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5.3 L’intelligenza collettiva

Ormai da diversi anni, grazie alla diffusione capillare delle ICT, stiamo assistendo a una serie di fenomeni che ci portano a riflettere sul ruolo che gli individui hanno anche all’interno dei processi d’innovazione. L’open design e la maker culture, ad esempio, sono espressione dell’idea di condivisione di conoscenze e strumenti che possono essere costantemente aggiornate e migliorate da chiunque, con l’obiettivo di fornire un beneficio utile all’intera rete sociale.

5  Il  modello  freemium,  che  ha  trovato  il  suo  successo  nel  contesto  digitale  ed  è  diventato  molto  popolare tra le aziende del Web, consiste nell’offrire gratuitamente una versione di base del prodotto, e  nel proporre a pagamento funzionalità aggiuntive proprietarie, oppure una versione premium del prodotto  contenente funzionalità aggiuntive non presenti nella versione base. Disponibile a https://it.wikipedia. org/wiki/Freemium. Consultato 08/15.

Castells osserva che la rete sociale è l’ambiente in cui si condividono dati e da cui si ottengono informazioni. Egli afferma:

“Gli esseri umani creano significato interagendo con il proprio ambiente sociale e naturale creando network tra le reti neurali, naturali e sociali, quest’attività di network è operata dall’atto della comunicazione, che rappresenta il processo di condivisione di significato tramite lo scambio d’informazione. Per la società in generale, la fonte primaria della produzione sociale di significato è il processo della comunicazione socializzata. La continua trasformazione delle tecnologie di comunicazione nell’era digitale estende la portata dei media a tutti gli ambiti della vita sociale in un network che al contempo è globale e locale, generico e personalizzato, secondo uno schema in continuo mutamento. In questi ultimi anni il maggior cambiamento nel mondo della comunicazione è stato la nascita dell’autocomunicazione di massa, cioè l’uso di Internet e delle reti senza fili come piattaforme di comunicazione digitale. Si tratta di comunicazione di massa perché elabora i messaggi da molti verso molti, con il potenziale di raggiungere una molteplicità di destinatari e di collegarsi a un’infinità di reti che trasmettono informazioni digitalizzate. è autocomunicazione perché la produzione del messaggio è decisa in autonomia dal mittente, la designazione del destinatario è autodiretta e il recupero dei messaggi dalle reti di comunicazione è deciso in proprio. L’autocomunicazione di massa si basa su reti orizzontali di comunicazione interattiva che, per la gran parte, sono difficili da controllare da parte delle autorità e delle corporation” (Castells, 2012, pp. 19-20).

Pierre Lévy (2002) attribuisce grande importanza a quella che viene definita intelligenza collettiva ed è colui che ha introdotto tale concetto nel dibattito sull’interpretazione dei media digitali. Nel suo libro “L’intelligence collective: Pour une anthropologie du cyberspace”6, egli afferma che l’intelligenza collettiva è un’intelligenza distribuita ovunque, valorizzata incessantemente, coordinata in tempo reale, che arriva a una mobilitazione efficace delle competenze. Partendo dall’idea che l’intelligenza sia distribuita dovunque ci sono individui, la stessa, può essere valorizzata al massimo mediante nuovi mezzi, soprattutto creando sinergie. Di fronte all’esplosione delle possibili collaborazioni tra gli individui, collegati costantemente tra loro e con la rete e dotati di strumenti che li abilitano a raccogliere informazioni di varia natura, la dimensione collettiva dell’intelligenza rappresenta un tema d’indagine sul quale riflettere, per chi si occupa di progetto; soprattutto in merito alle tematiche che coinvolgono tutta la comunità.

Nel quadro dell’intelligenza collettiva, come afferma Di Biase:

“le persone mantengono la propria diversità: sono soggetti che si coordinano in base 6  Riportiamo in bibliografia la versione del 2002, tradotta in italiano, sebbene il testo e gran parte dei  concetti in esso contenuti risalgano al 1994.

a un pensiero comune emergente dalle loro interazioni abilitate da nuovi strumenti di comunicazione digitali che estendono le loro capacità cerebrali e, con le loro strutture tecnologiche, influiscono sulle agende, gli interessi, i comportamenti, senza poterli mai omogeneizzare ma inserendo incentivi all’emergere di una forma di collaborazione o, appunto, coordinamento”7.

