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Brevi considerazioni conclusive

8. La percezione di sé

Dalle considerazioni appena fatte emerge come la maggior parte dei ra- gazzi intervistati, per “riuscire nella vita”, attribuisce maggiore importanza alle capacità personali e alla buona volontà; c’è però un 24,8% che affida la buona riuscita nella vita a variabili sulle quali non è possibile esercitare al- cun controllo. Probabilmente ritengono che il caso e le circostanze esterne che influiscono sul loro destino siano eccessive e opprimenti rispetto alle loro capacità. Questo potrebbe portare loro ad una perdita di motivazione e ad una minore stima di se stessi. C’è infatti circa il 30% del campione in- tervistato che afferma che a volte gli sembra di non essere capace di fare niente. Anche l’aiuto ed il sostegno che derivano dai contesti sociali nei quali questi ragazzi vivono e spendono la loro quotidianità sono considerati importanti: dagli studi sull’autopercezione risulta che le persone che rice- vono un considerevole aiuto da parte dei genitori e un tempestivo incorag- giamento verso l’autostima crescono più stabili e sicure, capaci di adattarsi a nuovi ambienti e di cooperare con gli altri. È stato dimostrato, ad esem- pio, sia empiricamente sia teoricamente, che il supporto familiare e la quali- tà del rapporto con i genitori aiutano i ragazzi a raggiungere un sano e forte senso di sé, grazie al senso di sicurezza percepito (Liebkind, 1994, 1996; Phinney e Chavira, 1995, Wentzel e Feldman, 1996). I genitori aiutano quindi i loro figli a divenire individui autonomi e non semplici immagini

no riconosciuti così sia dai loro genitori sia dai loro insegnanti. Dai dati ri- sulta che più di un terzo del campione, rispettivamente il 35,2% dei maschi ed il 39,4% delle femmine afferma che i loro genitori li percepiscono più maturi e responsabili dei loro compagni di classe. Il 24,4% dei maschi ed il 24,1% delle femmine pensa di essere visto alla stessa maniera anche dai lo- ro insegnanti. Probabilmente il fatto che il 45,2% dei maschi e il 42,7% del- le femmine si senta più maturo e responsabile dei loro compagni di classe, potrebbe derivare dalla conoscenza della lingua italiana.

Gli studi dimostrano quanto sia limitativa e di ostacolo la mancanza di conoscenza della lingua ospitante. Dai nostri dati risulta infatti che la cono- scenza della lingua italiana va ad incidere positivamente sulla maturità e responsabilità percepita dalle seconde generazioni, anche se con differenze percentuali non elevate. Solo il 2,6% tra chi conosce la lingua italiana si ri- tiene meno maturo e responsabile rispetto ai compagni; la percentuale passa al 10,3% quando i ragazzi dichiarano di non conoscere la lingua del paese di accoglienza.

A causa di questa mancanza, i giovani dimostrano inoltre di non essere molto soddisfatti e contenti della qualità della propria vita (Ying, 1996). Ciò è ben documentato anche da Noels (1996) il quale indica che i giovani immigrati, che non hanno ancora imparato la lingua del posto, hanno mino- re stima di se stessi, minore locus of control26 e si sentono più stressati.

Dai nostri dati risulta che sono i cinesi quelli che si considerano più immaturi dei loro compagni di classe; quelli che si sentono di aver raggiun- to una maturità ed una responsabilità superiore ai loro coetanei sono invece gli studenti provenienti dall’Europa Orientale (60,5%) e dal Nord-Africa (51,8%); gli altri percepiscono una maturità ed una responsabilità più o meno uguale ai loro compagni.

La letteratura nel campo delle discipline sociali dimostra come anche il tempo di residenza nella società ospitante sia rilevante, in quanto più esso è corto, minore è la competenza linguistica e, di conseguenza, il livello di au- tostima e di locus of control dovrebbe essere meno elevato.

