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L’immagine che Montaigne da` della Francia, nei suoi Saggi (Lib I e II, 1580), inaugura un metodo di osserva-

Nel documento Dizionario dei temi letterari, vol. II F-O (pagine 150-158)

H. James in Cosa sapeva Maisie (1897) rappresenta il contrasto tra due coniugi separati che usano, come

4. L’immagine che Montaigne da` della Francia, nei suoi Saggi (Lib I e II, 1580), inaugura un metodo di osserva-

zione della realta` arricchitosi con l’esperienza dei viaggi in Europa (Diario di viaggio, 1580-81), e quindi impron- tato al dubbio e al relativismo. La Francia del Seicento, con il suo Classicismo, e` anche quella della critica dei costumi e della satira sociale con Molie`re e Saint-Simon; del rifiuto dell’assolutismo, dei privilegi dovuti alla na- scita e alla ricchezza, dell’indignazione contro le guerre e le torture, con La Bruye`re che diceva «Je veux eˆtre peu- ple», e apriva con i Caratteri (1688) la strada al Monte- squieu delle Lettere persiane (1721). Una societa`, quella

dei Lumi, presente nell’abbondante produzione memo- rialistica: da Gozzi, a Goldoni, a Da Ponte, a Casanova, tutti veneziani e compenetrati di cultura francese. Men- tre Foscolo, con Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1802), da` la misura della frustrazione di una generazione per il tradimento dei «Francesi liberatori». La Francia conti- nua, tuttavia, a figurare tra le mete e i bersagli prediletti dei viaggiatori, dal tono umoristico e benevolo de Il viag- gio sentimentale (1812-1813) di Sterne-Foscolo, all’in- sofferenza di Goethe (Campagna in Francia, 1792) coin- volto nelle guerre della Rivoluzione, alle note entusia- stiche di Forster (Vedute del Basso Reno 1791-92), e di due osservatori della Francia post-rivoluzionaria, M.L. Bo¨rne (Lettere da Parigi, 1832-34) e Heine (Germania, fiaba invernale, 1844; Lo Stato della Francia, 1833). 5. Lo spartiacque e` infatti la rivoluzione francese, che scatena l’odio reazionario di un Monti (Bassvilliana, 1793) o di un Alfieri il quale, dopo il suo Parigi sbasti- gliato (1789), cede al livore antifrancese con il Misogallo (1793). Leopardi legge il libro di una osservatrice curiosa e appassionata sostenitrice della Rivoluzione, Lady Mor- gan (La Francia, 1816), e ne ricava un’abbondante messe di notizie sulla Francia, che diventa la pietra di paragone per valutare i concetti di progresso, di ragione, di felicita` (Zibaldone, 1817-32). Madame de Stae¨l, e in particolare Corinne (1807), fornisce al poeta un’ apprezzata fonte. La Francia napoleonica ammirata e combattuta da Fo- scolo a Stendhal, da Chateaubriand a Tolstoj, lascia il posto alla mediocre Francia di Luigi-Filippo, borghese e ottusa: una viaggiatrice e giornalista americana, M. Ful- ler, delusa dalla intellighentzia francese, nonostante la simpatia provata per George Sand, come donna e osser- vatrice del mondo rurale francese, contrapporra` – nei suoi articoli al «New York Tribune» (1847-1849) – al conservatorismo benpensante della Restaurazione, l’al- tezza e la generosita` di propositi della mazziniana Repub- blica romana. Hugo innalza contro «Napole´on le petit» (Napoleone III) l’epopea del primo impero ingigantita dalla Leggenda dei secoli (1859-1883) e i miti eroici na- zionali: questi saranno raccolti in Italia da un Manzoni avverso alla Rivoluzione in nome del moralismo giuridico (La Rivoluzione francese del 1789 e la Rivoluzione Ita- liana del 1859. Osservazioni comparative, 1860), e invece cattolicamente pietoso nei confronti del grande vinto (Il cinque maggio, 1821) e da Carducci. Il Romanticismo francese definisce ed esporta alcuni tipi: il poeta, l’artista incompreso dal Rene´ (1802) di Chateaubriand, al Rolla (1833) di Musset, al Nerval delle Figlie del fuoco (1854), antesignani dei poe`tes maudits. Tipico l’intreccio del romanzo di Tommaseo, Fede e bellezza (1852) ispirato a Sainte-Beuve, e ambientato in Francia, che mette in scena una donna sedotta e abbandonata e un giovane scrittore italiano caduto nel peccato.

