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Principio del beneficio e principio del sacrificio nella dottrina italiana

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 37-47)

IL PRINCIPIO DELLA TASSAZIONE SU BASE TERRITORIALE IN ITALIA

1. Principio del beneficio e principio del sacrificio nella dottrina italiana

Come evidenziato nel capitolo precedente, per effetto dell’apertura dei mercati nazionali e dell’abbattimento delle barriere doganali e legislative, è cresciuta la mobilità delle persone e dei capitali. Tale situazione permette, in linea con le più accreditate teorie economiche, un’efficiente allocazione dei fattori produttivi.

Una delle condizioni perché tale allocazione risulti efficiente impone che la variabile fiscale, fra le altre, sia neutrale. Il recente fenomeno della globalizzazione ha reso necessario, pertanto, la rimeditazione dell’impostazione del sistema fiscale, incentrato sui principi di uguaglianza e solidarietà, per affrontare in modo diverso le sfide della globalizzazione. Ciò ha indotto una parte autorevole della dottrina a mettere nuovamente in discussione la nozione di “capacità contributiva” (86).

(86) Segnala la riapertura del dibattito in seno alla dottrina, F.GALLO, Brevi riflessioni sul

criterio del «beneficio» e sul principio di progressività, in La normativa tributaria nella giurisprudenza delle corti e nella nuova legislatura, V.UCKMAR (coordinati da), Padova, 2008, pag. 31 e ss.. E’ interessante, a tal proposito, osservare come l’autorevole autore accosti al principio del beneficio il criterio di tassazione proporzionale del reddito, mentre associa al principio del sacrificio il criterio della tassazione progressiva. Tale osservazione, ai nostro parere appare particolarmente importante – come si vedrà nel prosieguo – in riferimento all’imposizione societaria e, nello specificio, all’IRES, la quale – secondo altra parte della dottrina – ha assunto tutti i caratteri di una imposta reale intesa nel senso che la disciplina non prevede deduzioni/detrazioni connessi alla condizione personale dell’ente e stabilisce una imposizione su base proporzionale del reddito (si veda a tal proposito P.

Tale dibattito, tuttavia, non è nuovo. Già DE VITI DE MARCO (87), partendo dalla constatazione che lo Stato, quale prestatore di servizi pubblici, è un collaboratore della produzione, rilevava che, al pari degli altri produttori, anch’esso dovesse partecipare alla divisione del reddito sociale. Secondo tale autore, la tassa rappresenterebbe il prezzo pagato dal cittadino per il godimento di quei servizi “che sono suscettibili di essere venduti al minuto, cioè di essere prestati di volta in volta al cittadino che li domanda e nel momento e nella quantità in cui li domanda”, l’imposta, invece, “è il prezzo che ogni cittadino paga allo Stato per coprire la quota parte del costo dei servizi pubblici generali, che egli consuma” (88).

Ancor prima che si approvasse il testo costituzionale, una parte della dottrina che si riconosceva nei lavori della scuola di Pavia e, in particolare, nell’opera del suo principale esponente Benvenuto GRIZIOTTI (89), aveva

RUSSO, I soggetti passivi dell’IRES e la determinazione dell’imponibile, in La riforma

dell’imposta sulle società, P.RUSSO (a cura di), 2005, pag. 64 e ss.).

(87) A.DE VITI DE MARCO, I principi dell’economia finanziaria, Roma, 1928, pag. 19 e ss.. (88) A.DE VITI DE MARCO, op. cit., pag. 61. VANONI (E.VANONI, Natura e interpretazione

delle leggi tributarie, in Opere giuridiche, I, Milano, pag. 49) osserva a tal proposito che il

