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Cronache Economiche. N.009-010, Anno 1976

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(1)

CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA

DI TORINO

SPEDIZIONE IN ASB. POSTALE (IV GRUPPO) / 70 - 2° SEM.

ANNO 1976

(2)

Sognando

California...

M ^ j i h a n n o chiamati pionieri. Hanno eretto città, stadi e imprese

monumentali. Hanno cominciato con carri di legno, e sudore di cavalli. Hanno cominciato mettendo un piede dopo l'altro verso occidente

sognando California. Hanno unito i loro oceani con nastri di ferro. Hanno cominciato con accette ed abeti,

chiodi e mazze. Hanno cominciato

mettendo un chiodo dopo l altro verso occidente sognando California. Honno eretto città d oro e di petrolio. Hannocominciatocon setacci picconi e tronchi cavi. Hanno cominciato setacciando torrente dopo torrente verso occidente sognando California.

"e grandi piccole imprese sono

questione di uomini e di mezzi.

Gente che và nella direzione che

si è scelta, passo dopo passo ad ogni costo,

appassionatamente.

Gente che crede in chi và. E fornisce i

mezzi, non importa quali.

I carri per le migrazioni, o il servizio

bancario internazionale per l'espansione.

Il ferro e il legno per le ferrovie coast-to coast,

o il leasing per macchine sempre più nuove

ed efficienti.

I setacci per l'oro di Eldorado, o

l'apertura di credito per le industrie nascenti.

I pozzi per forare la terra, o lo sconto delle

fatture per finanziare la produzione.

Assi e chiodi per le capanne dei pionieri

o mutui alle imprese per costruire fabbriche

e palazzi.

Gente che insieme crea, conquista,

espande, migliora la qualità della vita.

CASSA DI RISPARMIO

DI TORINO

(3)

Analizziamo l'aria

di Torino per ridurre

l'inquinamento

Fiat a Torino :

1 stazione di rilevamento

e analisi aria sulla

mole antonelliana e altre 13

nei punti chiave della città

(4)

U Banco Ambrosiano

Sportelli:

BOLOGNA • FIRENZE • GENOVA • MILANO • ROMA • TORINO

VENEZIA

ABBIATEGRASSO . ALESSANDRIA • BERGAMO • BESANA . CASTEGGIO • COMO CONCOREZZO • ERBA . FINO MORNASCO • LECCO • LUINO • MARGHERA • MON-ZA • PAVIA • PIACENMON-ZA • PONTE CHIASSO • SEREGNO • SEVESO . VARESE VIGEVANO

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SEDE DI TORINO

VIA XX SETTEMBRE 3 7 - TELEFONO 57731

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A II Banco Ambrosiano fa parte del "GRUPPO DI BANCHE INTER-ALPHA" Pratiche di finanziamento a medio e lungo termine quale Banca partecipante a INTERBANCA S.p.A. - Milano

LI Banco Ambrosiano

(5)

cronache

economiche

rivista della camera di commercio industria artigianato e

agricol-tura di torino

numero 9 / 1 0 anno 1 9 7 6

Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni deb-bono essere indirizzati alla Direzione della Ri-vista. L'accettazione degli articoli dipende dal giudizio insindacabile della Direzione. Gli scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pen-siero dell'Autore e non impegnano la Direzione della Rivista né l'Amministrazione Camerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono es-sere inviate in duplice copia. É vietata la ri-produzione degli articoli e delle note senza l'autorizzazione della Direzione. I manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono.

sommario

G. Fantino

3 La strada reale di Rivoli nell'ampliamento occidentale di Torino G. Cansacchi

1 5 II trasferimento internazionale delle tecnologie E. Salza

2 2 Cosa fare per il risparmio ? A. Ubertalle

2 5 A p p u n t i in t e m a di qualificazione e valorizzazione delle carcasse bovine

P. F. Becchino

3 0 Per un impulso alla cooperazione E. Corsili

3 3 Sul problema della casa G. Fodday

3 7 Lavoro e a m b i e n t e M . Boccaletti

4 2 In margine ad una sentenza della Cassazione C. Beltrame

4 4 II sistema dei trasporti londinesi G. Brogiato

4 7 L'impianto della rete ferroviaria in Piemonte ( 1 8 4 8 - 1 9 1 4 ) G. Bertin

5 4 Riflessioni su Torino C. Novara

6 2 I quartieri nella realtà torinese A. Vigna

6 5 « Caravan Europa ' 7 6 » e « A l i m e n t a z i o n e dolciaria » A. V. 6 9 La m o d a per il ' 7 7 B. Cerrato 7 2 T e l e f o n a t e al 5 3 . 2 6 . 5 3 B. C. 7 6 C o m u n e per c o m u n e d e l P i e m o n t e il reddito e i c o n s u m i 7 9 Tra i libri 91 D a l l e riviste Figura in copertina : D i r e t t o r e responsabile: Giancarlo Biraghi Vice d i r e t t o r e : Franco A l u n n o R e d a t t o r e capo: B r u n o Cerrato

G i o v a n n i Paolo Pannini. Prospetto a levante del Castello di Rivoli, 1 7 2 3 . ( M u s e o civico d'arte antica di T o r i n o ) .

Direzione, redazione e a m m i n i s t r a z i o n e

(6)

C A M E R A D I C O M M E R C I O

I N D U S T R I A A R T I G I A N A T O E A G R I C O L T U R A

E U F F I C I O P R O V I N C I A L E I N D U S T R I A C O M M E R C I O E A R T I G I A N A T O

Sede: Palazzo degli Affari - Via S. Francesco da Paola, 24

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G A B I N E T T O C H I M I C O M E R C E O L O G I C O

(presso l i Bori» Merci) - 10123 Torino - Via Andrea Doria, 15.

(7)

La strada reale di Rivoli

nell'ampliamento occidentale di Torino

Giovanni Fantino

Nel tentativo di far luce sul periodo dell'attività più signifi-cativa di Michelangelo Garove, quale architetto militare e civi-le, esaminando i documenti, ho potuto reperire alcune notizie inedite sulla partecipazione del-l'architetto a lavori urbanistici ed idraulici di grande importan-za per lo studio della trasforma-zione urbana di Torino tra Sei e Settecento (').

Questo studio contempla per-ciò l'attività dell'architetto Ga-rove in quegli anni, con speci-fico riferimento alla strada reale di Rivoli, opera progettata men-tre si stava delineando il nuovo piano di espansione della città verso Porta Susina (2).

A m i o avviso questi due pro-getti, strada e città nuova, sono dunque da ritenersi intimamente

collegati, anche se dalla copiosa documentazione non emerge con chiarezza una contemporanea in-tenzione di programmazione ed esecuzione dei predetti piani. Essa va perciò dimostrata ed è questo uno dei risultati della ri-cerca.

Per giustificare queste affer-mazioni, ritengo di dover spie-gare inizialmente, mediante una analisi sistematica e cronologi-ca, quella che fu la trasforma-zione del tracciato della strada di Rivoli, dalla nascita in epoca romana, ai giorni nostri.

Gli studi e i documenti hanno evidenziato l'esistenza di un'an-tica via romana: un titolo votivo V I C T O R ( I A E ) A V G ( U S T A E ) , ritrovato alla fine del XVIII se-colo, ci fa risalire al periodo augusteo(}). Partendo dalla

por-ta Segusina, era la strada mae-stra di transito per la Gallia; il percorso, ripreso e riadattato nel periodo medioevale, fu poi de-viato nelle vicinanze di Torino in occasione della costruzione della Cittadella, iniziata a par-tire dal 1564.

I due percorsi, parzialmente assimilabili ed identificabili su alcune carte, come ad esempio quella topografica dello Stato Maggiore Sardo edita nell'anno

1864 e quella militare del 1889, stanno a dimostrare, che se si prosegue idealmente dalla casci-na Porporata il rettifilo della strada, si giunge all'incrocio del-la via Dora Grossa (Garibaldi) con la via della Consolata, pun-to in cui sorgeva la Porta Decu-mana o Segusina. Questa con-siderazione convalida

l'afferma-Parziale tracciato della vecchi» strada di Rivoli. Istituto Geografico Militare, Firenze 1889. scala I : 25000.

(8)

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Fig. 2 - Michelangelo Garove, «Canale che deve farsi a traverso de novi fossi dell'ingrandimento fuori della Porta Susina per condurre l'acqua nella presente C i t t à . . . » , Torino li 21 X b r e 1702

(Archivio Storico della Città di Torino).

zione secondo cui la vecchia stra-da di Rivoli seguiva il tracciato della via romana.

Vari documenti, a partire dal 1596, attestano l'importanza che si attribuì alla strada di Rivoli; ricorrenti furono gli ordini di riparazione e manutenzione, non soltanto sul territorio di Tori-no, ma anche su quelli limi-trofi, attraverso i quali passava la strada (4).

Nel Seicento, con la specifi-cazione dello stato nazionale co-me monarchia assoluta, e quindi con il prevalere della città capi-tale come polo primario sul

ter-ritorio e, conseguentemente di una cultura e di un'arte delle ca-pitali, nacque una nuova conce-zione urbanistica (5).

