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Cap V San Nicolò dell’Arcivescovado

1. le notizie storiche e la cartografia

A metà del Settecento, negli anni del censimento fiscale, il distretto di San Nicolò dell‟Arcivescovado era notevolmente ampliato rispetto al periodo precedente la rivolta antispagnola. Il quadro di unione consente di individuare un ampio territorio che includeva tutta l‟ansa portuale e il braccio di San Raineri. L‟annessione del vasto piano di Terranova, all‟epoca praticamente disabitato, e la soppressione dell‟antica parrocchia di Santa Maria delle Grazie, ridotta a semplice beneficio del clero greco, ne aveva aumentato considerevolmente la superficie, pur non incidendo allo stesso modo sul numero delle anime. Il quartiere Terranova, spianato in parte per la fabbrica della Cittadella, distrutto nel superstite tessuto edilizio pochi decenni dopo a causa delle guerre di successione, era stato privato della sua sede parrocchiale, abbattuta dagli eventi bellici nella prima metà del Settecento, ed era passato sotto il governo ecclesiastico di San Nicolò dell‟Arcivescovado.

Il territorio che in precedenza era sottoposto alla giurisdizione della parrocchia di Santa Maria delle Grazie, citata alternativamente anche con il primigenio titolo di Santa Lucia de Musellis, occupava l‟intera area del quartiere Terranova, delimitato tra le antiche mura aragonesi, limitrofe al palazzo reale e la nuova cinta difensiva realizzata al tempo di Carlo V, compresa tra i bastioni don Blasco e San Giorgio. La rimanente porzione territoriale che includeva la penisola di San Raineri era, invece, si ritiene, da sempre sottoposta alla giurisdizione della parrocchia di San Nicolò dell‟Arcivescovato; questa area giungeva fino alla zona di competenza del monastero, poi fortezza, del SS. Salvatore, inclusa nella diocesi dell‟archimandritato.

La demarcazione con le terre dell‟archimandrita era segnata da una croce di pietra ricordata sia dal Pirro che dal Buonfiglio. Il primo ha precisato i confini di questa parte della diocesi archimandritale come segue:

…In his Archimandrita noster et divinum et civile jus ab initio dicebat at adhuc in aliquibus dicit; Jurisdictionem quasi Episcopalem atque pontificalia munia exercet, crucem erectam Patriarcharum, e archiepiscoporum more sibi praefert, dum suam ab Archiepiscopali Messanensi divisa perlustrat Diocesim, cujus confinium (sicut Rogerius Rex) obtulit locum, et terras incipientes ab extremo Portus Messanae per totum pratum S. Hyacinthi Linguae Phari, nunc Brachii S. Raynerii ad verticem telluris curvae (ubi situm erat primum Archimandritae Coenobium) attingit ad quoddam lapideum crucis signum in regione Terraenovae…1

Anche il Buonfiglio, all‟inizio del Seicento, ha rammentato questa particolare giurisdizione territoriale dell‟archimandrita sul braccio di San Raineri; il limite era segnato dalla chiesa dedicata allo stesso Santo e rimarcato dalla presenza della già ricordata croce lapidea2. Questo significativo elemento di confine è raffigurato con enfasi nella veduta a volo d‟uccello di Messina da est eseguita da Willem Schellinks e conservata al Rijks Museum di Amsterdam3 e in quella di Placido Donia allegata all‟Iconologia del Samperi4

. In entrambe le immagini le dimensioni in scala della croce in pietra sembrano notevoli e suggeriscono di interpretarla come un segno di una certa importanza nel paesaggio peninsulare di San Raineri. La giurisdizione dell‟archimandrita su questo tratto terminale della falce è indirettamente documentata anche dalle pergamene 656 e 660 dell‟Archivio Ducal di Medinaceli, atti giudiziari prodotti tra il 1456 e il 1473, inerenti a una controversia tra l‟Archimandritato e l‟Università di Messina per lo sfruttamento delle saline collocate proprio nella

1

Cfr. R. PIRRUS, Sicilia Sacra disquisitionibus…, cit., ed. a cura di A. MONGITORE, (rist. Anastatica 1733), Arnaldo Forni ed., 1987, p. 997