26. “ Il locus of control (LoC) è una variabile psicologica che indica il grado di perce- zione rispetto al controllo del proprio destino e gli eventi…rappresenta l’atteggiamento mentale con cui ci si sente di essere in grado di determinare le nostre azioni, e i relativi risul- tati, rispetto al controllo esercitati dal caso e dalle circostanze esterne”, definizione tratta dal volume D. Trevisani, Competitività aziendale, personale, organizzativa: strumenti di svi-

Tab. 11 – Maturità percepita e tempo di residenza nella società ospitante Tu pensi di essere: Schema di Rumbaut

Prescolare Primarie Secondarie Totale Più maturo e responsa-

bile dei tuoi compagni di classe

20,9% 46,6% 32,5% 100,0%

Ugualmente maturo e responsabile dei tuoi compagni di classe

31,6% 39,8% 28,6% 100,0%

Meno maturo e respon- sabile dei tuoi compa- gni di classe

28,6% 42,9% 28,6% 100,0%

Totale 28,8% 41,7% 29,5% 100,0%

Dai nostri dati risulta, invece, come già evidenziato in precedenza che quest’ultima variabile non è significativa ai fini dell’analisi: se si incrocia- no le risposte degli studenti nel momento un cui si chiede loro l’anno di ar- rivo in Italia con quelle relative alla domanda “Tu pensi di essere: più/ugualmente/meno maturo e responsabile dei tuoi compagni di classe”, emerge che circa la metà dei “meno maturi” ha avuto il primo momento di socializzazione durante la scuola primaria (47,6%), piuttosto che nella scuola secondaria (33,3%); solo il restante 19% potrebbe confermare le ipo- tesi elaborate a livello internazionale, qualora si considerasse il tempo di residenza nella società ospitante una variabile indipendente. Secondo le i- potesi, i “più maturi” dovrebbero risiedere da più tempo in Italia, mentre risulta che solo il 22,5% dei rispondenti è arrivato in età prescolare, mentre il 42,8% durante la scuola primaria ed il 34,7% durante la scuola secondaria.

Tutto questo per dimostrare che è difficile analizzare la maturità di una persona con l’utilizzo esaustivo di una sola variabile; essa dipende dal con- fronto di più variabili, in particolare se l’oggetto di studio sono ragazzi che stanno vivendo l’età critica dell’adolescenza.

caratteristiche. La giornata può essere considerata come un contenitore che va riempito con lo studio, il lavoro, le faccende di casa e lo svago.

Dalle risposte alla domanda “Cosa preferisci fare nel tempo libero?” ri- sulta che i ragazzi, al di là della loro provenienza, dedicano il loro tempo libero principalmente allo sport (38,8%), alle uscite con gli amici (27,5%), all’ascolto della musica (16,5%), alla comunicazione virtuale e ai giochi di simulazione del computer (12,7%).

Tab. 12 - Preferenza nel tempo libero e area di provenienza A- rea pro ve- nie nza

Preferenza nel tempo libero e area di provenienza in %

Sport Suonare cantare

Mu- sica

Ragaz-

zo/a Amici Leggere Pc - Playsta

tion Cinema Disco Asso- ciaz. Tot. Europa Occ. 34,6 3,9 15,0 13,4 29,9 0,0 3,1 ,0 0,0 0,0 100,0 Europa Balc. 40,0 2,0% 17,1 10,6 19,2 4,1 2,4 ,8 3,3 ,4 100,0 Europa Orient. 32,9 3,9 12,9 19,4 22,6 3,9 1,9 ,6 1,3 ,6 100,0 Nord Africa 55,4 1,8 19,6 8,9 10,7 0,0 1,8 ,0 1,8 ,0 100,0 Africa Subsah. 46,7 4,4 22,2 6,7 11,1 6,7 0,0 ,0 0,0 2,2 100,0 Asia 40,9 3,2 19,4 3,2 20,4 3,2 8,6 1, 1 0,0 ,0 100,0 Ameri- ca 34,3 4,6 15,7 13,0 18,5 3,7 4,6 ,0 5,6 ,0 100,0 Totale 38,6 3,3 16,5 11,8 20,5 3,1 3,3 ,5 2,1 ,4 100,0