Torino si espanse due volte (1620-1673) O; gli ampliamenti, voluti dal sovrano e dettati, non tanto dal crescere della popola-zione, quanto da fattori politici, resero la città capitale, immagi-ne dello stato e del potere.

La strada, unità urbanistica fondamentale, richiese nuove di-mensioni, si accentuò il gusto per i rettilineamenti, e con l'at-tuarsi degli ampliamenti, le vie di accesso alle Porte,

nell'abita-to, e soprattutto le strade di col-Jegamento alle dimore reali di-vennero ampie, rettilinee e re-golari.

Per citare alcuni esempi, in Torino, nel 1658 si ordinò di costruire una strada in «retta linea» tra la Porta Nuova e la chiesa di S. Salvario, opera di un piano urbanistico attribuibile ad Amedeo di Castellamonte (7).

Nel 1679 si stabilì che la di-mensione di otto piedi legali, corrispondenti a circa m 2,30, prevista dalle leggi in vigore per la larghezza delle strade reali, non era adeguata alle necessità, per viaggi e scambi commerciali che andavano intensificandosi (8).

Tutta una serie di ordinanze ed istruzioni per la pulizia e la manutenzione delle strade stabi-liva severe sanzioni per i tra-sgressori (9).

Per sottolineare il prestigio dei regnanti, si progettarono o modificarono le strade di colle-gamento della città con le dimo-re ducali extraurbane, simboli del potere; nuovi viali rettilinei furono tracciati, quasi sempre assialmente alle loro facciate per accentuarne la visione pro-spettica.

Alla fine del Seicento (1699), quando il Garove intervenne alla Venaria, progettandone la rico-struzione, Vittorio Amedeo II affidò al Rubatti il compito di tracciare una nuova strada con larghezza netta superiore ai nove metri, in sostituzione delle due esistenti. Questa, partendo dal ponte sul fiume Dora, doveva ar-rivare sino a Madonna di Cam-pagna, fiancheggiata da filari di olmi o roveri (10).

(9)

rispetto alla facciata dell'edifìcio un disegno urbano a mandorla che diventa fondale del percor- già prefigurato ("). La delibera-so: innovazione che stimola per- zione riporta la richiesta di ste-cezioni e visioni scenografiche sura di un piano che comprenda fantastiche. tutti i terreni da includere nel

Agli inizi del 1700 il Garove nuovo ingrandimento per la mes-progettò la nuova cerchia delle sa in vendita degli appezzamen-fortificazioni di Torino in corri- ti: «...non sendosi ancora co-spondenza di Porta Susina, in- strutte le muraglie del nuovo eludendo un vasto spazio libero recinto non puonno detti sitti atto ad una ulteriore espansione presentemente considerarsi del della città (I2). valore calcolato... » (18).

I lavori di ingrandimento, de- Il 18 gennaio 1701 il Consi-siderati e voluti da Vittorio Ame- glio concede la cifra richiesta dal deo II, erano già stati previsti duca, sottolineando la necessità nel 1680, come informa una let- di impiegarla per le opere pro-tera dell'ambasciatore francese a grammate: « ...cavi de fossi, te-Torino al re Luigi XIV (13). Il do- pade ed altre opere... » (19).

cumento, datato 5 ottobre 1680, Questi documenti, a mio av-aiuta a confermare l'ipotesi se- viso, esprimono la ferma volontà condo la quale i tre ampliamenti di espansione, ma non ancora di Torino siano, almeno inten- l'intenzione di realizzare le zionalmente stati concepiti co- opere di urbanizzazione resi-me conseguenziali ('"). Partico- denziale.

lari condizioni imposero però la Due disegni inediti firmati dal loro attuazione in tre fasi sue- Garove che illustrano le opere cessive e distinte, come provano di canalizzazione, uno datato gli editti emanati a riguardo ne- 21 dicembre 1702 (20) «Canale

gli anni 1620, 1673, 1715. che deve farsi a traverso de La stessa Lange (15) attribuì il novi fossi dell'ingrandimento

progetto dell'ultimo ampliamen-to al Garove e al Berampliamen-tola,

ripor-tando la data 1702 Fl8' 3 " M i c h e l a n£e' ° Garove, Disegno di Canale con « Instrutione da osservarsi nella Constru-tione del Nuovo Canale che si deve fare supra il fosso del nuovo ingrandimento fuori della Porta

In realtà, contrariamente a S u si n a per condurre l'acqua dentro la presente C i t t à » (Archivio Storico della Città di Torino).

quanto sostiene anche il Paro-letti ('6), in quell'anno si

piani-ficò ed attuò esclusivamente la costruzione delle fortificazioni insieme con le indispensabili opere di canalizzazione delle ac-que, come aveva progettato il Garove.

Una deliberazione del Consi-glio Decurionale del 14 novem-bre 1700, relativa alla richiesta al comune da parte di S.A.R. di una somma di sessantamila lire da impiegarsi per le spese ne-cessarie al nuovo ingrandimento della città verso Porta Susina, dimostra come l'espansione occi-dentale di Torino fosse ancora da specificare, anche se uscita in

fuori della Porta Susina per con-durre l'acqua nella presente Cit-tà.. . », l'altro, analogo e senza data molto probabilmente con-temporaneo (2I) « Instrutione da

osservarsi nella Construtione del Nuovo Canale che si deve fare sopra il fosso del nuovo ingran-dimento fuori della Porta Susi-na per condurre l'acqua dentro la presente Città... », dimostrano che la cifra stanziata dal comu-ne, doveva servire ad iniziare le opere indispensabili, di fortifica-zione e di canalizzafortifica-zione.

Il Soleri nel suo diario asse-risce: « le muraglie del nuovo ingrandimento sono state princi-piate nell'anno 1702 » C22).

Inoltre un ordine di paga-mento del 23 aprile 1703 in fa-vore del « Capitano Ingegnere Garove » per i vari disegni ese-guiti, per le visite della città, e particolarmente per le opere fat-te e da farsi fuori dalla Porta Susina e Palazzo Nuova (23),

di-mostra e avvalora l'importanza che dovevano assumere le nuove fortificazioni, quindi, si deduce

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(10)

-che il nuovo progetto di amplia-"rrtento della città, inizialmente

programmato, venne accanto-nato.

Durante l'assedio del 1706 la nuova cerchia di fortificazio-ni risultava pressoché ultimata e funzionante, costituendo un nuo-vo fronte lungo gli attuali corsi Valdocco e Palestro collegando-si con la Cittadella. Fra la « città vecchia » quadrata, e la nuova fortificazione era compresa la zona di Porta Susina: un vasto spazio utilizzato come piazza d'armi durante l'assedio, e pri-ma della sua urbanizzazione.

Se si intende per ampliamen-to, non soltanto la recinzione dei terreni, ma anche la loro lottiz-zazione, ritengo di poter affer-mare che i disegni non furono presentati nel 1702.

Il piano di ingrandimento non venne progettato in questo periodo, poiché in quei primi anni del secolo si dovettero in-traprendere opere di difesa in vista della guerra.

L'intenzione di ampliare la città, fu definita più tardi pro-grammando, con un progetto, la lottizzazione delle aree fabbrica-bili, mentre precedentemente si pensò di delineare una nuova strada, che partendo dalla nuova Porta Susina, ancora da costruir-si (24), giungesse in rettilineo al

castello di Rivoli, in cui il Ga-rove stava lavorando per am-pliarlo e rimodernarlo.

Negli anni 1711-12, periodo di intensa attività dell'architetto, furono eseguiti i disegni delle

Fig. 4 - Progetto della Strada Reale di Rivoli (non eseguito) (Torino, Archivio dì Stato sei. I). Fig. 5 - Progetto della Strada Reale di Rivoli (eseguito) « Figura regolare dello Stradone di Rivoli principiando dalle fini di Torino e sino all'imbocco del luogo di Rivoli con la descri-zione de particulari confrontanti al medesimo Stradone ». (Archivio Storico _ della Città di

Torino).

(11)

più importanti opere: castello di Rivoli, strada di collegamen-to con la città, Porta Susina, casa della Consegna, canale per l'im-missione dell'acqua in città, pia-no degli isolati del nuovo am-pliamento.

I verbali del Consiglio testi-moniano la partecipazione del Garove a questi lavori.

II 16 marzo 1711, il Garove fu incaricato da S.A.R. di com-piere un sopralluogo sui terreni intendendo dare formazione alla nuova strada di Rivoli, di fare il preventivo delle spese per l'ese-cuzione dei lavori e di preparare un piano che prevedesse il trac-ciato rettilineo dalla Porta Susi-na al castello C25).

Il 3 luglio dello stesso anno, con Regio Biglietto, il duca or-dinò ufficialmente al Garove di procedere ai lavori di traccia-mento della strada e alla muni-cipalità di obbligare i proprietari dei terreni a lasciare incolta quella parte da includere nella formazione del tracciato. Ordinò anche che la città e i comuni, at-traverso i quali sarebbe passata la strada, sostenessero le spese dei lavori di tracciamento ed ese-cuzione dell'opera.