2 Cfr. G. BUONFIGLIO COSTANZO, op. cit., p. 61r

3 W. SCHELLINKS, Veduta a volo d‟uccello di Messina da est, Rijks Museum di Amsterdam ; cfr. anche N. ARICÒ, Segni di Gea.., cit. p. 69, nel verso del disegno è riferita la data del rilievo risalente al 30 novembre 1664 4 PLACIDO DONIA, Messina città di Maria Vergine, 1642 (da P. SAMPERI, Iconologia della Vergine Madre

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zona intermedia della penisola, corrispondente al gomito, che rappresentava l‟area di confine delle terre archimandritali5.

È piuttosto complesso il discorso sulla competenza della diocesi arcivescovile in quest‟area governata dalla parrocchia di San Nicolò dell‟Arcivescovado.

La presenza, sulla punta della falce della fortezza del S. Salvatore, ricavata dalla trasformazione dell‟antico omonimo monastero eretto dai Normanni e affidato ai monaci basiliani, introduce molti elementi di discussione.

Il potere dell‟Archimandritato, qui creato da Ruggero II, infatti, si estese a molti cenobi della Sicilia e della Calabria e tale vastità di domini preparò l‟erezione della diocesi archimandritale propriam,

distinctam, et separatam a quavis alia Diocesi, consistem in locis, terrisve, seu oppidis…,6 sancita il 23 marzo 1635 dal Breve di papa Urbano VIII. L‟istituzione ufficiale nel XVII secolo di questa nuova diocesi, sorta in seno al territorio dell‟archidiocesi, non mancò di creare vari conflitti giurisdizionali nel corso dei secoli tra gli arcivescovi e gli archimandriti7. Gli scontri tra le autorità ecclesiastiche <<…avevano avuto inizio già alla fine del secolo XII, a pochi decenni dalla fondazione dell‟Archimandritato e, a fasi alterne, i pontefici si erano dimostrati più o meno benevoli nel difendere l‟autonomia della federazione monastica greca soprattutto dalle ingerenze dell‟ordinario peloritano. Intorno al 1587, l‟arcivescovo Antonio Lombardo (1585-1597), in quella che doveva essere la prima delle relations ad limina (ma di cui non rimane traccia nell‟Archivio Vaticano), aveva comunicato alla Sede Apostolica una serie di abusi commessi dall‟archimandrita. La S. Congregazione sulla scorta dei principi affermati dal Tridentino, si espresse in toto a favore dell‟arcivescovo, anche se, alcuni decenni più tardi, con l‟equiparazione dell‟Archimandritato ad abbazia nullius, la Curia Romana cambiò completamente direzione. Le lamentele riguardavano l‟amministrazione dei sacramenti dell‟ordine e della confermazione, nonché l‟autorizzazione ad ascoltare le confessioni nel territorio archimandritale>>8

Nel Settecento9, si inasprirono le note polemiche già in corso nei secoli precedenti. Durante il governo ecclesiale dell‟arcivescovo Migliaccio (1698-1729) la tensione si accentuò sempre di più. Le relazioni triennali che ogni diocesi doveva far pervenire alla Santa Sede, non ne fanno mistero; egli si lamentò più volte delle ingerenze dell‟Archimandrita e chiese un intervento del Pontefice per far cessare quelli che considerava veri e propri abusi10. Il Migliaccio sottolineava la qualità di

beneficio simplex assegnato all‟abbazia del S. Salvatore, cioè sine cura animarum e chiese

ripetutamente alla Santa Sede precise direttive che in realtà, nei tre decenni del suo governo, non giunsero mai, quasi a sottolineare la volontà, da parte del soglio di Pietro, di temporeggiare affinché la questione si risolvesse in ambito locale. In realtà l‟Archimandrita esercitava nei luoghi posti

5 Cfr. F. MARTINO, “…ad brachium sancti Raynerii portus civitatis se contulerunt…”La Falce di Zancle e la

palingenesi cristiana della Sicilia medievale, in DRP, n. 4, cit., p. 157

6

Cfr. ROCCO PIRRO, Sicilia Sacra disquisitionibus et notis illustrata, Arnaldo Forni ed., Sala Bolognese, 1987, ristampa anastatica dell‟edizione palermitana del 1733,libro IV, p. 995; sul monastero del SS. Salvatore in lingua Phari si vedano le pp. 971-1001, libro IV

