• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 4 – La Politica e l’Ambiente

4.1 Il Protocollo di Kyoto

4.1.3 Termini e condizioni

I paesi in via di sviluppo, non sono stati invitati a ridurre le loro emissioni. A tali paesi la crescita delle emissioni di anidride carbonica e degli altri gas serra sta avvenendo ad un ritmo che è circa triplo (+25% nel periodo 1990-1995) di quello dei Paesi sviluppati (+8% nello stesso periodo). La stima delle future emissioni diventa così estremamente difficile perché dipende dai vari trend demografici, economici, tecnologici e dagli sviluppi politici ed istituzionali di tutti i paesi del pianeta. In ogni caso, senza delle misure più restrittive volte alla limitazione delle emissioni, la concentrazione atmosferica dei gas serra continuerà ad aumentare fino a provocare dei danni climatici impensabili. Premesso che l'atmosfera terrestre contiene 3 milioni di megatonnellate (Mt) di CO2, il Protocollo prevede che i paesi industrializzati riducano del 5% le proprie emissioni di

questo gas. Il mondo immette 6.000 Mt di CO2, di cui 3.000 dai paesi industrializzati e 3.000 da

quelli in via di sviluppo; per cui, con il protocollo di Kyōto, se ne dovrebbero immettere 5.850 anziché 6.000, su un totale di 3 milioni.

4.1.3.1 MECCANISMI FLESSIBILI

Ancora il protocollo prevede, per i Paesi aderenti, la possibilità di servirsi di un sistema di meccanismi flessibili per l'acquisizione di crediti di emissioni,quindi:

1. il Clean Development Mechanism 2. la Joint Implementation

3. l’Emissions Trading

studiati allo scopo di aiutare i paesi industrializzati a ridurre i costi associati al conseguimento dei loro impegni di riduzione,realizzando interventi in Paesi dove i costi di abbattimento o assorbimento sono più bassi.

Tali meccanismi possono essere utilizzati da tutti i paesi industrializzati che rispettino i seguenti requisiti:

x devono aver ratificato il Protocollo di Kyoto;

x devono aver calcolato la loro quantità assegnata in tonnellate di CO2 eq.

x devono aver predisposto ed avviato un sistema nazionale per la stima delle emissioni e degli assorbimenti di gas serra e trasmettere tali informazioni annualmente al Segretariato;

x devono aver predisposto ed avviato un registro nazionale delle emissioni per contabilizzare le quote di emissioni rilasciate, possedute, trasferite, restituite e cancellate e trasmettere tali informazioni annualmente al Segretariato;

x devono dimostrare che l’utilizzo dei meccanismi è solo aggiuntivo rispetto alle azioni intraprese a livello nazionale.

Secondo quanto previsto dagli Accordi di Marrakesh, anche le imprese, organizzazioni non

governative ed altre persone giuridiche possono partecipare ai meccanismi flessibili, ma solo sotto la responsabilità del Paese di appartenenza.

㻣㻟㻌 1. Clean Development Mechanism (CDM): consente ai paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti nei paesi in via di sviluppo, che producano benefici ambientali in termini di riduzione delle emissioni di gas-serra e di sviluppo economico e sociale dei Paesi ospiti e nello stesso tempo generino crediti di emissione (CER) per i Paesi che promuovono gli interventi.

2. Joint Implementation (JI): consente ai paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti per la riduzione delle emissioni di gas-serra in un altro paese dello stesso gruppo e di utilizzare i crediti derivanti, congiuntamente con il paese ospite.

3. Emissions Trading (ET): consente lo scambio di crediti di emissione tra paesi industrializzati e ad economia in transizione; un paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può così cedere (ricorrendo all’ET) tali "crediti" a un paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra.

