• Non ci sono risultati.

Le scelte del legislatore italiano nell’ambito dei criteri di tassazione dei soggetti passivi IRAP

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 57-62)

IL PRINCIPIO DELLA TASSAZIONE SU BASE TERRITORIALE IN ITALIA

6. Le scelte del legislatore italiano nell’ambito dei criteri di tassazione dei soggetti passivi IRAP

Prima di soffermarsi sulle modalità di imposizione adottate dal legislatore italiano per quel che concerne le imposte sui redditi, occorre rilevare che nel panorama fiscale italiano, accanto all’imposta sui redditi è stata inserita l’IRAP (d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 446). L’importanza di analizzare tale imposta prima di procedere a descrivere il sistema di imposizione dei soggetti residenti nell’ambito delle imposte sui redditi, è rilevante nella misura in cui i criteri adottati dal legislatore in tal caso differiscono in modo evidente da quelli adottati a suo tempo per la strutturazione delle imposte dirette.

La struttura dell’IRAP, infatti, è tale da far ritenere attendibile l’affermazione secondo cui il legislatore è libero da vincoli nello stabilire il criterio spaziale più confacente con i propri obiettivi.

Con l’introduzione del nuovo tributo, avente lo scopo di dare forma al progetto di federalismo fiscale, si intendeva assoggettare a imposizione il

minerarie etc.) si ripieghino su se stessi e si provincializzino proprio nel momento in cui tutti gli Stati tendono a facilitare l’espansione e le dimensioni delle loro industrie”. Si

avverte in queste parole molte delle critiche che tutt’ora sono fatte all’adozione del criterio della tassazione su base mondiale.

(151) Cfr. D. ROSENBLOOM – C. GARBARINO, Analisi comparata delle norme per la

localizzazione dei redditi degli ordinamenti tributari italiano e statunitense, in Dir. prat. trib., 1988, I, pag. 529 e ss.

maggiore valore reddituale derivante direttamente dall’assetto organizzativo assunto dall’impresa.

Tuttavia, il tributo è stato giustificato anche sotto l’aspetto del rapporto causale tra servizi resi dallo Stato e la maggiore contribuzione richiesta al contribuente. Nella Relazione della Commissione Gallo al progetto di riforma, il tributo viene giustificato in termini di concorso alle spese pubbliche in base al principio del beneficio. In particolare, nella Relazione si afferma: “Ogni attività organizzata comporta la presenza e la circolazione delle persone che ad esse concorrono, nonché dei loro familiari, la creazione od utilizzazione di strutture materiali, il che (…) richiede approntamenti di infrastrutture e servizi cui sono specificamente deputati gli enti pubblici aventi competenza di gestione del territorio, urbanistica, sanità, trasporti e simili. In particolare l’esercizio di queste attività comporta diseconomie esterne e pregiudizio, in diverse forme, di interessi dell’intera collettività, o diffusi tra i suoi membri, a tutela dei quali gli enti suddetti sono tenuti ad intervenire. La copertura di questi costi con un tributo locale si giustifica anche in termini di “beneficio”” (152).

Tale affermazione, tuttavia, non ha trovato molti consensi in dottrina poiché si è ritenuto che tale giustificazione non fosse in linea con quella nozione di “capacità contributiva” di cui all’art. 53 Cost. che, come si osservato in precedenza, “chiama a pagare le imposte non perché si è ricevuto un servizio, bensì perché si è titolari di una ricchezza tale da esprimere idoneità soggettiva al concorso alle spese pubbliche” (153).

Al di là, dunque, di talune affermazioni apodittiche contenute nella relazione, sembra condivisibile la critica riguardante il fatto che il tributo non possa giustificarsi sulla base del principio del beneficio, ciò in quanto il limite all’applicabilità di tale principio alle situazioni di fatto comporta notevoli problemi nella determinazione dell’effettivo vantaggio ottenuto dal contribuente. E da quanto è stato rilevato, tale profilo non sembra essere stato risolto dal tributo.

Sempre sotto l’aspetto dei profili generali dell’imposta occorre rilevare che il tributo ha natura reale. E’ stato, infatti, osservato che la peculiare configurazione della fattispecie imponibile, che non si identifica in funzione di un soggetto, ma è definita in termini oggettivi, determina il sorgere

(152) La ricostruzione del presupposto in ossequio del principio del beneficio risulta avversata dalla dottrina maggioritaria. Si vedano, ad esempio, gli scritti di R.LUPI, L’Irap

tra giustificazioni costituzionali e problemi applicativi, in Rass. trib., 1997, pag. 1412,

oppure G.FALSITTA, Aspetti e problemi dell’Irap, in Riv. dir. trib., 1997, I, pag. 500. (153) G.FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte Speciale, Padova, 2005, pag. 724.

dell’obbligo fiscale in capo ad un soggetto che, tuttavia, risulta estraneo al presupposto oggettivo considerato (154).