DE VITI DE MARCO “il diritto all’imposizione, negli Stati moderni, viene a fondarsi sul

rapporto di scambio che intercorre tra la prestazione dei tributi e la controprestazione dei servizi pubblici”. Il VANONI, peraltro, ricorda una teoria del beneficio particolarmente interessante sotto l’aspetto delle argomentazioni. L’autore ricorda, infatti, come ROYER (C. ROYER, Thèorie de l’impôt, ou la dîme royale, Paris, 1862, I, pag 40), nell’ambito della dottrina francese del principio del beneficio, giustifica il principio del beneficio in campo fiscale secondo uno schema di scambio tra imposta e servizi che lo Stao ha prestato, presta e presterà (lo Stato – in altre parole – agirebbe in un certo modo come un banchiere e presta alle generazioni povere ciò che gli viene dato dalle generazioni ricche). VANONI, tal proposito, esemplifica nei termini che seguono la teoria del ROYER:“Lo Stato preleva dal

povero meno di quanto gli dà: ma lo mette in questo modo in condizione di procurarsi una situazione migliore. Se il povero arricchisce, man mano che egli sale nella scala economica, intellettuale e morale, paga una somma sempre più grande alla Società, nella quale somma oltre il compenso per i servizi che riceve nel momento, è compreso anche l’estinzione del debito che il povero contrasse verso lo Stato, quando questi prestò servigi, che quegli non poté pagare”.E’ interessante osservare come nel caso di spese improduttive i sostenitori del principio del beneficio considerassero legittimo il rifiuto del pagamento dell’imposta da parte dei contribuenti (si rinvia, a tal proposito, al saggio di H.MAURUS,

Die Besteuerung und die Besteuerungsreform vom Standpunkte des gemeinen Rechtes,

Heidelberg, 1870).

(89) I contributi della dottrina di maggior interesse per i fini del presente lavoro sono: B. GRIZIOTTI, Il principio della controprestazione e sue applicazioni, in Riv. Dir. fin. Sc. Fin., 1950, I, pag. 117 e ss., ora anche in Saggi per il rinnovamento dello studio della scienza

delle finanze e del diritto finanziario, Milano, 1953, pag. 321 e ss.; ID., Il principio del

beneficio e l’imposizione delle rendite fiscali, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1950, I, pag. 332 e

ss., ora anche in Saggi per il rinnovamento dello studio della scienza delle finanze e del

diritto finanziario, Milano, 1953, pag. 355 e ss; ID., Il principio della capacità contributiva

e le sue applicazioni, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1950, I, pag. 15 e ss., ora anche in Saggi per il rinnovamento dello studio della scienza delle finanze e del diritto finanziario, Milano,

ritenuto che la nozione di capacità contributiva dovesse essere legata, per il tramite del principio del beneficio, al principio della controprestazione, nozione di matrice contrattualistica (90). Il GRIZIOTTI, invero, ipotizzava che – come nel diritto privato esiste una causa giuridica espressione del rapporto sinallagmatico tra prestazione e controprestazione – nell’ambito del diritto tributario, la causa dell’obbligazione tributaria (e, dunque, il tributo) era rappresentata dalla prestazione offerta dallo Stato, la quale, seguendo l’iter argomentativo dell’autore, doveva essere remunerata dal contribuente. La misura del valore della prestazione ricevuta dal contribuente era rappresentata, secondo i sostenitori di tale teoria, dal beneficio che questi riceveva dal servizio erogato dallo Stato. Tuttavia, essa si determinava soltanto attraverso il vaglio della capacità contributiva del contribuente, intesa quale parametro per assoggettare a imposizione coloro, tra i tanti, che avendo beneficiato della prestazione, avessero i mezzi per remunerarla. Pertanto, secondo GRIZIOTTI (91), “L’imposizione secondo il principio del beneficio ha per funzione economica di attuare lo scambio fra il vantaggio recato al contribuente dallo Stato e la prestazione del contribuente allo Stato, che l’ha prodotto, e talora la funzione sociale di promuovere redistribuzioni della ricchezza o invece miglioramenti (come bonifiche, irrigazioni, ecc.) con l’intervento dello Stato, perché altrimenti non si sarebbero ottenuti per sola iniziativa degli interessati” (92).

