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CAPITOLO 6 Sostenibilità nella gestione dei rifiuti

6.6 Impianti di recupero

Il decreto del Ministero dell'Ambiente n°186 del 5 Aprile 2006 entrato in vigore a giugno dello stesso anno che individua i rifiuti non pericolosi sottoposti a procedura di recupero ai sensi dell'articolo 214 del D.lgs. 152/2006 ex artt. 31 e 33 del D.lgs. 22/97. Le attività di recupero si devono adeguare alle norme tecniche dell'allegato 5 entro sei mesi (3/12/2006) e fino a quella data il loro esercizio era consentito con le modalità del rispetto delle condizioni, delle prescrizioni, e delle norme del nuovo Regolamento. Questo regolamento dettava e definiva le quantità massime di rifiuti non pericolosi di cui all'Allegato 1, sub-allegato 1 del DM 5/2/1998 nonché di messa in riserva sulla base delle singole attività di recupero ed individuava per quest'ultime sia le tipologie dei rifiuti che i relativi codici rifiuto(CER,la provenienza, caratteristiche chimico-fisiche del rifiuto, le attività di recupero e le caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti dalle attività di recupero). Esso garantisce inoltre percorsi autorizzativi preferenziali per i sistemi di recupero di materia, recupero energetico e recupero ambientale, purchè vengano rispettate le condizioni tecniche ed operative previste. Lo stesso decreto affida alle province il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti previsti per l'applicazione delle procedure semplificate per le imprese che effettuano la comunicazione di inizio attività di recupero dei rifiuti, registrandosi in un apposito registro delle imprese. Il recupero di materia (compresi i rifiuti recuperabili da RSU e da rifiuti speciali non pericolosi assimilati per la produzione di combustibile da rifiuti, nonché rifiuti compostabili) Æ impianti di riciclo; Il recupero energetico(utilizzazione di rifiuti non pericolosi come combustibile o come altro mezzo per produrre energia) Æ impianti termovalorizatori; Il recupero ambientale (utilizzo di rifiuti non pericolosi per la restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimodellamenti morfologici); Messa in riserva di rifiuti non pericolosi destinati ad attività di recupero. Le attività di recupero rientrano nella nozione di gestione dei rifiuti e, come tali, sono soggette ad autorizzazioni in forma ordinaria o, qualora ricorrano le condizioni, in forma semplificata.

6.6.1 Riciclaggio

I RSU sono costituiti da una miscela disomogenea di materiali difficilmente separabili; pertanto è necessario che la separazione sia fatta a livello domestico. Una prima separazione del rifiuto riguarda la frazione secca da quella umida. La frazione secca deve essere ulteriormente separata in una parte da avviare al recupero (carta, metalli, vetro), e una parte da smaltire. I rifiuti pericolosi (farmaci, pile) vanno, invece, portati negli appositi punti di raccolta per essere destinati successivamente allo smaltimento controllato. Analizziamo ora i nostri rifiuti. La carta e il cartone rappresentano il 25% in peso dei rifiuti posti nel cassonetto e la percentuale sta crescendo sia per l’aumento degli imballaggi, sia per le montagne di pubblicità cartacea. Ognuno di noi consuma almeno 80 Kg di carta l’anno. Dei 7,6 milioni di tonnellate di carta buttata, vengono recuperate 2200 tonnellate. La maggior parte di questa carta arriva da banche, grandi uffici, industrie. La raccolta spicciola, invece, ha un’incidenza limitata. I riciclaggio di una tonnellata di carta usata consente di non abbattere circa 15 alberi. Il processo di riciclaggio può essere ripetuto fino a sette volte. Sarebbe opportuno, inoltre, utilizzare la carta riciclata non sbiancata con il cloro, poiché questo trattamento risulta altamente inquinante. Nel bidone dei rifiuti troviamo diversi tipi di

㻝㻞㻜㻌 plastica quali: PVC (polivinilcloruro):bottiglie, rasoi, ecc.; PET (polietilen-tereftalato): bottiglie di acqua minerale; PP (polipropilene): siringhe monouso, nastri adesivi, vernici, bacinelle, ecc.; PE (polietilene): sacchetti di plastica, sacchi neri per la spazzatura, taniche e tappi; PST (polistirolo): bicchieri, piatti, ecc.

Tabella 6.3- valori di materiali dedicati al recupero e al riciclaggio provenienti da superfici pubbliche e privateanno2004-2008 (Fonte ISPRA con valori 1000*tonnellate)