Rispetto alla provenienza geografica, la maggioranza dei ragazzi, all’interno di ogni nazionalità, dedica il tempo libero allo sport. Le percen- tuali più alte si riscontrano tra i Nord-africani (55,4%) e quelli provenienti dall’Africa Subsahariana (46,7%); le stesse nazionalità sono anche le uni-

che che scelgono come opzione successiva l’ascolto della musica piuttosto che l’uscita con gli amici, come invece dichiarano tutti gli altri intervistati. I cinesi attribuiscono pari punteggio (la differenza è solo di un punto per- centuale) all’ascolto della musica (19,4%) e all’uscita con gli amici (20,4%).

Ma chi sono questi amici? Il 42,8% frequenta compagni italiani, il 40,2% sia italiani sia del loro paese d’origine, e poi c’è un 13,9% che co- struisce la rete amicale con i compagni del proprio paese. Di questi ultimi la maggior parte sono cinesi, infatti circa 1/3 degli intervistati di origine a- siatica trascorre il proprio tempo libero con i propri connazionali che con- dividono le loro esperienze sul territorio italiano e che li fanno sentire più vicini ai coetanei in patria. Tuttavia, il fatto che i ragazzi cinesi non fre- quentano ragazzi italiani non dipende dal tempo di residenza in Italia o dal momento in cui è avvenuta la prima socializzazione: dai nostri dati risulta infatti che più della metà dei cinesi intervistati (58,1%) ha avuto la prima socializzazione in Italia durante le scuole primarie, di conseguenza non hanno elevate difficoltà linguistiche e di comunicazione ed hanno già fami- liarizzato con la cultura del paese ospitante. Probabilmente è l’unico gruppo che riporta l’esistenza di un certo disinteresse nei confronti delle relazioni con i coetanei italiani e la loro cultura. Gli altri 2/3, una volta svolti i com- piti scolastici, trascorrono il loro tempo rimasto aiutando a casa o al nego- zio di famiglia oppure ascoltando musica (19,4%) o giocando col computer (8,6%). Internet, in particolare ha modificato le abitudini e gli stili di vita degli adolescenti che va ad incidere soprattutto sull’aspetto relaziona- le/affettivo, ridotto al virtuale generando profonde esperienze di solitudine e di “povertà” affettiva e disagio nel momento dell’incontro vis a vis.

La conoscenza della lingua ed il momento in cui è avvenuta la prima so- cializzazione non sono variabili determinanti nella costruzione della rete amicale neanche per i Nord-africani. Di loro infatti solo il 27,3% è arrivato in Italia durante la scuola secondaria e quindi valgono le stesse considera- zioni fatte per i cinesi: i risultati non corroborano quindi l’ipotesi secondo cui coloro che risiedono in Italia da minor tempo hanno una rete amicale più debole e non solo rispetto ai compagni figli di coppie miste, o nati in

di vivere il tempo libero degli studenti subsahariani: la maggior parte è ar- rivata in Italia negli ultimi anni (47,6%), non è ancora strettamente legata al contesto di origine e si trova a dover ridurre l’autonomia che aveva acquisi- to da poco nel Paese d’origine, sentendosi spesso inizialmente disorientata; deve ancora acquisire gli strumenti linguistici e assimilare valori del nostro Paese per superare quella fase di regressione che la porta a vivere spazi fi- sici e sociali di dimensioni ridotte, che coincidono inizialmente, con l’ambiente familiare. Solo l’11,1% dei subsahariani, infatti, passa il tempo libero con gli amici; essi hanno ancora una rete amicale ristretta, forse dipe- so appunto dal poco tempo che hanno avuto per inserirsi nel contesto socia- le ricevente e per trasformare le abitudini acquisite nei paesi di provenien- za. Potrebbero non sentirsi pienamente accettati dai loro compagni autocto- ni, per questo potrebbero avvertire sentimenti di solitudine, dolore e consa- pevolezza della realtà dell’immigrato, che vorrebbe cancellare il suo passa- to e quello di tutti gli immigrati che soffrono come lui l’emarginazione in una società che non accoglie la diversità come ricchezza, ma la reprime.