Sinteticamente, il pensiero dell’autore si esplica nell’esigenza di individuare la causa dell’obbligazione tributaria, la quale è da ravvisarsi nel rapporto pseudo-sinallagmatico tra contribuente e Stato, laddove quest’ultimo eroga un servizio di cui beneficia il primo, mentre, il primo remunera tale servizio

1953, pag. 347 e ss. Gli altri contributi della scuola di Pavia in tema di principio del beneficio e capacità contributiva sono quelli di: E. VANONI, op. cit., pag. 114 e ss.. L’autore, svolge a sua volta una pregevole ricostruzione delle teorie sostenute, il quale parte dal dato secondo cui le teorie contrattualistiche che avevano caratterizzato il diciannovesimo secolo non erano più attuali in virtù dell’evoluzione della nozione di Stato. Lo stesso, infatti, riparte per converso dalle teorie del TANGORRA (V.TANGORRA, Trattato

di scienza della Finanza, Milano, 1915), secondo il quale il tributo “rappresent[a] il compenso corrispondente ed immediato del vantaggio che l’individuo ricava dall’attività dello Stato”. Inoltre, si ved anche M.PUGLIESE, La imposizione delle imprese di carattere

internazionale, Padova, 1930, pag. 41 e ss.; R. POMINI, La «causa impositionis» nello

svolgimento storico della dottrina finanziaria, Milano, 1951.

(90) C.MONTESQUIEU, L’esprit des Lois, XIII, C. I, trad., Lo spirito delle Leggi, Milano, 2007, pag. 367. L’autore, infatti, affermava: “Les revenus de l’Etat sont une portion que

chaque citoyen donne de sono revenu pour avoir la sureté de l’autre ou en jouir agreablement”.

(91) B.GRIZIOTTI, Il principio del beneficio e l’imposizione delle rendite fiscali, cit., pag. 340.

(92) L’Autore prosegue distinguendo tra rendita manifesta e rendita potenziale ossia “a

in base al vantaggio ottenuto. Il vantaggio (ovvero, secondo l’autore, la “rendita fiscale”) ottenuto viene misurato in termini di beneficio goduto dal contribuente, con il solo limite che la remunerazione del servizio rispecchi pur sempre la capacità contributiva ossia la disponibilità economica dei soggetti che hanno beneficiato del servizio.

Il principio del beneficio, dunque, si pone come misura del vantaggio ottenuto dal contribuente in relazione al servizio reso dallo Stato (93). Tuttavia, la difficoltà consisteva proprio nel misurare tale beneficio (94). Come rilevato da parte della dottrina, tale impostazione soffre di un limite: essa, infatti, assume per dimostrata l’inesistenza di qualunque altro criterio idoneo a determinare una delimitazione del dovere tributario (95).

MICHELI, per converso, partendo dal dato costituzionale e, in particolare, dai principi di uguaglianza e solidarietà, sostenne che non era in alcun modo indispensabile la sussistenza di una specifica relazione di ordine causale tra il concorso alle spese e il godimento di pubblici servizi (96).

GALLO, più di recente, ha osservato che: “Se si ripercorre la storia del tributo negli stati liberali si può, infatti, notare che col superamento delle teorie contrattualistiche, con l’avvento dello Stato di diritto e con l’imporsi della definizione funzionale del tributo quale strumento di concorso alle pubbliche spese, il rapporto causale tra prelievo e il costo del servizio ha perso d’importanza come unico criterio giuridico giustificatore di qualunque tipo e specie di prelievo” (97).

(93) F. MAFFEZZONI, il principio di capacità contributiva nel diritto finanziario, Torino, 1970, pag. 12 e ss. Secondo l’Autore, in effetti, il principio del beneficio sarebbe l’unico elemento in grado di giustificare il tributo e delimitarne, al contempo, gli effetti ai soli soggetti obbligati al suo pagamento.