4.1.3.2 PERIODO DI ADEMPIMENTO E PREVISIONI

Il 1°Gennaio 2008 è iniziato il periodo di adempimento del Protocollo di Kyoto,che prevede per l’Unione Europea un taglio delle emissioni di gas serra dal 5% all’ 8% rispetto alle emissioni del 1990. Stando all’ultimo Rapporto dell’Agenzia europea dell’ Ambiente,le emissioni dell’ Unione Europea 15 sono state ridotte del 2% rispetto ai valori del 1990. Le previsioni di riduzione per il 2010 sono di gran lunga migliori di quelle dell’anno precedente. Inoltre, sempre,secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente(AEA),sono in linea con le proiezioni attuali: l’UE (a 15) supererà gli obiettivi del protocollo di Kyoto. Va detto che 12 dei 15 Stati membri prevedono di raggiungere i loro obiettivi iniziali grazie all’accostamento di misure nazionali a meccanismi europei. E’ proprio questa la nota dolente: soltanto l’attuazione e l’utilizzo di misure aggiuntive, dei serbatoi di carbonio e dei meccanismi di Kyoto, consentiranno di raggiungere questo ambizioso obiettivo. India e Cina,insieme ad altri paesi in via di sviluppo sono stati esonerati dagli obblighi del protocollo di Kyōto perché essi non sono stati tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra durante il periodo di industrializzazione che si crede stia provocando oggi il cambiamento climatico. I paesi non aderenti sono responsabili del 40% dell'emissione mondiale di gas serra. Qua dobbiamo accennare le parole pronunciate a New York,durante la riunione convocata per i cambiamenti climatici,dal presidente della Cina e che rivelano palesemente obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni di gas del effetto serra. Infatti secondo le sue dichiarazioni la Cina procederà alla riduzione,in modo significativo entro il 2020,dell’ emissioni di anidride carbonica per unità di produzione economica rispetto al 2005,con un senso di responsabilità verso le persone ed i popoli di tutta la terra essendo consapevoli dell'importanza e della assoluta necessità di combattere il cambiamento climatico. Hu Jintao ha anche promesso che la Cina pianterà foreste sufficienti a coprire un'area delle dimensioni di Norvegia,con la prospettiva che in un decennio il 15% del consumo di energia sarà proveniente da fonti energetiche rinnovabili. Ma a parte la buona volontà rimane sempre il fatto della posizione consolidata della Cina,il cui presidente ha ribadito per ancora una volta: non si può chiedere ai paesi in via di sviluppo ad assumere impegni che superano il loro livello di sviluppo.

㻣㻠㻌 㻌

Fig. 4.1: Emissioni internazionali di anidride carbonica

Tabella 4.1: Percentuale di riduzione di gas serra entro il 2012

4.1.3.3 SANZIONI

In caso di inadempienza agli obblighi previsti dal Protocollo di Kyoto sono previste sanzioni per i paesi partecipanti. Il meccanismo sanzionatorio definito all’interno del processo attuativo del Protocollo di Kyoto (decisione 27/CMP.1), si propone di facilitare, promuovere e rafforzare il rispetto degli impegni fissati,assicurando al tempo stesso trasparenza e credibilità al sistema. Essendo il primo strumento messo in atto per raggiungere gli obiettivi della Convenzione e viste anche le difficoltà nel raggiungere un accordo tra le Parti, si è scelta una linea strategica non orientata a sanzionare economicamente gli Stati in maniera diretta ma a responsabilizzarli in vista dei periodi di impegno successivi. Nel caso di mancato rispetto dell’impegno di riduzione delle emissioni, il Protocollo di Kyoto prevede dunque l’applicazione delle seguenti sanzioni:

x maggiorazione del 30% sulla quantità di emissioni che mancano al raggiungimento dell’obiettivo, addebitata in aggiunta agli obblighi che verranno stabiliti nel secondo periodo d’impegno;

㻣㻡㻌 x viene previsto l’obbligo di adozione di un piano d’azione per il rispetto dei propri obiettivi; x può essere disposta la sospensione dalla partecipazione all’emissions trading.

