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Istituzione di una Corte penale internazionale

Capitolo 2. La repressione

2.2 Istituzione di una Corte penale internazionale

Su un versante parzialmente diverso, ma non per questo di minor efficacia nella prospettiva di combattere il terrorismo, possiamo richiamare la recente istituzione di una Corte penale internazionale51.

La creazione di questo organo rappresenta un primo, significativo passo nella direzione di un rafforzamento della sicurezza e della pace attraverso la creazione di un diritto penale globale, in cui si fanno rientrare figure universali di reato, pertanto il perseguimento e la condanna di questi non ammette deroghe da parte dei singoli ordinamenti nazionali.

La Corte, in particolare, è competente a giudicare il crimine di genocidio e altri crimini di guerra e contro l’umanità: queste categorie costituiscono i cosiddetti crimini internazionali52, con i quali si indicano

raddoppiati gli sforzi per prevenire ed eliminare gli atti terroristici” (Risoluzione 1363/2001).

50 Questo è quanto riporta la Risoluzione n°1373/2001.

51 Il suo statuto fu approvato in una Conferenza diplomatica a Roma il 17 dicembre

1998 e ha cominciato ad essere efficace, nella forma giuridica del trattato internazionale tra gli Stati che vi hanno aderito, a partire dal 1° luglio 2002.

52 L’accordo di Londra del 1945 (istitutivo del Tribunale di Norimberga) identificava tre

categorie di crimini: crimini contro la pace (guerra di aggressione), crimini contro l’umanità (tra cui il genocidio) e crimini di guerra. Analoga elencazione si rinviene

violazioni gravissime del diritto internazionale consuetudinario, ovvero delle norme contenute in trattati internazionali attraverso le quali lo stesso diritto consuetudinario viene codificato, precisato e, in certa misura, formato; violazioni, dunque, di norme poste a tutela di valori, beni ed interessi giuridici ritenuti meritevoli di protezione da parte dell’intera Comunità internazionale, il cui rispetto si impone, pertanto, nei confronti della generalità degli Stati e degli individui, portatori, al tempo stesso, di un interesse universale alla repressione delle condotte che ne costituiscono trasgressione53. Nella categoria dei

crimini contro l’umanità possono, certamente, farsi ricomprendere anche azioni delittuose come quelle ideate e poste in essere dalle organizzazioni terroristiche internazionali, in quanto integrano condotte commesse “nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell’attacco”54.

Nello Statuto della Corte penale internazionale, per genocidio si intende una serie di atti volti a provocare la distruzione totale o parziale di un gruppo etnico, razziale o religioso 55. Inoltre, tra i crimini

internazionali contro l’umanità, oltre alle fattispecie comuni (omicidio, riduzione in schiavitù, tortura, deportazione o trasferimento forzato di popolazioni e altri ancora), lo Statuto comprende anche fattispecie innovative, quali stupro, prostituzione forzata e altre forme di violenza sessuale56. La particolarità dei crimini internazionali è la duplice

responsabilità che essi comportano se commessi da organi statali:

nello Statuto della Corte penale internazionale.

53 Cfr. MASARONE VALENTINA, Politica criminale e diritto penale nel contrasto al terrorismo internazionale. Tra normativa interna, europea ed internazionale,Edizioni Scientifiche Italiane – Napoli – 2013.

54 Secondo il disposto dell’art. 5 dello Statuto della Corte.

55 In conformità alla consolidata nozione internazionale, sancita nella Convenzione

delle Nazioni Unite contro il genocidio del 1948.

56 Cfr. DE STEFANI PAOLO, La normativa penale internazionale per violazione dei diritti umani. Il caso dei crimini contro le donne, Research Papers n. 1/2000.

responsabilità dello Stato, per violazione di norme imperative del diritto internazionale, e responsabilità personale dell’individuo-organo che li ha posti in essere.

La giurisdizione della Corte, rispetto ai crimini menzionati nello Statuto, può esercitarsi solo quando lo Stato, che ha giurisdizione sul caso, non abbia la volontà o capacità di perseguire il crimine mediante i propri tribunali, ovvero qualora la Corte accerti che l’intervento dei giudici nazionali sia finalizzato unicamente a proteggere il presunto reo. Inoltre, la giurisdizione della Corte non ha carattere universale, pertanto essa non può procedere nei confronti di cittadini di Stati non aderenti allo Statuto o di situazioni verificatesi sul territorio di tali Stati, salvo il loro consenso. Il consenso dello Stato non è necessario qualora il caso sia stato sottoposto alla Corte dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite57.

In questo modo, l’istituzione di un livello di giustizia ulteriore rispetto a quello statale, per il perseguimento delle condotte terroristiche, può concorrere alla prefigurazione di un ordinamento della giustizia penale in grado di svolgere un’efficace funzione deterrente anche nei confronti delle attività eversive portate avanti dai movimenti terroristici internazionali.

