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L’integrazione della generazione 1.5 e delle se conde generazioni di origine marocchina, domini-

cana e peruviana a Madrid e Barcellona

di Rosa Aparicio

Introduzione

È generalmente accettato che l’integrazione degli immigrati è una delle principali questioni per le società europee (F. Heckmann, 2001; F. He- ckmann e D. Schnapper 2003). Ciò è certamente il caso della Spagna, che ha sperimentato un aumento rapido dell’immigrazione da paesi non comu- nitari negli ultimi 15-20 anni.

Nonostante le differenti modalità in cui viene compresa la nozione di in- tegrazione, c’è un consenso comune tra gli esperti nel campo secondo cui una delle migliori prove per verificare quanto gli immigrati siano stati inse- riti in una determinata società è di guardare al corso seguito dalla seconda generazione (C. Bolzman et al., 2003; M. Crul e H. Vermeulen, 2003; A. Portes, 1996; A. Portes e R. Rumbaut, 2001; R. Rumbaut e A. Portes, 2001). Ciò serve ad indicare se l’incorporamento delle comunità di immi- grati progredisce, ristagna o addirittura regredisce. Una mancata integra- zione degli immigrati e dei loro figli potrebbe avere delle conseguenze serie per gli stessi immigrati e per la società nel suo complesso. Essa potrebbe condurre verso situazioni di emarginazione ed esclusione, mostrandosi in varie forme di comportamento deviante, e verso la divisione – o “balcaniz- zazione” – della società in base all’etnicità; una coesistenza insoddisfacente caratterizzata da conflitti inter-etnici, come cominciano a mostrare gli even- ti accaduti nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e, più recentemente, in Francia. La ricerca sui figli degli immigrati è stata finora scarsa in Spagna e si è focalizzata principalmente sulle conseguenze della loro presenza nelle scuole e sui loro risultati scolastici (R. Aparicio, 2001). Inoltre, una tale ri- cerca fallisce nell’individuare una distinzione tra bambini immigrati e bam-

∗ Questo saggio è stato originariamente pubblicato nel Journal of Ethnic and Migration

Studies.

∗ Rosa Aparicio è professoressa presso l’Instituto Universitario de Estudios sobre Mi- graciones all’Università Pontificia Comillas di Madrid.

bini nati nel paese ospite; infatti, “seconda generazione” viene usato più spesso che mai come una espressione ombrello per includere tutti i figli de- gli immigrati (R. Aparicio, 2001). Per ciò che riguarda la ricerca specifica sulla seconda generazione, il vuoto è quasi totale1.

La ricerca che è l’oggetto di questo articolo ha l’obiettivo di colmare questo vuoto. Lo stimolo per la ricerca, insieme a molto del quadro di rife- rimento e a tanti degli strumenti, veniva dalla mia partecipazione al proget- to EFFNATIS2.

Lo scopo principale era di comparare i risultati per la Spagna con i risul- tati del Regno Unito, della Francia e della Germania. Ciò ci renderebbe ca- paci di stabilire la posizione della Spagna riguardo all’integrazione della seconda generazione, in relazione ad altri paesi europei con una più lunga tradizione di immigrazione.

In contrasto con altra ricerca sulla discendenza degli immigrati, lo studio – condotto in Spagna tra il 2000 e il 2003 – provava a focalizzarsi sulle se-

conde e sulle generazioni 1,5, cioè sui bambini nati da immigrati nel paese

ospite e su quelli arrivati assieme ai loro genitori ad un’età molto giovane e che avevano trascorso una larga parte della loro socializzazione primaria nel paese di arrivo. Al di là di questo interesse, si trova l’assunzione secon- do la quale, poiché essi erano stati esposti solamente o principalmente alla società ospite, il loro posto in essa segnalerebbe una mobilità dalla posizio- ne occupata dai loro padri e madri. Nella società odierna, le risorse e lo sta- tus di un individuo dipenderanno dalla sua posizione nel mercato del lavoro e ciò, a sua volta, andrà di pari passo con la scolarizzazione acquisita. Per cui lo studio doveva guardare le seconde generazioni e quelle 1,5 nel mo- mento in cui entravano nel mercato di lavoro. Questo significava che il target del nostro studio doveva avere un età in cui poteva entrare nel merca- to del lavoro. Quindi la scelta naturale erano le seconde generazioni e quel- le 1,5 dei gruppi etnici che sono in Spagna da più tempo: marocchini, do- minicani e peruviani.