(94) A segnalare i limiti di detto principio è – in modo chiaro – E.VANONI, ibidem, pag. 55 e ss. Nella ricerca di una soluzione intesa a superare l’impasse creato dalla difficoltà nel misurare il beneficio ottenuto dal singolo, si è opinato che sarebbe stato idoneo nella tassazione dei contribuenti utilizzare un’aliquota proporzionale. A sostenere in Italia questa tesi sono stati A. DE VITI DE MARCO, op. cit., pag. 162 e E. EINAUDI, Contributo alla

ricerca dell’ottima imposta, Milano, 1929, pag. 253. VANONI, tuttavia, denuncia i limiti da tale soluzione la quale è fallace nelle premessa, la quale si sostanzia nell’assumere come dato di partenza che i contribuenti siano destinatari in modo proporzionale dei servizi resi dallo Stato, il che non risulta in alcun modo provata.

(95) Cfr. F.MOSCHETTI, Il principio di capacità contributiva, Padova, 1973, pag. 213; G. F. GAFFURI, L’attitudine alla contribuzione, Milano, 1969, pag. 146; I.MANZONI –G.VANZ,

Il diritto tributaio – profili teorici e sistematici, Torino, 2007, pag. 33.

(96) G.A.MICHELI, Problemi attuali di diritto tributario nei rapporti internazionali, in Dir.

prat. trib., 1962, I, pag. 225.

(97) F.GALLO, Brevi riflessioni sul criterio del «beneficio» e sul principio di progressività, in La normativa tributaria nella giurisprudenza delle corti e nella nuova legislatura, cit., pag. 33; ID., Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, cit., pag. 115. Dello stesso avviso, L.V.BERLIRI, La giusta imposta, Roma, 1945, pag. 45.

La principale critica mossa alla teoria del beneficio verte proprio sull’impossibilità di valutare in anticipo il beneficio riveniente dalla prestazione di un servizio al contribuente da parte dell’autorità statale, posto che esso sarà valutabile solo a posteriori (98). Il principio del sacrificio, secondo la medesima dottrina, rispecchia invece l’esigenza avvertita dal contribuente di ricevere un servizio futuro al quale ricollega, a priori, un certo vantaggio.

L’inserimento del sintagma “capacità contributiva” nella Costituzione, dunque, assunse un significato nettamente diverso da quello originariamente concepito da GRIZIOTTI (99). Essa, infatti, non introduceva un rapporto necessitato di corrispettività tra obbligazione tributaria e prestazione di servizi pubblici, bensì venne concepita come “il dovere della partecipazione di tutti ai carichi pubblici quale loro appartenenza alla collettività organizzata” (100).

La dottrina maggioritaria ormai associa all’espressione di “capacità contributiva” un dovere di solidarietà politica, economica e sociale dei membri della collettività a partecipare alle spese dello Stato inteso come collettività. Secondo, infatti, la dottrina maggioritaria, il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. è sufficiente affinché si imponga il pagamento di un tributo a prescindere dal vantaggio che ne deriva al singolo dei servizi prestati dallo Stato (101).

(98) L.V.BERLIRI, La giusta imposta, cit., pag. 45.

(99) Le proposte della Corte di Cassazione sono riportate in MINISTERO PER LA

COSTITUZIONE, Rapporto della Commissione Economica, V, tomo II, Roma, 1946. Occorre rammentare che in sede di lavori preparatori, venne avanzata la proposta di strutturale il sistema fiscale su base territoriale. Da notizia di tale proposta E. VANONI, Diritto

dell’imposta e formazione delle leggi finanziarie, in Opere giuridiche, II, Padova, 1962,

pagg. 485-486. Tale iniziale proposta, tuttavia, venne accantonata per via dell’estrema rigidità che avrebbe corso il sistema laddove sul piano costituzionale si fosse assunta tale opzione. Come è stato correttamente rilevato da G.FALSITTA, L’imposta confiscatoria, in

Riv. dir. trib., 2008, I, pag. 89 e ss., un apporto determinante nell’introduzione del principio

della capacità contributiva deve essere attribuita all.On. Castelli, il quale, prendendo parte ai lavori dell’Assemblea Costituente, promosse l’inserimento nel testo della Costituzione dell’art. 53 e, in particolare, della prima parte, suggerendo l’utilizzo dell’espressione “capacità contributiva” per sintetizzare il limite entro il quale il legislatore può richiedere al contribuente di partecipare alle spese pubbliche.

