiva il valico dei Peloritani. Si trattava di una viabilità di margine, rispetto all‟asse del Dromo, che tuttavia permetteva una comoda comunicazione di mezza costa. La valle ampia e pianeggiante, racchiusa tra due colline, era caratterizzata da un tessuto a maglia regolare di piccoli isolati14. Oltre questo ampio territorio extra moenia, la parrocchia governava una vasta area interna alle mura, impreziosita dai ricchi palazzi di città e dai molti luoghi di culto. Era pertanto, per la vastità del distretto che amministrava, per la quantità degli abitanti, per il prestigio di alcune residenze nobiliari, per il numero degli edifici sacri e civili che vi ricadevano, la parrocchia più importante in ambito cittadino o comunque, quella che meglio rappresentava la varietà del contesto urbano e peri-urbano.

Il Buonfiglio riconosceva la vetustà della chiesa di Sant‟Antonio Abate per l‟ubicazione sotto le

torri della vecchia fortificazione15 e il Pirro la definiva templum antiquissimum a quo nomen accipit Urbis Porta16. L‟antichità della costruzione è indirettamente testimoniata anche dal testamento di

donna Margarita, moglie di Roberto Caluria che nel 1395 legava …in reparatione et opera Sancti

Antonij Messanae tarenos septem et granos decem…17

La necessità di interventi di restauro già nel

XIV secolo indica che la fabbrica primitiva doveva risalire a tempi ancora precedenti. Nel periodo medievale la chiesa si trovava in posizione leggermente diversa rispetto all‟ubicazione accertata dal XVI secolo in poi. La costruzione del nuovo circuito difensivo avviata nel 1537 per volere di Carlo V ampliò il perimetro della città murata e inserì all‟interno della cinta difensiva l‟area del Tirone e parte della regione chiamata Campo Santo, in cui sorgevano numerosi edifici religiosi smantellati a causa dei lavori inerenti le nuove mura. La chiesa, attigua alla porta della città detta di Giano o

Jannò, subì le conseguenze di questo intervento: la sede fu leggermente traslata, pur rimanendo

nella stessa area, probabilmente nella stessa insula, vicino alle propaggini meridionali della

Magistra ruga. La parrocchia di Sant‟Antonio andò così ad occupare il sito su cui precedentemente

sorgeva la chiesa di Santa Maria del Rogadeo, con l‟annesso ospedale, non più operante perché riunito con gli altri luoghi di assistenza e cura nel grande complesso sanitario intitolato a Santa Maria della Pietà. Anche la sede ospitante doveva risalire al periodo medievale e, in ogni caso la nuova chiesa parrocchiale qui costruita nel XVI secolo, fu condizionata dal precedente assetto: alcuni elementi, quali le piccole dimensioni e l‟orientamento sembrano testimoniarlo.

Queste trasformazioni urbane si verificarono nel corso di alcuni anni a partire dal 1537 in poi e riguardarono non solo l‟area sud-occidentale della città, in cui ricadeva la parrocchia di Sant‟Antonio Abate, ma anche il restante territorio posto nella zona sud-orientale, cioè il quartiere di Terranova, che fu incluso entro il nuovo circuito murario.

L‟estensione del territorio parrocchiale e le rendite di cui godeva il parroco erano ambite da coloro che aspiravano a diventarne rettori, tanto da suscitare insinuazioni nelle antiche cronache. Il racconto del Cuneo, che ci ha tramandato gli avvenimenti di Messina a cavallo tra il Seicento e il Settecento, non nasconde il desiderio di ottenere i ricchi proventi economici, legati all‟ampio distretto di Sant‟Antonio Abate, che avrebbe spinto il sacerdote Antonino Campis a ordire intrighi per diventarne curato. Eletto a questa carica nel 1702 con un operato imbrogliato e malfatto che gli consentiva di percepire li grassi frutti della parrocchia stessa18, morì secondo gli Annali del Gallo, in seguito ad una ferita da arma da fuoco esplosa da tale Placido Meo, precedentemente in contrasto con il sacerdote19. Si tratta solo di aneddoti che tuttavia sono indicativi per mettere in luce l‟estensione del distretto parrocchiale e la numerosa popolazione che ricadeva nel suo territorio,

14

Ivi, p. XXXV

15 Cfr. G. BUONFIGLIO COSTANZO, op. cit., p. 21v

16 Cfr. R. PIRRO, Sicilia Sacra disquisitionibus et notitiis illustrata, Panormi, ex typhografia Petri Coppulae MDCXXXXIV, p. 389

17

Cfr. ASM, Fondo Corporazioni Religiose Soppresse, Benedettini di San Placido Calonerò, vol. 118, ff. 279-282; in part. f. 281. Il notaio rispondeva al nome di Andrea Russi, i giudici erano Gregorio de Bufalo e Antonio de Stajti e i testimoni i presbiteri Joannes de Solano e Antonio Curucicta. L‟atto risale al 30 ottobre 1395, IV indizione

18

Cfr. G. CUNEO, Avvenimenti della Nobile Città di Messina, a cura di G. MOLONIA e M. ESPRO, Messina 2001, tomo 2°, p. 843. Si veda anche tomo 1°, p. 150 con altri riferimenti alla ricchezza della parrocchia.

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fattori dai quali dipendeva il ruolo importante, non solo per le abbondanti prebende, che la chiesa di Sant‟Antonio Abate svolgeva nell‟ambito cittadino.