Invece nel caso di mancato rispetto degli impegni di riduzione negoziati con il Burden Sharing Agreement,cioè del Accordo europeo, siglato nel 1998, che ha definito la ripartizione delle quote di riduzione delle emissioni nei Paesi dell’ UE 15,i Paesi membri dell’Unione europea potranno inoltre essere soggetti ad una procedura di infrazione su iniziativa della Commissione. Anche se il Protocollo di Kyoto non prevede sanzioni economiche dirette,il mancato raggiungimento degli obiettivi risulta particolarmente oneroso in termini di credibilità internazionale, appesantimento degli obblighi nel secondo periodo di impegno e il rischio di non partecipare all’emissions trading. Concludendo possiamo dire che già dal dicembre del 2007, durante la Conferenza di Bali, è stato lanciato il discorso sul dopo Kyoto.Nel corso dell’evento è stata adottata una “Road map”,anche da parte degli Stati Uniti e dei Paesi ad economia emergente quali Cina ed India,che prevedeva la definizione di meccanismi per attuare l’appoggio tecnologico e finanziario dei paesi sviluppati verso i Paesi ad economia emergente ed in via di sviluppo, decisivo per ridurre le loro emissioni di gas serra. Questa aveva una scadenza ben precisa: la Conferenza di Copenaghen del 2009, dove sono stati definiti i nuovi impegni in materia di cambiamenti climatici.

4.1.3.4 STATO DI ATTUAZIONE DEL PROTOCOLLO DI KYOTO IN ITALIA

L’Italia ha ratificato il Protocollo con la legge n. 120 del 1 giugno 2002. Gli Stati membri con maggiori difficoltà a rispettare i propri impegni sono la Danimarca, la Spagna e l’Italia, che rappresenta il terzo paese emettitore dell’Unione europea. Questi paesi si trovano in fondo alla classifica a causa dell’aumento di produzione delle centrali termiche a combustibili fossili e per il momento non sembrano essere in grado,di soddisfare gli obiettivi fissati per il 2010.

4.1.3.4.1 Obblighi e situazione attuale

L’ Italia deve ridurre le sue emissioni di gas serra nel periodo 2008 – 2012 del 6,5% rispetto al 1990.I dati ufficiali del 2005 indicano un aumento delle emissioni nel paese del 12,1%. Le stime degli ultimi due anni indicano invece un trend di riduzione delle emissioni collocando l’Italia,alla fine del 2007,a valori sicuramente al di sotto del 10%. E’ interessante leggere l’attuale disputa Europa-Italia sulla politica climatica con la consapevolezza della posizione del nostro paese rispetto agli obiettivi del protocollo di Kyoto, ormai alla seconda fase di attuazione. L’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA) ha pubblicato il rapporto annuale “Greenhouse Gas Emission Trends And Projections in Europe, 2008”, studio che ogni anno illustra il percorso di ciascun paese europeo nel raggiungimento del proprio obiettivo di riduzione di emissioni di gas serra. Quest’anno le previsioni, nel complesso, sono positive: afferma, infatti, lo studio che l’UE-15 dovrebbe, per il periodo 2008-2012, conseguire il suo obiettivo congiunto di riduzione di emissioni dell’8%. Questo miglioramento in Italia è dovuto principalmente a condizioni climatiche invernali più miti, ma presenta anche qualche elemento strutturale dovuto al verificarsi di un disaccoppiamento tra crescita economica e consumi energetici ed ai provvedimenti presi nell’ultimo periodo. La Quarta Comunicazione Nazionale all’UNFCCC, alla cui redazione ha partecipato l’ENEA, fa un quadro organico dello stato attuale e valuta la distanza da Kyoto, tenendo conto dello scenario tendenziale al 2010, in 103,7 Mt CO2 eq.

㻣㻢㻌

4.1.3.4.2 Misure adottate per la tutela dell’ ambiente

Per colmare la distanza dal Protocollo di Kyoto ,il governo italiano si propone di attuare misure finalizzate all’ assorbimento di carbonio e alla costruzione di impianti di produzione di energia elettrica a partire da fonti rinnovabili. Tali misure riguardano anche l’utilizzo dei meccanismi flessibili. Basti pensare ai sistemi di incentivazione del fotovoltaico,e quelli di promozione dell’efficienza energetica negli edifici, della cogenerazione e dell’utilizzo dei biocombustibili nei trasporti, agli incentivi previsti dalla legge finanziaria 2007 ed alle misure di incentivazione a carattere più strutturale previste dalla legge finanziaria 2008. Meritano inoltre di essere citati anche i nuovi obiettivi di risparmio energetico negli usi finali recentemente adottati. Lo strumento messo in atto per definire una risposta organica di adeguamento agli obiettivi è rappresentato dalla delibera CIPE approvata il 11 dicembre del 2007. Rimane a vedere se l’Italia riuscirà a mantenere gli impegni assunti nell’ambito del Protocollo di Kyoto,siccome per un lungo periodo ha sottovalutato l’importanza degli impegni sottoscritti a Kyoto.

