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La realtà particolare della diocesi messinese era molto complessa: qui, infatti, erano compresenti l‟Arcivescovo e l‟Archimandrita63

, ognuno a capo di specifiche entità territoriali e religiose. Vi era, inoltre, il Protopapa, preposto alla guida delle chiese cattoliche di rito orientale, ovvero dei luoghi sacri destinati al culto per la consistente etnia greca presente in città.

L‟Archimandritato di Messina ebbe origine nel XII secolo con il Conte Ruggero che, secondo la tradizione, volle edificare un monastero nel braccio del porto, nel luogo in cui, all‟inizio della sua campagna militare, aveva scorto impiccati dai Saraceni dodici cittadini64. La natura simbolica del racconto è già stata messa in luce e ribadita da Federico Martino65. L‟erronea ubicazione dello sbarco rispetto alle descrizioni del Malaterra66 e il numero dodici che richiama quello degli Apostoli suggellano una precisa volontà di dare avvio alla seconda conversione cristiana dell‟Isola proprio da un luogo, la falce, carico di sacralità mitica. La cronaca messinese rivestì di un‟aurea simbolica la realtà che si concretò nella edificazione del cenobio. Il monastero fu affidato ai monaci basiliani e fu ingrandito e abbellito dal re Ruggero, figlio del conte, che lo eresse ad archimandritato. La sua giurisdizione si estese a molti cenobi della Sicilia e della Calabria e questa vastità di domini preparò l‟erezione della vera e propria diocesi archimandritale propriam, distinctam, et separatam a quavis

alia Diocesi, consistem in locis, terrisve, seu oppidis…,67

sancita il 23 marzo 1635 dal Breve di papa Urbano VIII. L‟istituzione ufficiale nel XVII secolo di questa nuova diocesi, sorta in seno al

61 Ivi, p. 729 62 Ivi, p. 768 63

Cfr. A. GALLO, Somma per ordine alfabetico delle principali materie contenute nei quattro libri del Codice

Ecclesiastico Sicolo,Palermo, Stamperia militare Carini, 1883, pp. 3-4. Qui, alla voce Archimandrita di Messina si

legge: Assume questa denominazione il Prelato del Monastero del SS. Salvatore di quella città, a Mandra avendo sotto

la sua giurisdizione molti altri monasteri dello stesso ordine di rito greco, sua dignità vescovile, ed esercita la sua giurisdizione su tutti i luoghi che compongono la sua Diocesi, distinta da quella dell‟Arcivescovo di Messina: è un Prelato Nullius. Dipl. 234 e seg., p. 174 del libro II e nota 171, p. 241

64 Cfr. G. BUONFIGLIO COSTANZO, Messina città nobilissima, ristampa fotolitografica dell‟edizione veneziana del 1606 con introduzione, tavola delle cose notevoli ecc. a cura di Pietro Bruno, Messina, ed. GBM, 1985, ff. 5v-6; C. D. GALLO, Gli annali della città di Messina, Apparato, Messina, tipografia Filomena, 1877-1892, pp. 217- 220; P. SAMPERI, Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria protettrice di Messina, riproduzione anastatica dell‟edizione messinese stampata da Giacomo Matthei nel 1644, Messina, ed . Intilla, 1991, pp. 584-586 65 Cfr. F. MARTINO, “…ad brachium sancti Raynerii portus civitatis se contulerunt…”La falce di Zancle e la

palingenesi cristiana della Sicilia medievale, in DRP, Dipartimento di Rappresentazione e Progetto, rassegna di studi e

ricerche, n. 4, 2002, a cura di N. ARICÒ, pp. 155-166; si veda in part. p. 159

66 Cfr. M. AMARI, Storia dei musulmani in Sicilia, seconda edizione a cura di C. A. NALLINO, Catania, 1935, pp. 63-64 e bibliografia ivi citata

67

Cfr. ROCCO PIRRO, Sicilia Sacra disquisitionibus et notis illustrata, Arnaldo Forni ed., Sala Bolognese, 1987, ristampa anastatica dell‟edizione palermitana del 1733, libro IV, p. 995; sul monastero del SS. Salvatore in lingua Phari si vedano le pp. 971-1001, libro IV