7 Cfr. S. CHIMENZ, L‟archidiocesi di Messina nelle sue origini, in (AA.VV.) L‟archidiocesi e

l‟Archimandritato di Messina,Messina, 1963, pp. 47-48

8

Cfr. G. MELLUSI, tesi di magistero presso l‟Istituto di Scienze Umane e Religiose Ignatianum di Messina, dal titolo

Le relationes ad Limina di Monsignor Giuseppe Migliaccio Arcivescovo di Messina (1698-1729), pp.48-49 (relatore

prof. Luigi La Rosa, a.a. 2006-2007). Cfr. anche, dello stesso G. G. MELLUSI, Le istituzioni ecclesiastiche della Sicilia

nord-orientale dalle origini al Concilio Vaticano II, in Bollettino Ecclesiastico Messinese, Gennaio-Marzo 2007, n. 2,

Anno XCVI, pp. 361-393. Colgo l‟occasione per ringraziare il dott. Mellusi che mi ha consentito di consultare l‟interessante lettura critica in merito alla figura e al governo episcopale del Migliaccio, affrontata nella succitata tesi. 9 Ivi, p. 48 . Nel XIX secolo il Breve pontificio (31-8-1883) di Leone XIII, pur mantenendole distinte, riunì le due cariche nella persona del cardinale Guarino, già arcivescovo di Messina, che il 6 Agosto 1884 prese possesso anche della sede archimandritale.

10 Cfr. Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano, Fondo Congregazione del Concilio, Relatio Diocesium, vol. 517 B, ff. 304-313v.

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sotto la sua giurisdizione11 anche la cura d‟anime, perciò le obiezioni espresse riguardo alla penisola di San Raineri non appaiono prive di fondamento, benché rigettate in toto dall‟autorità arcivescovile.

In ogni caso, nel 1765, per il personale militare residente con le rispettive famiglie nella zona fortificata di San Raineri, fu appositamente istituita la parrocchia di Santa Barbara, filiale di San Nicolò, ubicata all‟interno della Real Cittadella.

Per i motivi suesposti nel quadro di unione il territorio di San Nicolò dell‟Arcivescovato include anche l‟intero braccio di San Raineri ma la parte terminale della penisola comprendeva le terre dell‟Archimandrita, anche se, secondo l‟opinione del presule, egli godeva di un beneficio simplex. In pratica la cura delle anime che qui abitavano, pur residenti nei possedimenti dell‟Archimandrita, era affidata alla diocesi dell‟Arcivescovo e in particolare, a metà del Settecento, alla parrocchia di San Nicolò dell‟Arcivescovado, attraverso la chiesa filiale di Santa Barbara.

Come si detto, ricadevano in quest‟area importanti postazioni militari: oltre alla fortezza progettata dal Grunenbergh vi era il castello del Salvatore, l‟antico monastero greco trasformato in fortilizio a metà del Cinquecento, e la torre della Lanterna, ideata da Giovannangelo Montorsoli. Entrambe le opere rientravano negli interventi di difesa voluti da Carlo V per proteggere Messina e il suo ruolo nevralgico nel Mediterraneo dalla minaccia turca.

Prima della rivolta contro la Spagna il territorio di San Nicolò dell‟Arcivescovado abbracciava una superficie minore che, dal confine con la limitrofa parrocchia di Sant‟Antonio Abate si spingeva fino al palazzo reale, al tracciato delle antiche mura aragonesi e all‟area peninsulare, escludendo il piano di Terranova. Qui si concentrava l‟urbs vetus e i quartieri abitati sin dalle epoche più lontane. La primitiva chiesa di San Nicolò ricadeva all‟interno del palazzo vescovile12. L‟antico l‟edificio

era, secondo alcuni storiografi locali, preesistente alla conquista araba. Il Buonfiglio iniziava il suo

excursus sulle chiese parrocchiali di Messina proprio da San Nicolò per esser Ella stata la Protometropolitana13 , confutando l‟opinone dell‟Abate Maurolico che, seguito poi dal Pirro14, la riteneva opera edificata dal Conte Ruggero.

