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Interazione con i sistemi digital

L’obiettivo di questo capitolo è quello di studiare i fenomeni relativi al rapporto tra l’uomo e le tecnologie digitali, soprattutto in riferimento al paradigma dell’informatica ubiqua e pervasiva e alla connettività. L’idea è quella di evidenziare quegli aspetti dell’interazione uomo-computer funzionali all’inquadramento dei temi che approfondiremo successivamente, ossia artefatti e sistemi intelligenti e connessi che popolano l’Internet of Things. Affrontiamo questi temi secondo tre prospettive: quella dell’interazione uomo-macchina, quella del design dell’interazione e quella relativa al concetto di ‘mediazione’ tecnologica di derivazione filosofica, allo scopo di cogliere i tratti che interessano l’ambito del progetto.

2.1 L’interazione tra l’uomo e le tecnologie digitali

“L’interattività, intesa come processo conoscitivo, è alla base di qualsiasi esperienza umana. L’individuo nel corso della sua vita spande e riduce le sue capacità di esperire la realtà e mettersi in relazione con il mondo attraverso l’affinamento o estensione di abilità corporee e mentali. Gli strumenti d’uso e in generale tutti i progressi della tecnologia sono esempi di estensione fisica, mentre le teorie scientifiche e le speculazioni teoretiche sono esempi di estensioni mentali. Quindi è fuori dubbio che nel linguaggio corrente ‘tutto è interazione’ e che l’interazione sia sempre esistita nella fruizione di un’opera d’arte, nell’esperienza prossima, nell’uso degli oggetti e nella comunicazione quotidiana” (Mancini, 2010, p.28). L'interazione può essere intesa come un modo per interpretare il rapporto che si instaura tra le persone e ciò che le circonda. Secondo una visione orientata al design questo assunto contribuisce, in un certo senso, a definire una cornice per l'attività progettuale. Ogni oggetto o sistema progettato offre alla persona la possibilità di interazione, quindi tutte le attività di progettazione possono essere considerate come finalizzate all’interazione.

In accordo con Mancini (2010), nei paragrafi a seguire, facciamo riferimento all’interattività intendendola come interazione tecnologicamente mediata che scaturisce dall’applicazione di dispositivi tecnologici digitali che hanno la capacità di: sentire attraverso dei sensori; attivarsi tramite degli attuatori; mostrare un contenuto su un display o con una proiezione; memorizzare i dati delle scelte operate dagli utenti; adattarsi alle mutevoli e imprevedibili situazioni esterne attraverso una consistente capacità di calcolo e un software opportunamente approntato; connettersi in maniera remota ai network informatici per poter dialogare con altri dispositivi o con Internet; scomparire o mimetizzarsi in virtù della loro incessante

miniaturizzazione.

2.2 La visione orientata alla HCI (interazione uomo-macchina)

A partire dai primi anni ’80, man mano che l’uso dei computer è diventato sempre più diffuso, un numero maggiore di ricercatori si è specializzato nello studio dell’interazione tra persone e computer, occupandosi di aspetti fisici, psicologici e teorici. Tale area di ricerca, emersa come ramo specialistico della computer science e caratterizzato dalle conoscenze della scienza cognitiva e della human factors engineering, viene definita human-computer interaction (HCI) o ‘interazione uomo-macchina’.

La HCI viene considerata una materia interdisciplinare e coinvolge il progetto, l’implementazione e la valutazione dei sistemi interattivi nel contesto del compito e del lavoro dell’utente (Dix et al., 2004). I settori disciplinari ai quali la HCI attinge sono la psicologia e la scienza cognitiva per conoscere le capacità concettuali, cognitive e di risoluzione dei problemi degli utenti; l’ergonomia per conoscere le capacità fisiche degli utenti; l’informatica e l’ingegneria per poter creare la tecnologia necessaria; il design grafico per fornire una presentazione efficace dell’interfaccia; e anche se in misura minore, la sociologia per comprendere meglio il contesto più vasto dell’interazione.

Nella sua definizione di HCI, Dix parla di una materia che si occupa di sistemi interattivi. Senza particolari riferimenti ad ambiti specifici, si dice interattivo di qualcuno o qualcosa “che è reciprocamente attivo, di due o più elementi che esercitano reciproca attività l’uno sull’altro”1. La norma UNI EN ISO 9241-210:20102 riporta che un sistema interattivo corrisponde a una combinazione di hardware, software e/o servizi che ricevono input da, e comunicano output a, utenti; senza, però, specificare in quale modo avviene lo scambio. Usman Haque, architetto e artista che lavora nell’ambito dell’interazione coi sitemi digitali, ha affrontato in maniera approfondita il concetto di interattività, allo scopo di attribuire un giusto fondamento alle sue installazioni e al suo lavoro in genere. Haque parte dal lavoro dello psicologo e studioso di cibernetica Gordon Pask, per il quale l’interattività assume una connotazione molto precisa che riguarda il grado di adattabilità reciproca di due sistemi cognitivi dialoganti. Haque (2006) spiega che nei suoi fondamenti, l’interattività ha a che vedere con le transazioni di informazioni tra due sistemi (per esempio tra due persone, tra due macchine, o tra una persona e una macchina). L’elemento chiave tuttavia risiede nel fatto che queste transazioni 1   ‘Interattivo’ secondo il vocabolario Treccani on line. Disponibile a http://www.treccani.it/vocabolario/ interattivo/. Consultato 06/15.