6. La Francia del Secondo Impero e della Terza Repub- blica e` quella descritta nei romanzi di Balzac, Flaubert, Zola, Proust, Romain Rolland, dalle novelle di Maupas- sant: quella dell’ascesa di una cinica e prepotente bor- ghesia d’affari, simboleggiata da dinastie come quella dei Rougon-Maquart, quella dell’Argent, ma anche quella dell’industrializzazione disumana con lo sfruttamento del proletariato nelle miniere (Germinal, 1885), quella della Commune (1871), quella dell’antisemitismo dell’af- faire Dreyfus (Zola, J’accuse, 1898) e dell’interventismo nel primo conflitto mondiale, quella dominata dalle con- traddizioni di un Pe´guy, ateo e cattolico, socialista e pa- triota, ossessionata dalla figura di Giovanna d’Arco, fi- gura mitica per il poeta-viaggiatore di origine svizzera B. Cendrars (La prosa del transiberiano e della piccola Gio-

FRANCIA

vanna di Francia, 1913), presente ancora nella poesia di un Yvan Goll (La grande miseria della Francia, 1916). L’autoritratto della Francia di questi anni tende a iden- tificare la nazione nel suo ceto intellettuale, che appare peraltro diviso fra sostenitori di un impegno politico-so- ciale dello scrittore (a partire dagli slanci rivoluzionari di Lamartine – Ode sulle rivoluzioni, 1831 – e dalla demo- crazia cristiana di Lamennais, corrispondente di Maz- zini, sino alla esplicita discesa in campo di Zola, seguita nel Novecento dal nazionalismo torbido di Barre`s, ma anche dalla scelta di campo internazionalista di Malraux, e culminante nella teorizzazione dell’engagement da parte di J.P. Sartre) e difensori di una sostanziale auto- nomia della sfera artistica, rappresentati al piu` alto livello teorico dal Benda del Tradimento dei chierici (1927), ma entro le cui fila trovano posto, con diverse motivazioni a volte pretestuose e contraddittorie, rappresentanti della cultura cattolica come i Bernanos, Claudel, Mauriac, gli «immoralisti» Gide e Montherlant, l’avanguardia un po’ salottiera di Cocteau.

7. L’immagine della Francia «del secolo breve», il suo peso culturale, la sua presenza nella letteratura nazionale ed europea, si confondono con quelli di Parigi «capitale della modernita`» (v. Parigi). Infatti, la Francia della Li- be´ration e` nelle parole di De Gaulle, prima di tutto Paris: «Paris libe´re´, Paris libe´re´ par lui-meˆme». Solo da lontano, dalle sue colonie largamente coinvolte nel primo e se- condo conflitti mondiali, ed esplose nei processi di libe- razione culminanti nella guerra d’Algeria, la Francia e` ancora vista nella sua interezza, e le voci della letteratura postcoloniale demistificano il suo ruolo di portavoce della democrazia moderna, denunciandone non solo l’imperialismo corruttore (ad esempio Mongo Beti, Troppo sole uccide l’amore, 1999) ma anche la sostanziale dimenticanza in cui le colonie sono abbandonate, come ricorda amaramente il poeta senegalese L. Sedar Sen- ghor, Preghiera di pace (1945).

n Opere citate: Opere anonime: Canzone di Orlando (Chan-

son de Roland, ca. 1080); Fiore e Biancofiore (Floire et Blanche- flor, sec. XII).

Alfieri, V., Misogallo (1793); Alfieri, V., Parigi sbastigliato (1789); Aubigne´, T.A. d’, Le tragiche (Les Tragiques, 1616); Benda, J., Il tradimento dei chierici (La Trahison des clercs, 1927); Boccaccio, G., Corbaccio (1366); Boccaccio, G., Deca-

meron (1349-1353); Boccaccio, G., Filocolo (1336-39); Bo¨rne,

M.L., Lettere da Parigi (Briefe aus Paris, 1832-34); Calvino, I., Il

castello dei destini incrociati (1973); Calvino, I., Il cavaliere ine- sistente (1959); Cendrars, B., La prosa del transiberiano e della piccola Giovanna di Francia (La prose du transsibe´rien et de la petite Jehanne de France, 1913); Cervantes, M. de, Don Chi- sciotte della Mancia (El ingegnoso hidalgo Don Quijote de la Mancha, 1605-15); Chateaubriand, F.R. de, Rene´ (1802); Chau-

cer, G., I racconti di Canterbury (Canterbury Tales, 1387-1400); D’Azeglio, M., Ettore Fieramosca (1833); Dante Alighieri, Com-

media (1306-1321); Du Bellay, J., Difesa e illustrazione della lingua francese (De´fense et illustration de la langue franc¸aise,

