Pio Filippo Becchino
Gli amministratori delle Cantine Sociali della provincia di Asti, riunitisi presso la locale Ca-mera di Commercio il 4-9-1976, hanno tra l'altro valutato la proposta di « istituzione di centri di assistenza tecnica sul piano amministrativo, pro-duttivo, informativo, che operino per le Cantine Sociali ».
La proposta è interessante e potrebbe risultare valida, anche perché tende a stimolare intorno al fenomeno cooperativo l'attenzione dell'opinio-ne pubblica e la presa di coscienza delle possi-bilità e dei limiti di questo moderno mezzo per operare in economia.
È ormai assodato che lo Stato non può più restare confinato in un agnostico liberalismo, mentre di fronte si erge lo strapotere del mag-giore capitalismo e i lunghi e avvolgenti tenta-coli dei monopoli stritolano le piccole iniziative.
Proprio affinché lo Stato stesso non venga, a lungo andare, soggiogato dalla plutocrazia privata la quale — insegna la storia — ha più volte avuto il sopravvento sul potere pubblico, è indispen-sabile tentare di creare dei mezzi alternativi al potere finanziario di tale capitalismo meno illu-minato, il quale spesso tende a diventare potenza rivale dello Stato.
Il più valido di questi alternativi è la « coo-perazione » alla quale è pertanto necessario dare, oltreché un vigoroso impulso, anche un funzio-nale assetto organico.
A tal uopo si ritiene che diventi della massima importanza ed urgenza un'adeguata formazione dei soci di cooperativa (più che non l'istituzione dei « centri di assistenza » ricordati all'inizio) e la predisposizione di tutti gli strumenti più idonei ad impartire la formazione stessa.
Si tratta, in sintesi, di inculcare i principi basi-lari della cooperazione sotto il profilo sociale, pur non trascurando quello giuridico (benché su di un piano elementare).
Vi è cioè un problema di fondo da risolvere: creare nei cooperatori la fiducia nella forma
asso-ciativa come base sostanziale per il rilancio della stessa ed elemento di propulsione dell'iniziativa economica. Solo dalla fiducia scaturisce la volon-tà di operare in modo più incisivo, più razionale, più organico.
Ma per credere in una idea o in una formula è necessario prima conoscerla a fondo, rendersi conto della sua utilità e della sua portata. Il che non sembra sia fino ad oggi avvenuto in fatto di cooperazione, almeno tra le forze economiche piemontesi. Solo una minima parte di persone conosce perfettamente ciò che la cooperazione sia, nei suoi vari aspetti.
Da qui sorgono false cognizioni che rendono difficile lo sviluppo del movimento associativo. Quindi non a caso, ad esempio, i soci delle « can-tine sociali », per la quasi totalità, disertano le assemblee e a volte preferiscono vendere il loro prodotto sul mercato libero e conferire la parte peggiore del raccolto. La cooperativa non è per loro uno strumento per la migliore realizzazione delle loro finalità economiche, ma quasi una for-ma di sopraffazione imposta politicamente, di coartazione della libertà del singolo. La mancan-za di spirito cooperativo è quindi da imputare in massima parte a carenze conoscitive.
La soluzione più idonea per dare nuovo im-pulso al fenomeno cooperativistico sembra que-sta: prima di tutto occorre persuadere gli uomini di oggi che la cooperazione non elimina la loro individualità, ma è un mezzo economico che in-dirizza le loro scelte, favorisce lo smercio dei prodotti e comporta costi minori. È un lavoro lungo però ed incerta è la riuscita, causa la vec-chia abitudine di pensare liberisticamente, il ca-rattere personalistico dell'uomo latino, la cattiva riuscita di alcune gestioni cooperative specie agri-cole (cantine, caseifici) e la conseguente diffidenza sviluppatasi.
È comunque un lavoro da intraprendere, so-prattutto con sistemi di fiancheggiamento — in-tendo cioè con l'istituzione di corsi per dirigenti,
amministratori, segretari di cooperative, da svol-gersi presso le Camere di commercio o presso gli Uffici del lavoro, i quali potrebbero curarli direttamente. Detti corsi — per cooperatori in atto — avrebbero la finalità di diffondere in ma-niera semplice e sufficientemente chiara i prin-cipi cooperativi, le tecniche gestionali, le norme del codice civile in materia di società.
È però di ben più vitale importanza saper for-mare i cooperatori di domani.
E questo si può ottenere in breve spazio di tempo e con pochissima spesa, con l'aiuto della scuola pubblica e degli Uffici dello Stato, come tosto diremo.
Si deve cioè riuscire ad assuefare i ragazzi, fin dalla scuola media, a mettere in comune il servizio dei beni, siano essi libri od attrezzi, nonché lo stesso apprendimento (« io per il mo-mento so di più e ti aiuto »), e a non reclamare sempre con la frase fatta abituale al ragazzino (« questo è mio, si, questo è mio »), segno di abitudine ad eccesso di individualismo e quindi negazione di un adattamento al gruppo (il quale invece deve sempre avere uno scopo comune, prima nella vita scolastica e poi in quella pro-duttiva, per non risultare un aggregato inutile o peggio dannoso e disgregante nel connettivo sociale).
La scuola dell'obbligo ha da tempo iniziato un complesso lavoro per attuare mete che por-tino alla coesistenza e alla collaborazione e cer-ca di dare ai giovani una sufficiente praticer-ca del metodo democratico e una coscienza civica.
