2. La sentenza Grande Stevens e altri vs Italia: le premesse fattuali Il 4 marzo 2014 la Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha
2.3 segue: le ripercussioni applicative della pronuncia
Vediamo adesso di concentrarci sugli effetti che questa decisione ha scaturito, vuoi da un punto di vista delle prospettive aperte da questa pronuncia, vuoi da un punto di vista consequenziale sulle scelte e sui comportamenti dei giudici italiani.
In particolare, parte della dottrina si è interrogata su quali potessero essere gli effetti di questa sentenza rispettivamente per la specifica vicenda in esame, per le medesime situazioni di ne bis in idem, cioè quelle in cui vi sia una condanna definitiva in uno dei due procedimenti e l'altro sia ancora pendente.
Sulla fattispecie de quo si è già espressa la Corte di Cassazione, sez. I, con sentenza del 17 dicembre 2013, precedente al deposito avvenuto il 4 marzo 2014 della decisione emessa dalla Corte EDU nella causa “Grande Stevens e altri contro Italia” 239, affermando la ormai prescrizione dei
reati.
Per quanto riguarda i casi in cui vi sia, ad esempio, una sentenza definitiva a chiusura del procedimento penale-amministrativo e, contestualmente, sia ancora pendente il procedimento penale, la questione si potrebbe risolvere mediante un’interpretazione conforme alla Convenzione.
Le disposizioni nazionali su cui operare in via interpretativa sarebbero: la clausola di salvezza con cui apre l'art. 187 ter TUF, «salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato» e l'art. 649 c.p.p. in cui è stabilito il divieto di un secondo giudizio per «l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili». Entrambe le disposizioni possono risultare suscettibili di un'interpretazione
adeguatrice alla luce di questa sentenza240.
Corrisponde al vero che la disposizione di cui all'art. 187 terdecies TUF, regolamenta l'applicazione della pena pecuniaria e della sanzione amministrativa per lo stesso fatto, e l'art. 187 duodecies TUF esclude qualsivoglia pregiudizialità tra il giudicato amministrativo e quello penale, tuttavia, sembra possibile richiamare e valorizzare la clausola di salvezza posta in apertura dell'art. 187 ter TUF per escludere in concreto il cumulo sanzionatorio sullo stesso fatto manipolativo, attraverso l'individuazione, sul piano dell'inquadramento giuridico delle due fattispecie, del confine tra illecito penale e illecito amministrativo.
Allora, se prima della pronuncia della Corte di Strasburgo è stato possibile operare sul piano dell’interpretazione per evitare il cumulo sanzionatorio, sembra ora possibile immaginare, dopo questa sentenza, che la soluzione possa essere ricercata per via interpretativa percorrendo appunto tale strada.
Si potrebbe, quindi, una volta per tutte, rileggere la stessa clausola di salvezza con cui si aprono gli illeciti amministrativi di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, nel senso di circoscriverli solamente ai casi non regolati dalle corrispondenti fattispecie penali241.
L’ufficio del massimario, settore penale, della Corte di Cassazione, l’8 maggio 2014 ha elaborato uno studio sull’applicazione del principio del
ne bis in idem alla luce della sentenza Grande Stevens e altri contro Italia,
confluito nella Relazione n.35 del 2014.
Questo lavoro evidenzia la coesistenza in Italia di due sistemi, uno che conduce all’applicazione di sanzioni amministrative, qualificate dalla Corte europea come penali, e l’altro che porta all’applicazione di sanzioni
240 F. TRIPODI, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L'Italia condannata per violazione del ne
bis in idem in tema di manipolazione del mercato, 2014, p. 4.
penali vere e proprie, così qualificate dallo stesso ordinamento italiano. La Corte Europea, come abbiamo già osservato, sostiene una visione prettamente sostanzialistica della natura penale delle norme di diritto interno, senza che abbia alcuna rilevanza il nomen242.
Di conseguenza, come è stato affermato anche nella sentenza qui esaminata, l’Italia viola l’art. 4 del Protocollo n. 7 nel momento stesso in cui ammette l’applicazione congiunta di sanzioni amministrative e penali. La Cassazione, dopo aver analizzato anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE e della stessa Cassazione, ha rilevato che il concetto sostanzialistico di natura penale delle disposizioni interne propugnato dalla CEDU, pone alcuni problemi di compatibilità con il nostro sistema costituzionale ed, in particolare, con l’art. 25, che ancora la nozione di illecito penale ad un criterio di stretta legalità formale, combinandosi con l’art. 1 c.p., in un sistema che stabilisce la riferibilità della qualificazione di una norma come penale al fatto che essa sia formalmente ed espressamente prevista come reato da una legge243.