1549); Dumas, A., I tre moschettieri (Les trois mousquetaires, 1844); Forster, G., Vedute del Basso Reno (Ansichten vom Nie-

derrhein, 1791-92); Foscolo, U., Ultime lettere di Jacopo Ortis

(1798, 1802, 1817); Fuller, M., Articoli per il «New York Tri- bune» (1847-1849); Gautier, T., Il capitan Fracassa (Le Capi-

taine Fracasse, 1863); Goethe, J.W., Campagna in Francia

(Kampagne in Frankreich, 1792); Goll, Y., La grande miseria

della Francia (La grande mise`re de la France, 1916); Guicciar-

dini, F., Storia d’Italia (1540); Guicciardini, F., Storie fiorentine (1508-11); Heine, H., Germania. Una fiaba invernale (Deutsch-

land. Ein Winterma¨rchen, 1844); Heine, H., Lo Stato della Fran- cia (Franzo¨sische Zusta¨nde, 1833, 1854); Hugo, V., La leggenda dei secoli (La Le´gende des Sie`cles, 1859-1883); Hugo, V., Nostra Signora di Parigi (Notre-Dame de Paris, 1831); La Bruye`re, J. de, I caratteri di Teofrasto, tradotti dal greco con i caratteri o costumi

di questo secolo (Les caracte`res de The´ophraste. Traduits du grec, avec les caracte`res ou les mœurs de ce sie`cle, 1688); Lamartine,

A. de, Ode sulle rivoluzioni (Ode sur les re´volutions, 1831); Leo- pardi, G., Lo zibaldone di pensieri (1817-1832); Lorris, G. de - Meung, J. de, Romanzo della Rosa (Roman de la Rose, 1225- 1280); Machiavelli, N., Ritratto delle cose di Francia (1511); Manzoni, A., Il cinque maggio (1821); Manzoni, A., La Rivolu-

zione francese del 1789 e la Rivoluzione Italiana del 1859. Os- servazioni comparative (1860); Mongo Beti, Troppo sole uccide l’amore (Trop de soleil tue l’amour, 1999); Montaigne, M. de, Diario di viaggio (Journal de voyage, 1580-81); Montaigne, M.

de, Saggi (Essais, 1580-92); Montale, E., La bufera e altro (1956); Montesquieu, C.L. de, Lettere persiane (Lettres persa-

nes, 1721); Monti, V., Bassvilliana (1793); Morgan, Lady, La Francia (La France, 1816); Musset, A. de, Rolla (1833); Nerval,

G. de, Le figlie del fuoco (Filles du feu, 1854); Rabelais, F., Gar-

gantua e Pantagruel (Gargantua et Pantagruel, 1532-64); Ron-

sard, P. de, La Franciade (1572); Senghor, L. S., Preghiera di

pace (Prie`re de paix, 1945); Stae¨l, Madame de, Corinna o l’Italia

(Corinne ou l’Italie, 1807); Sterne, L., Viaggio sentimentale (Sentimental Journey, 1767); Tasso, T., Lettera dalla Francia (1581); Tommaseo, N., Fede e bellezza (1852); Voltaire, La

Henriade (1728); Zola, E., Io accuso (J’accuse, 1898); Zola, E., Germinal (1885); Zola, E., I Rougon-Macquart (Les Rougon- Macquart, 1870-1893).

n Bibliografia: Curtius, E., L’immagine della Francia (1919), in Franzo¨sischer Geist im zwanzigsten Jahrhundert, Berna 1952; Cook, M.C., Fictionnal France. Social Reality in the French No-

vel (1775-1800), Providence-Oxford, Berg, 1993; Edighoffer,

R., La liberte´ guide nos pas: l’image de la France dans le the´aˆtre

autrichien apre`s 1945, Mont Saint-Aignan, 1988; Fiedman,

B.R., Fabricating History: English Writers on the French Revo-

lution, Princeton, 1988; Fussel, E.S., The French Side of Henry James, Columbia University Press, 1990; Hartley, D.J., Patrio- tism in the Work of Joachim du Bellay: a Study in the Relation- ship between the Poet and France, Lampeter, Mellen Press,

1993; Kirk, A.M., The Mirror of Confusion: the Representation

of French History in English Renaissance Drama, Garland Pub.,

1996; Serban, N., Leopardi et la France, Paris, Champion, 1913. n Voci affini: Cavaliere; Crociate; Medioevo; Onore; Parigi; Patria; Rivoluzione; Torneo. claude cazale´ be´rard

Frate, monaco.

