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Capitolo 2 Gli indicatori di volatilità implicita

2.1 Introduzione

La volatilità è ormai diventata in sé e per sé un’entità negoziabile, misurabile e gestibile. Alcuni addirittura vedono la volatilità come asset class a sé stante. Investitori e gestori di portafoglio di oggi sfruttano i vantaggi dei prodotti di volatilità presenti sul mercato, perché non solo offrono indizi per la direzione del mercato, ma spesso possono fornire protezione e facilitare le strategie di copertura in modo ancor più efficiente rispetto alle convenzionali put. Quest’area di derivati quotati sicuramente continuerà ad espandersi in futuro ed è importante includerla qui.

Come abbiamo menzionato nel precedente capitolo, ci sono due tipi di volatilità: historical volatility (anche chiamata actual o statistical) e implied volatility. La volatilità storica è basata sui rendimenti passati, spesso di indici azionari o di azioni individuali, e pertanto si riferisce a quanto velocemente un asset finanziario si è mosso nel passato. È solitamente misurata come la deviazione standard delle giornaliere variazioni di prezzo percentuali. Sebbene ampiamente accettata, questa definizione può produrre strani risultati. Essa permette, per esempio, che se un’azione aumenta di un esatto ammontare quotidianamente, allora la sua volatilità storica è pari a zero. Ecco perché ci sono anche altre misure della volatilità.

Mentre la volatilità storica è una misura rivolta al passato, la volatilità implicita guarda al futuro. La componente temporale del prezzo di un'opzione è fortemente dipendente dalle volatilità implicita. In sostanza, ogni volta che un’opzione viene negoziata, il mercato sta facendo una stima della volatilità futura del titolo. Se si prevede che il titolo sottostante sarà volatile, si pagherà un prezzo più alto per un’opzione (call o put). Perciò, la volatilità implicita è una stima di quanto volatile ci si attende possa essere l’entità sottostante durante la vita rimanente dell’opzione. Eventi che possono causare un aumento della volatilità implicita sono quelli che ci si attende possano deviare il sottostante dal suo solito schema di negoziazione, come per esempio le offerte d’acquisto, i rumors, la caduta dei prezzi (mercati ribassisti), le udienze, le cause legali e così via (Lehman, et al., 2011). La volatilità implicita è anche un indicatore chiave per un numero crescente di trader professionali e di gestori di fondi che utilizzano le strategie di opzioni per sfruttare le opportunità generate dai movimenti della volatilità invece che dai rendimenti degli asset sottostanti (Hong Kong Exchanges, 2009).

Le volatilità implicite calcolate con il modello Black-Scholes sono solitamente usate per compiere una previsione della volatilità futura, ma su tale pratica la letteratura scientifica ha fatto emergere l’inconsistenza di prevedere le variazioni della volatilità basandosi su un modello fondato sull’ipotesi di volatilità costante. Pertanto, come abbiamo individuato nel primo capitolo, possono essere utilizzate alternative procedure di previsione della volatilità, come per esempio i modelli a volatilità stocastica oppure utilizzando le tecniche model free (non collegate ad un modello specifico) che si basano esclusivamente sulla conoscenza dei prezzi di mercato evitando le incongruenze degli approcci tradizionali. Questo modo di calcolare le volatilità implicite è stato recepito anche per costruire degli indici di volatilità che si basano esclusivamente sui prezzi di mercato delle opzioni, le quali vengono emesse su un indice azionario che riassume l’andamento di un mercato in particolare (Nardon, et al., 2016).

Ripercorrendo le tappe che hanno portato allo sviluppo di diversi indici di volatilità ci si accorge immediatamente come lo studio della volatilità abbia suscitato grande interesse a livello accademico. Gastineu nel 1977, cioè alcuni anni dopo che il Chicago Board Options Exchange (CBOE) introdusse la negoziazione del primo contratto d’opzione (26 Aprile 1973), fu il primo accademico a creare un indice di volatilità basato sui prezzi di mercato delle opzioni. Più nel dettaglio Gastineu propose l’uso di una media di volatilità implicite calcolate dai prezzi di opzioni at the money emesse su 14 titoli azionari con scadenze comprese tra i tre e i sei mesi, e inoltre combinò tale media con una misura della volatilità storica del mercato azionario Negli anni seguenti, alcuni ricercatori seguirono il paradigma di Gastineu. Tra loro Cox e Rubinstein nel 1985 suggerirono una modifica migliorativa della procedura di calcolo prendendo in considerazione più opzioni call su ciascun titolo e introducendo uno schema di pesi per le volatilità che rende l’indice in the money e il tempo alla scadenza costante. In seguito Brenner e Galai nel 1989 proposero l’introduzione di un indice di volatilità che vale per i mercati dei titoli azionari, obbligazionari e dei tassi di cambio. Gli autori assegnarono a tale indice il nome di Sigma ed è un mix basato sulla volatilità storica, sulle volatilità implicite di opzioni o su una combinazione pesata di volatilità storiche e implicite. (Nardon, et al., 2016; Siriopoulos, et al., 2009)