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territorio dell‟archidiocesi, non mancò di creare vari conflitti giurisdizionali nel corso dei secoli tra gli arcivescovi e gli archimandriti68. Entrambe le cariche con i rispettivi possedimenti erano presenti pertanto nel territorio durante il Settecento69, periodo che vide inasprirsi le note polemiche ma, di fatto, anche in precedenza abbiamo notizia di contese tra le due prelature. Le gravi incomprensioni che si verificarono nel XV secolo tra l‟archimandrita Salvatore Leonzio Crisafi (1468-1503) e l‟arcivescovo Jacopo Tedesco (1450-1473), alla morte di quest‟ultimo spinsero il Capitolo della Cattedrale ad eleggere come successore l‟archimandrita, nel tentativo di unificare le due cariche e dirimere una volta per tutte le controversie70. Tuttavia l‟elezione non fu approvata né dalla Santa Sede né dal re. Nota è la lite intercorsa alla fine del XVI secolo tra l‟arcivescovo Antonio Lombardo e l‟archimandrita Niccolò Stizzia che indusse quest‟ultimo a istituire un proprio seminario71

e che fu risolta con la sentenza emanata da Roma Oppida omnia archimandritalia alterius esse ab

Archiepiscopali Dioecesi. Altro periodo di accese dispute fu coincidente con il governo ecclesiale

dell‟arcivescovo Migliaccio (1698-1729); più volte, nelle relazioni triennali che ogni diocesi doveva far pervenire alla Santa Sede, egli si lamentò delle ingerenze dell‟Archimandrita e chiese un intervento del pontefice per far cessare quelli che considerava veri e propri abusi. Il primo cenno a queste gravi incomprensioni è presente nella trentottesima relazione, compilata nel 1701, inviata il 16 marzo dell‟anno successivo e presentata il 27 maggio del 170272

. Le lamentele riguardano l‟esenzione ottenuta per privilegio apostolico e regio della visita di ricognizione da parte dell‟arcivescovo alle terre dell‟archimandrita, carica di cui all‟epoca era investito Pietro Filippo De Berlis (1695-1703) e della mancata consegna del donativo in cera, olio e incenso necessario per impartire ai fedeli abitanti nelle terre dell‟Archimandrita il sacramento della confermazione nonché per ordinare i sacerdoti e approvare i confessori indicati da quest‟ultimo in base ai costumi morali e agli altri requisiti richiesti. Da questi fatti emerge l‟accusa rivolta all‟archimandrita di essersi appropriato dell‟ olio sacro necessario per i suoi sudditi dal tesoro metropolitano e di fregiarsi di una serie di prerogative – visita annuale alle chiese e al clero, ordinazione dei confessori, scelta dei cantori per le celebrazioni – che spettano esclusivamente all‟arcivescovo. Per questi motivi il Migliaccio, che sottolineava la qualità di beneficio simplex assegnato all‟abbazia del S. Salvatore,

68

Cfr. S. CHIMENZ, L‟archidiocesi di Messina nelle sue origini, in (AA.VV.) L‟archidiocesi e

l‟Archimandritato di Messina,Messina, 1963, pp. 47-48

69 Ivi, p. 48 . Nel XIX secolo il Breve pontificio (31-8-1883) di Leone XIII, pur mantenendole distinte, riunì le due cariche nella persona del cardinale Guarino, già arcivescovo di Messina, che il 6 Agosto 1884 prese possesso anche della sede archimandritale.

70 Ivi, p. 38 71Ivi, p. 48 72

Cfr. Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano, Fondo Congregazione del Concilio, Relatio Diocesium, vol. 517 B, ff. 304-313v. ; ff.306-306v…Archiepiscopus Messanensis habet sub se tres Episcopos suffraganeos, nempè