1. Frate (ingl. friar, fr. fre`re, sp. fray, ted. Klosterbruder, e cioe`, alla lettera, fratello di chiostro) indica, a partire dall’ovvio etimo lat. frater (fratello), l’ideale fratellanza della comunita` cristiana delle origini (gr. fratria); frati o suore, ovvero fratelli e sorelle in Cri- sto, per i quali l’accettazione del voto di poverta` e la ri- nuncia «a Mammona» e al mondo per seguire la imitatio Christi, sancisce una forma di assoluta liberta` nell’idea guida di carita`. Cosı` frate e` colui che appartiene a uno dei quattro ordini mendicanti medievali (Francescani, Do- menicani, Carmelitani, Agostiniani). Frate indica altresı`, in alternativa al termine monaco, (ingl. monk, fr. moine, sp. monje, port. Monge, ted. Mo¨nch, dal gr. monachos, solitario), l’ideale della vita cristiana attiva, laddove gli ordini monacali sono quelli della vita contemplativa. Jean de Meung nel suo Romanzo della rosa (1225-1280; vv. 11379-11429) dibatte la vexata quaestio della poverta` evangelica e della mendicita`. Per Jean de Meung il darsi volontariamente alla mendicita` e` illecito; anche gli apo- stoli dovevano lavorare per guadagnarsi da vivere. Co- munque, negli ordini mendicanti, e poveri, in realta` si fa anche troppo commercio della parola di Cristo. Meglio dunque chi non mendica, come i frati degli ordini piu` ricchi, come i monaci bianchi e neri, gli Ospedalieri e i Templari.

2. Non c’e` bisogno di sottolineare l’importanza degli or- dini religiosi e dei monasteri nella vita del medioevo. Nella grande varieta` di professioni e di regole, dalla re- gola benedettina, ora et labora, a quella francescana, della piu` radicale poverta`, alla piu` battagliera e ortodossa re-