(100) A.FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, pag. 33.

(101) V. Corte Costituzionale, sentenza n. 212 del 24 luglio 1986, disponibili sul sito della internet: www.cortecostituzionale.it. I.MANZONI –G.VANZ, op. cit., pag. 33. Gli autori si esprimono nei seguenti termini: “Che scopo dell’imposizione sia essenzialmente quello di

fare fronte alla pubblica spesa è costatazione del tutto ovvia. Ma questo non significa che, una volta giustificata sotto tale profilo l’imposizione, il tributo debba essere richiesto solo nell’ambito di coloro che dai pubblici servizi traggono beneficio. Si tratta di due momenti diversi, tecnicamente e concettualmente distinti: dei quali, a ben vedere, il prelievo tributario dovrebbe costituire il prius e non posterius rispetto alla pubblica spesa e, quindi,

2. L’art. 53 della Costituzione e il principio di territorialità: la

residenza quale fonte di discriminazione.

L’art. 53, comma 1, Cost. recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Dunque, diversamente da quanto stabiliva l’art. 25 dello Statuto Albertino in relazione all’onere tributario (esso, infatti, chiamava a concorrere alla copertura delle spese i regnicoli), l’Assemblea Costituente ritenne di non limitare all’appartenenza politica il dovere di concorrere alle spese pubbliche.

Il termine “Tutti” utilizzato dal legislatore costituzionale è sinonimo di un coinvolgimento della collettività a partecipare al finanziamento delle spese pubbliche. Come segnalato dalla dottrina, il “Tutti” utilizzato nell’art. 53 intende riferirsi a cosa “Tutti” possano fare per lo Stato e per la comunità (102).

Dopo di ché occorre prendere atto che è necessario individuare un criterio che giustifichi l’assoggettamento a imposizione di “Tutti”. Tale criterio si fonda su un collegamento della persona con il territorio (103). Si deve trattare di un legame duraturo di questi con il territorio dello Stato italiano (104), altrimenti si rischierebbe di chiedere di partecipare alle spese dello Stato anche a soggetti che risiedono in Italia in via del tutto temporanea e saltuaria (105).

Lo sviluppo degli studi economici e giuridici ha permesso di individuare due criteri di collegamento: quello personale; e quello territoriale.

anche ai servizi forniti”. Si veda, sul punto, le interessanti osservazioni di G. FALSITTA,

Storia veridica, in base ai 'lavori preparatori', della inclusione del principio di capacità contributiva nella Costituzione, in Riv. dir. trib., 2009, I, pag. 97 e ss.

(102) Si veda per tutti L. ANTONINI, Dovere tributario, interesse fiscale e diritti

costituzionali, Milano, 1996.

(103) Secondo C.SACCHETTO, Territorialità (diritto tributario), in Enciclopedia del diritto, Milano, 1992, pag. 304 e ss., l’art. 53 Cost. richiederebbe un ragionevole legame con l’apparato statale solo per i redditi degli stranieri, in quanto si ritiene che per i cittadini e i residenti l’esistenza di un nesso idoneo a consentire la tassazione sia già implicita nella loro qualità soggettiva. Dello stesso avviso I. MANZONI, La capacità contributiva

nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino, 1965, pagg. 22-23; F. MOSCHETTI, Il principio di capacità contributiva, cit., pag. 213.

(104) F.MOSCHETTI, Il principio di capacità contributiva, cit., pag. 213.