Il Gallo15concordava con il cavaliere messinese: la città era stata Protometropoli della Sicilia e

della Magna Grecia e questa chiesa, restaurata e non costruita dal Conte Ruggero, era stata a capo

di tutte le altre dell‟una e l‟altra Provincia.

Secondo l‟Annalista l‟antichità dell‟edificio era palese per la struttura delle colonne e per i sepolcri degli antichi prelati di Messina che, nei modi decorativi, dimostravano di essere antecedenti all‟invasione saracena.

L‟Amico, pur riconoscendo in San Nicolò la più antica tra le parrocchie, la riteneva costituita dal

conte Ruggero a principale di tutta la città, presso il palazzo vescovile, dalla quale si trasferirono i diritti a S. Maria la Nuova.16

La versione offerta dal Buonfiglio e dal Gallo, in una sorta di gara municipalista tesa ad affermare il primato della chiesa messinese su tutte le altre in Sicilia, pone l‟accento sulla vetustà dell‟edificio

11 La diocesi archimandritale era composta, sul versante ionico, dai territori di Savoca, residenza secondaria dell‟archimandrita, Casalvecchio, Forza d‟Agrò, Pagliara, Antillo, Alì, Itala, Locadi e Mandanici e, sul versante tirrenico, dai casali di Salice, Divieto e Serro e dal centro abitato di Sant‟Angelo di Brolo. La circoscrizione era equiparata ad Abbazia nullius e fu governata da prelati con carattere vescovile, diversi dei quali insigniti della porpora cardinalizia. Cfr. G. G. MELLUSI, Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela, in Storia delle chiese di Sicilia, GAETANO ZITO, cur., Città del vaticano, libreria editrice vaticana, 2009, pp. 463-525,

12

Cfr.G. Mellusi, L‟arcivescovo ed il suo palazzo. Nove secoli di storia della residenza dei presuli messinesi, in La

Cappella privata dell‟arcivescovo, G. Tavilla cur., Messina 2006, pp. 13-19

13

G. BUONFIGLIO e COSTANZO, op. cit., p. 16a

14 R. PIRRO, Sicilia Sacra disquisitionibus et notis illustrata, Arnaldo Forni ed., Sala Bolognese, 1987, ristampa anastatica dell‟edizione palermitana del 1733, tomo 1°, p. 445 : …S. Nicolai in Messanensium Palatio a Comitis

Rogerii temporibus…

15 C. D. GALLO, Apparato, Annali, cit., pp. 205 e 232- 233 16 V. AMICO, Op. cit., p. 84

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che sarebbe stato costruito in epoca antecedente all‟invasione araba. Sostegno a questa tesi sarebbe offerto dalla predicazione di San Paolo che avrebbe consacrato a Messina il primo vescovo17. Sconfitti i Musulmani, i Normanni si sarebbero occupati del restauro, trasferendovi la cattedrale vescovile, precedentemente istituita a Troina, eletta sede temporanea dopo la lunga assenza organizzativa ecclesiastica del periodo saraceno. San Nicolò sarebbe stata provvisoriamente sede dell‟episcopato, in attesa che fosse ripristinata la chiesa dell‟Assunta, già parzialmente costruita nel periodo giustinianeo18, e denominata per lungo tempo, a seguito dei lavori di restauro quivi svolti, Santa Maria La Nova19. Il Gallo, a questo proposito non manca di ricordare l‟opera del Gran Conte che, attraverso gli scritti di Guglielmo II (1120), prelato di Messina, attribuiva a Ruggero e alla contessa Adelasia il merito di aver restaurato ecclesiam Sanctae Mariae …de vilissimo stabulo, rendendo giustizia dell‟oltraggio perpetuato all‟edificio sacro, ridotto a stalla dagli Arabi dopo la rivolta guidata da Giorgio Maniace20. Santa Maria La Nova, seguendo questa tesi, sarebbe stata restaurata e non edificata ex novo dai Normanni. In ogni caso la chiesa fu inaugurata nel 1197 e da questa data San Nicolò non fu più cattedrale21.

