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Indizione e svolgimento del referendum

IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ITALIA

5.5 Indizione e svolgimento del referendum

L’art. 34 della legge 352 del 1970 stabilisce che “ricevuta comunicazione della sentenza della Corte Costituzionale, il Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, indice con decreto il referendum, fissando la data di convocazione degli elettori in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno”. Lo stesso articolo, al secondo comma, stabilisce un’altra regola: “nel caso di scioglimento anticipato delle Camere o di una di esse, il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all’atto della pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale, del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per la elezione delle nuove Camere o di una di esse”. È infine stabilito, nell’ultimo comma, che “i termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365° giorno successivo alla data della elezione”.

L’articolo sopra citato ha sviluppato numerosi problemi interpretativi per quanto riguarda la prima consultazione referendaria, in tema di divorzio; il Governo, infatti, ha chiesto una pronuncia al Consiglio di Stato per risolvere tre quesiti interpretativi:

Il primo quesito fa riferimento al termine “data dell’elezione”; il Consigli di Stato ha affermato che ciò “non significa giorno della

116 Talvolta la figura del relatore viene ricoperta dallo stesso Presidente.

117 In cui si indica la composizione della Corte e gli elementi fondamentali del

giudizio.

votazione ma piuttosto periodo durante il quale si svolge il procedimento elettorale mediante le votazioni. Ne deriva pertanto la necessità di far decorrere il periodo di sospensione dal giorno successivo a quello nel quale le votazioni sono terminate”.119

Il secondo quesito riguardava la necessità di un successivo decreto presidenziale di indizione del referendum; il Consiglio di Stato ha risposto negativamente sottolineando che “nessuna norma ne stabilisce la caducazione”.

Il più importante è però il terzo quesito che concerne la data in cui fissare il referendum rimandato; la Corte, per motivazioni tecniche ha optato per lo slittamento al 1974. Questa tesi era già nell’aria nel momento dello scioglimento delle Camere, pertanto il ricorso all’art.88 della Costituzione120 viene visto come il male minore da quelle forze politiche che non erano riuscite ad affossare l’istituto referendario121.

La situazione sopra descritta, si è ripetuta sia nel 1976 che nel 1987; in quest’ultimo caso è intervenuta la legge n.332 del 1987122, la quale ha

sancito due importanti deroghe. In primo luogo i termini del procedimento referendario, sospesi per effetto dell’anticipato scioglimento delle Camere, “riprendono a decorrere dal giorno

successivo alla data di entrata in vigore della presente legge”. Inoltre il tempo previsto circa la possibilità di ritardare l’entrata in vigore dell’abrogazione è stato portato da sessanta a centoventi giorni.

La l. 332 dell’1987 è giunta alla fine di un travagliato cammino123, al

cui termine si è preferito non introdurre alcuna innovazione al regime che disciplina il procedimento referendario, ma soltanto disporre due precise e limitate deroghe che hanno trovato applicazione esclusivamente in occasione dei referendum del 1987.

Connesso all’art.34 è l’art.31 il quale stabilisce l’ulteriore divieto di depositare “richiesta di referendum nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di

119 Cons. St. 24 Febbraio 1973, in Foro it., III, 1973, p.134 sgg.

120 Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o

anche una sola di esse. Art.88 comma 1 Cost

121 A. PIZZORUSSO, Prospettive del referendum dopo lo scioglimento delle

Camere, in Studi parlam. e di pol. Cost, 1971 n.14 p.23; F. BASSANINI, Lo scioglimento delle Camere e la formazione del governo Andreotti, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1972, p.943.

122 Legge 7 agosto 1987 n.332; “Deroghe alla legge 25 maggio 1970 n.352, in

materia di referendum”.

123 Va rilevato che le suddette deroghe costituiscono il prodotto sia del complesso

accavallarsi tra i procedimenti referendari del 1987 e l’avvenuto scioglimento anticipato delle Camere, sia delle gravose problematiche connesse ai suddetti referendum (in particolare quella relativa alla responsabilità dei magistrati).

convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere medesime”.

Tale articolo ha due obiettivi; in primo luogo si mira ad evitare interferenze politiche tra le due consultazioni popolari, esiste tuttavia una seconda ragione meno evidente ma altrettanto importante derivante dalla volontà delle forze politiche di porre limiti ulteriori, di carattere temporale, accanto a quelli già esistenti per materia.

Nel giorno stabilito per la consultazione, gli aventi diritto si recano alle urne per esprimersi sul quesito loro sottopostogli; coloro che decidono di partecipare, vengono indicati come “corpo elettorale124.

Il diritto di partecipare al referendum abrogativo e quindi il diritto di voto referendario, è costituzionalmente conferito a tutti i cittadini “chiamati ad eleggere la Camera dei deputati”125; ciò significa che

sono ammessi alla consultazione referendaria coloro i quali godono, secondo le leggi vigenti, dell’elettorato attivo per l’elezione della Camera dei deputati.

Il quarto comma dell’art.75 Cost. stabilisce: “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”. Si vengono in sostanza a fissare due quorum:

Uno di carattere partecipativo da valutare per la validità del referendum;

L’altro di carattere deliberativo per valutare se i votanti si sono espressi favorevolmente o meno all’abrogazione.

Il referendum abrogativo è l’unico caso in cui è previsto un quorum di carattere partecipativo; ne deriva quindi che la mancata partecipazione in massa dei votanti può essere un modo per invalidare la consultazione. In genere, tuttavia, si sono raggiunte quasi sempre percentuali superiori al 50% degli aventi diritto al voto, quota

corrispondente al minimo necessario per la validità del referendum.

124 Si tratta però di un’ inesattezza terminologica. Infatti se si volesse indicare

con un solo termine entrambe le figure soggettive (corpo elettorale e corpo votante), si dovrebbe ricorrere, più correttamente e semplicemente, alla espressione “corpo votante”, e non certo a quella “corpo elettorale”.

Inoltre, sia in occasione dei referendum ad estensione nazionale, che nei referendum territorialmente delimitati nei quali la comunità partecipante al referendum coincida con il corpo elettorale, il corpo chiamato a pronunciarsi in sede referendaria non è frazionato, come invece accade per il corpo elettorale nelle elezioni, in collegi tra loro funzionalmente indipendenti e distinti, ovvero nei collegi elettorali che danno vita a tanti atti collegiali elettivi quanti sono i collegi elettorali. (Salerno G.M., Il referendum, cit., p.75-76).