Da tali vincoli normativi interni non appare sostenibile che il giudice nazionale possa, in applicazione dei principi convenzionali come declinati dalla Corte europea, ritenere “sostanzialmente” penale una disposizione qualificata come amministrativa dall’ordinamento interno, al fine di rilevare il divieto del doppio giudizio per il medesimo fatto. L’unica possibilità è un intervento del legislatore che deve costruire l’illecito amministrativo parallelo alla previsione penale in maniera tale da non superare la soglia di tollerabilità del livello di afflittività della sanzione che comporta per la Corte europea la sostanziale violazione del
242 Corte di Cassazione, Ufficio del Ruolo del Massimario, Considerazioni sul principio del
ne bis in idem nella recente giurisprudenza europea: la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia, cit., p. 4.
principio del ne bis in idem244.
In attesa di un intervento del legislatore, che si impegni al più presto in un complessivo intervento di razionalizzazione del sistema attuale, alcuni autori hanno espresso la necessità che la magistratura italiana si impegni al fine di evitare il prodursi o il protrarsi di nuove violazioni convenzionali, in particolare ponendo fine al più presto a tutti i procedimenti penali relativi ai medesimi fatti già giudicati dalla CONSOB con provvedimenti ormai definitivi245.
Abbiamo già detto come l’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo, confermata anche nella sentenza Grande Stevens, non solo rileva che non è importante la qualificazione dell’infrazione fornita dal diritto degli Stati membri, ma ritiene anche che non spetta in nessun caso al giudice nazionale il compito di valutare la “natura penale” della prima sanzione, poiché è la sola Corte europea a poter accertare la reale sostanza dell’infrazione, così, di fatto, estromettendo il giudice nazionale dall’esercizio di ogni potere qualificatorio.
244 Idem, p. 26.
245 Fra i quali autori, ricordiamo Francesco Viganò, che nel suo “Ne bis in idem: la
sentenza Grande Stevens è ora definitiva”, 2014, sostiene questa necessità appena descritta e ritiene che, al fine di raggiungere questo risultato, avremmo a disposizione uno strumento molto importante e molto semplice, ovvero l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali: L'art. 50 della Carta, disposizione di diritto primario dell'Unione, e come tale direttamente applicabile nell'ambito di applicazione del diritto UE (che a sua volta pacificamente comprende la materia degli abusi di mercato), ha come proprio contenuto minimo (art. 52 § 3 della Carta) il contenuto della corrispondente norma convenzionale, e dunque dell'art. 4 Protocollo 7 CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza di Strasburgo, giurisprudenza che ci dice ora forte e chiaro che celebrare un processo penale dopo la conclusione di un procedimento sanzionatorio avanti alla CONSOB (un procedimento formalmente qualificato come 'amministrativo' dal nostro ordinamento, ma in realtà di natura penale ai fini dell'applicazione delle garanzie convenzionali) viola il diritto al ne bis in idem dell'imputato.
Inoltre, è evidente che, in un sistema basato sul principio costituzionale della riserva di legge, il giudice nazionale è vincolato dalla definizione normativa del fatto come reato o illecito amministrativo secondo la legislazione nazionale.
Sotto altro profilo, tuttavia connesso, egli sarà comunque obbligato al rispetto dei vincoli derivanti dal quadro normativo europeo in tema di valutazione della compatibilità della doppia sanzione246.
Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno delineato un nuovo quadro normativo per prevenire e reprimere le violazioni relative agli abusi di mercato, quadro questo che ha portato il legislatore europeo ad incentivare il ricorso a forme di doppio binario sanzionatorio247.
Il 16 aprile 2014 è stata adottata una nuova direttiva, la 2014/57/UE, funzionale a garantire l’integrità dei mercati, poiché dal rapporto della Commissione europea era emerso che la precedente direttiva 2003/6 non era stata attuata in modo adeguato in tutti gli Stati membri, che avevano infatti predisposto solo misure amministrative, rivelatasi poi insufficienti.
Proprio per ovviare a tali mancanze, la nuova direttiva chiede agli Stati membri sanzioni più efficaci, in grado di svolgere un effetto dissuasivo almeno per i reati più gravi248.
La sanzione deve essere proporzionata ai profitti conseguiti da chi commette il reato e ai danni provocati anche ai mercati e all’economia in generale. Per i reati previsti dagli articoli 3 a 5, ovvero abuso di
246 A. DE AMICIS, Aula Magna, 23 giugno 2014 , Ne bis in idem e “doppio binario”
sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza “Grande Stevens” nell’ordinamento italiano, cit., p. 16-17.