Nel settembre dello stesso an-no, si iniziò e si ultimò il trac-ciamento, eseguito dal Garove

coadiuvato da un estimatore, da due agrimensori e da due trabu-canti C6).

Secondo le istruzioni del Ga-rove, la larghezza netta della sede stradale doveva essere di cinque trabuchi pari a circa 15,43 m, e quella dei fossi late-rali, nella parte superiore, cin-que piedi liprandi pari a circa 2,57 m, nella inferiore due piedi liprandi, pari a circa 1,02 m e di profondità tre piedi liprandi, pari a circa 1,54 m(27).

Le istruzioni impartite dal Ga-rove per il progetto della strada di Rivoli, chiare e dettagliate, dimostrano una profonda com-petenza in materia, anche se questo progetto costituisce for-se la sua unica esperienza di in-gegnere stradale.

Nell'ottobre del 1711 tre im-prese appaitatrici, vincolate da contratto con i comuni di Tori-no, Collegno e Rivoli, si impe-gnarono a portare a termine i lavori di scavo dei fossi, spiana-mento ed inghiaiaspiana-mento.

Nell'anno successivo, gli stes-si comuni incaricarono altre tre imprese per il piantamento e la successiva manutenzione delle alberate laterali al percorso.

Le gravose spese di esproprio imposero alla città di Torino no-tevoli oneri, che, per volere del

duca, furono in parte sostenuti con il ricavato dalla vendita dei terreni occupati dalle vecchie e ormai inservibili strade di Colle-gno e Rivoli nel tratto apparte-nente al territorio di Torino (2S).

Per i comuni di Collegno e Rivoli, impossibilitati ad erogare somme per la formazione della strada, corrisposero le Regie Fi-nanze, in deroga ai precedenti ordini di S.A.R. (29).

Il Garove progettò anche i ponti e canali sotterranei lungo tutto il percorso, questo, a dif-ferenza del piano previsto dal-l'architetto, all'imbocco dell'abi-tato di Rivoli subì una devia-zione. Infatti, nel progetto ori-ginale era indicato il rettilinea-mento lungo tutto il tracciato fino al castello; prima dell'entra-ta in Rivoli, per espressa volontà del sovrano, era stata prevista una grande piazza a forma circo-lare, di gusto prettamente sei-centesco (30).

Nei conti e note di Rivoli del 1712, si legge: « ...et oltre una gran piazza ordinata da S.A.R. che deve constuersi nell'entrar del luogo » (31).

Questo piano, come già ho ac-cennato, non fu eseguito; con-frontando i due disegni della strada non datati (32),

rappresen-tano l'uno il rettilineamento

nel-Fig. 6 - Michelangelo Garove, « Rivazzo che dalla Piazza avanti et al piede della Terrazza verso levante discende sino al tBollengo e p r i m e case di R i v o l i » Rivoli li 13 marzo 1711, ( T o r i n o , A r c h i v i o di Stato sez. I).

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Fig. 7 - Michelangelo Garove, « Proffìlle del Paviglione riguardante Verso levante e mezzo di del Castello di Rivoli » li 8 8bre 1712, (Torino, A r c h i v i o di Stato sez. I).

l'abitato di Rivoli, l'altro all'im-bocco dell'abitato una deviazio-ne realmente eseguita.

Verosimilmente motivi finan-ziari, attribuibili agli esproprii onerosi nell'abitato di Rivoli

impedirono, l'esecuzione della grande piazza e del rettilinea-mento della strada fino al castel-lo, in antitesi alle aspirazioni di prestigio che il sovrano si augu-rava di ottenere dalla grandiosa

opera ideata e concepita a tale "Stopo.

A prova della volontà di retti-lineamente del percorso fino al castello esistono due disegni, uno datato 13 marzo 1711 e fir-mato Garove, « Rivazzo che dal-la Piazza avanti et al piede deldal-la Terrazza verso levante discende sino al Bollengo e prime case di Rivoli (33), che rappresenta in

se-zione il dislivello tra lo spiazzo antistante il castello e la strada di Rivoli. L'altro, datato 8 ot-tobre 1712 e firmato Garove, « ProfRlle del Paviglione riguar-dante Verso levante e mezzo di del Castello di Rivoli » con la nota « piano del terreno sotto alla terrazza per mira alla nuo-va Strada » (M), evidenziami

co-me la strada assiale alla facciata del castello fosse nelle intenzioni del primitivo progetto.

Nel settembre 1712, a lavori ultimati, si effettuò il collaudo della strada alla presenza del Garove.

Per realizzare quest'opera ur-banistica, si superarono le cen-tomila lire di spesa; notevoli furono anche i danni causati ai proprietari confinanti costretti a cedere terreni e ad abbattere fab-bricati (35).

Ritengo opportuno citare una considerazione del Passanti a proposito del rettilineamente della via Dora Grossa: « in ogni opera urbanistica, nonché archi-tettonica sono presenti due co-stanti: l una volta a dar como-dità, in questo caso particolare dell'abitare e del negoziare, l'al-tra di prestigio e rappresen-tanza » (36).

(13)

ca-stello e contemporaneamente la strada assume il carattere di si-gnificante arteria di comunica-zione. L'aumento degli scambi commerciali con la vai di Susa, la Savoia e la Francia rende-vano necessaria la costruzione di una nuova strada agevole, sicura e comoda.

I proprietari confinanti, in un primo tempo, avvertirono molti svantaggi: i più danneggiati — poiché dovettero demolire parte dei fabbricati — furono il Mo-nastero delle Orfanelle e i Pa-dri Gesuiti, questi ultimi pro-prietari della cascina Grangiola. Contrariamente a quanto affer-ma il Casalis (37), i Padri Gesuiti

non riuscirono a salvare i loro beni dal taglio della strada, ma ricevettero una forte indennizza-zione C38).

La nuova strada, voluta dal sovrano all'interno dei criteri ri-feribili all'ideologia di Corte, si rivelò poi come il percorso più comodo e adatto ai viaggi per Susa e la Francia, intralciando peraltro le comunicazioni locali: gli abitanti a sud non potevano infatti raggiungere il mulino in prossimità della Dora. Temendo la città, che ne era proprietaria, di dover interromperne l'attività, perché gli abitanti si recavano ad altri mulini, furono costruite strade vicinali. Solamente nel

1717, con la stesura di un pia-no, voluto dalla municipalità per accertare lo stato di fatto, ad opera dell'ingegnere Alessandro Ludovico Emanuelis (39),

com-prendente tutte le strade pubbli-che e vicinali, sui territori di To-rino e Collegno (40), furono

auto-rizzati i lavori per la formazione di una strada di collegamento con il mulino decidendo di an-nullare la strada vecchia di Col-legno, ancora praticata nel tratto sul territorio di Torino.

In realtà, la vecchia strada di Rivoli fu realmente annullata; si continuò invece a praticare, per l'intero tracciato, quella di Collegno, come dimostra la car-ta del Grossi (1791).

Se si approfondisce lo studio dei documenti riguardanti l'an-no 1712, appare evidente la par-tecipazione del Garove non sol-tanto ai lavori della strada di Rivoli, ma anche, e principal-mente, alle attività strettamente legate alla realizzazione del nuo-vo ampliamento (41).

Il 10 maggio 1712 i rappre-sentanti della Congregazione del-la città, insieme con l'architetto Garove, l'ingegnere Bertola, ed il misuratore Sevalle, si recarono alla visita del luogo dove S.A.R. intendeva aprire la nuova Porta Susina, con l'intenzione di defi-nire anche il trasferimento del canale che introduceva l'acqua in Torino (42).

Da questo documento si rile-va come la presenza del Bertola primo ingegnere di S.A.R. sia da correlare alle funzioni di rap-presentante del duca che lo ave-va delegato come sovrintendente e consigliere.

Il 13 luglio 1712 si ordina un pagamento di 10 luigi d'oro in favore del Garove per consulen-ze e ricognizioni relative all'anno precedente sia a quello corrente, riguardanti la strada di Rivoli ed il nuovo ingrandimento (43).

L'8 novembre 1712 la Con-gregazione viene informata del termine dei lavori di costruzione della « Casa della Consegna » alla nuova Porta Susina e gli si notifica che si sta ultimando il nuovo canale, seguendo istru-zioni e disegni del Garove.

Il 14 dicembre 1712 il duca Vittorio Amedeo II informa la Congregazione di voler costruire entro tre anni la nuova Univer-sità degli Studi, ma poiché la città non è in grado di sostenere le spese, si autorizza la vendita di quei terreni che devono essere compresi nel nuovo ingrandi-mento: con il ricavato si costrui-ranno anche due caserme, late-rali alla nuova Porta Susina, da aprirsi.

Il Generale delle Regie Finan-ze presenterà il progetto del nuo-vo ampliamento con l'indicazio-ne degli appezzamenti da occu-pare ed il loro estimo.

Fig. 8 - Particolare della figura 7.