Cephaludensem, Pactensem et Liparensem. Est quoque suffraganeus Magnus Abbas Sanctissimi Salvatoris, Archimandrita nuncupatus, qui jurisdictionem spiritualem in omnibus, et temporalem in aliquibus ex huis oppidis exercet, quae sunt Savoca cum suis ruribus, Alì, Fortia de Agrò, Casale Vetus, Itala, Mandanicius, Casale Salicis, et Oppidum Sancti Angeli ; qui quidam Archimandrita subditus erat Archiepiscopo Messanensi, in cuius Dioecesi Habet praedicta loca, et eiusdem Archiepiscopi regimini, directioni, et correctioni subiacebat, postea vero ex Apostolico et Regio Privilegio factus est exemptus cum onere solvendi Ecclesiae Messanensis jure recognitionis quadam Cerae, et Olei, et Thuris quantitate olim Archiepiscopus Messanensis, fideles oppidorum jurisdictionis Archimandritae sacro Crismate confirmabat, et Confessarios approbabat, clericos ad ordines promuovebat, habita tantum attestatione ab ipso Archimandrita circa mores, et alia requisita ; at vero post eius exemptionem ab omnibus cessatum est, et id circò clerici de dicta jurisditione pro ordinibus suscipiendis recurrunt ad istam Sanctam Sedem Apostolicam, a qua literas in forma Brevis impetrant viciniori episcopo directas, a quo ordinantur, vel dimissiorias recipiunt, ut ab aliis Episcopis ordinentur, numquam autem Archimandrita dimissioriales literas ausus est expedire, sacra olea pro suis subditis necessaria a Thesaurario Metropolitanae recipit. Hic pro meae coscientiae exoneratione adnoto, quod jam temporibus elapsis talis Abbatia a Sacra Congregatione fuit declarata Beneficio simplex sine cura Animarum, qua stante quomodo, et quo titulo Archimandrita Confessarios ad Confessiones audiendas approbare valeat nescio, quade causa annuatim Ecclesias et clerum visitet, illosque, quo ad Missarum caeremonias examinet, concinatoribus facultatem concionandi prestet ? Hos arbitrios Sanctitatis Vestrae, ut de opportuno remedio, et saluti animarum provideat remicto ; De jure enim haec omnia ad me meosque successores absque dubio spectant…

32 sine cura animarum, chiedeva alla Santa Sede precise direttive. Si deve dedurre che il Pontefice non

inviò alcuna risposta esauriente perché i toni della polemica si inasprirono e rimasero tali per oltre due decenni. Nella relazione triennale inviata dall‟Arcivescovo Migliaccio alla Santa Sede il 16 novembre 1709 e consegnata esattamente un anno dopo, le accuse rivolte all‟archimandrita Ascanio Gonzaga, in carica dal 1703 al 1724, riguardano il tentativo di esercitare la cura delle anime nell‟intera penisola di San Raineri che delimita il porto e sulla quale si trovano due roccaforti reali, la Cittadella e il forte San Salvatore, oltre alla Lanterna montorsoliana. Secondo le aspre parole dell‟Arcivescovo, l‟archimandrita pretendeva di impartire i sacramenti del battesimo, del matrimonio, della confessione, dell‟estrema unzione e di distribuire la comunione durante la Pasqua agli abitanti di quest‟area, sia ai residenti nelle fortezze regie che a coloro che dimoravano nelle poche case sparse qua e là73. Le stesse accuse e lamentele si ripetono in tutte le successive relazioni redatte dall‟arcivescovo Migliaccio74

, a dimostrazione che la diplomazia della Santa Sede non desiderava prendere una posizione precisa in merito a beghe che considerava prettamente locali e di poca importanza e che, con un appoggio incondizionato al Metropolita, potevano esacerbare gli animi dei Greci cattolici, nonché creare problemi politici; ogni nomina a un ruolo di prestigio quale era l‟arcivescovo o l‟archimandrita, infatti, poteva contare su sostegni e protezioni di personaggi influenti e, evidentemente, era opportuno non creare malcontento. Questa politica fece sì che, dopo decenni di liti, l‟arcivescovo Migliaccio e l‟archimandrita in carica dal 1724, Silvio Valente Gonzaga, si impegnassero a stipulare un accordo, articolato in cinque capitoli fondamentali ma, poco prima della trascrizione ufficiale di questo “patto di non belligeranza”, il metropolita morì; abbiamo notizia di ciò dal suo successore alla guida dell‟arcidiocesi, Tommaso de Vidal (1730- 1743), che , nella relazione datata al marzo 1741, fa cenno alle liti non di poco conto, in fatto di giurisdizione, tra l‟arcivescovo suo predecessore e l‟archimandrita, per le quali la Santa Sede da tempo non prendeva decisioni, impegnando così De Vidal a giungere comunque a una transazione75.