La ricerca sull’intelligenza collettiva sembra trovare spazio proprio là dove si indaga sulla forma, sulla struttura e sul sistema dei mezzi attraverso i quali le persone vengono abilitate a prendere parte a un dialogo e, tramite la loro collaborazione, ottenere dei risultati.

Il tema della smart city, ad esempio, sembra essere ideale per il concetto dell’intelligenza collettiva. Si tratta di un ambito d’indagine estremamente vasto, dove le dinamiche in gioco sono molteplici, tuttavia, quando si procede alla scomposizione di problemi complessi, ci rendiamo conto che anche le singole parti ‒ in questo caso l’abitante della città, che prima di tutto è parte di un proprio ecosistema di elementi, che possiamo ricondurre alla dimensione domestica e personale ‒ diventano elementi fondamentale.

Se immaginiamo la città come una rete integrata che connette gli individui e i loro ecosistemi e ne valorizza l’attività individuale, possiamo parlare di città intelligente. Di Biase (2012) ritiene che, per far si che ciò avvenga, sono necessarie alcune condizioni: ogni elemento generatore di connessioni dovrebbe poter essere interconnesso in modo efficiente e neutrale; ogni elemento generatore di dati dovrebbe poter offrire i propri dati all’insieme dei cittadini in modo aperto; la libertà degli individui dovrebbe poter essere difesa dall’invadenza del controllo collettivo; ogni individuo dovrebbe poter essere capace, se lo desidera, di contribuire con il proprio servizio e contenuto; i dati mancanti dovrebbero poter essere generati da sensori innovativi che conferiscono poi i dati all’insieme.

Dal concetto di intelligenza collettiva si è mosso Derrick de Kerckhove per arrivare alla sua teoria dell’ “intelligenza connettiva” che, come suggerisce il termine stesso, sottolinea l’importanza della connessione, del collegamento, della messa in relazione delle intelligenze e ne sottolinea il ‘rapporto’ che esse intrattengono. L’intelligenza connettiva fa maggior riferimento alla ‘moltiplicazione’ delle intelligenze, favorita appunto dalla connessione, piuttosto che alla loro somma. I dispositivi tecnologici divengono, quindi, i luoghi in cui il pensiero viene condiviso e elaborato da persone che possono incontrarsi quando vogliono e indipendentemente dal posto in cui si trovano, per dare il proprio contributo ad un processo di pensiero comune (De Kerckhove, 1997). Così come il pensiero anche i dati possono essere meglio interpretati, condivisi, confrontati e usati allo scopo di offrire un beneficio alla collettività.

Se il pensiero collettivo emergente dall’insieme di persone e macchine è una 7  L’estratto è relativo al paper “Intelligenza collettiva” pubblicato sul blog di Luca di Biase. Disponibile  a http://blog.debiase.com/paper/intelligenza-collettiva/. Consultato 04/15.

dimensione dell’intelligenza, si può disegnare in modo da migliorare l’efficienza delle scelte umane più di quanto possano le gerarchie o le azioni individuali e può essere reso a sua volta più efficace? La sfida è proprio quella di vedere se gli esseri umani dotati di strumenti per migliorare la qualità della loro capacità di ‘pensare insieme’ e, mettendo a disposizione di altri la propria esperienza, possano affrontare questi problemi in modo più efficiente ed efficace (Di Biase, 2014). Viviamo in un mondo interconnesso, oggi la rete consente agli individui di accedere, in maniera democratica e diffusa, a un numero di informazioni illimitato, Weinberg afferma che:

“la conoscenza sta assorbendo la proprietà della rete crescendo senza limiti di dimensioni. La conoscenza messa in rete è meno certa ma più umana, meno definita, ma più trasparente, meno affidabile, ma più inclusiva. […] una rete di conoscenza genera una conoscenza più grande della conoscenza di ciascuna persona connessa” (2014, p. 55).