(14)

Fig. 9 - Alessandro Ludovico Emanuelis, « T i p o nel quale si rapresentano t u t t e le strade si publiche che vicinali esistenti tra la strada nuova di Rivoli al Fiume Dora per t u t t a l'estensione dalla presente Città al Luogo di Collegno » 1717, (Archivio Storico della Città di Torino).

Il 23 dicembre 1712 la Con-gregazione delibera la vendita dei terreni fuori dalla Porta Su-sina per devolverli all'edificio dell'Università; fa tuttavia an-che notare an-che prima occorre terminare le fortificazioni, affin-ché i terreni risultino interamen-te compresi nel nuovo amplia-mento. S.A.R. intende invece ab-battere le vecchie mura della città e dare inizio ai lavori di costruzione di una caserma vi-cino alla nuova Porta Susina.

Il 31 dicembre 1712 viene presentato il disegno « dell'Isole del nuovo recinto di questa città verso la Porta Susina, e la nota de rispettivi prezzi de sitti fabcabili, quali S.A.R. intende ri-metter alla città per impiegar il prezzo nella construtione della fabrica dell'Università e caserme laterali alla nuova Porta Susi-na... » C4).

Ho voluto elencare questa se-rie di documenti poiché permet-tono di puntualizzare l'iter di alcuni eventi urbani ed edilizi della Torino del primissimo Set-tecento.

Penso di poter attribuire al Garove il disegno del nuovo am-pliamento di cui si fa cenno nei documenti: è molto chiara in questi anni la sua incisiva parte-cipazione ai lavori, si sa inoltre

che il suo progetto per il palazzo dell'Università venne presentato agli inizi del 1713, e non è da escludere che egli abbia disegna-to, sia pure con un progetto di massima, le caserme (Quartieri Militari) (4S).

Per concludere, ritengo che un piano di ampliamento indi-cante, oltre alla rete viaria, le aree lottizzabili già fosse stato concepito, prima dell'arrivo a Torino dello Juvarra. Nulla vie-ta di supporre che sia servito all'architetto come supporto in-dicativo delle scelte urbanistiche successive.

La prematura scomparsa del Garove (1713), ritardò e bloccò, in parte, i piani di Vittorio Ame-deo II che ambiva fare di Tori-no, capitale dello stato sabaudo, una città modello che rivaleg-giasse con le altre capitali eu-ropee.

L'arrivo dello Juvarra a To-rino, segnò una ripresa nelle attività architettoniche ed urba-nistiche. Vittorio Amedeo II commise all'architetto lo studio del piano di ampliamento, la cui esecuzione iniziata nel 1715, si protrasse per anni. Il regio bi-glietto 29 aprile 1729 testimonia la continuità dei lavori, poiché ordinava: « per le case della con-trada che tende da Porta Susina

e viene ad incontrarsi nella linea suddetta di Porta Palazzo alla Torre si osservi l'allineità pre-scritta dal disegno juvarriano ». L'editto 27 marzo 1778 confer-ma come ancora l'opera si stesse protraendo nel tempo O .

Dal Soleri si apprende che il 17 settembre 1715: « stante l'in-grandimento descritto fattosi nel-la presente città fuori di Porta Susina, si è perciò nel suddetto giorno cominciato a demolire la vecchia muraglia della presente città d'altezza circa 5 trabuchi » ed ancora il 2 ottobre 1715 «si sono finite tutte le muraglie del nuovo ingrandimento della pre-sente città essendo queste state principiate nell'anno 1702 »(47).

Disegni dell'Ottocento riguar-danti le fortificazioni, in parti-colare il fronte della Porta Su-sina, dimostrano come questa, aperta prima dell'intervento ju-varriano, quindi su progetto pre-cedente, fosse disassata rispetto a via del Carmine (4S).

(15)

no-tevole valore rappresentativo, fruibile soprattutto da coloro che entravano nella città, pro-venendo dalla via di Francia e dall'entroterra occidentale.

Il senso di legame prospettico territoriale si accentuò ancora quando si costruì la basilica di Superga. Infatti, essa ed il ca-stello di Rivoli appaiono disposti agli estremi di un rettilineo teo-rico rappresentato dalla strada di Rivoli e dal suo prolungamen-to virtuale. Questa retta ideale si attesta sui due edifìci, le cui facciate principali risultano sen-sibilmente parallele ed inclinate di circa sessanta gradi rispetto alla retta che li congiunge ideal-mente.

Il progetto della strada atte-stata sulla facciata del castello di Rivoli, come già ho detto, era stato disegnato e previsto dal Ga-rove (49).

Tra il 1713 e il 1715 si co-struì, sul territorio di Torino, lungo la strada di Francia la villa Tesoriera, circondata da un va-sto parco C50).

Lungo lo stradone esistevano già cascine e fabbricati sovente in posizione arretrata e congiunti alla grande via da sentieri priva-ti. Un disegno del 1717, già ci-tato, attesta che le più prossime alla strada erano le cascine dei Padri Gesuiti e del Monastero delle Orfanelle.

La città di Torino, per ordini regi assunse la « direzione » cioè la gestione della nuova strada per tutto il tracciato; infatti, l'8 agosto 1716 si dava ordine al Vi-cario di ispezionarla e l'I lu-glio 1758 si raccomandava di vegliare affinché fosse mantenuta in buono stato (5I). La città

sop-portò l'onere del mantenimento e della sostituzione delle albera-te, usufruendone per altro il pro-dotto come proprietaria: donò all'Arsenale un buon numero di

fusti e ne vendette, anche, quan-do si trovò in ristrettezze econo-miche (52).

Nel 1812, poiché i proprietari, confinanti con la strada, conti-nuavano a coltivare le strisce di terreno occupate dagli olmi, si incaricò l'architetto Lorenzo Lombardi (53) di stabilire

esatta-mente i limiti di proprietà del-la città: del-larghezza deldel-la strada m 16,954, larghezza dei fossi m 1,541, larghezza delle stri-sce laterali m 2,312, in totale m 24,660 C54).

Nel 1819 Vittorio Emanuele I volle proseguire la strada di Ri-voli fino a Susa, a tal proposito furono esaminati alcuni progetti tra i quali quello del precedente governo francese che prevedeva di deviare la strada tra i comuni di Grugliasco e Collegno, spo-standone il tracciato verso la Dora; gli altri, quello presentato dai rivolesi e quello dell'archi-tetto Cardone (5S), proponevano,

l'uno il passaggio all'interno del-l'abitato mediante opportuni al-largamenti della strada esisten-te, l'altro la sua deviazione fuori dell'abitato. Si optò

definitiva-mente per quest'ultima soluzio-ne, più consona alle esigenze e meno dispendiosa; si deviò così la strada all'imbocco dell'abitato anche per evitare l'eccessivo di-slivello all'interno del concen-trico (56).

In seguito alla costruzione in Torino della cinta daziaria del

1853, risultarono privilegiate le principali direttrici d'accesso al-la città, considerate come assi baricentrici delle zone di nuova espansione (57).

Lungo la strada di Francia, tuttavia, non si edificò intensa-mente che nel primo decennio del Novecento; all'esterno della cinta era intanto sorta a Pozzo Strada una nuova borgata. Con l'abbattimento della Porta Susi-na e delle fortificazioni e poi con la progressiva demolizione della Cittadella, si crearono i presup-posti per nuovi lavori edilizi e urbanistici nel settore occiden-tale della città: si prolungò la via Garibaldi, e al termine di questa si formò la piazza Statuto, su progetti dell'ingegnere Giu-seppe Bollati (58). Con Regio

De-creto 28 gennaio 1864: « è

(16)

chiarata opera di utilità pubblica la formazione della nuova piaz-za dello Statuto e degli isolati da costruirsi ali'ingiro della me-desima a Porta Susa in To-rino... » (59).

La municipalità, da quanto emerge dagli atti del Consiglio, si proponeva di sopperire al bi-sogno di nuove abitazioni,

sem-bra però più probabile che gli edifìci dovessero costituire il centro amministrativo per una Torino che sentiva ambizioni al ruolo di capitale d'Italia, anche se in realtà l'analisi critica sul-l'argomento non è ancora defini-bile compiutamente alla luce dei documenti esaminati (60).

Nel 1871, lungo la strada di

Francia iniziarono i lavori di -costruzione della ferrovia a

scar-tamento ridotto tra Torino e Rivoli, il collaudo avvenne il 17 settembre dello stesso anno. Fu gestita dai Colli fino al 1886, passò poi alla società Tiberina e dal 1899 alla Società Indu-striale Torinese che la gesti fino al 1909, anno in cui venne sti-pulata tra i due comuni la costi-tuzione del consorzio per la tram-via elettrica (61).

L'edificazione dello stabili-mento Leumann nel 1875 segnò l'inizio dello sviluppo industriale lungo il corso, di conseguenza sorsero nuove borgate quali Re-gina Margherita e il villaggio operaio Leumann, primo esem-pio di importante borgata preor-dinata (62).

