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Il rapporto tra il principio di territorialità e principio di mondialità nel diritto internazionale

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 193-196)

7. …(segue)e misure bilaterali

I CONDIZIONAMENTI ESTERNI SULL’ORDINAMENTO FISCALE ITALIANO IN RELAZIONE AL CRITERIO DELLA

3. Il rapporto tra il principio di territorialità e principio di mondialità nel diritto internazionale

L’analisi del diritto internazionale è inteso a rilevare se esistano condizionamenti da parte del diritto internazionale e convezionale ad una eventuale passaggio dal principio di tassazione su base mondiale a quello su base territoriale.

Va, innanzitutto, osservato che nella prassi internazionale è invalsa la pratica secondo cui gli Stati assoggettano a imposizione i redditi dei soggetti residenti in base al principio della tassazione dei redditi ovunque prodotti, mentre ai non residenti si applica il principio della tassazione su base territoriale. Questo modello, sebbene particolarmente diffuso a livello mondiale, prevede tuttavia delle eccezioni. Alcuni Paesi sudamericani prevedono, infatti, una tassazione su base territoriale dei propri residenti, mentre, per fare un esempio più vicino all’Italia, la Francia prevede la tassazione dei redditi delle società su base territoriale.

(452) R.S.AVI-YONAH,Globalitation, Tax Competition, and the Fiscal Crisis of the Welfare State, in Harvard Law Review, 2000, pag. 1573 e ss.

Secondo la dottrina internazionale, l’adozione di un principio piuttosto che l’altro – come si avuto modo di vedere preliminarmente nel primo capitolo – non è scevro di conseguenze. Sono noti, infatti, i problemi internazionali (doppia imposizione) causati dall’adozione del principio di mondialità per la tassazione dei redditi dei propri residenti. Il fenomeno della doppia imposizione è, infatti, il principale problema avvertito a livello internazionale. I rimedi, unilaterali o convenzionali per contrastare tale fenomeno, sono diversi e, in alcuni casi, sono particolarmente efficienti nella risoluzione del problema.

Il regime di esenzione nel caso di adozione del principio di mondialità e quello di esclusione nel caso dell’adozione del principio di territorialità sono, infatti, ponendo una suddivisione netta tra redditi nazionali e redditi esteri, permettono al Paese di residenza – quello che, in virtù del modello delineato poc’anzi, utilizzato il principio della tassazione dei redditi ovunque prodotti nei confronti dei propri residenti – di assoggettare a imposizione soltanto i primi e non i secondi che, per converso, saranno oggetto di imposizione nello Stato della fonte.

Altri rimedi, invece, sono meno efficienti nella risoluzione dei problemi legati al fenomeno della doppia imposizione. Il credito d’imposta, nella sua versione limitata, non elimina la doppia imposizione, anzi nel caso in cui il livello delle aliquote dello Stato di residenza è superiore a quello dello Stato della fonte, è certo che il contribuente subirà una plurima imposizione. Analizzando le fonti di diritto internazionale si è osservato che non esistono consuetudini internazionali che abbiano la finalità di limitare l’operato del legislatore in merito all’adozione del worldwide taxation principle. Se, inoltre, si guarda ai principi generali di diritto internazionale, si osserva che nonostante la loro diffusione, il principio della mondialità o quello della territorialità, non sono considerati principi generali dell’ordinamento internazionale. In ogni caso, volendo accedere alla tesi contraria, si osserva che non vi è una prevalenza dell’uno rispetto all’altro e ciò lascerebbe libero il legislatore nazionale di determinare liberamente il criterio più opportuno da adottare.