Il presupposto del tributo è da identificare in una peculiare manifestazione di capacità contributiva, consistente nel “valore aggiunto della produzione”. Il presupposto si differenzia da quello previsto per altre imposte nella misura in cui la nozione di valore aggiunto della produzione non coincide con quella di reddito o di altre forme di capacità contributiva assunte tradizionalmente dal legislatore. Ad essere assoggettati a imposizione sono, infatti, anche coloro che nel periodo d’imposta abbiano prodotto un reddito negativo (una perdita), proprio in conseguenza del fatto che il presupposto impositivo non attiene alla ricchezza novella generata dal contribuente nel periodo d’imposta, bensì attiene al “dominio sui fattori produttivi”, e ciò – in altri termini – si traduce in una valutazione oggettiva della forza economica rappresentata dall’esistenza di una organizzazione produttiva (155).

(154) Secondo G. CORASANITI I profili internazionali e comparati dell’imposta regionale sulle attività produttive, in Dir. prat. trib., 2001, III, pag. 449 e ss., “L’irap è stata definita per legge un’imposta avente carattere reale [v. art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 446/1997,

ndr], in quanto prende in esame non il soggetto di imposta ma le tipologie di attività

esercitate dallo stesso. E’ stato osservato che no vi sono dubbi circa la natura «reale» od «oggettiva» dell’imposta, non solo per l’espressa definizione legislativa, ma anche per la peculiare configurazione della fattispecie imponibile, che non si identifica in funzione di un soggetto, come nelle imposte personali, ma è autonomamente definita, in termini oggettivi, ed è quindi riferita, in un momento logicamente successivo, al soggetto rispetto al quale si individua un collegamento in sé estraneo al presupposto oggettivo considerato. Coerentemente con la natura di imposta reale è stato adottato il criterio della territorialità per l’imposizione del valore aggiunto della produzione netta derivante dell’attività esercitata nel territorio regionale”. L’impostazione è condivisa da R. SCHIAVOLIN,

L’imposta regionale sulle attività produttive, Milano, 2008, pag. 313. Sulla differenza tra

imposta reale e imposta personale si veda A.FANTOZZI, op. cit., pag. 61. La definizione data dall’autore è ormai pacifica in dottrina. In particolare, le imposta reali “considera[no]

gli indici di ricchezza indipendentemente dal fatto che essi affluiscano nella disponibilità del soggetto” mentre l’imposta personale “le imposte che tengono conto, oltre che dell’indice di ricchezza isolatamente considerato, anche di vicende ad esso estranee e relative alla persona del contribuente, alle sue condizioni familiari e sociali”. Il definire

un’imposta come reale o personale comporta anche una valutazione delle caratteristiche tecniche del tributo. In particolare, quando un’imposta ha carattere reale ad essa solitamente il legislatore associa una tassazione su base territoriale, mentre nel caso di imposta avente natura personale, il legislatore propende per una imposizione della base imponibile fondata sul principio di tassazione mondiale. A. FEDELE, Imposte reali e imposte personali, in Riv.

dir. fin. sc. fin., 2002, pag. 450 e ss.

(155) Secondo parte della dottrina, nel caso dell’IRAP ci si troverebbe innanzi ad un indice di capacità contributiva impersonale, rilevabile oggettivamente, come tale distinto e separato rispetto alla capacità contributiva specifica dei singoli individui. A tal proposito, si vedano i contributi di P. STUDENSKY, Toward a theory of business taxation, in Journal of

Si tratta di una lettura innovativa, secondo cui la capacità contributiva va giudicata come un criterio di riparto dei carichi fiscali tra i consociati, rispondente essenzialmente a regole di ragionevolezza, rispetto alle quali il dato qualificante è rappresentato dalla posizione di supremazia o comunque di “potere” che ciascun membro della collettività va assumendo nel contesto sociale di appartenenza (156).

Proseguendo nell’analisi della disciplina del tributo, occorre rilevare che nei lavori preparatori riguardanti la legge n. 662/1996 si era data scarsa rilevanza agli aspetti internazionali del nuovo tributo. Questo vuoto è stato in parte colmato con l’emanazione del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 446, il quale ha disciplinato compiutamente anche i profili internazionali del nuovo tributo.

In tal sede, infatti, il legislatore delegato ha proceduto a includere tra i soggetti passivi anche i soggetti non residenti. Non solo. Il decreto ha anche individuato le modalità di determinazione della base imponibile ai fini IRAP, nel caso in cui essa sia realizzata fuori dal territorio dello Stato o in Italia da soggetti non residenti. Pare, pertanto, opportuno analizzare in dettaglio le soluzioni adottate dal legislatore per far fronte alle lacune della legge delega.

Per quanto riguarda i soggetti passivi, ai sensi dell’art. 2, secondo periodo, del d. lgs. n. 446/1997, essi sono – in virtù del peculiare presupposto impositivo – gli imprenditori individuali, gli esercenti arti e professioni, le società sia di persone che di capitali, gli enti non commerciali, gli enti non residenti, le amministrazioni pubbliche (157).