La costruzione dei fabbricati lungo corso Francia, sul territo-rio di Torino, era regolata da piani che stabilivano di mante-nere la larghezza della sede stra-dale in m 46. Con lo sposta-mento della cinta daziaria, si estesero le norme del piano, im-ponendo anche la demolizione di quei fabbricati non rispondenti ad esse.

Fra la vecchia cinta daziaria e la piazza Rivoli, formata nel 1924, si edificarono nuove abi-tazioni (").

Con la definitiva abolizione della cinta daziaria, la strada fu ristrutturata: si sistemarono i controviali per lo smistamento del traffico, ultimando i lavori tra le piazze Statuto e Bernini nel 1936, si proseguirono negli anni successivi per il resto del tracciato e furono completati con la rimozione dei binari della ferrovia nel 1949.

(17)

la piazza Massaua e i controviali fino al confine del territorio di Torino.

Negli anni 1950-51, le costru-zioni lungo il corso si infittiro-no, le industrie trovarono loca-lizzazione ai lati dell'importante arteria soprattutto sui territori di Collegno e Grugliasco, si for-marono nuovi nuclei di isolati, costituenti zone miste.

Nel 1904 la municipalità au-spicava: «l'allestimento di un

piano unico generale regolatore edilizio e di ampliamento della città da compilare di comune ac-cordo coi comuni di Collegno e di Rivoli, un piano di fabbrica-zione, sia dall'una che dall'altra parte dello stradone di Francia e per tutta l'estensione del me-desimo da Torino a Rivoli, per modo che le costruzioni siano ivi disciplinate da norme infor-mate ad un concetto unico, uni-forme e razionale, che valgano

a preservare quell'importante stradale da deturpamenti ulte-riori » (M).

Questa indicazione program-matica in realtà fu presa in con-siderazione nell'attuato Piano Regolatore della città del 1908 e delle sue molte varianti, crean-do il presupposto, tra l'altro, per lo sviluppo edilizio vertiginoso dell'ultimo periodo che determi-nò la saturazione delle aree fab-bricabili.

(') Archivio Storico della Città di Torino, in particolare Ordinati, a n n o 1711, 1712.

(2) GIOVANNI FANTINO, T e s i d i L a u

-rea, La strada di Rivoli e l'opera di

Mi-chelangelo Garove - Relatore Prof. Dott.

Arch. Vera Comoli Mandracci; correla-tore Prof. Dott. A n d r e i n a Griseri, Fa-coltà di Architettura del Politecnico di Torino, 1974.

(3) P I E R O BAROCELLI, La via da

To-rino a Rivoli nella vecchia cartografia,

in « Ad Q u i n t u m », Bollettino del G r u p p o Archeologico, Collegno 2 giu-gno 1971.

(4) Archivio Storico della Città di

Torino, Ordinati, a n n o 1596, 1671, 1679.

(5) ANDREINA G R I S E R I , Le

metamor-fosi del Barocco, in particolare cap. V,

Torino, Einaudi, 1967; GIULIO CARLO ARGAN, L'Europa delle capitali, Genève,

1 9 6 4 .

(6) C A M I L L O BOCGIO, t r e s a g g i p u b

-blicati sugli « Atti della Società degli Ingegneri e degli Architetti in T o r i n o » tra la fine d e l l ' O t t o c e n t o ed il primo Novecento; altri studi sull'argomento di

P I E R O G R I B A U D I e M A R I O P A S S A N T I ; p i ù

recente quello c o n d o t t o dall'Istituto di Architettura Tecnica del Politecnico di Torino, diretto da AUGUSTO CAVALLARI MURAT, Forma Urbana e Architettura

nella Torino barocca, T o r i n o U T E T ,

1 9 6 8 ; VERA COMOLI MANDRACCI, Analisi

di un jalto urbano: Piazza S. Carlo in Torino nel quadro della formazione e delle trasformazioni della «Città Nuo-va », Torino, Ed. Univ. Levrotto e Bella,

1 9 7 4 .

(7) Archivio Storico della Città di

T o r i n o , O r d i n a l i , a n n o 1658.

(8) Archivio Storico della Città di

T o r i n o , O r d i n a t i , a n n o 1679.

NOTE

(9) ONORATO DUBOIN. Raccolta leggi,

editti, patenti, ecc., Torino, tipografia

Arnaldi, 1860, tomo 24, voi. 26, pa-gine 1685, 1688.

(10) Archivio Storico della Città di

Torino, Ordinati, a n n o 1699.

(U) ALBERT ERICH BRINCKMANN,

Thea-trum Novum Pedemontii, Dusseldorf,

1931.

(12) Archivio Storico della Città di

Torino, in particolare Ordinati, a n n o 1703.

(1 3) A U G U S T A L A N C E , L'ambiente

della Corte di Torino, in « Atti del

Convegno su G u a r i n o Guarini e l'inter-nazionalità del Barocco, Torino, 30 set-tembre-5 ottobre 1968 », tomo I, Tori-no, Accademia delle Scienze, 1970.

(, 4) VERA C O M O L I MANDRACCI, Note

sull'urbanistica barocca di Torino, in

« S t u d i P i e m o n t e s i » , n o v e m b r e 1974, voi. I I I , fase. 2.

C5) Vedi nota (13).

(, 6) MODESTO PAROLETTI, Turin et

ses curiosités, T u r i n , Reycend et C.,

1819.

(, 7) Mi riferisco alla

rappresentazio-ne di T o r i n o del BORGONIO (1671), rappresentazio-nel

Theatrum Pedemontii.

( " ) Archivio Storico della Città di Torino, O r d i n a l i , a n n o 1700; in un fo-glio allegalo recante la dala 14 novem-bre 1700 sono indicale, olire agli esti-mi dei terreni, d u e possibili ipotesi di lottizzazione del nuovo i n g r a n d i m e n t o : « siti fabricabili in undeci isole » e « sili fabricabili in tredeci isole ».

(19) Archivio Storico della Città di

T o r i n o , O r d i n a l i , a n n o 1701.

(20) Archivio Storico della Città di

T o r i n o , Carte Sciolte, 2008.

(21) Archivio Storico della Città di

Torino, Carte Sciolte, 2009, il documen-to porta scritta la data 1704, aggiunta probabilmente per archiviazione.

(H) D I N A REBAUDENGO, Torino

rac-conta, Diario manoscritto di Francesco Ludovico Soleri dal 22 marzo 1682 al

27 febbraio 1721 e il suo giornale

del-l'assedio del 1706, trascrizione completa

e commento, Torino, Albra, 1969. t23) Archivio Storico della Città di

Torino, Ordinati, a n n o 1703.

(24) La nuova Porta Susina sorgerà

non in capo a via Dora Grossa (Gari-baldi), ma a via Susina (detta poi del Carmine), poiché la Cittadella esigeva, sul lato verso la città u n a zona di ri-spetto.

(a) Archivio Storico della Città di

Torino, tutta la d o c u m e n t a z i o n e riguar-dante la strada di Rivoli sugli O r d i n a t i , in particolare a n n o 1711 e 1712.

(26) Archivio Storico della Città di

Torino, Ordinati, a n n o 1711 (26 settem-bre).

(27) Archivio Storico della Città di

Torino, Scritture Private, a n n o 1709-1711, voi. 2.

(25) Archivio Storico della Città di

Torino, O r d i n a t i , a n n o 1711 (29 settem-bre), a n n o 1712 (2 aprile, 13 luglio).

(29) Archivio Storico della Città di

Torino, Carte Sciolte, 1811.

(30) Torino, Archivio di Sialo, sez. I,

Reali Palazzi, Rivoli, m a z z o 1.

(•") Torino, Archivio di Stato sez. riunite, Uflicio G e n e r a l e delle Finanze (I archiviazione): Ponti e Strade, maz-zo 1 n. 4.

(32) Figura 4 (vedi n o t a 30) e figura 5

(18)

(33) Torino, Archivio di Stato sez. I,

Reali Palazzi, Rivoli, mazzo 1. Torino, Archivio di Stato sez. I, Reali Palazzi, Rivoli, mazzo 1.

(35) Archivio Storico della Città di

Torino, Coli. V, voli. 7, 8, 9 (Conti del Tesoriere, anni 1711, 12, 13).

(3 6) M A R I O PASSANTI, LO sviluppo

urbanistico di Torino dalla fondazione all'unità d'Italia, INU, Torino, marzo

1966, pp. 33, 34.

(3 7) GOFFREDO C A S A L I S , Dizionario

geografico, storico, statistico, commer-ciale degli Stati di S. M. il Re di Sarde-gna, voi. XVI, Torino 1847, p. 342.

(3S) Archivio Storico della Città di

Torino, Atti Notarili, anno 1712, volu-me 89 Boasso.

(3 9) CARLO BRAYDA, LAURA C O L I , D A

-RIO SESIA, Catalogo degli ingegneri ed

architetti operosi in Piemonte nel Sei e Settecento, in « Atti e Rassegna Tecnica

della Società degli Ingegneri e degli Ar-chitetti in T o r i n o », marzo 1963, p. 105.

(«) Archivio Storico della Città di Torino, Carte Sciolte, 1546.