Ma fu il lavoro di Whaley nel 1993 che fondamentalmente stabilì le fondamenta degli indici basati sulla volatilità implicita dei prezzi delle opzioni. In particolare Whaley sviluppò un’innovativa metodologia per calcolare un indice di volatilità implicita, poiché lui fu il primo a considerare opzioni su indici - piuttosto che individuali opzioni su azioni - sottolineando in questo modo il rischio sistematico (non diversificabile) e inoltre usò sia opzioni call che opzioni put – in contrasto ai precedenti lavori che usavano solamente opzioni call – aumentando in questo modo il contenuto informativo catturato dall’indice (Fleming, et al., 1995).

Il Chicago Board Options Exchange, nel 1993, diventò il primo mercato organizzato che ufficialmente introdusse un indice di volatilità implicita, il famoso VIX (volatility index). Tale indice particolare era basato sulla metodologia di calcolo proposta da Whaley nel 1993 e in breve tempo diventò il benchmark per la misurazione della volatilità del mercato azionario statunitense. Seguendo lo straordinario successo dell’esempio del CBOE, altre borse nel mondo svilupparono i loro rispettivi indici sulla volatilità. La Deutsche Börse introdusse nel 1994 l’indice VDAX e la French Marchè des Options Négociables de Paris (MONEP) introdusse nel 1997 due indici di volatilità implicita, il VX1 e il VX6. Nel 2003, la CBOE rilanciò un nuovo VIX usando una nuova metodologia per prezzare i variance swaps essenzialmente basata sul lavoro del 1999 di Demeterfi et al. .

I ricercatori accademici si sono concentrati sulla volatilità implicita in molti modi negli ultimi decenni ed in particolare, inizialmente, l’interesse accademico ruotava attorno alle difficoltà di stima della volatilità implicita. Se i mercati sono efficienti e il modello di valutazione delle opzioni è corretto, le volatilità implicite calcolate da opzioni (sia call che put) sullo stesso bene sottostante e con la stessa scadenza, ma con differenti prezzi d’esercizio, dovrebbero essere identiche. Tuttavia, in realtà, la volatilità implicita dal modello di valutazione delle opzioni di Black and Scholes mostrano una variazione rispetto al prezzo d’esercizio (conosciuto come volatility smile o skew), dove le opzioni in the money e out of the money sono associate ad una più alta volatilità implicita rispetto alle opzioni at the money. Pertanto, è discutibile quale sia la volatilità implicita o la combinazione di volatilità implicite che fornisce la miglior misura della volatilità attesa di mercato durante la vita dell’opzione (Siriopoulos, et al., 2009).

Gli indici di volatilità possono contribuire allo sviluppo del mercato dei derivati rafforzando la trasparenza di opzioni su azioni e opzioni su indici azionari. Essi possono anche aiutare gli investitori a stimare i parametri di volatilità per una particolare opzione, e possono essere usati come strumento per confrontare la valutazione delle opzioni e dei derivati. In aggiunta, un popolare indice di volatilità come il VIX può servire come benchmark per strumenti derivati basati sull’indice (Hong Kong Exchanges, 2009).

Al momento in molti mercati ci sono uno o più indici di volatilità, i cui valori vengono resi disponibili agli operatori per offrire un’indicazione sull’evoluzione futura delle quotazione dei titoli finanziari. Anche in Italia è stato lanciato il 18 febbraio 2013 l'indice FTSE MIB Implied Volatility (IVI), che misura la volatilità dell’indice FTSE MIB con cadenza giornaliera e che ha l’obiettivo di fornire agli investitori informazioni sul mercato azionario a 30, 60, 90 e 180 giorni (Nardon, et al.,

Nel seguito del paragrafo cercherò di considerare i più importanti indici di volatilità implicita. Inizierò con quello da cui è iniziato tutto, cioè il VIX, e continuerò con gli altri indici di volatilità ufficiali, ossia gli indici che sono calcolati e pubblicati dalle Borse valori.