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Osservazioni conclusive

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 73-76)

IL PRINCIPIO DELLA TASSAZIONE SU BASE TERRITORIALE IN ITALIA

10. Osservazioni conclusive

Dall’analisi condotta in questo capitolo possono essere tratte alcune conclusioni che aiuteranno nel prosieguo del presente lavoro.

Innanzitutto, va osservato che le norme costituzionali non operano una scelta in merito alle modalità da seguire per la tassazione dei redditi realizzati dei contribuenti.

L’art. 53 Cost. non indica, infatti, le modalità con cui procedere alla tassazione dei redditi prodotti dai contribuenti. Esso si limita a stabilire che a concorrere alle spese pubbliche siano “Tutti”: cittadini e stranieri, residenti e non residenti.

L’art. 3 Cost., alla quale una parte della dottrina riconduce il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., peraltro, si limita ad affermare che non i criteri adottati non creino discriminazioni tra situazioni simili. La dottrina maggioritaria ritiene che la modalità corretta di interpretare l’articolo in ambito fiscale si esprima nel senso che a parità di mezzi i soggetti passivi devono essere assoggettati a imposizione nello stesso modo,

(187) Secondo una ricostruzione originale di A.M. GAFFURI, op. cit., pag. 383 e ss., il credito d’imposta concesso per i redditi esteri assoggettati a imposizione presso lo Stato della fonte, non sarebbe altro che “una concessione graziosa del legislatore”, poiché nonostante l’aggravio in termini di onere fiscale che ne deriverebbe al contribuente, in base alla recente giurisprudenza della Corte Costituzionale (in particolare, v. sentenza n. 156/2001), “Il conseguimento di redditi all’estero è certamente (…) un fatto espressivo di

forza economica imponibile, giacché è l’effetto dello sfruttamento di energie produttive organizzate. Per questa qualità intrinseca tali profitti, secondo la concezione ultima della Corte costituzionale, possono ben divenire legittimo oggetto di tassazione, anche quando essi non assicurano al percettore, in concreto, la provvista finanziaria per assolvere l’onere tributario, essendo già spesi per pagare le imposte estere. La possibilità di ricavare dai redditi generati all’estero le risorse per versare l’imposta in Italia non è circostanza determinante, se la pretesa si collega alla loro produzione e non alla loro confluenza nel patrimonio del contribuente. (…) Posto il problema in questi termini, si arriva facilmente a concludere che in relazione al principio di capacità contributiva, il riconoscimento del credito d’imposta non è un atto doveroso, ma una scelta discrezionale del legislatore, poiché nulla obbliga quest’ultimo ad adottare uno strumento che ha lo scopo pratico di escludere dalla tassazione i redditi (come quelli prodotti all’estero e ivi già tassati e quindi consumati) non effettivamente disponibili”.

indipendentemente dal fatto che tali redditi siano stati conseguenti in Italia oppure all’estero. Secondo questa ricostruzione del significato del principio di uguaglianza il fattore che determina la parità di trattamento è rappresentato dalle disponibilità economiche del contribuente indipendentemente dal luogo ove tali risorse siano state prodotte.

In questo senso, due contribuenti – considerati residenti in Italia – saranno trattati in modo identico, sebbene uno dei due abbia prodotto in tutto o in parte il proprio reddito all’estero, in virtù del principio di tassazione su base mondiale.

Un’altra parte della dottrina, recentemente, ha sostenuto la possibilità che la norma costituzionale possa essere letta in modo diverso ossia che essa preveda sicuramente un trattamento identico per situazioni simili ma che, per converso, il confronto tra situazioni non debba riguardare due soggetti residenti quanto piuttosto un residente e un non residente. In questo caso, è stato osservato che il trattamento previsto per i non residenti realizzandosi attraverso la sola tassazione dei redditi prodotti sul territorio dello Stato genera una discriminazione nei confronti dei residenti poiché, contrariamente a quanto previsto per i non residenti, il reddito prodotto al di fuori del territorio dello Stato da parte di quest’ultimo sarebbe assoggettato a imposizione.

Questa seconda lettura della norma, sebbene minoritaria, trova – a mio avviso – una conferma empirica nell’ordinamento fiscale, considerato che il legislatore ordinario tanto in passato quanto attualmente ha adottato un criterio di tassazione fondato sul principio della territorialità. Il primo esempio è rappresentato dall’Imposta di Ricchezza Mobile che, sebbene introdotta nell’ordinamento prima dell’emanazione della Costituzione, è stata soppressa soltanto agli inizi degli anni settanta. Questa imposta era caratterizzata per assoggettare a tassazione i redditi prodotti dai contribuenti residenti sulla base del criterio di territorialità e, tuttavia, per tale motivo non è mai stata oggetto di vaglio costituzionale.

Dopo la soppressione di tale imposta e l’introduzione dell’imposta personale sui redditi, il legislatore ha comunque introdotto nell’ordinamento delle imposte che prevedevano la tassazione del reddito su base territoriale. Da ultimo si pensi all’IRAP. Tale imposta, infatti, stabilisce un generale principio di tassazione dell’imponibile su base territoriale. In essa si prevede soltanto un sistema che sostanzialmente fa concorrere, sebbene in modo marginale, all’imponibile quella parte di risorse realizzate all’estero.

Nell’esaminare, infine, alcuni tratti salienti dell’IRES, si è potuto osservare che:

a) il legislatore delegante ha stabilito un vincolo per il legislatore delegato rappresentato dal rispetto dei principi internazionali, convenzionali e comunitari;

b) l’imposta non ha natura reale;

c) il presupposto impositivo si impernia sulla nozione di residenza, la quale funge da catalizzatore dei redditi del soggetto passivo ovunque essi siano prodotti;

d) al fine di eliminare problemi di doppia imposizione internazionale, il legislatore ha optato per riconoscere al contribuente un credito d’imposta limitato per le imposte pagate all’estero;

e) la stabile organizzazione rappresenta su un piano meramente teorico una soluzione hai problemi di riparto della potestà impositiva.

Questa disanima – condotta sia sul piano teorico che su quello empirico – del sistema tributario italiano, inteso a verificare se possano o meno essere riscontrati dei limiti sul piano giuridico per il legislatore, dunque, permette in prima analisi di poter affermare che in realtà la Costituzione non pone un vincolo al legislatore nell’individuare il criterio da adottare per l’imposizione dei redditi realizzati dal contribuente.

Il vincolo, nel caso dell’IRES, è stato posto dal legislatore delegante nel momento in cui ha imposto al legislatore delegato di attenersi, nella formulazione della nuova imposta, ai principi internazionali, convenzionali e comunitari. Il legislatore delegato ha adempiuto tale obbligo, attenendosi per la formulazione della struttura dell’imposta al modello tradizionale dell’imposta personale, lasciando inalterato il criterio della residenza e associando a quest’ultimo il principio della tassazione su base mondiale dei redditi prodotti dal contribuente.

L’obiettivo dei prossimi capitoli è di verificare se sul piano internazionale, convenzionale o comunitario si sono affermati taluni principi che possano mettere in discussione l’attuale assetto assunto dall’IRES.

CAPITOLO III

IL PRINCIPIO DELLA TERRITORIALITA’ E IL DIRITTO

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 73-76)

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