È possibile affermare che le capacità collaborative e la tecnologia possono ridefinire i modelli sociali?

Coinvolgimento, condivisione e confronto

Come abbiamo visto attraverso i casi studio proposti nel paragrafo 4.6.2 “Quantificare gli abitanti”, molti sistemi vengono sviluppati allo scopo di rendere le persone più consapevoli di loro stesse, mediante la presentazione di informazioni relative al proprio stato fisico o alle proprie abitudini, sia quelle alimentari che quelle sull’attività fisica o quelle legate all’assunzione di farmaci. In molti casi, la presentazione di tali informazioni è orientata a stimolare una riflessione della persona ed, eventualmente, a favorire, laddove sia necessario, un piccolo cambiamento nei comportamenti.

Il coinvolgimento della persona, spesso, può essere determinato dal tipo di servizio che le viene offerto, così l’instaurarsi di un legame fortemente ‘personale/ personalizzato’ tra utilizzatore e provider potrebbe favorirlo. Nel caso del sistema “Hapi fork”, ad esempio, il servizio, se attivato, offre l’opportunità di essere supportati, in maniera diretta, da un coach nutrizionale. Il coach, attraverso i dati rilevati automaticamente e quelli inseriti manualmente dalla persona, segue le sue abitudini e le preferenze, offre commenti e suggerimenti personalizzati su come migliorarsi e incoraggia verso il raggiungimento degli obiettivi stabiliti. In maniera analoga, anche il sistema “Nike+” incoraggia le persone alla pratica dell’allenamento fisico, tramite l’instaurarsi di un legame fortemente ‘personale/personalizzato’ tra utilizzatore e provider. Il servizio esorta all’esercizio, concedendo trofei e altri premi di gratificazione (ad esempio, messaggi preregistrati da atleti professionisti), al raggiungimento di specifici obiettivi. La comunicazione del provider nei confronti dell’utilizzatore, anche se automatizzata, è simile a quella che si instaura tra esseri

umani e fortemente legata all’individualità della singola persona.

Dal punto di vista del coinvolgimento, in linea con quanto espresso nel paragrafo precedente, anche l’apertura verso l’esterno e il confronto con gli altri è un ottimo elemento motivazionale durante la fase d’uso di artefatti e sistemi che sfruttano le tecnologie della connettività. La società di software Opower, ad esempio, analizza i dati provenienti da contatori di energia intelligenti per offrire ai propri clienti dei suggerimenti su come salvare risorse e denaro, mediante il confronto con il vicinato. In tali applicazioni, le norme sociali hanno il potenziale per motivare le tendono a imparare dai loro vicini e amici e a ricevere incoraggiamento e sostegno. Quello proposto è solo uno dei tanti esempi che dimostrano come nell’attuale società, nella quale si sente spesso parlare di sharing economy8, ossia, economia della condivisione, le relazioni con gli altri individui assumono sempre maggiore importanza e, come la collettività, talvolta, si ponga a supportare l’individuo, promuovendo un’idea di intelligenza globale. Per definire meglio il concetto di intelligenza globale possiamo fare riferimento a quella che caratterizza il comportamento di certi gruppi di esseri viventi: gli sciami d’api, gli stormi di uccelli o i banchi di pesci. Nel loro caso l’interazione collettiva definisce il comportamento e la direzione di movimento; Norman (2008), pensando alla mobilità del futuro, ipotizza l’applicazione del concetto di swarm intelligence ai mezzi di trasporto, presupponendo un elevato livello di automazione dei sitemi coinvolti.