Gli insegnanti potrebbero però maggiormente ancorare il loro insegnamento alla situazione eco-nomico-sociale del momento approfondendo l'ar-gomento della cooperazione per fornire agli al-lievi, oltre agli abituali generali contenuti più strettamente legati al piano morale ed umano, anche quelli più specifici connessi alle reali esi-genze della vita economica.
Per poter conseguire più facilmente questi risultati non sarebbe solo utile ma forse neces-sario preparare incontri ed anche istituire semi-nari ad hoc per professori di scuola media al fine di poter fornire loro dati tecnici sulla coopera-zione, informazioni sugli aspetti psicologici e so-ciali della personalità del cooperatore e sui risul-tati pratici conseguibili. Gli insegnanti otterreb-bero cosi conoscenze adeguate in materia, cono-scenze che — tramite metodologie personali — potrebbero successivamente trasferire ai loro allievi.
I professori dovrebbero avere, fra l'altro, venti ore extra-insegnamento mensili da porre a dispo-sizione della scuola. Pertanto i seminari loro de-stinati non costerebbero nulla o assai poco in quanto alla frequenza degli stessi i professori potrebbero dedicare alcune di tali ore.
D'altra parte oggi il ruolo dell'insegnante non ha soltanto confini culturali e didattici ma impe-gni di complesso servizio sociale. (Infatti i do-centi delle scuole medie debbono curare il loro rinnovamento culturale e professionale ed un costante adattamento alla realtà del Paese me-diante sperimentazione ed aggiornamenti).
I relatori dei seminari dovrebbero essere (sem-pre che non si voglia spendere danaro pubblico) soprattutto quei pratici (addetti alla « coopera-zione », ispettori di cooperative), i quali oggi sono dipendenti del Ministero del Lavoro e so-prattutto dei suoi Organi periferici.
Tali relatori dovrebbero diventare centro co-stante d'informazione mediante la cura di pub-blicazioni ciclostilate con notizie qualificate sul-l'argomento e attraverso costruttive e periodiche discussioni in omaggio al criterio che occorre facilitare in ogni modo l'incontro col mondo vivo della cooperazione già operante.
Solo per tale via i professori cosi sensibilizzati e formati potrebbero, forniti di una ricca sintesi di valori, diventare a loro volta coscienza trai-nante (in tema di cooperazione) per i loro giovani discenti.
Inoltre durante l'anno scolastico si potrebbero invitare esperti — nel corso delle lezioni cui abbiamo accennato — a guidare i partecipanti ai seminari (eventualmente insieme ai loro alunni) a visitare cooperative efficienti affinché gli stessi ne abbiano una cognizione diretta. Per contro, poi, al fine di stabilire confronti, dovrebbero es-sere visitate piccole proprietà individuali in stato di dissoluzione per le troppe spese e l'impossi-bilità di vendere a prezzi remunerativi.
Si ritiene che i professori di applicazioni tecni-che (materia tecni-che sembra soggetta ad incremento poiché dovrebbe essere resa obbligatoria nella ter-za media unica) avrebbero modo di diventare otti-mi collaboratori per indirizzare i giovani ad un giudizio positivo sul mezzo economico della coo-perazione.
E se non sempre fossero utilizzabili i profes-sori di applicazioni tecniche quale uditorio per i seminari menzionati (se cioè gli stessi non potes-sero partecipare), sarebbe opportuno chiedere l'intervento dei professori di materie letterarie
(i quali già svolgono nelle scuole la parte di geo-grafia e di educazione civica).
In definitiva sembra di poter concludere che il problema cooperativo va posto al livello più lontano — ovvero a livello scolastico — cosicché si trasformi in un contenuto basilare dell'educa-zione dell'uomo in campo economico.
Curare la cooperazione vuol dire inculcare un concetto di collettività, non come perdita di indi-vidualità ma come adattamento dell'individuo al bene comune, non come applicazione di teorie utopistiche o materialistiche, ma sia come mezzo per allargare le aree economiche fruendo di risul-tati più maturi socialmente, sia come organizza-zione di lavoro autonomo svolto in collabora-zione.
Lo sviluppo del principio delle aree economi-che più vaste — cosi come è rappresentato in altra dimensione dal mercato comune europeo nato per migliorare le economie degli stati sin-goli — servirà non solo per i nostri esigui fini locali, provinciali, regionali, ma per quelli della nazione, che si avvantaggerà delle iniziative in
argomento s'esse saranno socialmente sentite ed economicamente preparate.
Occorre curare dunque, nei cennati incontri e seminari, la parte « istruzione » e la parte « so-ciale » in modi facili e che si possono realizzare abbastanza agevolmente, sempre che vi sia la volontà di farlo.
Ho già accennato: sono idee che si possono attuare senza spesa o meglio con modestissima spesa, eventualmente ricorrendo alla voce « stra-ordinari » dei bilanci dei Ministeri chiamati in causa (il Ministero del Lavoro e il Ministero della Pubblica Istruzione). È chiaro che questi Mini-steri dovrebbero prima di tutto accordarsi tra loro e sviluppare programmi nel senso indicato, a cui dovrebbero far seguito in periferia le attua-zioni, previ contatti fra Uffici Lavoro e Provve-ditorati agli Studi.
L'anno scolastico 1976-77 è già iniziato; per-tanto se la proposta verrà recepita, è necessario che tutte le forze si fondano subito, al fine di tro-vare gli opportuni accordi e modalità per venire a capo della cosa.