247 Idem, p. 19.
248 Direttiva 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014,
relativa alle sanzioni penali in caso di abuso di mercato, in www.eur-lex.europa.eu, punto 6.
informazioni privilegiate, raccomandazione o induzione di altri alla commissione di abuso di informazioni privilegiate, comunicazione illecita di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, la durata massima della pena non potrà essere inferiore ai 4 anni.
Gli Stati potranno, poi, anche prevedere l’esclusione dal godimento di contributi o sovvenzioni pubblici; l’interdizione temporanea o permanente all’esercizio di un’attività d’impresa; l’assoggettamento a controllo giudiziario; provvedimenti giudiziari di liquidazione; la chiusura temporanea o permanente dei locali usati per commettere il reato249.
Non tutti gli Stati membri hanno previsto sanzioni penali per alcune forme di violazioni gravi della normativa nazionale di attuazione della direttiva 2003/6/CE. Approcci differenti degli Stati membri portano ad alcuni pregiudizi all’uniformità delle condizioni operative nel mercato interno e possono fornire un incentivo ad attuare abusi di mercato negli Stati membri che non prevedono sanzioni penali per tali reati.
Inoltre, finora non è stato stabilito a livello comunitario quale condotta sia da considerare una violazione grave nelle norme sugli abusi di mercato.
Si ravvisa, pertanto, l’opportunità di stabilire norma minime con riguardo alla definizione di reati commessi da persone fisiche, sulla responsabilità delle persone giuridiche e sulle relative sanzioni.
L’adozione di norme minime comuni renderebbe inoltre possibile ricorrere a metodi più efficaci d’indagine e consentirebbe una cooperazione più efficace a livello nazionale e internazionale250.
L’introduzione da parte di tutti gli Stati membri di sanzioni penali
249 A. DE AMICIS, Aula Magna, 23 giugno 2014 , Ne bis in idem e “doppio binario”
sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza “Grande Stevens” nell’ordinamento italiano, cit., p. 19.
250 Direttiva 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014,
almeno per i reati più gravi di abusi di mercato è pertanto essenziale per garantire l’attuazione efficace della politica dell’Unione in materia251.
Assieme alla direttiva sulle sanzioni, peraltro, è stato pubblicato il regolamento UE n. 596/2014 relativo agli abusi di mercato, che abroga, fra le altre, la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio252.
L’applicazione combinata della direttiva 2014/57/UE e quella del regolamento UE 596/2014 è ritenuta ammissibile dal momento che si prevede che, negli ordinamenti nazionali, pene per le persone fisiche e sanzioni per le persone giuridiche non esonerano gli Stati membri dall’obbligo
di contemplare in tali ordinamenti nazionali sanzioni amministrative e altre misure per le violazioni previste nel regolamento (UE) n. 596/2014, salvo che gli Stati membri non abbiano deciso, conformemente al regolamento (UE) n. 596/2014, di prevedere per tali violazioni unicamente sanzioni penali nel loro ordinamento nazionale253.
Nel punto 23 della direttiva si precisa poi in che modo debbano essere combinate la direttiva e il regolamento ora esaminati, mentre le condotte illecite commesse con dolo dovrebbero essere punite conformemente alla presente direttiva, almeno nei casi gravi, le sanzioni per le violazioni del regolamento (UE) n. 596/2014 non richiedono che sia comprovato il dolo o che gli illeciti siano qualificati come gravi.
Volgendo lo sguardo sugli effetti che la sentenza Grande Stevens ha avuto a livello interno, rileviamo come la Corte di Cassazione sia intervenuta ripetutamente per specificare e chiarire alcune questioni. Con una pronuncia della sez. VI civile, inoltre, la Corte di Cassazione ha
251 Ibidem , punto 8.
252 A. DE AMICIS, Aula Magna, 23 giugno 2014 , Ne bis in idem e “doppio binario”
sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza “Grande Stevens” nell’ordinamento italiano, cit. p. 21.
pronunciato sul ricorso di un cittadino che, sul presupposto della irragionevole durata di una controversia tributaria, aveva chiesto l’equa riparazione254.
Il presupposto del ricorso era fondato sulla “sostanza penale” da riconoscere alle sanzioni tributarie particolarmente afflittive, secondo quanto enunciato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo e, dunque, sulla conseguenza che il processo tributario, vertendo su materia penane, fosse assimilato al processo penale stesso; sia pure ai limitati fini dell’equa riparazione e a prescindere dalla soglia di imposta evasa e dalla sussistenza o meno della rilevanza anche penale dei fatti oggetto di controversia nel giudizio tributario.
La Corte di Cassazione ha ritenuto di disattendere la domanda, sulla base delle considerazioni seguite dalla Corte di Giustizia nel caso Akerberg Fransson, ai cui principi ha inteso conformarsi255.