Tralasciando le dispute tra le due prelature e nonostante la complessità della situazione locale lo studio dei testi sinodali elaborati a Messina in epoca post-tridentina76 conferma la suddivisione del territorio in ambiti parrocchiali con confini ben definiti e la nomina, per ciascuna circoscrizione, di un responsabile preposto alla cura delle anime. Tale era la raccomandazione del Concilio di Trento

73 Cfr. Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano, Fondo Congregazione del Concilio, Relatio Diocesium, vol. 517 B, ff. 342-359v; il brano riportato di seguito si riferisce al f. 346v: …Tertium denique quod magis urget est praedictum

archimandritam etiam in alienam messem falcem immittere adeo ut in populos mihi commissos suam velit estendere jurisdictionem; siquidem in illa huius urbis parte quae isthmum format et Brachium Sancti Ranerij vocatur, quod scilicet ad instar brachij totum portum amplectatur et claudat et illius loci incola Sanctus Eremita Raynerius face noctu accensa occurrebat navigantibus ad evitando vicinae Charibdis vortices. Hic in bines Arcibus Regijs, quae portum custodiunt, in Laemodochio, ac nonnullis in domibus sparsis in isthmo positis recenter intendit sacramenta ministrare baptismi, matrimonij, poenitantiae, confessarios istituendo, ac eucharistiae illam tam in Paschate tum infirmis dispensando, quos etiam estrema unctione corroborat, repugnantibus iure atque usu, cum nullus ex Archimandritis id sibi venditaverit…

74 Cfr. Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano, Fondo Congregazione del Concilio, Relatio Diocesium, vol. 517B; si tratta della relazione inviata il 16 luglio 1712 (ff. 362-369v, in part. ff. 362-362v), di quella del 1 agosto 1722 (ff. 404-420v, in part. ff. 407v-408) e di quella del 16 agosto 1726 (ff. 433-442v, in part. ff. 440-440v)

75 Cfr. Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano, Fondo Congregazione del Concilio, Relationes Diocesium, vol. 517B, ff. 480-499v, in part. f. 485v.

76

A Messina si tennero sinodi anche in epoca pre-tridentina. Ad essi si fa riferimento in alcuni diplomi della cattedrale di Messina. Cfr. STARABBA, (raccolti da A. AMICO), I diplomi della Cattedrale di Messina, in Documenti

della Società Siciliana per la Storia Patria, Serie I, Tabulari, Palermo 1876, vol. I, pp. 4, 72, 141, 154, 184. (opp. Prima

serie Diplomatica, vol. I, I diplomi della cattedrale di Messina raccolti da Antonino Amico pubblicati da un codice della Biblioteca comunale di Palermo e illustrati da Raffaele Starabba, Palermo, tip. Michele Amenta 1888. Si veda anche Archivio della Curia Arcivescovile e Archimandritale di Messina, carp. 143, Chiese e confraternite di Messina, fasc. 15, con una breve nota dattiloscritta sui sinodi di Messina degli anni 1088, 1123, 1131, 1179, 1221, 1313, 1329, 1365 e la trascrizione, anch‟essa dattiloscritta, del sinodo diocesano tenutosi nell‟anno 1329, tratta da un manoscritto del sec. XVII, catalogato Qq D. 47, n°13, conservato alla Biblioteca Comunale di Palermo. Per notizie generali cfr. anche S. CHIMENZ, op. cit., pp. 19-25; si veda in particolare p. 23

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rivolta a tutte le diocesi, tuttavia il già citato canone XIII, Sessione XIV77, lasciava un lieve margine di libertà alle singole circoscrizioni vescovili, consentendo loro di organizzarsi anche altrimenti se ciò si fosse rivelato più consono ad esigenze particolari di ogni luogo .

