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L’indirizzo comunitario nell’ambito della legislazione derivata

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 121-124)

7. …(segue)e misure bilaterali

TERRITORIALITA’ E DIRITTO COMUNITARIO

4. L’indirizzo comunitario nell’ambito della legislazione derivata

Ai fini di comprendere quale finora sia stato il ruolo svolto dalle istituzioni comunitarie in relazione all’esercizio di quella funzione di armonizzazione di cui si è detto nei paragrafi precedenti, in termini di azioni positive occorre analizzare i principali atti normativi finora emanati.

In primo luogo, occorre trattare della direttiva sulle riorganizzazioni transfrontaliere (275). L’art. 4 La direttiva 90/434/CEE, del 23 luglio 1990, stabilisce la sostanziale neutralità delle operazioni transfrontaliere realizzate in ambito comunitario (276). Tale neutralità, tuttavia, si realizza soltanto laddove nello Stato di residenza della società che partecipano all’operazione straordinaria (fusione, scissione, etc.) permanga una stabile organizzazione. In effetti, ai fini della direttiva de qua per neutralità fiscale deve intendersi il rinvio della tassazione delle plusvalenze e degli utili al momento in cui effettivamente essi verranno conseguiti mediante realizzazione, per successivi atti di disposizione, da parte delle società beneficiarie, degli elementi attivi e passivi che compongono il patrimonio dei soggetti che

(275) A. LOVISOLO, Profili fiscali della fusione transfrontaliera di società, in AA. VV.,

Studi in onore di Victor Uckmar, Padova, 1997, pag. 783, rileva che: “L’intervento comunitario si colloca nel contesto di un più articolo progetto di armonizzazione (…) volto alla definizione di un regime fiscale comune che consente alle imprese di operare in un vero mercato interno senza frontiere in cui si affermi l’assoluta neutralità del fatto fiscale nelle decisioni afferenti la gestione ordinaria e straordinaria dei gruppi di società e delle imprese che operano in più Stati della Comunità”.

(276) Il principio di neutralità stabilito dalla direttiva presuppone l’esistenza di norme atte ad assoggettare a imposizione le operazioni internazionali di riorganizzazione nel presupposto che tali operazioni determinino un trasferimento di residenza del contribuente ovvero la sua estinzione e, dunque, i plusvalori latenti dei beni che compongono il patrimonio dell’impresa, al verificarsi di tale evento, emergono e sono tassati.

partecipano all’operazione straordinaria e che, per effetto di questa, perdono il collegamento con il proprio Stato di residenza (277).

Tale vincolo è giustificato alla luce della salvaguardia del diritto dello Stato membro di residenza della società che, per effetto della riorganizzazione, si estingue (per effetto di incorporazione, fusione, etc.), di potere assoggettare a tassazione i plusvalori nel frattempo formatisi (278). Affinché la neutralità si realizzi anche in riferimento ai beni dell’impresa, dunque, sarà necessario che - una volta realizzata l’operazione di riorganizzazione internazionale – i beni dell’ente che, per effetto dell’operazione straordinaria, perde ogni contatto con il territorio dello Stato, confluiscano in una stabile organizzazione. Ciò, infatti, lascia immutato il regime di continuità dei valori dei beni appartenenti all’impresa.

Anche in relazione al regime delle perdite, si può notare una tendenza a fare salve le perdite pregresse soltanto nel caso in cui queste siano attribuibili alla stabile organizzazione. E, invero, soltanto mediante essa il soggetto che scaturisce dall’operazione straordinaria potrà utilizzare le perdite pregresse. In altre parole, è sempre in capo allo Stato di ex residenza della società o ente che è titolato a riconoscere la riportabilità delle perdite. Nessun onere, infatti, è imposto allo Stato nel quale risiede l’ente che scaturisce dall’operazione straordinaria.

La soluzione individuata dalla direttiva e consistente nell’attribuzione ad una stabile organizzazione di una società estera dei beni dell’impresa che, per effetto della sua partecipazione ad un’operazione di riorganizzazione internazionale, perde ogni contatto con il territorio di residenza, conferma la volontà da parte degli organi comunitari di salvaguardare la potestà territoriale dell’ex Stato di residenza dell’impresa, il quale resta l’unico titolato a tassare le plusvalenze sui beni dell’impresa.

Ciò avverrà sia laddove il sistema dell’impositivo dell’ex Stato di residenza sia imperniato su un sistema di tassazione basato sul reddito mondiale e sia

(277) S.CARMINI, Il diritto tributario comunitario e la sua attuazione in Italia, Padova, 2002, pag. 173.