La questione, invece, diviene più complessa in relazione a livello convenzionale. Premesso che la tesi secondo cui i principi adottati a livello convenzionale debbano essere intesi come principi generali di diritto internazionale deve essere respinta in quanto non corrispondente ai canoni individuati dalla dottrina maggioritaria, deve rilevarsi che pur volendo accedere a questa tesi, non è ammissibile sostenere che il modelli di convenzione che muovono dal presupposto che gli Stati contraenti adotti il principio di tassazione dei redditi su base mondiale (OCSE e ONU), non aggiungerebbe nulla alla rilevanza di tale principio a livello internazionale considerato che esiste, sebbene abbia avuto una ridotta diffusione, il

modello di convenzione elaborato in sede di Patto Andino che, per converso, poggia sul presupposto che gli Stati aderenti adottino il principio di territorialità.

In questo senso, laddove si volesse sostenere che il principio di mondialità assurge a principio generale dell’ordinamento internazionale lo si dovrebbe fare anche in relazione al principio di territorialità che – come detto – rappresenta il fondamento del modello convenzionale del Patto Andino. Vale, inoltre, la pena rilevare i limiti che le convenzioni internazionali rappresentano per gli Stati firmatari. Sebbene, infatti, lo Stato in assenza di convenzioni, possa liberamente scegliere il principio più adatto per assoggettare a imposizione i redditi prodotti dai propri residenti, tale libertà sembra messa in discussione ove siano state stipulate delle convenzioni internazionali. In tal caso, la scelta del legislatore di modificare i principi sui quali si fonda un’imposta si scontra con quanto assunto a livello convenzionale. Laddove, infatti, la convenzione presupponga l’adozione da parte degli Stati firmatari del principio di tassazione su base mondiale, il mutamento interno del principio, non modificherebbe i rapporti convenzionali in essere, talché nonostante lo Stato abbia modificato il proprio principio di tassazione (da mondiale a territoriale) esso non produrrebbe effetti in relazione ai redditi generati dai contribuenti in Stati con i quali è stata conclusa una convenzione contro le doppie imposizioni. Poiché, peraltro, il network di convenzioni stipulate dallo Stato solitamente sono conclusi con gli Stati con i quali maggiori sono gli scambi commerciali e finanziari, di fatto, gli effetti apportati dal mutamento del principio sarebbe puramente marginali. Tale situazione potrebbe essere invertita soltanto nel caso in cui lo Stato:

a) non rispettasse gli obblighi convenzionali (incorrendo in sanzioni e nel corrispondente inadempimento degli obblighi convenzionali della controparte);

b) decidesse di avviare nuovi negoziati per modificare le convenzioni in essere.

Tale ultima soluzione, considerato la lentezza e complessità dell’iter, non rappresenterebbe uno strumento efficace per implementare il principio di territorialità anche nei confronti degli altri Stati contraenti.

Con riferimento all’art. 7 del modello OCSE, si è osservato che nonostante sia previsto il diritto primario dello Stato della fonte a tassare i redditi prodotti dalla stabile organizzazione, è di tutta evidenza che nel momento in cui si permette allo Stato della residenza di adempiere ai propri obblighi mediante la concessione di un credito d’imposta alla casa madre, l’unico vantaggio che si ha è quello di preservare il diritto dello Stato di residenza in tutti quei casi in cui non si configuri una stabile organizzazione. E, dunque, anche codesto articolo della convenzione non sembra fare

eccezione alla regola al principio di tassazione su base mondiale dei redditi prodotti da un soggetto residente in uno Stato nell’altro Stato contraente. Conclusivamente, si può affermare che, sul piano internazionale, l’adozione dell’uno o dell’altro principio non risulta vincolato da norme di ordine internazionale, mentre la libertà di modificare l’assetto dell’imposta da parte del legislatore risulterebbe vincolato laddove siano state stipulate delle convenzioni internazionali, poiché, posta la complessità della sua rinegoziazione, l’eventuale scelta di modificare il principio d’imposizione, passando da quello della mondialità a quello della territorialità, di fatto non produrrebbe effetti.

4. Il rapporto tra principio di territorialità e principio di

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 193-196)

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