(41) Archivio Storico della Città di

Torino, Ordinati, anno 1712.

(42) Archivio Storico della Città di

Torino, Ordinati, a n n o 1712.

(43) Archivio Storico della Città di

Torino, Ordinati, anno 1712.

t44) Archivio Storico della Città di

Torino, Ordinati, a n n o 1712.

(4S) Archivio Storico della Città di

Torino, Ordinati, Congregazione 23 di-cembre 1712.

C44) Archivio Storico della Città di

Torino, Regi Biglietti anno 1729, Editti,^ anno 1778.

(4 7) D I N A REBAUDENGO, op. cit., p a

-gine 276, 278.

(«) Archivio Storico della Città di Torino, Carte Sciolte, 2228.

(49) Vedi nota 34 e figura 7.

(5 0) E L I S A G R I B A U D I R O S S I , Cascine

e ville della pianura torinese, Torino,

Le Bouquiniste, 1970.

(51) Archivio Storico della Città di

Torino, Ordinati, anno 1716, Carte Sciolte, 1789, 1545, 1811.

(52) Archivio Storico della Città di

Torino, Ordinati, anno 1745, Carte Sciol-te, 1 8 2 2 , 1 7 8 9 , 1 7 8 8 , 1 8 0 3 , 1 8 1 1 .

(5 3) CARLO BRAYDA, LAURA C O L I , D A -RIO S E S I A , op. cit., p . 1 1 8 .

t54) Archivio Storico della Città di

Torino, Carte Sciolte, 1788, 1803.

(5 5) CARLO BRAYDA, LAURA C O L I , D A

-RIO S E S I A , op. cit., p . 9 6 .

(56) Torino, Archivio di Stato, sez. I,

Inventario paesi per A e B, Rivoli,

maz-z o 1 4 n . 1 9 ; GOFFREDO C A S A L I S , op. cit.,

pp. 3 4 3 , 3 4 4 , 3 4 5 .

(5 7) V E R A C O M O L I MANDRACCI, G I O -VANNI M A R I A L U P O , Il mattatoio civico

e il Foro Boario di Torino, in « Atti e

Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino », n. 3 - 4 1 9 7 4 .

(5 S) ANDREINA G R I S E R I , ROBERTO G A

-BETTI, Architettura dell'ecclettismo. Un

saggio su G. Schellino, Torino, Einaudi,

1 9 7 3 ; H E N R Y - R U S S E L L H I T C H C O C K ,

L'Ar-chitettura dell'Ottocento e del Novecen-to, Torino, Einaudi, 1971; Per i disegni

d e l B o l l a t i , GIOVANNI MARIA L U P O , La

legge Casati e la scuola di applicazione per gli ingegneri di Torino: appunti sull'insegnamento..., in « Studi e

Ricer-che », Politecnico di Torino, Istituto di Rilievo dei Monumenti, 6; per la for-mazione dell'area di servizio sud-ovest

d i T o r i n o ; VERA COMOLI MANDRACCI e GIOVANNI M A R I A L U P O , Il carcere

giu-diziario di Torino, detto « Le Nuove »,

i n V E R A C O M O L I MANDRACCI, « Il carcere

per la società del Sette-Ottocento »,

To-rino, Centro Studi Piemontesi, 1974. (59) Archivio Storico della Città di

Torino, Regi Decreti, voi. 5.

C60) Archivio Storico della Città di

Torino, Atti del Consiglio, anno 1860,

1 8 6 2 , 1 8 6 3 , 1 8 6 4 , 1 8 6 5 , 1 8 7 0 .

(61) Archivio Storico della Città di

Torino, Regi Decreti, anno 1870;

FRAN-CESCO O G L I A R I , FRANCO S A P I , Scintille

tra i monti, Storia dei trasporti italiani,

Piemonte e Valle d'Aosta, voi. I e II, Milano, a cura degli autori, 1968.

(6 2) ALBERTO A B R I A N I , L'analisi di

un villaggio operaio, Torino, Borgata

Leumann-Collegno, in Lotus Internatio-nal Architecture, febbraio 1975.

(63) Archivio Storico della Città di

Torino, Atti del Consiglio, 1908, 1910, 1914, 1922, 1923, 1924; Leggi, decreti e regolamenti relativi al Piano Regola-tore 1908-1929.

(M) Archivio Storico della Città di

Torino, Atti del Consiglio, 7 dicembre

(19)

Il trasferimento internazionale

delle tecnologie

Giorgio Canscicchi

1. — L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in occasione della sua settima sessione speciale, aveva deliberata una risoluzione, in data 19-IX-1975, con la quale, fra le altre deter-minazioni, invitava gli Stati membri a cooperare alla preparazione di un « codice internazionale

di condotta per il trasferimento delle tecnologie »

che particolarmente venisse incontro alle esigenze dei paesi in via di sviluppo.

L'Assemblea delle N. U. conferiva il compito di formulare questo « codice » alla Conferenza delle N. U. per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), la cui quarta sessione si sarebbe svol-ta a Nairobi nella primavera del 1976; in quessvol-ta sessione, infatti, il tema fu trattato da un'appo-sita Commissione per il trasferimento delle tecno-logie su di un materiale assai vasto predisposto da un « gruppo intergovernativo di esperti », al quale fu anche demandato l'incarico di preparare il progetto del « codice » su menzionato, che sa-rebbe poi stato discusso ed approvato dai rap-presentanti dei governi in seno alla Conferenza, fi contrasto di interessi e le divergenze di vedute su tutti i temi di discussione (in particolare sugli scambi e il pagamento delle materie prime e sugli indebitamenti finanziari dei paesi in via di svi-luppo) hanno impedito, per il momento almeno, di realizzare il voto dell'Assemblea delle N. U., venendo unicamente costituiti un « Centro di in-formazioni tecnologiche » e un « Comitato inter-governativo », demandando a quest'ultimo di pre-disporre un « codice di comportamento » unico, elencante le direttive, parte obbligatorie e parte solo facoltative, da seguirsi dagli Stati in campo tecnologico. Indubbiamente in un prossimo fu-turo I'UNCTAD ritornerà a discutere il problema.

Deve anche aggiungersi che nell'autunno di quest'anno — fra il 30 settembre e il 2 otto-bre — si è tenuto un convegno di studio, ad alto livello, organizzato a Bruxelles dal Cenlre de

récherche sur le clroit des marchés et des investi-ments internationaux in cui il problema dei

tra-sferimenti internazionali tecnologici è stato dibat-tuto ed approfondito; altro convegno si è pure svolto sul medesimo argomento a metà novem-bre 1976 in Roma a cura della LES (Licensing

Executives Society).

In seno alla Commissione surricordata della UNCTAD furono presentati due progetti di codice di comportamento; uno presentato dal Giappone a nome dei paesi industrialmente sviluppati e ad economia di mercato (gruppo B); l'altro dal Bra-sile per i paesi in via di sviluppo (gruppo dei 77 Stati); un terzo gruppo (gruppo D), quello dei paesi socialisti ad economia collettivista, non presentò progetti, limitandosi a proporre alcune direttive assai vicine a quelle dei paesi industrial-mente sviluppati. È interessante esaminare e con-frontare fra di loro i due progetti, rilevandone le convergenze e le divergenze.

* * *

(20)

ri-strutturazione tecnica dei loro impianti, all'acca-parramento di scienziati e di sperimentatori, alla riqualificazione lavorativa delle maestranze, agli studi di mercato, ai metodi di pubblicità, all'or-ganizzazione ottimale degli scambi, ecc.

I paesi in via di sviluppo, non avendo la pos-sibilità di procurarsi direttamente le tecnologie più avanzate e sofisticate quali sarebbero neces-sarie per incentivare il loro avanzamento indu-striale, devono necessariamente rivolgersi per ot-tenerle ai paesi industrialmente più progrediti.

Nei progetti di codice di comportamento, di-scussi in seno alla Conferenza dell'UNCTAD, si definisce « paese fonte » o « paese esportatore » lo Stato dal quale sono esportate le tecniche e « paese ospite » o « paese importatore » lo Stato al quale esse sono destinate; l'esportazione e l'im-portazione delle tecniche non intervengono, di solito, direttamente fra gli Stati (ciò avviene per lo più per le tecniche che concernono gli arma-menti), bensì fra le imprese operanti nel loro territorio e sottoposte alle loro leggi ed ai loro controlli. Nei progetti su menzionati si parla, in-fatti, di « imprese fonti » o di « imprese espor-tatrici » per indicare le società commerciali, le associazioni, le organizzazioni di qualsiasi gene-re, i singoli imprenditori che collocano, oltre le frontiere dello Stato di sede, le tecniche in loro possesso; si menzionano, invece, con il termine di « imprese ospiti » o di « imprese importatrici » le società, gli enti, gli imprenditori che ricevono tecniche dall'estero.