Nell‟ arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela la riforma Tridentina fu ovviamente applicata, perfezionando un regime di fatto già consolidato, con la conferma di una suddivisione in parrocchie, delimitate da confini territoriali precisi, alle dipendenze di un rettore stabile; furono così ribaditi alcuni principi già stabiliti da precedenti statuti. In generale, come si è visto nel precedente capitolo, i decreti dei concili ecumenici rivolti all‟intera comunità cristiana contenevano già in tempi antecedenti alla riforma tridentina indicazioni che furono perfezionate e ricevettero una definitiva organizzazione giuridica durante le sessioni del concilio di Trento. Anche nella diocesi messinese i canoni sinodali elaborati ben prima dello stesso concilio, anticipavano senza alcun dubbio alcuni temi sviluppati nel periodo della Controriforma. Ne sono eloquente esempio le costituzioni emanate durante il sinodo celebrato a Messina nel 1392 dall‟arcivescovo Filippo Crispi78. Strutturate in sessantanove articoli, stabilivano le regole da osservare nella diocesi e in tutte le sue chiese. È interessante notare che alcuni canoni di questo sinodo sembrano precorrere la volontà di un controllo puntuale sulla popolazione: vi si anticipano, in certo senso, i censimenti, effettuati in seguito tramite i registri parrocchiali. In particolare gli articoli sei e sette proibivano di impartire il battesimo, tranne in pericolo di vita del neonato, e di celebrare il matrimonio in case private. In questi divieti si dimostra la volontà di rendere ufficiali tali atti, attraverso il palese riconoscimento dell‟atto sacramentale da parte della comunità dei fedeli riunita nei luoghi di culto pubblici e vi è, implicita, la necessità di un controllo morale sulla popolazione che non può disgiungersi da quello demografico. Vi sono contemplati in nuce sia i censimenti, effettuati in seguito attraverso gli Stati delle Anime, sia la vigilanza sui costumi sociali e sull‟andamento demografico esercitata grazie ai registri parrocchiali, anche se non vi è traccia, negli statuti citati, dell‟uso di questi strumenti. Altrettanto significativo appare l‟articolo cinquantasei che recita:

Item volumus et mandamus, quod omnis Sacerdos, tam in civitate Messanae quam ejus Dioecesi curam habens animarum, residentiam faciat in ea, sub poena privationis dicti beneficii, prout jura canonica mandant, nisi eum detinuerit tamquam dispensatum.

L‟obbligo di ogni sacerdote preposto alla cura delle anime di risiedere vicino ai suoi fedeli era, quindi, già regola riconosciuta e applicata, pena l‟annullamento del beneficio stesso.

Ancor prima del 1392 un‟ altra disposizione dell‟arcivescovo di Messina testimonia localmente la pratica del censimento delle anime durante il periodo quaresimale, per accertare l‟osservanza del precetto pasquale, che prendeva avvio, per gli uomini , al quattordicesimo anno di età, per le donne al dodicesimo. La mancata osservanza dei riti della confessione e della comunione celebrati dal proprio parroco escludeva dalla comunità dei fedeli con l‟interdizione all‟ingresso in chiesa sia da vivi che da defunti, implicando, pertanto la privazione di una sepoltura cristiana.

Promulgata in tempi molto precedenti alla costituzione Apostolicae Sedi di Paolo V che nel 1614 la rese obbligatoria in tutte le diocesi, la disposizione dell‟arcivescovo di Messina così recitava79:

Anno 1343 (m.c. 1344), mense februario, ind. XII

Raymundus Archiepiscopus Messanensis mandat omnis Presbyteris et Cappellanis Civitatis et Dioecesis Messanensis, quatenus omnes moneant, et mandet sub poena excommunicationis, ut quisque post annos discretionis, idest XIV in masculis, XII in feminis, omnia solus sua peccata saltem semel in anno proprio Sacerdoti seu Parocho confiteatur, et poenitentiam impleat, et communionem saltem in Paschate suscipiat ; alioquin vivens ab ingressu Ecclesiae, et mortuus a sepultura privetur. Datum Messanae, XXII Februarii, XII Indictionis