L’imposta, sul piano dei criteri di determinazione della base imponibile, come detto, adotta il principio di territorialità e, pertanto, i redditi prodotti all’estero sono esclusi dal campo di applicazione del tributo. In specie, si considera prodotto all’estero il valore aggiunto della produzione derivante da attività svolte attraverso l’utilizzazione di strutture materiali operanti per almeno tre mesi nel corso del periodo d’imposta; in tal caso, secondo le disposizioni del d. lgs. n. 446/1997, andrà scomputata dal valore totale della produzione una quota corrispondente al rapporto tra il totale delle

Dir. prat. trib., 2000, I, pag. 1635; G. CORASANITI, Irap: gli elementi della fattispecie

imponibile, la giustificazione costituzionale e la graduale abrogazione, in Dir. prat. trib.,

2001, I, pag. 1019.

(156) F.GALLO, Ratio e struttura dell’Irap, in Rass. trib., 1998, I, pag. 632; A.FEDELE,

Prime osservazioni in tema di Irap, in Riv. dir. trib., 1998, I, pag. 470 e ss.; S.F.COCIANI,

Attualità o declino del principio della capacità contributiva?, in Riv. dir. trib., 2004, I, pag.

823 e ss.

remunerazioni e quella parte delle remunerazioni riferibile alle strutture situate all’estero (158).

Quanto ai soggetti non residenti, l’IRAP è considerata applicabile laddove venga svolta nel territorio di una regione, per un periodo non inferiore ai tre mesi, un’attività commerciale o professionale mediante stabile organizzazione o base fissa (159).

L’art. 12, comma 2, del d. lgs. n. 446/1997, infatti, stabilisce che l’imponibile IRAP: “si considera prodotto nel territorio stesso per un periodo di tempo non inferiore a tre mesi mediante stabile organizzazione, base fissa o ufficio, ovvero derivante da imprese agricole, esercitate nel territorio stesso”.

Viene così accolto un criterio differente da quello previsto per la ripartizione del valore aggiunto della produzione tra più regioni, in quanto il periodo di tre mesi è riferito all’attività e non alla permanenza in una struttura materiale, né tantomeno assumono rilievo le retribuzioni del personale addetto; pertanto, viene in tal modo tassato anche il valore aggiunto prodotto senza impiego del personale (160).

La sommaria descrizione del tributo è sufficiente per dimostrare come il legislatore abbia optato nel caso dell’IRAP per l’adozione del criterio della territorialità. La scelta, in definitiva, sarebbe giustificata dal pressuposto “oggettivo” del tributo. La realità dell’imposta, infatti, ha infatti influito nella determinazione del criterio imposito. Tali tributi, infatti, si

(158) R. SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive, in M. MICCINESI,

Commento agli interventi di riforma tributaria, Padova, 1999, pag. 831 e ss.. Il criterio

utilizzato per scomputare dalla base imponibile IRAP delle imprese commerciali la parte di valore aggiunto prodotto all’estero, in discontinuità peraltro con il criterio – analitico – utilizzato in passato in riferimento all’Ilor, è stato criticato dalla dottrina in virtù del fatto che esso genererebbe un trattamento diseguale tra coloro che adottano. Tale sperequazione si avverte con riferimento a trattamento che il legislatore prevede per i non residenti per il valore aggiunto prodotto in Italia. Per essi, infatti, si prevede il computo ai fini della base imponibile del valore aggiunto prodotto in Italia. Un’altra sperequazione si genera con riferimento a residenti che producono reddito all’estero senza avvalersi di personale. In tal senso, si veda G.CORASANITI, op. cit., pagg. 469-470.

(159) Vale la pena ricordare in questa sede come i criteri di collegamento comunemente utilizzati per ricollegare il valore aggiunto ad un determinato territorio sono individuati in modo distinto a seconda che si tratti di impresa commerciale, arte o professione, attività non commerciale. Infatti, rispetto all’attività commerciale svolta dalle società, vale il criterio di collegamento della stabile organizzazione; mentre, per l’esercizio di attività artistica o professionale, il valore aggiunto è ricollegato ad una base stabile ; infine, l’ufficio è considerato il criterio di collegamento per i soggetti che svolgono attività non commerciale. In tal senso, si veda G. CORASANITI, op. cit., pagg. 460-461. Medesime conclusioni si possono trarre dalla risoluzione ministeriale 16 luglio 1998, n. 188/E. (160) P.BORIA, Il sistema tributario, cit., pag. 971 e ss..

caratterizzano per assoggettare a imposizione il reddito o, nel caso dell’IRAP, il valore aggiunto in base al principio della territorialità (161). Nonostante, infatti, sia stato adottato quale criterio di collegamento del soggetto al territorio quello della residenza, detto criterio di collegamento è stato associato il principio della territorialità, il ché confermerebbe, almeno in parte, l’affermazione secondo cui il legislatore è libero di determinare i criteri di tassazione senza trovare un limite nel dettato costituzionale. Ma occorre soggiungere che l’adozione del principio della territorialità per la determinazione dell’imponibile IRAP, sebbene scevra da limiti di natura costituzionale, risponde ad esigenze strutturali di tali tipologie di imposte. Avendo tale imposta natura reale, il legislatore ha inteso adottare il principio di territorialità il quale, tradizionalmente, caratterizza tali imposte.

7. Le scelte del legislatore italiano nell’ambito dei criteri di

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 57-62)

Outline

Documenti correlati