Dalla categoria dei crimini internazionali dobbiamo distinguere quelli che più propriamente corrispondono alla nozione di “crimini transnazionali” 58 , vale a dire quei fenomeni criminali che, pur

57 In base al Capitolo VII della Carta ONU.

58 L’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata

transnazionale (Palermo, 15 novembre 2000) definisce in questo modo un reato «transnazionale»: a) se commesso in più di uno Stato, b) se commesso in uno Stato ma una sua parte significativa ha luogo in un altro Stato, c) se commesso in uno Stato ma coinvolge un gruppo criminale organizzato che svolga attività criminali in più di uno Stato, oppure d) se commesso in uno Stato ma produce effetti significativi in un altro Stato.

presentando elementi di sicuro rilievo internazionale, in particolare per le modalità operative, i soggetti interessati e i beni giuridici offesi, non comportano l’attivazione della giustizia penale internazionale in senso proprio, ma sono, piuttosto, contrastati dagli Stati attraverso strumenti di collaborazione tra autorità giudiziarie e di intelligence. Si tratta, cioè, di fatti penalmente rilevanti che coinvolgono più Paesi, riconosciuti nei trattati internazionali o nelle risoluzioni delle organizzazioni internazionali, ma non ancora nel diritto consuetudinario, e per questo denominati «treaty crimes»59, esclusi dalla giurisdizione della Corte penale internazionale. In tale categoria si fanno rientrare, per esempio, i fatti di pirateria, di traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, di commercio illegale di armi, di riciclaggio. Mentre i crimini internazionali sono reati di gravità tale da coinvolgere gli interessi dell’intera comunità internazionale, i crimini transnazionali si ritengono lesivi soltanto degli interessi delle vittime dirette. Inoltre, i crimini internazionali sono fatti realizzati su vasta scala, spesso per conto o nell’interesse di uno Stato, pertanto si rende necessario l’intervento di un organismo giurisdizionale di livello sovranazionale, terzo rispetto alle autorità statali, mentre i crimini transnazionali sono normalmente commessi da individui od organizzazioni che perseguono scopi essenzialmente privati e sono, per lo più, compiuti in danno degli Stati, i quali cooperano tra loro per contrastarli.

Per quanto attiene al terrorismo, dobbiamo sottolinearne la controversa dimensione giuridica come crimine internazionale o transnazionale: le difficoltà di classificazione degli atti terroristici si manifestano prevalentemente con riguardo alle ipotesi in cui essi vengano compiuti in via autonoma, ma in alcuni casi risulta altrettanto controversa la possibilità di qualificarli come modalità esecutive di altri crimini

59 Cfr. Articolo The exclusion of treaty crimes from the jurisdiction of the proposed International Criminal Court: law, pragmatism, politics, tratto da Journal of conflict and security law. (1998).

internazionali, cioè dei crimini di guerra o di quelli contro l’umanità. L’esclusione del terrorismo dalla competenza di qualsivoglia organo di giustizia internazionale si spiega, essenzialmente, con la difficoltà di addivenire ad una definizione della relativa fattispecie terroristica, che sia generalmente condivisa nella Comunità internazionale. Da ciò deriva la tendenza degli Stati a ritenere che gli atti terroristici siano più efficacemente perseguibili a livello nazionale, formulando adeguate fattispecie incriminatrici e determinando le relative sanzioni. La perdurante assenza di un accordo generale per una definizione globale ed onnicomprensiva del terrorismo, inteso come autonomo crimine internazionale, ha contribuito a far sì che l’intervento della comunità degli Stati, a fronte dell’allarme suscitato dal fenomeno terroristico, si sia concretizzato nell’adozione, in seno all’ONU, di numerose convenzioni internazionali, le quali sono state rivolte a disciplinare, specificamente, la cooperazione interstatuale in riferimento a determinate tipologie di atti terroristici: dirottamento aereo, pirateria d’alto mare, rapimenti di persone protette a livello internazionale, presa di ostaggi civili, atti illeciti compiuti contro imbarcazioni marittime civili, attentati terroristici mediante l’utilizzo di esplosivi, finanziamento di organizzazioni e attività terroristiche. Si tratta, dunque, di un metodo settoriale di contrasto al fenomeno terroristico, che da un lato presenta il vantaggio di attribuire rilevanza a condotte specifiche, ma dall’altro lato espone al rischio di eventuali lacune.

Pur presentando ciascuno le proprie peculiarità, i trattati adottati a livello mondiale, per combattere il terrorismo, rispondono ad un modello comune60, consistente nell’imporre agli Stati aderenti l’obbligo

di prevedere come reati, nelle rispettive legislazioni nazionali, le fattispecie indicate dalle convenzioni stesse, ovvero di adottare standard minimi di controllo in determinati settori in modo da impedire

ai terroristi il reperimento dei mezzi necessari ad attuare i loro piani; inoltre, lo Stato nel cui territorio si trovi il presunto responsabile di atti terroristici è, poi, tenuto a processarlo oppure ad estradarlo allo Stato che ne faccia richiesta, secondo il noto principio aut dedere aut iudicare61.

2.3 Convenzione europea per la repressione del