In realtà l‟autenticità della consacrazione del vescovo Bacchilo da parte di San Paolo è rifiutata dagli studi successivi e per la sicura attestazione di un episcopato messinese bisogna attendere la fine del V secolo; soltanto il 23 ottobre dell‟anno 502, infatti, Eucarpo I sottoscrive i testi di un Concilio Romano 22 ed è innegabile che la versione offerta dal Buonfiglio e dal Gallo, nell‟intento di far primeggiare la Chiesa di Messina, appaia piuttosto contorta. Inoltre, per ciò che sappiamo, la chiesa di San Nicolò seguiva il modus aedificandi normanno.

La breve descrizione dello stesso Buonfiglio, infatti, ci tramanda un Tempio di mediocre grandezza

con colonne di granito, congionto con il Palazzo Arcivescovale, et dimostra ne‟ merli molti scudi d‟arme degli antichi Prelati; et dentro della chiesa si veggono molti depositi in aria, dove giacciono l‟ossa di molti Arcivescovi, de‟ quali non si sa la memoria, per esser le lettere erose et guaste dal tempo23…

L‟aspetto munito della chiesa -il riferimento alla merlatura sommitale lo dimostra- doveva non discostarsi dagli esempi ancora esistenti dell‟architettura normanna. Sia le chiese di città che i monasteri basiliani diffusi nell‟area messinese non vengono meno a queste regole. Prospetti che si impongono per la superficie muraria compatta, con poche e piccole aperture che, nei cenobi, sono resi vibranti dalla nota coloristica dei materiali: le pietre calcaree, la lava, i mattoni, disposti a coltello, a denti di sega, a spina di pesce. E se le aree più distanti dall‟abitato, dove, presso le fiumare si costruirono i monasteri basiliani, giustificavano una struttura quasi fortificata, con merli e torri campanarie che fungevano anche da avvistamento per l‟arrivo dal mare di possibili nemici, le chiese latine di città e le cattedrali, più sicure, al centro degli inurbamenti, palesavano ugualmente la possente solidità dei castelli; “fortezze”, edificate dai nuovi dominatori a difesa della comunità civile e religiosa, espressioni del ristabilito potere regale ed ecclesiastico.

17 Il primo vescovo viene identificato in Bacchilo (41 d. C.) e il secondo in Barchirio (68 d.C.). Tuttavia le notizie su questi primi presuli sono prive di fondamento storico e della loro esistenza si dubita fortemente. Si rimanda all‟esaustivo contributo di G. G. MELLUSI, Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela, in Storia delle chiese di Sicilia, a cura di G. ZITO,Città del Vaticano, 2009, pp. 463-525.

18 Cfr. G. BUONFIGLIO COSTANZO, Messina città nobilissima, ed GBM, Messina, 1976, ristampa fotolitografia dell‟edizione veneziana del 1606, pp. 11 a-11 b. L‟Autore data l‟inizio della costruzione all‟anno 530.

19

G. FOTI, Storia, Arte, e Tradizione nelle chiese di Messina, Messina, 1983, pp. 128-130 20 C. D. GALLO, Annali, Apparato, cit., p. 233

21Cfr. G.G. MELLUSI, Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela, in Storia delle chiese di Sicilia, GAETANO ZITO, cur., Città del vaticano, libreria editrice vaticana, 2009, pp. 463-525, ID., La rifondazione della diocesi di Messina e le sue

vicende in Età Normanna, in Panta rei. Studi dedicati a Manlio Bellomo, O. Condorelli (cur.), I_V, Roma 2004, III, pp.

589-625, ID. L‟arcivescovo e il suo palazzo, in G. TAVILLA (cur), cit., Cfr. ancheV. AMICO, op. cit., vol. II, p. 84, posticipa di un anno (1198)l‟inaugurazione della cattedrale.