Poiché tanto il livello di scolarizzazione acquisito quanto lo status occu- pazionale sono la chiave della posizione di un individuo nella società, mi

focalizzo su questi due aspetti per vedere quanto distante dai loro genitori immigrati si trovano le seconde generazioni e le generazioni 1,5. Hanno avuto delle opportunità migliori rispetto ai loro genitori ed è perciò più probabile per loro sperimentare una mobilità ascendente? O sono destinati a perpetuare la condizione dei loro genitori, o magari persino a sperimentare una mobilità discendente? Successivamente osservo i risultati nei domini della struttura familiare, del capitale sociale, della discriminazione, dell’assimilazione culturale e dell’identità, provando a vedere se e come si relazionano rispetto alle opportunità scolastiche e professionali delle se- conde generazioni e delle generazioni 1,5. Ma innanzi tutto collocherò le comunità scelte (marocchini, dominicani e peruviani) nel contesto dell’immigrazione in Spagna – fatto che servirà anche per spiegare tale scelta – e poi brevemente descriverò la metodologia usata nello studio.

1. Marocchini, dominicani e peruviani nel contesto dell’immigrazione

in Spagna

I protagonisti dello studio sono i figli degli immigrati marocchini, peru- viani e dominicani. I figli sono nati o scolarizzati in Spagna e attualmente stanno entrando nel mercato del lavoro o stanno diventando maggiorenni. La ragione per scegliere queste tre nazionalità è semplice: solo immigrati appartenenti a questi tre gruppi hanno trascorso abbastanza tempo in Spa- gna per aver avuto bambini e per averli istruiti lì, fino al momento in cui essi stanno diventando indipendenti a seguito dell’ingresso nell’età adulta.

Come possiamo descrivere questi immigrati del Marocco, del Perù e della Repubblica Dominicana che hanno bambini che appartengono a que- sta categoria? Prima di entrare in maggiori dettagli, occorre far notare che lo scopo iniziale dello studio era di comparare il livello di integrazione dei figli degli immigrati dall’Africa con i loro equivalenti latino americani. L’assunzione era che sarebbero emerse differenze sulla base di fattori lin- guistici e culturali; in altre parole, che il gruppo latino americano avrebbe mostrato connessioni più strette ai nativi spagnoli che a quello africano. Ma sin dall’inizio era già stato preso in considerazione che combinare dati sui marocchini con gli africani sub-sahariani avrebbe probabilmente distorto i nostri risultati. E quindi sono stati esaminati solamente i marocchini.

Per ciò che riguarda i latino americani, era stato deciso di escludere dal- lo studio i figli degli immigrati argentini. Di nuovo, le ragioni per farlo era- no basate sulla potenziale distorsione dei risultati. Diversamente dall’altra immigrazione proveniente dall’America latina, quella dell’Argentina verso

la Spagna durante gli anni 80 era principalmente composta da professionisti della classe media e medio-alta, e più spesso che non basata su motivazioni politiche, benché non tendessero ad entrare in Spagna con lo status di rifu- giati visto che le autorità spagnole raramente lo accordavano.

Era anche diventato chiaro nelle prime fasi della ricerca che peruviani e dominicani – le nazionalità con la presenza migratoria più lunga in Spagna – erano, infatti, molto diverse le une dalle altre rispetto ai loro modelli di integrazione, e quindi sarebbe stato specioso aggregarli come “latino- americani”. E così nell’analisi che segue, sono state tenute separate in una comparazione tripartita con i marocchini.

Come sono arrivati e come si sono insediati in Spagna i genitori di que- sti giovani? I marocchini sono stati i pionieri dell’immigrazione da paesi poveri verso la Spagna. Durante i tardi anni 80, essi erano almeno 10 volte più numerosi degli immigrati di qualsiasi altra nazionalità. Questa preva- lenza può anche essere magari responsabile per la prima immagine pubbli- ca degli immigrati in Spagna, cioè marocchini entrati illegalmente dalla co- sta meridionale. Ma sebbene gruppi abbastanza grandi abbiano scelto di ri- manere nell’Andalusia meridionale dopo esser entrati dalle coste spagnole – vicino al loro punto di ingresso – tanti si sistemavano più a nord, nelle città di Madrid e Barcellona (Colectivo IEO, 1994; B. López, 1993; P. Pu- mares, 1996).

Molti di questi immigrati erano maschi e del Marocco settentrionale, un’area meno sviluppata rispetto al centro o al sud. Essi possedevano anche pochi, se non nulli, titoli di studio (l’analfabetismo non era insolito tra le donne marocchine). Ma tanti uomini avevano delle capacità manuali con- crete, e questo capitale umano era, ed è tuttora, tanto richiesto in Spagna. Quindi, in generale, non era difficile per gli uomini trovare un lavoro, e tan- te delle loro mogli integravano il reddito familiare lavorando nei servizi domestici, normalmente pagato a ore.