(278) Secondo D. STEVANATO, Le riorganizzazioni internazionali di impresa, in Diritto

tributario internazionale, V.UCKMAR (diretto da), Padova, 2005, pag. 516. L’autore, in effetti, osserva che: “sembra certamente più appagante una soluzione maggiormente

articolata, che tenga conto delle effettive potestà impositive residuanti allo Stato della ex-società incorporata. In particolare, se l’imponibilità delle plusvalenze all’atto della riorganizzazione internazionale si giustifica, dal punto di vista sistematico, con l’esigenza di non sottrarre definitivamente allo Stato dell’incorporata la possibilità di esercitare il prelievo su plusvalori già maturati ed il cui titolo risiedeva nell’assoggettamento del patrimonio sociale al «regime fiscale dei beni dell’impresa», non appare irragionevole postulare il mantenimento delle plusvalenze allo stato latente, ogniqualvolta la potestà impositiva per lo Stato della ex-società incorporata possa fondarsi sulla permanenza del precedente regime d’impresa”.

in quello basato sulla tassazione territoriale. In entrambi i casi, la fuoriuscita dei beni dal regime d’impresa determina il sorgere della plusvalenza latente. Riguardo al principio di territorialità, la direttiva 90/435/CEE del 23 luglio 1990 (c.d. “direttiva Madre-figlie”), in tema di tassazione dei dividendi distribuiti da società, dette “figlie”, situate in uno Stato membro, ad una società, detta “madre”, situata in altro Stato membro, offre ulteriori spunti di analisi.

Occorre, innanzitutto, precisare che la qualifica di “figlie” e “madre” è definita, in tal senso, dall’art. 3 della stessa direttiva. Dopodiché, occorre rilevare che l’obiettivo della normativa comunitaria è quello di introdurre un sistema inteso a neutralizzare, al verificarsi di talune condizioni, la tassazione dei dividendi in uscita erogati da una società ad un’altra situata in un altro Stato membro, prevedendo il divieto per lo Stato di residenza della società erogante di assoggettare a imposizione i dividendi distribuiti alla propria controllante (279).

L’esenzione dalla ritenuta alla fonte dei dividendi distribuiti dalla società figlia da parte dello Stato di residenza di questa, così come previsto dall’art. 5, induce a ritenere che, nel caso di specie e salvo le disposizioni particolari presenti nella disciplina, la direttiva abbia riconosciuto al Paese della residenza della società “madre” il diritto di assoggettare a imposizione tali redditi. Conseguentemente, si ritiene che relativamente a siffatta direttiva, in ambito comunitario sia prevalsa la volontà di adottare quale criterio di tassazione per tale tipologia di redditi il principio della tassazione su base mondiale. In altri termini, il diritto esclusivo dello Stato di residenza del contribuente a tassare i redditi oggetto della direttiva, comporta l’implicito riconoscimento della preferenza degli organi comunitari verso il principio di tassazione del reddito mondiale connesso al criterio di collegamento della residenza.

Nella direttiva 2003/49/CE del 3 giugno 2003 (280), in tema di tassazione dei pagamenti di interessi e canoni avvenuti tra società residenti in Stati membri diversi della Comunità europea, in base a quanto disposto dall’art. 1, la scelta operata dal Consiglio dell’Unione Europea viene esplicitata nel senso di riconoscere il diritto ad assoggettare ad imposizione tali redditi da parte

(279) E. C. C. M. KEMMEREN, Source of Income in Globalizing Economies: Overview of the Issues and a Plea for an Origin-Based Approach, in Bulletin, 2006. Si veda, inoltre, G.

MAISTO La direttiva CEE relativa al regime tributario dei dividendi nei rapporti tra

"società-figlie" e "società-madri", in Riv. dir. trib., 1992, III, pag. 519 e ss.; diffusamente,

M.TENORE, The Parent-Subsidiary Directive, in AA.VV., Introduction to European Tax

Law on Direct Taxation, M.LANG-P.PISTONE-J.SCHUCH-C.STARINGER (Eds.), pag. 95 e ss.

(280) Per un’analisi approfondita della direttiva si rinvia a M. GREGGI, La direttiva

2003/49/CE e il regime di tassazione degli interessi e delle royalties, in Rass. trib., 2003, I,

dello Stato della residenza del soggetto beneficiario, confermando la propensione, sotto l’aspetto legislativo, da parte degli organi comunitari verso forme di imposizione dei redditi a livello comunitario intese ad affermare, in primo luogo, il diritto primario dello Stato della residenza nella tassazione di taluni redditi e, in secondo luogo, a riconoscere, ancora una volta, implicitamente una preferenza dell’Unione Europea verso forme di tassazione fondate sul worldwide taxation principle (281).

Un’ulteriore conferma di tale tendenza si riscontra nella direttiva 2003/48/CE del 3 giugno 2003, in tema di imposizione dei risparmi in ambito comunitario, (c.d. “direttiva sul risparmio”), la quale conferma, con riguardo agli interessi percepiti dalle persone fisiche, la propensione del legislatore comunitario ad accordare allo Stato di residenza del contribuente il diritto esclusivo a tassare i redditi qualificati “di risparmio” percepiti dal proprio residente che, ai fini della direttiva, si qualifica come beneficiario effettivo.

Quanto precede induce ad una breve riflessione. I pochi interventi posti in essere dal legislatore comunitario hanno per lo più interessato operazioni specifiche a carattere transnazionale. La scelta operata nelle varie direttive è stata in prevalenza quella di preservare la potestà impositiva dello Stato di residenza. Né è derivato in alcuni casi che le scelte compiute dagli organi comunitari abbiano implicitamente tutelato il diritto degli Stati membri di tassare il reddito prodotto dai propri residenti in funzione del principio della tassazione dei redditi su base mondiale. Ciò emerge chiaramente tanto nella direttiva sui dividendi quanto in quella sugli interessi e royalties.

5. Il ruolo della Corte di Giustizia nel sistema delle fonti del

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