Nei due progetti di codice di comportamento si rilevano numerosi punti di vista comuni in og-getto al trasferimento internazionale tecnologico. In entrambi si constata che il trasferimento av-viene tra imprese, sociali o personali, localizzate in Stati diversi, sia che tra le imprese esportatrici e le imprese importatrici vi siano particolari le-gami strutturali o associativi (come avviene nor-malmente nell'ambito delle imprese « multinazio-nali »), sia che esse risultino rispettivamente indi-pendenti. Naturalmente nel primo caso vi po-tranno essere fra le imprese interessate al trasfe-rimento tecnologico accordi di particolare favore sia per quanto attiene al numero ed alla qualità delle tecnologie concesse, sia per quanto riguarda i corrispettivi da corrispondere all'impresa espor-tatrice, ma i problemi generati dai trasferimenti, sul piano internazionale, permangono identici, giacché identici sono gli oggetti del trasferimento ed identici gli effetti da questo provocati nei due

paesi, quello di esportazione e quello di impor-tazione. ^

Relativamente alle società multinazionali il progetto di codice, presentato dagli Stati in via di sviluppo, insiste su di un punto: che i principi e le direttive espressi nel codice in oggetto all'ini-bizione delle pratiche commerciali restrittive, siano vincolanti anche per gli accordi che con-dizionano il trasferimento tecnologico alla crea-zione e al funzionamento di imprese autonome o di filiali integralmente od anche parzialmente di proprietà di società « transnazionali » oppure di imprese straniere oppure di imprese operanti con-giuntamente in Stati diversi. I paesi in via di sviluppo diffidano, cioè, dello strapotere indu-striale e commerciale delle società multinazionali estere operanti nei loro territori, anche nell'am-bito dei trasferimenti tecnologici.

I due progetti di codice concordano larga-mente sulle tecniche che possono essere oggetto di trasferimento; l'elenco in essi riportato ha sol-tanto carattere esemplificativo. Le tecniche tra-sferite possono essere oggetto di un diritto di proprietà industriale valido nello Stato di prove-nienza o non avere tale qualificazione. Nel primo caso il diritto di proprietà sarà riconosciuto e tutelato anche dalla legislazione locale dello Sta-to importaSta-tore.

Oggetto di trasferimento tecnologico possono essere invenzioni, licenze di produzione o di ven-dita, forniture di « savoir faire » (cioè di metodi di produzione); conoscenze tecniche sotto forma di studi di produzione, piani di fabbricazione, grafici, modelli, istruzioni, manuali, formule; con-cessioni di servizi o prestazioni di personale tecni-co, di consultazione, di gestione, di insegnamento per le maestranze; forniture di materiali diversi, di piani tecnici, sia di base che dettagliati; crea-zione di fabbriche e loro gestione; forniture di macchine; commercializzazione dei prodotti; im-pegni di cooperazione industriale e tecnica, ecc.

Si prevede che i trasferimenti tecnologici av-vengano mediante contratti fra l'impresa espor-tatrice e quella imporespor-tatrice; i contratti possono essere di vendita, di locazione a tempo, di asso-ciazione di diverso tipo, ecc. I progetti di codice affermano che le direttive in essi contenute de-vono applicarsi non soltanto ai contratti di tra-sferimento, ma anche a quelli consequenziali ai medesimi ed in particolare alle eventuali transa-zioni e ai compromessi arbitrali.

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concernono specialmente la tutela da accordarsi alle imprese esportatrici in oggetto agli utili che esse intendono trarre dalle tecnologie trasferite air estero ed alla validità delle misure restrittive che dette imprese impongono nei contratti di tra-sferimento tecnologico, per lo più dannose per i produttori, i commercianti e i consumatori degli Stati importatori.

Esaminiamo, in primo luogo, le direttive espresse nel progetto di codice proposto dai paesi esportatori di tecnologie; in seguito quelle proposte dai paesi importatori di tecnologie.

* * *

3. — Gli Stati industrialmente progrediti, quali esportatori di tecnologie — come già si è detto per lo più a mezzo delle imprese poste sotto il loro controllo —, propongono, in primo luogo, l'emanazione da parte degli Stati interessati, cioè degli Stati esportatori ed importatori di tecnolo-gie, di leggi appropriate indirizzate a favorire i trasferimenti tecnologici e a proteggerli nelle loro implicazioni pecuniarie. In particolare eventuali e successive modificazioni di queste leggi dovreb-bero sempre rispettare i diritti acquisiti e le aspettative delle imprese esportatrici conseguenti alle obbligazioni contrattuali precedentemente as-sunte dalle imprese importatrici; cosi pure le leggi dello Stato di importazione dovrebbero in-staurare validi sistemi di protezione dei diritti di proprietà industriale di provenienza estera dando pubblicità a questi sistemi a garanzia delle im-prese esportatrici straniere.

Le imprese esportatrici di tecnologie devono prendere in considerazione gli obiettivi di svilup-po economico e sociale dei paesi imsvilup-portatori. Il progettato codice di comportamento dei paesi esportatori enumera un complesso di obbliga-zioni alle quali, in favore delle imprese impor-tatrici e dei loro Stati di appartenenza, devono attenersi le imprese esportatrici di tecniche; ri-cordo le principali: esse devono prendere in considerazione gli obiettivi di sviluppo econo-mico e sociale dei paesi importatori onde ade-guare ai medesimi le tecniche più adatte e più necessarie da esportarsi; devono concedere con-dizioni e modalità eque di pagamento e di red-ditività specialmente per ciò che concerne i diritti di licenza; devono accogliere — se tecnicamente possibile — le domande di « deglobalizzazione », cioè le richieste di scindere la tecnica esportanda nei suoi elementi costitutivi, limitandone il

tra-sferimento ad alcuni soltanto (e quindi con minor spesa per l'impresa importatrice); devono coope-rare allo sviluppo delle risorse scientifiche e tec-niche delle imprese importatrici, favorirne la capacità d'innovazione e la formazione di dipen-denti tecnicamente preparati; devono utilizzare prevalentemente le materie prime, le maestranze e i tecnici del paese importatore; devono garan-tire che la tecnica esportata corrisponda a quella concordata nell'accordo di trasferimento e sia adatta a conseguire gli specifici scopi menzionati nell'accordo di trasferimento. Per questi obblighi le imprese esportatrici di tecnologia hanno una responsabilità diretta e anche gli Stati della loro sede, che hanno il controllo sulle medesime, assu-mono verso gli Stati importatori il dovere di pro-teggerne gli interessi con una legislazione appro-priata.

A loro volta le imprese importatrici di tecno-logia devono attenersi a queste direttive: infor-mare preventivamente, durante i negoziati, le im-prese esportatrici sulla situazione legislativa dei paesi nei quali la tecnologia viene importata; illu-strare gli obiettivi di sviluppo economico e sociale perseguiti dai paesi importatori; dare, in buona fede, tutte le informazioni sulla situazione locale onde mettere le imprese esportatrici in condizione di conoscere i rischi ed i vantaggi del trasferi-mento tecnologico; informare dette imprese sulla capacità delle imprese importatrici locali ad uti-lizzare effettivamente e con rendimento econo-mico le tecniche conferite.

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Anche il codice di comportamento proposto dai paesi esportatori di tecnologie acconsente ad accettare, in alcuni casi, il divieto delle cosi dette « pratiche commerciali restrittive ». Si ammette, pertanto, che negli accordi di trasferimento tecno-logico debbano essere escluse le restrizioni im-poste all'uso delle licenze di produzione, dei bre-vetti, delle conoscenze tecniche, dei marchi di fabbrica; dovrebbero pure essere evitate le clau-sole contrattuali mediante le quali l'impresa im-portatrice viene obbligata, onde ottenere la licen-za desiderata, ad acquistare licenze di vendita non necessarie o accettare beni e servizi inutili; dovrebbero escludersi accordi fra imprese con-correnti intesi ad alterare il gioco della concor-renza nei paesi importatori di licenze; vietare le clausole contrattuali che limitano abusivamente la facoltà del concessionario di licenza di vendere prodotti analoghi o di assumerne la rappresen-tanza per la vendita; che impediscono lo sfrutta-mento del procedisfrutta-mento di produzione, oggetto di licenza, dopo la data di estinzione del brevetto per il quale la licenza è stata data; che impedi-scono al concessionario di licenza di contestare la validità del brevetto o di brevetti affini; che impongono al concessionario di dare all'impresa esportatrice l'esclusività delle vendite delle merci prodotte o di concederle gratuitamente ed esclu-sivamente i miglioramenti tecnici apportati alla licenza durante il suo impiego nel paese im-portatore.

Anche il progetto di codice dei paesi indu-strialmente sviluppati accetta di praticare parti-colari agevolazioni ai paesi in via di sviluppo; le principali agevolazioni sono le seguenti: diffon-dere nei paesi in via di sviluppo le informazioni dettagliate sulle tecnologie che sarebbero neces-sarie per il loro sviluppo industriale; incorag-giarli ed aiutarli economicamente nello sfrutta-mento delle loro risorse locali; fornirli di esperti che possano contribuire all'incentivazione delle tecniche locali e all'insegnamento tecnico delle maestranze; suggerire leggi e regolamenti atti a facilitare i trasferimenti tecnologici.