(105) Chiedere anche a soggetti che non hanno un legame duraturo con lo Stato non è solo una questione di giustizia fiscale, nel senso del dovere di contribuire alle spese dello Stato sebbene non ne abbiano in alcun modo beneficiato né tantomeno ne beneficeranno in futuro in virtù del tenue legame esiste tra il soggetto e il territorio dello Stato, bensì esso comporta anche molti problemi sul piano dell’accertamento e della riscossione delle imposte.

Nell’ambito dei criteri definiti “personali” vengono individuati due tipi di collegamenti: la cittadinanza/nazionalità e la residenza.

Il primo dei due criteri personali, la cittadinanza/nazionalità, esprime un legame tra il soggetto e l’ordinamento politico di appartenenza (106). Il secondo, invece, esprime un collegamento di natura socio-economica del soggetto con il territorio.

Il criterio della cittadinanza, invero, è un criterio che lega in modo durevole il soggetto allo Stato e ciò comporta che, indipendentemente dalla presenza sul territorio del soggetto ovvero a prescindere dalla produzione di reddito esclusivamente all’estero, il soggetto concorrerà pur sempre alle spese statali (107).

Per tale ragione, una parte della dottrina, ritiene che tale criterio non sia in grado di esprimere la capacità contributiva del contribuente. Viene osservato, infatti, che l’espressione “capacità contributiva” è associata al termine “Tutti”; ciò induce a ritenere che, salvo una verifica in merito all’intensità del collegamento con il territorio dello Stato, sia stranieri che cittadini debbano partecipare alla ripartizione delle spese statali. L’adozione di un criterio di collegamento fondato sulla cittadinanza, per un verso, sottrarrebbe gli stranieri che permangono sul territorio dello Stato a partecipare alle spese statali; e, per l’altro, indurrebbe un cittadino espatriato, il quale, dunque, ha perso ogni connessione con il territorio, a concorrere alla copertura delle spese pubbliche sebbene non sia più partecipe della vita sociale ed economica del Paese.

L’Assemblea costituente, conscia della necessità di non porre limitazioni di natura politica, ha utilizzato un termine omnicomprensivo quale “Tutti” proprio per permettere al legislatore di potere esercitare la propria sovranità

(106) G. MARINO, La residenza nel diritto tributario, Milano, 1999, pag. 173 e ss., più precisamente, definisce la cittadinanza/nazionalità come “status che esprimono una

relazione di appartenenza ad un gruppo sociale in virtù della quale in capo al soggetto sorgeranno una serie di diritti e di doveri”. La questione è anche affrontata da C.

SACCHETTO, op. loc. cit., pag. 316, il quale sottolinea come il legame politico personale tra Stato e cittadino comporta, da un lato, che lo Stato può esercitare la propria sovranità nei confronti dei propri cittadini ovunque essi si trovino e, dall’altro, che lo Stato possa esercitare la propria sovranità nei confronti degli stranieri soltanto ove vi sia un collegamento duraturo di questi con il territorio dello Stato. Il ricorso a questo tipo di collegamento risulta ormai attuato in pochissimi Paesi.

(107) A.GARELLI, Il diritto internazionale tributario, Torino, 1899, pag. 93, rileva che il cittadino che emigri all’estero non perde il suo status e, anzi, rappresenta per lo Stato degli oneri aggiuntivi in virtù del fatto che quest’ultimo dovrà garantire la sicurezza personale e patrimoniale del primo. L’autore individua tipicamente nelle spese della diplomazia (apertura e amministrazione dei consolati) ovvero nella difesa militare il carico aggiuntivo di oneri che lo Stato deve sostenere per il cittadini che decidi di trasferirsi in un altro Stato.

impositiva anche nei confronti di soggetti che non godano dello status di cittadino e che tuttavia siano integrati nella comunità (108).

Il collegamento basato sulla residenza da rilevanza al rapporto di natura socio-economica stabilito tra il soggetto e il territorio dello Stato. Tuttavia, affinché un soggetto possa considerarsi residente, questi non solo deve

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 37-47)

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