77

Cfr. Conciliorum Oecomenicorum Decreta, cit., p. 768

78 Cfr. Documenti per servire alla storia di Sicilia, Tabulari I, 1° serie, vol. 1, fasc. 1, a cura della Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo, tip. Michele Amenta, 1876, pp. 217-224, doc. CCIX, Statuta et ordinationes

Sinodales Rev. Philippi Crispi Messanensis Archiepiscopi et Apostolicae Sedis Legati in Ecclesia Majori et omnibus aliis Ecclesiis Civitatis et Dioecesis Messanensis observanda

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Con queste premesse, dopo il Concilio di Trento la diocesi messinese accoglie le direttive della Controriforma. Alcuni insigni rappresentanti della chiesa locale vi avevano, peraltro, partecipato personalmente: lo stesso Arcivescovo di Messina, il cardinale Innocenzo Cibo, era stato presente nel 1545 all‟apertura dei lavori conciliari80

e uno dei suoi successori, Gaspare Cervantes, vi era intervenuto nell‟anno 156181

.

I secoli XVI e XVII videro in città un fiorire di iniziative a favore della controriforma. Esse compresero, accanto al consolidarsi della presenza gesuita che quivi fondò la sua prima università (1548), l‟istituzione del primo seminario, nel 1574, ad opera dell‟arcivescovo Giovanni Retana e la convocazione di vari sinodi diocesani82 celebrati negli anni 1588 (arcivescovo Antonino Lombardo)83, 1621 (arcivescovo Andrea Mastrillo)84, 1648 , 1663 (entrambi con l‟arcivescovo Simone Carafa)85 e 1681 (arcivescovo Giuseppe Cicala)86. Tuttavia, la risposta di Messina e della sua diocesi alle iniziative della politica controriformista non deve trarre in inganno. Proprio qui, infatti, era più necessario che altrove seguire con decisione le direttive tridentine. Il fumo dell‟eresia sprigionava dai circoli intellettuali più avanzati; a generare un‟atmosfera giudicata pericolosa per l‟ortodossia erano, in aggiunta, la compresenza del clero greco, ai cui prelati era consentito il matrimonio e i continui contatti, grazie agli scambi commerciali, con popoli di differente fede, in particolare islamici, che tra l‟altro, nel passato, avevano dominato l‟isola diffondendovi il proprio credo. Eloquenti, a questo proposito, le parole del rapporto segreto inviato nel 1590 al Grande Inquisitore di Spagna da parte di Ludovico Paramo che definiscono l‟ …isola, situata nell‟estremo

punto del mondo cristiano di fonte ai Turchi e ai Mori, abitata da gente varia e non certamente la migliore del mondo, amicissima di novità e in commercio continuo con molte e diverse nazioni vicine e lontane, piena di mille sospetti che occupano e travagliano quest‟Inquisizione, anche per il gran numero di Mori e Greci abitanti di questo Regno e causa di infiniti danni colla loro vita licenziosa, coi loro riti e colle loro superstizioni…87

Questo quadro a fosche tinte era ancor più realistico per Messina, nevralgico punto di scambio tra Oriente e Occidente e sede di un consistente gruppo etnico greco. Oltre a ciò non bisogna trascurare i fermenti spirituali messinesi che, tra i secoli XV e XVI, attraverso gli umanisti, anelavano alla concordia mundi e all‟armonia tra mondo pagano-classico e mondo cristiano88. Nell‟ultimo scorcio del XV secolo, anni in cui si affermava il circolo di Costantino Lascaris, Messina era probabilmente già a conoscenza del pensiero riformatore erasmiano nord-europeo grazie ai tipografi tedeschi e fiamminghi qui operanti sin dal 147389. Altro fattore fondamentale per la diffusione delle idee riformiste era costituito dal traffico di sete, merci e grano tra Europa e Levante, le cui rotte commerciali passavano per Messina90. In città, tra l‟altro, l‟occasione privilegiata di incontro era rappresentata dalla fiera internazionale d‟agosto, posta sin dal 1421 sotto la protezione di Maria Assunta. In ogni caso la realtà di un porto di grande rilievo per i traffici tra Oriente e Occidente poteva fornire l‟alibi per propagare idee attraverso opere scritte e immagini nascoste tra le mercanzie. Non stupisce, pertanto, che l‟editto del 6 dicembre