Sono quelli che dedicano più tempo alla lettura (6,7%) e infatti la mag- gioranza (66,7%) afferma di essere tra i migliori della classe; nessuno dice di giocare con il computer o con la playstation, non vanno al cinema e nemmeno in discoteca, ma sono coloro che più degli altri (2,2%) affermano di frequentare associazioni. Hanno bisogno di un luogo sociale in cui pos- sono aggregarsi, valorizzare la loro identità, i loro interessi e le loro compe- tenze, confrontarsi con le diversità, praticare i loro valori o semplicemente giocare o trascorrere il proprio tempo libero in modo strutturato.

Forse questa scelta potrebbe derivare non solo da motivazioni personali e consapevoli ma anche dalla protezione dei genitori nei confronti di ciò che non si conosce e non si capisce profondamente, per via di una cultura diversa.

Le seconde generazioni finora osservate, quali i Cinesi, i Nord-africani e i Sub-sahariani hanno un altro aspetto in comune: non solo hanno una rete amicale piuttosto debole, ma sono anche quelle meno interessate ad un ap- proccio con la sessualità, quella tipica di quella fascia d’età.

Focalizzando invece l’attenzione sugli studenti di origine Europea, i dati di ogni raggruppamento geografico rafforzano i risultati globali tali per cui vanno sul podio lo sport, l’uscita con gli amici, l’ascolto della musica, a se- guire l’uscita con il ragazzo/a. Solo gli studenti provenienti dall’Europa O- rientale invertono il terzo posto con il quarto posto in classifica dando la priorità all’uscita con il ragazzo/a (19,4%) piuttosto che all’ascolto della musica (12,9%).

Conclusioni

Ricongiungimenti familiari, nascita dei figli, scolarizzazione incremen- tano i rapporti tra gli immigrati e le istituzioni della società ricevente. La nascita e la scolarizzazione dei figli dei migranti, anche indipendentemente dalla volontà dei soggetti coinvolti, producono uno sviluppo delle intera- zioni, degli scambi, a volte dei conflitti tra popolazioni immigrate e società ospitante, obbligando a prendere coscienza di una trasformazione irreversi- bile avvenuta nella geografia umana e sociale nel nostro Paese. In questo contesto la scuola ha un ruolo determinante per le seconde generazioni.

La scuola è infatti un luogo di socializzazione importante per i giovani immigrati, un luogo per conoscersi e per apprendere di sé; un disagio vissu- to nella scuola riflette anche un’incapacità di inserirsi pienamente in essa, di adattarsi al sistema e di rispondere alle sue aspettative.

La scuola è uguale per tutti e deve rimanere tale anche se misurata ri- spetto alle opportunità di integrazione, in modo tale che gli svantaggi socia- li quando esistono non diventino anche scolastici.

Nella società attuale le seconde generazioni chiedono alla scuola non so- lo la trasmissione dei saperi e dei comportamenti, ma anche un migliora- mento della situazione sociale e lavorativa propria e della loro famiglia. In che misura e fino a che punto la scuola sia in grado di produrre trasforma- zioni sociali è difficile da definire, e anche se l’integrazione scolastica si può dire che esiste, quella sociale è tutt’altro che scontata.

La scuola deve continuamente convincere con le parole e con i fatti le famiglie italiane che avere uno straniero per compagno di banco non solo non produce svantaggi ma può favorire crescita culturale, apertura al vasto mondo, plurilinguismo, modernità; deve insegnare ai ragazzi come si fa a superare i pregiudizi, a vivere insieme e a collaborare, a contare gli uni su- gli altri, a riconoscersi uguali anche se per certi aspetti si è diversi.

Chiediamo loro di raccontarsi, ma raccontare se stessi non è mai sempli- ce, in particolare raccontare di sé in giovane età, della propria esperienza migratoria e di quella scolastica, quando ancora l’incertezza della propria identità e del futuro impedisce di guardare avanti con chiarezza.