2   La norma UNI EN ISO 9241-210:2010 “Ergonomics of human-system interaction. Part 210: Human- centred  design  for  interactive  system”  fornisce  una  guida  per  le  attività  di  progettazione  orientata  all’utente durante il ciclo di vita dei sistemi interattivi informatizzati. Essa è mirata alla gestione di quei  processi di progettazione e fornisce una guida alle fonti di informazione e alle norme attinenti l’approccio  orientato all utente.

dovrebbero essere in qualche maniera circolari altrimenti si deve parlare di mera reazione. Haque, quindi, esclusi quei casi per i quali è più consono parlare di reazione, distingue fra due tipi di sistemi interattivi, quelli attraverso i quali si instaura una ‘single-loop interaction’ e quelli attraverso i quali se ne instaura una di tipo ‘multiple loop’. Nel primo caso avviene un’interazione intesa come trasmissione bidirezionale di istruzioni tra due entità, ad esempio: io, essere umano che imposto una temperatura sul mio termostato di casa e il mio termostato di casa, che mi restituisce la temperatura precedentemente impostata. I criteri di input e output sono definiti dal progettista del sistema e ognuna delle parti opera all'interno di un set di confini predeterminati. Nel secondo caso, invece, tra le due entità si instaura una ‘conversazione’ nella quale i cicli di domanda e risposta avvengono in maniera aperta e ognuna, mentre interagisce, dimostra l’abilità di avere accesso e poter modificare gli obiettivi dell’altra. Nell'ambito delle relazioni uomo-macchina ciò si basa sulla creatività della persona e della macchina e sulla loro abilità di negoziare attraverso un’interfaccia, per definire un’interazione collaborativa più coinvolgente. Sulla base dell’esempio del termostato, Haque sostiene che un'implementazione veramente interattiva consentirebbe alla persona, se questa lo desidera, di aggiungere input al sistema di regolazione della temperatura. Gli input potrebbero variare da: ‘il consumo di energia nel corso dell'ultimo mese’ a ‘la temperatura esterna di questo giorno, un anno fa’ a ‘il colore dei vestiti che indosso oggi’. La macchina dovrebbe elaborare le proprie considerazioni per ciascuno di questi input per fornire un output soddisfacente, sempre in accordo con i criteri determinati dinamicamente con la persona. I criteri di output potrebbero includere ‘aumentare il comfort termico’, ‘tenere basse le bollette’, ‘tenere basse le bollette del mio vicino’, ‘massimizzare il numero di amici che mi vengono a trovare’. In ogni caso, sia i criteri di input che di output sono costruiti in modo dinamico.

Appare chiaro che con la maggior parte dei sistemi interattivi che caratterizzano la nostra quotidianità instauriamo ancora interazioni di tipo single-loop, tuttavia il modo di pensare ai sistemi interattivi di Haque, ci porta ad assumere una visione dell’interazione uomo-macchina più dinamica. Parallelamente all’incremento dell’intelligenza della macchina, infatti, egli vede il coinvolgimento più attivo della persona, che dovrebbe essere messa in condizione di costruire la propria interazione e determinare i criteri di input/output, al fine di essere produttivamente impegnata in una conversazione con il proprio contesto ambientale.

Nell’ambito della HCI, il progetto, l’implementazione e la valutazione di sistemi interattivi, presuppone che il focus centrale dell’attenzione sia posto sul concetto di usabilità, originariamente espresso nello slogan “facile da imparare, facile da usare”. La semplificazione del concetto in un’espressione così immediata ha permesso alla disciplina, soprattutto nella sua fase evolutiva iniziale, di rimarcare la propria identità e il proprio impegno orientato all’utente e così influenzare la computer science e lo sviluppo tecnologico in maniera più ampia ed efficace. Facendo nuovamente riferimento alla norma UNI EN ISO 9241-210:2010, il