Il concetto di swarm è alla base anche del lavoro del laboratorio SWARM - Beyond the Internet of Things Lab - di Telecom Italia. Si tratta di un Joint Open Lab che ha l’obiettivo di creare sinergie tra ricerca accademica e innovazione industriale nel campo dei sistemi distribuiti per l’IoT. Il laboratorio è coinvolto in diversi progetti di ricerca in ambito ICT e concentra gli studi su come applicare tecnologie distribuite e pervasive, attraverso i paradigmi di collaborazione e cooperazione; dove gli oggetti o le persone, mediante dispositivi, interagiscono tra di loro in sistemi complessi, che possono far ‘emergere’ comportamenti collettivi come avviene per gli sciami o gli stormi. A questo proposito, un esempio molto interessante è 8  In un recente articolo apparso su Fast Co.Exist (uno dei siti Web del gruppo editoriale Fast Compani,  magazine internazionale che si occupa di innovazione tecnologica, di “ethonomics”, ossia, economia  etica,  leadership  e  design),  Rachel  Botsman  tenta  di  fare  chiarezza  sul  significato  dell’espressione  “sharing economy”, o economia della condivisione. Botsman ritiene che negli ultimi anni l’espressione  si sia diffusa a gran velocità, ma che, in molti casi venga utilizzata in maniera inappropriata. Spesso,  ad esempio, viene usata per descrivere una vasta gamma di startup e modelli che, in qualche modo,  sfruttano le tecnologie digitali per far convergere direttamente i fornitori di servizi e di prodotti con i clienti,  bypassando i tradizionali intermediari. Le espressioni “sharing economy”, “peer economy”, “collaborative  economy”, “on-demand economy”, “collaborative consumption” vengono frequentemente utilizzate come  sinonimi, anche se vogliono dire cose molto diverse, così come accade per quelle idee o quei concetti  che  si  diffondono  ‘di  mano  in  mano’;  ne  sono  un  esempio  anche  “crowdfunding”,  “crowdsourcing”  e  “co-creazione”.  Botsman,  quindi,  definisce  la  sharing  economy  come  un  sistema  economico  basato  sulla condivisione di beni o servizi sottoutilizzati, gratuitamente o a pagamento, direttamente da parte  di privati. L’articolo, che si intitola “Defining The Sharing Economy: What Is Collaborative Consumption  - And  What  Isn’t?”  è  disponibile  a  http://www.fastcoexist.com/3046119/defining-the-sharing-economy- what-is-collaborative-consumption-and-what-isnt. Consultato 08/15.

“Beyond One’s Bandwidth (B.O.B)”, concept di un servizio che ha come obiettivo quello di recuperare la parte di banda non utilizzata di una connessione broadband (uplink e downlink), per prestarla a un altro cliente broadband, che si trova nelle vicinanze e offrire, così, un accesso a Internet più veloce quando serve (ad esempio, durante un upload di numerose foto su una connessione ADSL). L’idea è quella di sfruttare le reti Wi-Fi degli Access Gateway (i modem router presenti nelle case) per abilitare la condivisione delle risorse di rete inutilizzate tra un insieme di modem in prossimità e ottimizzarne l’utilizzo.

||| FIG.5.9 Esempio di bolletta che utilizza il servio di Opower. Il confronto con i consumi dei vicini è  semplice e immediato e può essere un incentivo a riflettere sui propri comportamenti.

Come nel caso di Opower, citato precedentemente, anche il lavoro proposto da Karlgren et al. (2008) è focalizzato sulla sensibilizzazione delle persone verso il consumo responsabile delle risorse, in relazione ai comportamenti delle altre persone e descrive come certi oggetti, in questo caso gli elettrodomestici, potrebbero essere potenziati per favorirlo. Gli autori ritengono che la riduzione del consumo di energia elettrica sia una sfida da fronteggiare attraverso la progettazione di interfacce che consentano alle persone di controllare, in maniera migliore, i loro apparecchi e che li informino delle loro azioni. Essi hanno sviluppato un prototipo di bollitore dotato di un'interfaccia socialmente consapevole, che sfrutta la sua base rotante per informare indirettamente (tramite feedback luminosi) gli utilizzatori sulle condizioni del carico di energia elettrica relativa ai sistemi di un certo numero di famiglie interconnesse, allo scopo di favorirne il bilanciamento. Qualora la rete, in quel momento, fosse particolarmente sovraccarica, il bollitore, invita gentilmente a posticipare il suo utilizzo.

Riferimenti bibliografici

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Capitolo 6