Infine, il codice di comportamento dei paesi industrialmente sviluppati si preoccupa di indi-care quale sia la legislazione più appropriata per regolare i rapporti di trasferimento tecnologico e quali i metodi più adatti per decidere le contro-versie insorgende. Su questo punto il codice pro-pone le seguenti direttive: i contraenti del con-tratto di trasferimento tecnologico devono essere

autorizzati a scegliere liberamente la legge rego-lante la validità^l'esecuzione e l'interpretazione del contratto, purché vi sia un ragionevole col-legamento del contratto con la legge prescelta; ove la scelta della legge non risulti dal contratto, la legge regolatrice dovrebbe essere quella dello Stato che ha più stretti rapporti con il negozio o con le parti del medesimo; in via di successiva preferenza si propongono le leggi individuate dal luogo di esecuzione del contratto, dal luogo di situazione dell'oggetto del contratto, dal luogo di conclusione del contratto, dal domicilio, residen-za, nazionalità, luogo della sede sociale o luogo dell'attività commerciale di una almeno delle parti contraenti.

Ugualmente dovrebbe essere consentito alle parti contraenti di scegliere liberamente, nel con-tratto di trasferimento tecnologico, il foro giudi-ziario dal quale far giudicare le loro eventuali controversie, purché vi sia un ragionevole colle-gamento fra l'oggetto della controversia e lo Stato del foro. Le parti devono anche poter concordare di ricorrere all'arbitrato o a qualsiasi altra pro-cedura di conciliazione, purché questo accordo non sia contrario alla legge che regola il contratto di trasferimento tecnologico nel momento in cui esso venne concluso. Gli Stati interessati, a loro volta, dovrebbero facilitare tutti i mezzi amiche-voli atti a risolvere le controversie in materia tecnologica, aderendo al Centro internazionale per la regolamentazione delle controversie concer-nenti gli investimenti, creando i meccanismi giu-ridici più opportuni per rendere esecutorie le decisioni arbitrali straniere ed in genere le deci-sioni aventi base su preventivi accordi delle parti.

Si afferma, infine, che i principi e le direttive del codice non hanno carattere obbligatorio e non intendono sostituirsi alle leggi nazionali e agli accordi internazionali in materia.

sic * *

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Il suddetto codice propone, pertanto, il rag-giungimento di questi obiettivi: emanazione da parte dello Stato importatore di leggi che favori-scano il trasferimento tecnologico estero, tute-lando maggiormente gli interessi delle imprese acquirenti che non quello delle imprese fornitri-ci; salvaguardare i diritti di proprietà industriale esteri ponendo condizioni eque e logiche per il loro esercizio nei paesi importatori; favorire gli apporti tecnologici che risultino particolarmente utili ai paesi in via di sviluppo; favorire le capa-cità scientifiche e tecniche delle imprese nazio-nali degli Stati importatori; accrescere la parte-cipazione dei loro cittadini alla produzione ed allo scambio mondiale delle tecniche. Conse-guentemente a questi obiettivi si richiede alle im-prese estere esportatrici di tecniche di pretendere prezzi e costi ragionevoli per tali trasferimenti; di eliminare le pratiche restrittive; di favorire le cosi dette « deglobalizzazioni »; di tener conto della posizione più debole, nell'ambito del mer-cato dei prodotti, delle imprese acquisitrici di tecniche dei paesi sottosviluppati; di facilitare le politiche economiche nazionali degli Stati in via di sviluppo; di promuovere l'incentivazione delle tecniche locali.

Gli Stati in via di sviluppo nella regolamen-tazione delle modalità e delle condizioni dei con-tratti di trasferimento tecnologico, debbono pre-figgersi questi scopi: evitare che le imprese na-zionali di questi Stati, in seguito al trasferimento tecnologico, cadano interamente sotto il con-trollo di interessi stranieri; vietare accordi di col-laborazione con imprese straniere che mirino a precludere alle imprese nazionali il mercato lo-cale; limitare le facilitazioni di credito ad im-prese nazionali quando queste cadano intera-mente sotto il controllo straniero; esigere garan-zie sufficienti per il finanziamento estero quando questo fa parte di accordi di trasferimento tecno-logico; intervenire nella regolamentazione dei pa-gamenti dovuti dall'impresa acquisitrice, sia nel loro ammontare complessivo, sia nella rateizza-zione dei versamenti, nelle modalità e nella du-rata; regolare i pagamenti che devono essere fatti in valuta estera, nonché le questioni di cambio e di regime fiscale; regolare i pagamenti nei casi in cui il rapporto di scambio tecnologico avviene fra un'impresa « madre » e le sue « filiali » op-pure fra due imprese che costituiscono un'unità economica oppure fra imprese di cui quella acqui-sitrice di tecniche non è sottoposta ali'effetti va

direzione di persone residenti nel paese della sua sede; creare adatti procedimenti amministrativi per assicurare nel paese importatore di tecniche il rispetto dei diritti e dei doveri reciproci emer-genti dall'accordo di trasferimento.

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sulla gestione prese dall'impresa esportatrice; le clausole che impongono all'impresa importatrice di acquistare e pagare anche le invenzioni ed i miglioramenti eventuali e futuri; le clausole che divietano all'impresa importatrice di adattare le tecniche importate alle condizioni locali o ad ap-porvi modificazioni utili; le clausole che vietano all'impresa importatrice di contestare la validità dei brevetti ricevuti; le clausole in base alle quali l'impresa fornitrice di tecnica viene esonerata da responsabilità per i difetti dei prodotti fabbricati con tale tecnica; in generale le clausole imposte all'impresa acquisitrice ad essa economicamente o finanziariamente sfavorevoli, condizionanti la cessione della tecnica oggetto di contratto.

Il codice di comportamento surricordato affer-ma pure che non debbono essere applicabili in danno delle imprese importatrici gli accordi in-tercorsi fra le imprese fornitrici tendenti a limi-tare o ad alterare il mercato dei prodotti bene-ficiami delle tecniche trasferite; tali gli accordi sull'importazione, sulla fissazione dei prezzi, sulla ripartizione dei mercati, sulla razionalizzazione della produzione e della vendita, sulla creazione di « posizioni dominanti » ecc. Il codice enumera poi un notevolissimo numero di « garanzie » che tanto le imprese fornitrici, quanto quelle acquisi-toci dovrebbero osservare affinché le obbligazioni rispettive siano in concreto adempiute.

Più particolarmente per i paesi in via di svi-luppo industriale il codice di comportamento de-gli Stati sottosviluppati elenca un notevole nu-mero di direttive « di favore »; tali, ad es„ l'invito rivolto agli Stati fornitori di tecniche di emanare regimi fiscali preferenziali per redditi provenienti dagli accordi di trasferimento tecno-logico; di non emanare norme restrittive sulle importazioni di prodotti provenienti da paesi sot-tosviluppati; di estendere i crediti a tasso age-volato in favore delle imprese esportatrici di tec-niche verso i paesi in via di sviluppo; di favorire fiscalmente le esportazioni di tecniche verso detti paesi, particolarmente quando, oggetto di trasferi-mento, sono dei diritti di proprietà industriale validi nei paesi sviluppati industrialmente, ecc. Le agevolazioni concesse non dovrebbero mai pre-sentare caratteri discriminatori, cioè non essere più favorevoli verso certi paesi e meno verso altri.

Anche il codice di comportamento dei paesi in via di sviluppo pone delle direttive riguardo al diritto applicabile agli accordi di trasferimento tecnologico e alla regolamentazione delle

contro-versie. Esso afferma — in contrasto con quanto proposto dal «©dice di comportamento degli Stati industrialmente sviluppati — che i contratti di trasferimento tecnologico devono essere regolati, per quanto riguarda la loro validità, esecuzione e interpretazione, dalla legge dello Stato importa-tore e che la giurisdizione sulle controversie insor-gende compete esclusivamente ai giudici di detto Stato. Si ammette, però, che se la legge dello Stato importatore non esclude l'arbitrato e le parti convengono di sottoporre le loro controversie ad arbitri, la procedura arbitrale possa essere rego-lata nel senso voluto dalle parti e quindi anche con richiamo di una normativa diversa da quella dello Stato importatore.

* $ *

5. —- Alcune osservazioni si possono fare sui due testi di codice di comportamento testé illu-strati. Anzitutto le direttive ed i principi in essi illustrati sono divergenti su numerosi punti ed è quindi indispensabile un compromesso al fine di pervenire ad un unico testo, accettabile dai due gruppi di Stati contrapposti. In particolare riten-go che le numerosissime restrizioni proposte dagli Stati sottosviluppati ai contratti di trasferimento tecnologico, ai diritti preferenziali che le imprese fornitrici vorrebbero riservarsi e alla redditività che ne vorrebbero trarre, difficilmente potranno essere accettate dagli Stati industrialmente svilup-pati e dalle imprese fornitrici di tecnica da essi controllate. Di qui una gravissima remora ai tra-sferimenti internazionali di tecniche con danno, in definitiva, proprio dei paesi che più se ne avvantaggerebbero.

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