concetto di usability indica “fino a che punto un sistema, prodotto o servizio può essere utilizzato dagli utenti specifici per raggiungere obiettivi specifici con efficacia, efficienza e soddisfazione in uno specifico contesto d’uso”. Nella definizione, quindi, viene sottolineata la centralità dell’efficacia (l’accuratezza e completezza con la quale gli utenti raggiungono determinati obiettivi), dell’efficienza (le risorse spese in relazione all’accuratezza e alla completezza con cui gli utenti raggiungono gli obiettivi) e della soddisfazione (la libertà dal disagio e gli atteggiamenti positivi) derivanti dall’uso di un sistema, prodotto o servizio. Nel corso degli anni, nel campo dell’interazione uomo-macchina, il concetto di usabilità è stato articolato e ridefinito in maniera costante, acquisendo via via nuovi significati. Carroll (2014) afferma che l’usabilità possa, ormai, essere ricondotta ad alcune qualità come il divertimento, il benessere, l’efficacia collettiva, la tensione estetica, la maggiore creatività, il flusso, il supporto per lo sviluppo umano, ecc. Una visione più dinamica di usabilità, quindi, è quella di un obiettivo programmatico che dovrebbe e continuerà a svilupparsi, così come la nostra capacità di protenderci ulteriormente in avanti, verso il miglioramento. La definizione di usabilità di Carroll, meno circoscritta e più aperta al concetto di esperienza, rispecchia l’espansione della disciplina stessa, che egli identifica come una “community of communities”, e delle tematiche che affronta.

L’espressione interazione uomo-macchina, ci rimanda chiaramente alle parti coinvolte in questo processo di scambio. Con il termine utente non si fa riferimento soltanto a un singolo utente, bensì ci si può riferire a un gruppo di utenti che lavorano insieme, ad esempio a una sequenza di utenti di un’organizzazione, ciascuno dei quali si occupa di un processo o di un compito, o, in generale, a chiunque tenti di eseguire un lavoro usando la tecnologia. Parallelamente con il termine macchina s’intende la tecnologia che va dal computer da scrivania a un sistema di elaborazione dati su larga scala, a un sistema di controllo del processo, a un sistema embedded3 o a una rete di sensori. Infine, per interazione si fa riferimento a qualunque tipo di scambio tra utente e computer, volto al raggiungimento di un’obiettivo.

Dix et al. (2004) distinguono tra due principali tipi d’interazione, quella diretta e quella indiretta. Nel primo caso il dialogo con il dispositivo d’input è ricorrente, la persona da costantemente istruzioni e riceve feedback. L’interazione indiretta, invece, può comportare un’elaborazione di tipo batch, ossia raggruppata, in cui l’utente fornisce inizialmente gran parte delle informazioni al computer e lascia che questo esegua il compito autonomamente. La distinzione tra le due tipologie 3   Il termine embedded, in italiano vuol dire incorporato. Il costo sempre più basso di certi componenti  fa si che aggiungere un piccolo computer, sia ormai il modo più economico e semplice per implementare  le funzionalità di oggetti di vario tipo, come ad esempio temporizzare un ciclo di funzionamento dello  spazzolino  da  denti  elettrico.  Molti  oggetti,  così,  possano  essere  dotati  di  capacità  computazionale  e,  talvolta,  connettività.  I  dispositivi  embedded  sono  concepiti  per  svolgere  uno  specifico  ‘lavoro’;  il  telefono cellulare, ad esempio, è storicamente considerato un dispositivo embedded, in quanto votato  esclusivamente  a  effettuale  e  ricevere  chiamate.  Gli  attuali  smartphone,  invece,  sono  dei  computer  ‘general-purpose’, in quanto ci sono molti modi di estendere le loro funzionalità attraverso le app.

ci permette di introdurre, inoltre, il concetto di ‘paradigma d’interazione’, una filosofia o un modo particolare di pensare il design dell’interazione uomo-computer a seconda di certe peculiarità del computer stesso, come vedremo più avanti.

2.3 Paradigmi dell’interazione, l’informatica ubiqua e pervasiva

Il termine paradigma viene utilizzato “per indicare quel complesso di regole metodologiche, modelli esplicativi, criteri di soluzione di problemi che caratterizza una comunità di scienziati in una fase determinata dell’evoluzione storica della loro disciplina: a mutamenti di paradigma sarebbero in tal senso riconducibili le cosiddette ‘rivoluzioni scientifiche’”4. Nell’ambito dell’informatica, a partire dagli anni ’40 e ’50, diversi paradigmi dell’interazione si sono susseguiti, quali, ad esempio, la metafora, la manipolazione diretta, il lavoro cooperativo supportato dal computer e il World Wide Web; alcuni di questi sono strettamente correlati gli uni agli altri. Solitamente, quando si parla di cambiamento di paradigma, ci si riferisce al superamento di quello precedente, tuttavia, nel nostro caso è possibile individuare delle compresenze.

Nella prima fase dell’informatica un grande computer mainframe serviva molte persone, nella seconda fase, ossia quella dell’avvento del personal computer, i dispositivi eguagliavano più o meno il numero delle persone che li usavano, nella terza i computer superano di molto il numero delle persone; essi permeano l’ambiente fisico, assumono dimensioni ridotte, come, ad esempio, i dispositivi mobili o indossabili, e in alcuni casi diventano invisibili. La terza fase dell’informatica viene definita fase dell’informatica ubiqua e pervasiva.

4   Riportiamo la definizione di ‘paradigma’ secondo il vocabolario Treccani on line. Disponibile a http:// www.treccani.it/vocabolario/paradigma/. Consultato 06/15.

PRIMA FASE DELL’INFORMATICA