Il gruppo dei marocchini fu rapido nel creare delle reti fondate sull’origine che facilitavano l’entrata legale o illegale. All’inizio degli anni novanta, era già chiaro che nuovi immigrati arrivavano forniti con le infor- mazioni su come altri marocchini potevano aiutarli durante le prime fasi di

le ricerche in anni recenti, i marocchini risultano costantemente fra i livelli più bassi nel sistema delle preferenze nazionali degli spagnoli3.

Il profilo degli immigrati dominicani è assai diverso. Il numero di mi- granti appartenenti a questo gruppo ha cominciato a crescere subito dopo l’aumento dell’immigrazione marocchina e per un considerevole periodo era prevalentemente femminile. Le donne domenicane tendevano a lavorare nei servizi domestici e, tutto considerato, non intendevano rimanere in Spa- gna. La loro intenzione era di guadagnare più soldi possibili per poi tornare nella Repubblica Dominicana e costruire una casa migliore o migliorare il loro livello di vita.

Diversamente dai marocchini, gli immigrati dominicani non si ribella- vano contro gli stereotipi concreti o preesistenti, per la semplice ragione che la cultura popolare spagnola era scarsamente informata sulla stessa esi- stenza della Repubblica Dominicana. Ma il colore della loro pelle li rende- va loro malgrado dei rappresentanti della cultura nera facendone un obietti- vo dei gruppi razzisti più radicali in Spagna, che, benché poco numerosi, erano molto aggressivi. Un risultato di tali pregiudizi fu la caccia alla gio- vane donna domenicana Lucrecia Pérez nel novembre 1992 alla periferia di Madrid, semplicemente perché donna nera immigrata. Questo omicidio eb- be un impatto gigantesco nei media e rese la comunità domenicana in Spa- gna particolarmente sensibile riguardo le percezioni di essere trattata in un modo diverso dagli altri.

I loro figli, l’oggetto di questo studio, crebbero in questo clima. Sebbene all’inizio le donne dominicane tendessero a lasciare a casa i figli per essere curati da parenti vicini, gradualmente cominciarono a portarli in Spagna quando decidevano di non fare più ritorno a casa.

In via generale, le qualifiche professionali degli immigrati dominicani non erano molto più elevate di quelle dei marocchini. Le loro reti sociali e di sostegno erano principalmente basate sull’amicizia e sull’aiuto emotivo scambiato in gruppi piccoli, benché ci siano alcune associazioni ufficiali che li hanno rappresentati e li rappresentano ancora oggi, ma queste non sono particolarmente attive. Tuttavia, essi acquisirono un profilo più eleva- to al momento dell’assassinio di Lucrecia Pérez, ricevendo un importante sostegno da parte di gruppi politici e umanitari nel condannare questo omi- cidio razzista.

Infine, gli immigrati di origine peruviana possono essere descritti come quelli che avevano il profilo pubblico più basso. I loro livelli socio-

3. I gitani ottengono più o meno la stessa valutazione dei marocchini, per quanto non siano una comunità immigrata nel senso in cui si intende per i secondi.

economici e culturali sono molto più alti di quelli degli altri due gruppi, con molte persone che avevano perso il loro lavoro nell’amministrazione peru- viana che ne accrescono la posizione (A. Tornos et al.; 1996).

C’è una marcata tendenza assimilazionista nei modelli di integrazione degli immigrati peruviani, basata particolarmente sui tentativi di partecipare alle reti di amicizia e di comunicazione che li collegano alla popolazione spagnola. Ciononostante, spesso essi venivano occupati in mansioni al di sotto del loro livello di qualificazione, fatto che ha condotto molti di loro ad essere intrappolati nel settore secondario del mercato del lavoro, come de- scritto da Piore (1979), in cui l’insicurezza del lavoro e i salari bassi ne hanno reso difficile la mobilità ascendente potenzialmente possibile per molti di loro.

La popolazione spagnola non ha stereotipi specifici sugli immigrati pe- ruviani e comunemente li identifica con il termine generico di “latino ame- ricani”. Per quanto fosse visibile un’origine razziale mista di indio- americano in tanti membri di questo gruppo, ciò non produceva un rifiuto nello spagnolo medio. In questo senso, potremmo dire che essi non hanno incontrato alcuni problemi concreti; anzi è probabilmente vero il contrario. Nell’ordine delle preferenze attribuite dagli spagnoli, i peruviani segnano un valore più alto rispetto gli altri gruppi di immigrati non-europei.