4.1.3.4.3 Sanzioni per mancato adeguamento agli obblighi

Nel 2009 l’ Italia non e’ riuscita a mantenere gli impegni e per questo motivo dovrà pagare cifre altissime a titolo di “multa” o meglio d’acquisto di diritti all’emissione di CO2,per aver sfondato

ampiamente il tetto della produzione di CO2 concordata e pattuita nell’ambito del protocollo di

Kyoto. Per il 2009 si tratta di Cinquecentocinquanta milioni di euro,che potrebbero diventare 840 entro il 2012. È il conto, salato, che l'Italia rischia di pagare se vuole rispettare il tetto imposto alle emissioni di CO2,gas responsabile dell'effetto serra e del riscaldamento globale. Infatti rispetto ai limiti imposti dall'Europa (l'Italia tra il 2009 e il 2012 può liberare nell'aria 201 milioni di tonnellate di CO2), avremo emissioni in eccesso per 56 milioni di tonnellate. Ciò rappresenta un costo: per produrre corrente elettrica, cemento, acciaio e altre materie prime essenziali, il paese dovrà acquistare sui mercati internazionali dell'anidride carbonica,diritti di emissioni che costano in media sui 12-15 euro la tonnellata. La stima di spesa per rientrare nei parametri è così nell'ordine degli 840 milioni. I tempi sono stretti. Nel solo 2009 si stimano 37 milioni di tonnellate di anidride carbonica di troppo, pari appunto a un costo di 550 milioni. Ovviamente, tutto ciò non avrebbe alcun beneficio ambientale e si limiterebbe in un trasferimento semplice e diretto di denaro dai cittadini italiani verso chi ha diritti di emissione. L'allarme viene da una relazione del Comitato di gestione del Protocollo di Kyoto italiano, autorità che ogni paese europeo deve darsi per seguire gli aspetti operativi e tecnici per ridurre la CO2 liberata in aria. La relazione dice che il piano nazionale delle

emissioni per il periodo 2008-2012 ha attribuito agli impianti esistenti 184,7 milioni di tonnellate di CO2 l'anno, mentre 16,93 milioni di tonnellate l'anno sono state destinate alla riserva nuovi entranti

ovvero agli impianti che al momento della notifica del piano nazionale alla Commissione europea non avevano ancora ottenuto l'autorizzazione ad emettere gas ad effetto serra o non erano ancora entrati in esercizio. La rilevante differenza tra il fabbisogno stimato e l'assegnazione delle quote con il piano nazionale, come previsto ha determinato e sta determinando una situazione di particolare criticità, soprattutto per quanto riguarda la riserva nuovi entranti. Tutto è iniziato nel febbraio 2008,quando l'Italia aveva proposto a Bruxelles un “tetto” massimo annuale di quote inferiore di almeno il 15% rispetto al fabbisogno necessario: 201,63 milioni di tonnellate, contro una stima di almeno 230 milioni data dai ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo Economico. Proposta piaciuta a Bruxelles e a tutti gli altri paesi europei, pronti a vendere a caro prezzo alle imprese italiane i diritti di emissione che loro avevano in eccesso. Il governo di allora ha preso l’impegno,per

㻣㻣㻌 proteggere la competitività delle imprese italiane,che in caso di deficit di quote ,di comprare con soldi pubblici i diritti e a donarli a tutti i nuovi impianti industriali che sarebbero entrati in servizio a partire dal 2008. In altre parole, è stato scaricato sul pubblico il costo di una distorsione ideologica a danno dell'economia italiana. Per il Comitato di gestione di Kyoto, come soluzione potrebbe essere valutato il ricorso a un soggetto terzo (come la Cassa depositi e prestiti) per anticipare i soldi necessari a comprare i diritti di emissione,con un successivo rimborso da parte del sistema pubblico,siccome questo tetto inferiore ha comportato costi aggiuntivi ed effetti distorsivi per l'economia italiana.