Partendo dall’analisi già fatta sulla questione della non possibilità per il giudice nazionale di poter scegliere se le sanzioni tributarie assumano o no natura penale, anche se comunque la Corte di Giustizia ha ampliato il novero degli elementi alla stregua dei quali il giudice nazionale può farlo, la Suprema Corte ha osservato che il nostro sistema costituzionale è retto dal principio di stretta legalità nell'individuazione degli illeciti e delle sanzioni penali (art. 25 Cost.), e che è quindi demandato solo ed esclusivamente al legislatore il compito di procedere all'individuazione del tipo penale.
Appare quindi “assai più conferente fondare l'assimilabilità di una sanzione amministrativa (o tributaria) ad una sanzione penale solo in presenza di un riferimento normativo e non esclusivamente in base al
254 Cass., Sez. VI, 13 gennaio 2014, n. 510.
255 A. DE AMICIS, Aula Magna, 23 giugno 2014 , Ne bis in idem e “doppio binario”
sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza “Grande Stevens” nell’ordinamento italiano, cit., p. 24.
requisito della afflittività della sanzione.
Concludendo, dunque, la Corte di Cassazione ha ritenuto, nel caso di specie, del tutto corretta la decisione della Corte d’appello di escludere che il giudizio tributario in questione fosse ascrivibile all'ambito della materia penale256.
Nella medesima prospettiva, poi, si colloca un’ulteriore pronuncia della Suprema Corte del 8 aprile - 15 maggio 2014, n. 20266, la quale, ponendosi in linea con quanto già sostenuto in una recente decisione delle Sezioni Unite (28 marzo 2013, n. 37425, Favellato), ha escluso che il concorso tra sanzioni amministrative e penali previste in caso di omesso versamento di possa costituire una violazione del principio del ne bis in idem fissato dalla Convenzione dei diritti dell’uomo.
L'imputato era stato assolto in primo grado dal reato di omesso versamento delle ritenute, ex art. 10-bis del d.lgs. n. 74/2000, e la sentenza era stata impugnata per saltum dal P.G..
Dinanzi alla Corte di Cassazione il ricorrente ha sostenuto che, essendo intervenuta una sanzione per la stessa violazione della disciplina fiscale ai sensi dell'illecito amministrativo di cui all'art. 13 del d.lgs. 471/1997, l'eventuale condanna anche per il reato avrebbe comportato una violazione del principio del ne bis in idem come interpretato dalla sentenza della Corte EDU nel caso Grande Stevens c. Italia, poiché l'omesso versamento delle ritenute sarebbe stato punito sia come illecito amministrativo sia come illecito penale.
La Corte di Cassazione ha rigettato tale conclusione dell’imputato, sulla base del fatto che la sanzione tributaria non può essere considerata una sanzione avente natura penale e che l'omesso versamento-illecito amministrativo e l'omesso versamento-illecito penale, essendo caratterizzati da elementi costitutivi parzialmente diversi, non si trovano
256 Idem, p. 25 - 26.
in un rapporto di specialità, bensì di progressione illecita, con la conseguenza che al trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni257.
Un problema di fondamentale importanza, che resta sullo sfondo di tutte queste considerazioni, ma che non per questo deve essere lasciato come scontato, è l’obbligo che hanno gli Stati di rispettare le norme di fonte sovranazionale.
Utilizzando le parole della Consulta “al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale “interposta”, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma”258.
Anche la Corte di Cassazione ha avuto occasione di esprimersi sul tema, riprendendo l’orientamento espresso dalla Consulta: le norme della CEDU, così come interpretata dalla Corte di Strasburgo nelle sue sentenze, rivestono il rango di fonti interposte integratrici del precetto di cui all'art. 117 Cost. e, in quanto tali, non solo assumono rilevanza ai fini del giudizio di legittimità costituzionale ma impongono anche a ciascun giudice di valutare la compatibilità costituzionale di ciascuna norma di legge ordinaria alla CEDU259.
In definitiva, ai giudici italiani s’impone un’interpretazione adeguatrice o
secundum constitutionem (mediante l’uso degli ordinari strumenti
ermeneutici indicati dall’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale), della normativa italiana, in particolare dell’art. 649 c.p. che prevede il
257 Ibidem.
258 Corte Cost., sent. n. 349 del 22.10.2007, par. 6.2.
259 Il principio del ne bis in idem e la sentenza “Grande Stevens”: pronuncia europea e riflessioni
divieto di un secondo giudizio per «l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili» e della clausola di salvezza di cui all'art. 187 ter T.u.f. («Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato»), rispetto ai principi della CEDU, così come enucleati dalla Corte di Strasburgo260.
3. I principi affermati in altre sentenze della Corte europea e gli