Nel 2008 sono stati immessi al consumo circa 8 miliardi di contenitori plastici. La quantità riciclata nello stesso anno è stata di circa 7.228.000 tonnellate. Per ogni Kg di plastica riciclato si risparmiano 1,7 Kg di petrolio. Dalla plastica riciclata (dalle bottiglie in particolare) si ricavano fioriere, palle da tennis, pullover e giubbotti. Però la possibilità di riciclo riguardano prevalentemente la plastica omogenea; pertanto sarebbe ideale organizzare una raccolta differenziata per i generi più noti o una successiva selezione a valle. Il vetro è riciclabile in modo vantaggioso. Dei 2 milioni di tonnellate (8%) usato ogni anno, ne viene recuperato il 53%. L’alluminio è pregiato e il suo riciclaggio è possibile quasi integralmente con un enorme risparmio. Produrre alluminio vergine ha un notevole costo ambientale: la bauxite necessaria genera, durante la lavorazione, scorie tossiche. Per produrre una tonnellata di alluminio servono 17.000 KWh di elettricità, 5 tonnellate di bauxite, criolite, allumina, soda e petrolio. Riciclare il prodotto finito fa risparmiare il 95% di energia. Enorme è lo spreco delle lattine. I prodotti chimici sono generalmente considerati pericolosi. Devono pertanto essere previste raccolte differenziate anche per tali materiali che rientrano nella costituzione del rifiuto urbano. Essi recano sulla confezione “T” o “F”, e al loro eliminazione finale dovrebbe avvenire attraverso impianti di smaltimento appositi. Le pile prevedono una raccolta differenziata e uno stoccaggio definitivo in discarica controllata con un trattamento particolare in impianti ancora poco diffusi sul territorio nazionale. In Italia si consumano 400 milioni di pile ogni anno. La loro pericolosità è data dal contenuto di metalli pesanti. Ultimamente l’industria è riuscita a produrre pile senza mercurio e cadmio. Da tale categoria restano fuori quelle a bottone che coprono il 10% e per loro non è stata ancora trovata un’alternativa ecologicamente pulita. Comunque sia, bisogna precisare che non si può riciclare

il 100% delle merci usate. Per vari motivi, prima o poi una parte di questi si trasforma in composti indesiderati che devono pur trovare soluzioni di smaltimento controllato.

㻝㻞㻝㻌 㻌 Fig. 6.18 - distribuzione percentuale del recupero dei rifiuti di imballaggio, anni 2004-2008

6.6.2 Il termovalorizzatore: informazioni di base

Gli inceneritori sono impianti che bruciano i rifiuti a temperatura elevate di circa 800-1000°C, producendo dei sottoprodotti quali ceneri, fumi ed eventuali acque di lavaggio dei fumi. Dai dati di alcuni studi, si evince che in questi impianti le emissioni atmosferiche non creano grossi problemi d’inquinamento, purché vi sia un buon sistema di controllo e di filtraggio dei fumi. Rispetto alla discarica i vantaggi dell’inceneritore sono la riduzione del volume dei rifiuti (90%), e di peso (75%); distruzione di buona parte del materiale organico destinato alla discarica; produzione di energia termica ed elettrica. Tra gli svantaggi sono da considerare i costi elevati di costruzione, di gestione e di manutenzione, che devono tener conto degli oneri per il trattamento dei fumi e delle ceneri. Con la termovalorizzazione si può convertire la spazzatura in elettricità e riscaldamento da distribuire nei quartieri vicini all’impianto. Un ulteriore possibilità è quella di utilizzare i rifiuti urbani a più alto potere calorifico come combustibile per impianti produttivi già esistenti. Secondo tale possibilità, il combustibile da rifiuti (CDR) potrebbe sostituire il combustibile tradizionale (ad esempio il carbone) in impianti di produzione di energia elettrica.Si distingue quindi dai vecchi inceneritori che si limitavano alla sola termodistruzione dei rifiuti senza produrre energia. L'impiego dei termovalorizzatori sembra essere una via di uscita dal problema delle discariche ormai stracolme. Pur essendo molto meno inquinanti rispetto ai vecchi inceneritori, i termovalorizzatori non eliminano in ogni caso l'emissione di diossine nei fumi di scarico dispersi nell'atmosfera circostante. Un fatto su cui concordano ormai tutti, costruttori, medici e tecnici. Basti pensare che non esiste una soglia minima di sicurezza per le diossine e possono essere nocive per l'uomo a qualsiasi livello di assimilazione (US Environment Protection Agency 1994). Motivo che già di per sé è sufficiente per comprendere lo stato d'animo dei cittadini e le mobilitazioni sociali in questo senso. Secondo la legge Ronchi bisognerebbe quanto più possibile recuperare materiali ma allo stato attuale si premiano i processi che impediscono il recupero dei suddetti materiali. La termovalorizzazione per assolvere al suo compito in maniera ottimale dovrebbe non

precedere bensì seguire un processo accurato di raccolta differenziata che preveda ci si informi

㻝㻞㻞㻌 come materia prima nei cicli produttivi (separando accuratamente il vetro dalla plastica, dalla carta, dall'alluminio, etc). Anche la materia destinata ai termovalorizzatori (le cosiddette ecoballe) dovrebbe avere peculiari caratteristiche tali da scongiurare quanto più possibile un eventuale rilascio di sostanze nocive nell'ambiente, ma questo passaggio purtroppo in alcuni casi non avviene ancora con la necessaria trasparenza e accortezza. E' necessario inoltre sempre procedere ad un

attento esame dell'impatto sull'ambiente specifico a cui il termovalorizzatore è destinato e sulla salute dei cittadini, come dovrebbe avvenire per qualsiasi scelta di ordine pubblico.

L'ubicazione degli impianti non è un problema di secondaria importanza. Prioritarie sono trasparenza e concertazione delle scelte con i cittadini del luogo. Solo in questo modo potrà avviarsi una concreta collaborazione tra cittadini e amministrazioni nella complessa gestione del sistema rifiuti. In Italia i rifiuti avviati alla termovalorizzazione sono ancora pochi, il 9,3% di rifiuti

inceneriti con recupero di energia nel 2006, contro il 18% della media europea nel 2006.