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Stochastic volatility models

Capitolo 1 Il concetto di volatilità

1.5 Volatility surface e valutazione delle opzioni

1.5.2 Stochastic volatility models

Ora ci allontaniamo dalla volatilità deterministica per esaminare l’idea della volatilità stocastica: la volatilità effettiva che è essa stessa casuale. Senza dubbio è impossibile prevedere accuratamente la futura volatilità effettiva, quindi ha senso trattare quella quantità come casuale. Sebbene i modelli di volatilità stocastica siano comunemente usati nella pratica, essi soffrono di due problemi principali. Il primo riguarda quale modello di volatilità stocastica scegliere e qual è il significato di “volatilità di volatilità” poiché, siccome non è possibile misurare accuratamente la volatilità istantaneamente, non è nemmeno possibile misurare la volatilità di quella “immisurabile” volatilità.

Il secondo problema riguarda la copertura. Come vedremo, quando solo il prezzo dell’azione è casuale allora si ha una sola fonte di rischio, che può essere coperta da un’opzione usando una posizione nell’azione sottostante. Invece ora, quando anche la volatilità è stocastica si hanno due fonti di rischio, l’azione e la volatilità. Non possiamo agire con la volatilità per eliminare il rischio di volatilità perché questa non è acquistabile direttamente, ma si è in grado di sbarazzarsi del rischio di volatilità su un'opzione coprendosi con un'altra opzione (una opzione vanilla exchange-traded). Il risultato finale è un portafoglio coperto, ma ora abbiamo un'equazione con due incognite: il valore dell'opzione originaria e il valore dell'opzione utilizzata per corprirsi (Wilmott, 2006).

I modelli di volatilità stocastica sono progettati in modo da replicare la dipendenza della volatilità dal prezzo del sottostante e dal tempo. Tuttavia, la volatilità qui è stocastica e non deterministica come nella sezione precedente. Il modello generale può essere espresso nel seguente modo:

c &= $& &c! + &c

c & = 4( &, , !)c! + †8( &, , !)c

(24a) (24b) dove è la deviazione standard di St, † denota la volatilità della volatilità stessa, 4(∙) 8(∙)

definiscono l’evoluzione della volatilità e la loro esatta forma è determinata da un modello specifico e gli incrementi dX1 e dX2 sono processi di Wiener correlati: corr(dX1, dX2) = ˆc!.

Quando † → 0 l’equazione (24b) converge al caso già discusso della volatilità come funzione deterministica del tempo. Quando la volatilità diventa stocastica, l’equazione differenziale di Black- Scholes (17) non può essere facilmente generalizzata come nel caso della superficie di volatilità deterministica.

Il valore di un’opzione con volatilità stocastica è una funzione di tre variabili c(S, ,t). La nuova quantità stocastica che stiamo osservando (la volatilità) non è un asset negoziabile. Perciò, quando la volatilità è stocastica ci si trova di fronte al problema di avere una fonte di casualità che non può essere facilmente coperta (Wilmott, 2006).

Nel contesto del modello di B-S c’è un solo fattore di rischio (il prezzo dello strumento sottostante) e il suo impatto sull’opzione può essere neutralizzato dall’apertura di una posizione lunga o corta nel bene sottostante St. Nel caso stocastico c’è un altro fattore da neutralizzare, cioè l’impatto delle

stocastiche variazioni di volatilità sul prezzo dell’opzione. In altre parole, siccome ci sono due fonti di casualità, si deve coprire la nostra opzione con altri due contratti: uno è il solito asset sottostante, ma ora si ha bisogno di un’altra opzione per coprire il rischio di volatilità. Quest’ultimo può essere neutralizzato aprendo una posizione corta in un altro strumento finanziario con prezzo che è funzione della volatilità (per esempio, opzioni o future sulla volatilità). Per creare un portafoglio senza rischio si deve immettere un’opzione, con valore indicato con c(S, ,t), una quantità –Δ del bene sottostante S e –Δ1 unità di un’altra opzione con valore c1(S, ,t) (Wilmott, 2006; Jablecki, et

al., 2015).

Come si può notare c’è qualche analogia con l’approccio B-S e, infatti, indicato con Π il valore di tale portafoglio si ha:

Applicando il lemma di Ito e l’assunzione di non arbitraggio si ottiene la seguente condizione per C

„w

„! +12 „ w„ + ˆ† 8 „ „ +„ w 2 †1 8 „( ) + Œ„ w „w„ − w• = −(4 − ∅8 )„„w (26)

Per ogni unità di rischio di volatilità, rappresentato da dX2, ci sono ∅ unità di extra rendimento.

Pertanto la funzione ∅( , , !) viene chiamata market price of volatility risk, o per analogia con il modello CAPM si può definire come volatility risk premium.

La completa specificazione del modello di volatilità stocastica richiede ovviamente la determinazione delle funzioni 4, 8, ∅. Questo non è facile perché non è osservabile, ma in senso stretto si dovrebbe provare e ottenere 4 8 guardando alle statistiche del prezzo delle azioni S. Per fare questo 4 8 possono essere stimati dai metodi ARCH che abbiamo visto in precedenza. Poi ∅ può essere estratto dai prezzi delle opzioni, poiché si associa a come le persone valutano il rischio di volatilità (che non è osservabile dalle serie di prezzi delle azioni).

Uno dei primi modelli di volatilità stocastica è stato costruito da Hull e White (1987). Loro mostrarono che per ˆ = 0 (azioni e volatilità sono non correlati) e le dinamiche della volatilità neutrali al rischio non sono influenzate dall’azione, allora il valore equo di un'opzione è la media dei valori di Black-Scholes per l'opzione, calcolata sulla distribuzione di σ2. Heston (1993) suggerì un modelli con correlazione non-zero tra il sottostante e la volatilità e allo stesso tempo il modello consente formule esplicite per i prezzi delle opzioni. Nel caso del modello Heston si assume che 4 = •(• − ) e 8 = † , dove • è la media della varianza a lungo termine, e k indica la velocità di mean reversion. In seguito altri autori suggerirono diverse proposte per il modello di volatilità stocastica, alcuni arrivarono a derivare formule esplicite per i prezzi delle opzioni. Per ulteriori approfondimenti si veda Willmott (2006).

Entrambi i modelli presentati in questo paragrafo (local e stochastic volatility model) possono essere usati per scopi di previsione, ma il loro maggiore compito è di valutare le opzioni coerentemente con le quotazione disponibili sul mercato. La calibrazione di questi modelli ai prezzi di mercato non dipende dalla capacità del mercato di fare una corretta stima della volatilità, ma viene guidata da una gestione conservativa dello scostamento tra modelli di valutazione e gli attuali prezzi del mercato. Il modello di volatilità locale sembra essere più vicino a questa prospettiva, poiché esso non assume nessuna struttura parametrica per il processo di volatilità. La sua unica

descrizione delle variazioni della volatilità nel tempo. I modelli di volatilità stocastica, invece, descrivono la forma della volatilità come una variabile stocastica, ma solitamente sono più difficili da calibrare. Schonbucher (1999) provò a combinare i vantaggi dei due metodi e propose un modello stocastico di volatilità implicita.