Il suo antico sito è individuabile già nella cartografia del XVI secolo, nelle numerose incisioni che, tracciate sulla base dello stesso supporto, una veduta a volo d‟uccello eseguita nel 1554 da ignota mano fiamminga -le accentuate pendenze dei tetti, inconsuete alla latitudine di Messina, lo rivelano- furono riprodotte con minime varianti sia dalla scuola nordica che da quella italiana per circa tre secoli20. Così accade nella veduta di Antonio Lafrerj21, pubblicata in edizione laica e sacra, nelle incisioni di Braun e Hogenberg, di Matteo Florimi, dell‟Anonimo olandese edita a Leiden nel XVIII secolo e nei loro emuli. Nelle mappe del Lafrerj, così come negli altri esempi, il cartiglio con l‟indicazione dei 167 luoghi notevoli, contrassegnati ciascuno da un numero, permette di riconoscere, al numero 129, la parrocchia di Sant‟Antonio.

L‟impianto planimetrico dell‟edificio di culto, nella posizione che assunse dalla metà del Cinquecento in poi, è ravvisabile nel rilievo eseguito dall‟architetto Gianfrancesco Arena subito dopo il terremoto del 178322. Un elaborato scientifico, stavolta, nel senso più razionale del termine. Prodotto dell‟età dei Lumi e finalizzato alla ricostruzione della città colpita dal sisma. In questa pianta l‟edificio, indicato dal numero 46, è posto sul cantonale di un isolato che accoglieva anche la chiesa e il convento di Sant‟Anna dei Padri del terzo ordine di San Francesco. L‟abside era rivolta verso il mare e l‟ingresso si affacciava su un piccolo slargo contiguo alla piazza Sant‟Antonio23 che interrompeva la strada dell‟Albergheria poco prima del torrente Portalegni.

Il piano antistante la chiesa era stato scelto per concludere le celebrazioni in onore della Vergine, protettrice di Messina, nel giorno in cui l‟intera comunità, con sontuosi apparati, festeggiava la patrona; una volontà che indica, in chiave simbolica, il ruolo di sicuro prestigio che questa parrocchia, con il suo distretto, assolveva nel contesto urbano.

Nei pressi della piazza Sant‟Antonio, infatti, il giorno dell‟Assunta, si concludeva la corsa,… nella

strada principale che per lungo divide la Città, del più famoso Palio che sia in Sicilia. Con queste

parole il Samperi ricordava le feste che si svolgevano a Messina per Mezz‟agosto in onore della Vergine, che secondo antichissima tradizione, vigilava sul luogo e sull‟intera comunità. I vincitori erano premiati dal Senato…che siede(va) come in Tribunale dirimpetto alla Pieve di Sant‟Antonio,

ò in altro commodo Palazzo24…

La chiesa, a dispetto del grande territorio che amministrava, doveva avere dimensioni piuttosto modeste. All‟interno si conservavano la tela di Simone Comandè, raffigurante Sant‟Antonio Abate e due dipinti di Giuseppe Porcelli: la Natività sull‟altar maggiore e le Sante Donne ai piedi della Croce25.

L‟antichità dell‟edificio, ricostruito nel Cinquecento ma su mura medievali, rimaneggiato in più occasioni, rappresentò senza dubbio un fattore di rischio per la sua stabilità strutturale, in un‟area da sempre particolarmente colpita da eventi sismici. I danni apportati dal terremoto del 1783, furono, infatti, ingenti e compromisero gravemente questo antico luogo di culto. Dopo il sisma il titolo parrocchiale fu assegnato alternativamente alle chiese di Tutti i Santi26 e della Madonna dei Sette Dolori27.

20

Cfr. N. ARICÒ, Segni di Gea, grafie di Atlante. Immagini della Falce dal VI secolo a.C. all‟epifania della Cittadella, in DRP n° 4, La Penisola di San Ranieri. Diaspora dell‟origine, Rassegna di Studi e Ricerche, Messina, 2002, pp. 19- 88. Si vedano in part. le pp. 35-46. Cfr. anche, dello stesso autore, Appunti per una storia iconografica della città. Le

incisioni (secoli XVI- XVIII),in Nel Mediterraneo una Città e un‟Isola: Messina e la Sicilia, Assessorato regionale dei

Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione, Messina, 2003, pp. 33-45

21 ANTONIO LAFRERJ, La nobile città di Messina, edizione laica, Roma, 1567; edizione sacra, Roma, 1571(?) 22 Cfr. N. ARICÒ, Cartografia, op. cit.; si vedano in part. le pp. 82-83

23

Conosciuta anche come piano delli Toppari; cfr. G. CUNEO, op. cit., tomo 1°, pp. 233-234 24

Cfr. P. SAMPERI, op. cit., pp. 50-51 25 C.D. GALLO, Annali, Apparato, cit., p. 100

26 La chiesa di Tutti i Santi era in origine annessa all‟ospedale della Madonna del Rogadeo, citato nell‟elenco dei nosocomi di Messina redatto dal Buonfiglio prima che fossero riuniti, nel 1542 a costituire il Grande Ospedale di Santa Maria della Pietà.(Cfr. G. BUONFIGLIO e COSTANZO, op. cit, p. 37) La chiesa, mantenuta in funzione, divenne allora sede della confraternita degli sciabacoti, venditori al dettaglio di pesce. La denominazione di Tutti i Santi è legata

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Successivamente all‟altro catastrofico terremoto del 1908, che distrusse anche le due precedenti sedi ospitanti, il titolo parrocchiale fu trasferito inizialmente nella struttura provvisoria approntata sulle macerie della chiesa di Gesù e Maria del Selciato28, infine nel nuovo edificio di culto appositamente costruito in corso Cavour (secondo comparto dell‟isolato 328/A), sulla stessa area dove sorgeva il complesso guariniano dell‟Annunziata dei Teatini, danneggiato dal sisma.

2. I residenti nel territorio di Sant’Antonio Abate e il loro patrimonio immobiliare nel