gola domenicana, e fino alla regola militare vera e propria dei Templari (probabilmente stilata da San Bernard de Clairvaux) i conventi sono, a partire dai secoli bui del lungo declino dell’impero romano, i grandi centri di con- servazione e trasmissione della cultura; se il monastero e`, prima dell’invenzione della stampa, uno dei luoghi, anzi il luogo privilegiato per la fabbricazione del libro, ancora nel Duecento, nei conventi benedettini, francescani, do- menicani si raccolgono le memorabilia in biblioteche as- sai ricche; capita cosı` che i grandi luminari dell’epoca siano spesso frati: Roger Bacon, Alexandre Hales, Bona- ventura da Bagnoregio, Duns Scoto (francescani), Tom- maso d’Aquino, Alberto Magno (domenicani). E` da no- tare come in realta` questa attivita` culturale sempre piu` intensa non rientrasse affatto nella visione dei padri fon- datori. Francesco d’Assisi, per esempio, considera la cul- tura estranea all’ideale che egli propugna di universale fratellanza e di rifiuto del mondo, anche se san Dome- nico, allo stesso modo radicale nell’idea di rinuncia ai beni della terra per seguire Cristo, identifica nella cultura un’arma da usare nella lotta contro l’eresia catara (v. Inquisizione). A Dante, nel Quarto cielo (Paradiso, X), appaiono dunque fra i cori angelici esattamente le lu- ci di sapienza di cui si e` detto. Il primo e` san Tomma- so, il dottore angelico autore della Summa Teologica (sec. XIII), e il secondo e` Alberto Magno. San Tom- maso (Canto XI) parla soprattutto di Francesco d’Assisi (l’amante di donna «Poverta` : vv. 58-74) , cosı` come il francescano san Bonaventura, poco dopo (canto XII), parlera` di san Domenico (il «drudo» della fede, il «sacro atleta»: vv.55-6), esemplificando cosı` l’aura, il potere cul- turale totale di quei due paradisiaci ordini «mendicanti» alle soglie dei Trecento. Questo e` tanto vero che non vi sono ne´ francescani ne´ domenicani, ne´ i quattro ordini, nell’Inferno dantesco. Vi sono i «frati godenti» bolo- gnesi, Loderingo di Liandolo, fondatore dell’ordine, e Catalano di Malavolti, (ipocriti: Canto XXIII) e anche, fra i traditori (XXXIII), fra’ Alberigo, assassino di con- sanguinei. Al canto XXVIII, nel colloquio fra Dante e Maometto, viene nominato fra’ Dolcino Tornielli (22-63), forse un ex francescano che si mise a capo della setta eretica dei Fratelli Apostolici predicando il ritorno al comunismo cristiano delle origini (una tendenza in qualche modo sempre latente nell’interpretazione piu` ra- dicalmente evangelica del francescanesimo). A fra’ Dol- cino viene facilmente predetto il destino in cui era del resto gia` incorso (nel giugno del 1307, dopo aver resistito fra le montagne piemontesi per due anni, alla crociata bandita contro di lui da Papa Clemente V, fra’ Dolcino fu preso e bruciato a Vercelli insieme alla sua compagna, Margherita di Trento, e a molti altri seguaci). All’ottavo cerchio, un altro frate, fra Gomita da Gallura, il cui or- dine di appartenenza non viene precisato, viene condan- nato fra i Barattieri, dopo essere del resto stato gia` rag- giunto dalla giustizia degli uomini e impiccato (XXII). 3. All’importante potere culturale esercitato dagli ordini religiosi corrisponde un altrettanto importante potere economico. Se i frati fanno voto di poverta`, i conventi divengono invece centri economici di grande rilevanza. Nell’Inghilterra del Trecento, per esempio, e` noto che la maggior parte delle terre era in possesso degli ordini re- ligiosi. Il che non poteva che risultare contraddittorio ri- spetto alla predicazione degli stessi frati che, secondo il Vangelo, si volevano accomunati, per essere «beati», agli «ultimi», ai «poveri» sia di borsa che di spirito, ai men- dicanti, ai lebbrosi, a quelli piu` emarginati e abbando- nati, quando invece, assai chiaramente, la «poverta` di spirito» e la «poverta` di borsa» erano protestate a voce,

ma certo poco praticate. Da questa contraddizione sca- turisce anche la prospettiva complessa con cui da sempre la letteratura osserva e disegna le sue figure di frati e mo- naci. Il prototipo del semplice, povero e beato e` il frate Ginepro, vera epitome della santita` della poverta` di spi- rito, de La vita di frate Ginepro, di solito unita ai Fioretti di san Francesco (ca. 1370-85). Contro il candore di fra’ Ginepro, vero «folle di Dio», ci sono l’astuzia e il potere di incantamento verbale del frate Cipolla del Decameron (1349-51) di Giovanni Boccaccio (novella 10, giornata VI) in cui si ritrova una figura diventata tipo gia` nella novellistica italiana e nei fabliaux francesi. Anche frate Cipolla e` un francescano, un frate mendicante che, per raccogliere le elemosine, da` prova della sua abilita` lette- raria, sicche´ le sue prediche sono come degli spettacoli verbali culminanti con l’esposizione della sacra reliquia che e` in realta` una truffa gabbacitrulli. Frate Cipolla viene visto con simpatia, come trionfatore comico, e la sua intraprendenza e presenza di spirito vengono esal- tate. I frati di Boccaccio sono a meta` fra ingenuita`, can- dore e astuzia, presi fra le esigenze prepotenti del corpo e la disciplina dello spirito (si veda la novella quarta della prima giornata), o creduloni come il padre confessore che decreta la santita` di Ciappelletto nella I novella della I giornata; o disposti alla beffa e all’imbroglio, come l’al- tro francescano, frate Alberto che nella seconda novella della giornata Terza, si fa passare addirittura per l’«agno- lo Gabriello» in modo da poter giacere con la donna di cui si e` invaghito.