22

G. G. MELLUSI, Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela, cit., p. 465

23 G. BUONFIGLIO COSTANZO, Messina Città Nobilissima, ed. GBM, 1976, ristampa anastatica dell‟edizione veneziana del 1606, p. 16 b

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In realtà, quindi, il desiderio di esaltare il primato della chiesa di Messina in Sicilia, ha spinto gli eruditi locali ad anticipare notevolmente la fondazione di San Nicolò e dell‟attiguo episcopio che furono edificati dai Normanni, durante la riorganizzazione della diocesi, probabilmente negli anni '80 del secolo XI24. In ogni caso San Nicolò fu la prima cattedrale di Messina e continuò ad esercitare questo ruolo fino al 1197.

Ciò non esclude che nello stesso sito vi fossero preesistenze, non necessariamente legate alle funzioni vescovili, perché è indubbio che la chiesa sorgesse nella zona insediata sin dai tempi più antichi, la cosidetta urbs vetus, concentrata pressappoco tra la fiumara Portalegni, l‟attuale piazza del Duomo, il palazzo reale, dal quale avevano origine le mura di epoca aragonese, e il porto. Un‟area che comprendeva la contrada bizantina della Grecia, fino al quartiere della Giudecca, in cui il sito centrale dell‟antica chiesa di San Nicolò con l‟annesso Arcivescovato, si ergeva in posizione dominante anche sulle aree mercantili del Campo, della Malfitania e del Tarsianatus

Vetus. È un‟ubicazione strategica, nell‟ambito della città medievale, che conferma l‟antichità della

chiesa e il ruolo di sicuro prestigio che all‟epoca assolveva, in conformità alla caratteristica fondamentale dell‟urbs vetus: un polo di aggregazione di prim‟ordine in cui si concentravano le sedi del governo civile ed ecclesiastico, collocate nel tessuto urbano in tempi ancor più remoti, secondo schemi rigidamente gerarchici tesi a realizzare una prospettiva urbanistica suggerita dalla

volontà di vedere, controllare, dominare25.

L‟asse viario su cui il complesso sorgeva è sempre stato uno dei principali percorsi urbani, denominato anticamente ruga Amalfitania, poi via Austria, infine via Primo Settembre. Secondo il racconto del Malaterra il conte Ruggero, terminate le opere di fortificazione della città, avviava la costruzione <<della chiesa-fortezza, destinata ad accogliere il vescovo e i canonici…La versione latina ufficiale del diploma greco di rifondazione della diocesi peloritana (4 aprile 1096) recita: edificavi ecclesiam in nomine sancti patris nostri Nicolai in civitate Messanae et in episcopatum constitui sicut antiqua tradicio declarabat esse scilicet eandem ecclesiam catholicam eiusdem civitatis.>>26

Quando le funzioni di Matrice furono trasferite in Santa Maria la Nova (1197), a San Nicolò, rimasta sotto il governo del Capitolo, fu assegnata l‟amministrazione dei sacramenti in una vasta parte della città.

La chiesa subì nel corso dei secoli una serie di interventi di restauro e abbellimento; nel 1333 l‟arcivescovo Guidotto de Tabiatis le assegnò cento onze per le opere in piombo della copertura. Nel gennaio del 1371, secondo il Gallo, l‟edificio fu colpito da un fulmine proprio nel luogo dove solitamente, durante le feste, si issava lo stendardo del conte Ruggero. Tra le rovine, , sarebbero state rinvenute vestigia di età precedenti: monete saracene, la spada di Jacopino Saccano, che si operò per introdurre i Normanni a Messina, una scrittura in carta pecora con la supplica della città diretta all‟ Altavilla tesa ad ottenere la liberazione dal dominio islamico27

.

Nel 1506 altri interventi furono promossi dall‟arcivescovo Bellorado; egli …ristorò il tempio di san

Nicolò, antica cattedrale, che per la sua antichità era ridotto a mal termine e rovinoso…28

. L‟episcopio fu, invece, restaurato da monsignor La Lignamine29

. Il palazzo episcopale fu esaminato

24 Cfr. G.G. MELLUSI, L‟arcivescovo ed il suo palazzo…, cit., p. 13

25 Cfr. S. TRAMONTANA, Città, ceti urbani e connessione tra il possesso fondiario e il potere della monarchia di

Ruggero II, in Atti delle terze giornate normanno-sveve, Bari, 1979, p. 193; cfr. anche M. G. MILITI, Vicende urbane e