4. Se si paragona frate Cipolla a un personaggio simile, quello dell’indulgenziere che si trova nel Prologo gene- rale ai Racconti di Canterbury (1385-1400) di Geoffrey Chaucer, ci accorgiamo di come l’indulgenziere, che pure inganna la gente allo stesso modo con le sue reliquie e le sue chiacchiere, sia un personaggio fortemente nega- tivo, vicino al diavolo, alla morte e al dolore quanto frate Cipolla ne e` invece lontano. I Racconti di Canterbury sono, per il nostro tema, di notevole interesse. L’opera presenta diversi tipi di religiosi, sullo sfondo dell’aspra battaglia polemica sollevata nel secondo Trecento in- glese dalle idee di John Wycliffe e dei suoi seguaci, i Lol- lardi, fino alla rivolta dei contadini del 1381, nel contesto dell’aspra critica rivolta alla ricchezza della chiesa, dei conventi e degli ordini mendicanti. Cosı` l’unico religioso «vero» e «apostolico» e` il povero parson, il parroco di campagna, che conduce la propria vita seconda la regola che egli ha scelto, in contrasto con quanto fanno invece, per esempio, il «frate» o il «monaco». Il monaco, che dovrebbe attenersi alla sua vita di contemplazione, in realta` e` un buontempone che va a caccia, anche di fem- mine, veste bene, mangia bene, e non si priva di nulla; quanto alla regola di san Mauro o di San Benedetto, o ai precetti di sant’Agostino, tutti un po’ troppo rigidi e un po’ troppo antiquati, il monaco poco se ne cura, il frate, fra’ Uberto, dal canto suo, frequentatore di taverne, fa di molto peggio; approfitta del proprio ruolo per sedurre le giovani fidanzate e spose, e per sottrarre denaro a chi ne avrebbe assai piu` bisogno di lui; del resto, il servizio reso al povero che era nella regola di Francesco, in questo frate si e` fatto servizio reso al ricco: «curarsi di questi lazzari malati/ non e` cosa dabbene, non e` vantaggioso/ occuparsi di questi poveracci/ meglio darsi da fare con chi ha denari» (Prologo, vv. 245-8). E` la stessa tesi svi- luppata da William Langland nel Prologo al grande poema contadino del Trecento inglese, Pietro l’aratore (1360-90). «E vidi frati, di tutti e quattro gli ordini, pre- dicare alla gente per trarne profitto, piegando i Vangeli al proprio interesse. Questi frati e maestri vestono bene,

FRATE, MONACO

perche´ soldi ne hanno, facendo di carita` commercio» (Prologo: vv. 58-63). Del vecchio spirito «ereticale» e del radicalismo pauperista degli ordini poco doveva essere ri- masto. E non e` certo un caso che il gran riformatore stesso, Martin Lutero, fosse un frate agostiniano. Nella Germania preriformista, del resto, come ovunque in Eu- ropa, era ormai luogo comune la polemica contro le ric- chezze accumulate dalla Chiesa e dagli ordini mendicanti, nello spirito totalmente opposto a quello delle origini e a quello del Vangelo, nella patente distorsione della parola di Cristo. La polemica contro la vendita di indulgenze si trova ovunque e accende la miccia, interna agli ordini prima di tutto, della riforma protestante. Era cominciata con la storia dell’eresia di Johannes Reuchlin che fu, prima di tutto, una aperta rivolta contro la corruzione do- menicana. Il processo a Reuchlin, il quale ebbe la solida- rieta` di molti illustri intellettuali (Epistolae Illustrium Vi- rorum ad Reuchlinum, 1514) culmino` con una serie di epistole satiriche fittizie anonime date per scritte da Do- menicani, e in cui si rendeva palese il disagio all’interno dell’ordine, Epistolae obscurorom Viroroum (1515-17). Questi frati godono la vita, mangiano e bevono, e fanno l’amore in barba a ogni voto di poverta` e castita`. Lo stesso Erasmo da Rotterdam nell’Elogio della follia (1509), del resto, aveva preso in considerazione la vita conventuale e le contraddizioni patenti degli ordini mendicanti. E i fra- ticelli, quale che sia l’ordine a cui appartengono, alla fine si troveranno sbarrata la via del cielo. La caricatura del frate profittatore e gaudente, del resto, era diventata una maschera fissa nei Fastnachtspielen (spettacoli di carne- vale). Si veda, per esempio, L’indulgenziere di Niklaus Manuel (1525), o i frati mendicanti di Hans Sachs ne Gli undici poveri vagabondi (1536) e I cinque poveri vagabondi (1539) in cui le due facce del problema vengono schema- ticamente presentate. Cosı` il frate si presenta veramente come il poverello, da tutti maltrattato, scacciato in nome di Lutero e della Riforma, punito dai superiori perche´

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