4. L'AMMISSIONE DEI CITTADINI DI PAESI TERZI PER MOTIVI DI STUDIO
4.2. L'ACCESSO ALLE ATTIVITÀ ECONOMICHE DEGLI STUDENT
La questione della regolamentazione degli accessi assume rilevanza unicamente in relazione all'ingresso degli studenti in un secondo Stato membro per completare il proprio ciclo di studi, atteso che è solo alla citata categoria di persone a cui riconosciuti margini di ingresso nel mercato del lavoro degli Stati membri e, al contempo, la possibilità di avvalersi dei circuiti di mobilità delineati dal legislatore.
Come di consueto, la reale portata delle ripercussioni che potrebbero prodursi sugli altri Paesi membri, sui loro mercati del lavoro e, di guisa, sulle stesse chances di ingresso degli stranieri 'non privilegiati' a fronte della decisione di uno Stato membro di ammettere uno studente sul proprio territorio risulta essere
223
Sul punto si v. le considerazioni espresse dalla Co rte nella sentenza del 28 aprile 2011, C -61-11,
Hassen El Dridi alias Soufi Karim, ptt. 55-57.
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Il considerando n. 14 della d irettiva stabilisce che l'a mmissione possa essere rifiutata allorquando “il cittadino di paesi terzi interessato costituisca una potenziale minaccia per l'ord ine pubblico o la sicure zza pubblica”, con la prec isazione che nei concetti in questione rientrano pure i casi in cui lo straniero fa o ha fatto parte di un'organizza zione terroristica ovvero nutre o ha nutrito aspirazion i estremistiche.
225L'art. 27 bis, co. 1, de l tu immig ra zione (d.lgs. 286/98), frutto delle modifiche introdotte col
d.lgs. 154/07 di recepimento della direttiva 2004/114 stabilisce che “con decreto del Min istero della solidarietà sociale, d i concerto con il Min istero dell'interno e degli a ffari esteri, da e manarsi entro il 30 g iugno di ciascun anno, è determinato il contingente annuale degli stranieri a mmessi a partecipare a programmi d i volontariato ai sensi del presente testo unico”.
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fortemente condizionato dal riconoscimento a monte dell‟esclusivo potere statale di decidere degli ingressi per motivi economici dei cittadini di paesi terzi nell'Ue. Sotto il profilo dell'an, le previsioni contenute nella direttiva appaiono (solo) astrattamente in grado di allentare le maglie regolative intessute dagli attori nazionali in funzione della regolamentazione dell'accesso al lavoro.
Schermandosi dietro la pretesa peculiarità delle migrazioni per motivi di studio, che si pretende essere “temporanee per definizione” e non dipendenti “dalle condizioni del mercato del lavoro nello Stato membro” (considerando n. 7), il legislatore europeo traccia i contorni del diritto di accesso al mercato del lavoro (nel primo e nel secondo Stato membro) da riconoscere agli studenti stranieri specificando che l'impiego deve essere funzionale alla copertura parziale delle spese sostenute per il compimento del ciclo di studi (considerando n. 18) e, nondimeno, che esso rimane in ogni caso soggetto all'insieme di limitazioni esplicitate nel testo dell'atto normativo.
Ai sensi dell'art. 17 gli studenti hanno il diritto di esercitare un'attività economica in qualità di lavoratori dello Stato membro ospitante – ancorché di seconda destinazione - al di fuori delle ore dedicate al programma di studio e, comunque, entro il limite massimo di ore (giornaliere, settimanali o mensili) decise a livello interno, “con un limite minimo di dieci ore per settimana, o l'equivalente in giorni o mesi per anno” (art. 17, pt. 2).
Dal tenore letterale della citata disposizione parrebbe, pertanto, potersi dedurre che qualora gli Stati membri abbiano ammesso un soggetto nel proprio territorio a fronte del positivo soddisfacimento dei requisiti richiesti dagli artt. 6 e 7 ai fini dell'ingresso per motivi di studio, quest'ultimo possa esercitare un'attività economica (subordinata o autonoma) funzionale al proprio mantenimento seppure con le limitazioni temporali descritte nella direttiva.
Ciò che induce a ritenere che la previsione di circuiti di accesso al lavoro per gli studenti abbia conseguenze contenute sulla consistenza quantitativa e qualitativa dei mercati del lavoro degli Stati membri è l'inserimento ne l tessuto della
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normativa di una clausola di opzione che consente ai Paesi membri di prendere in esame la situazione del mercato del lavoro interna ai fini del rilascio del permesso. Ma anche la precisazione, di poco successiva, che “lo stato membro ospita nte può limitare l'accesso alle attività economiche nel primo anno di soggiorno” (art. 17, pt. 3).
In relazione alla portata della prima disposizione taluna dottrina, pur ammettendo la natura eccezionale delle limitazioni al mercato del lavoro in virtù del richiamo contenuto nel considerando n. 18 del Preambolo della direttiva, ha fatto discendere dalla considerazione che nella stessa non viene in alcuno modo garantito un diritto alla parità di trattamento in materia di accesso all'impiego rispetto ai cittadini europei la possibilità per gli Stati di introdurre limitazioni, eventualmente anche assolute, all'esercizio di attività economiche da parte degli studenti226.
Diversamente, una diversa corrente dottrinale ritiene che un'interpretazione della clausola atta a legittimare una restrizione assoluta all'accesso all'impiego dei cittadini di paesi terzi residenti sul territorio per motivi di studio, così come la previsione di escamotages giuridici atti a consentire agli Stati di delimitare i confini dei circuiti di accesso al lavoro degli studenti, si pongano irrimediabilmente in contrasto con i principi generali che informano l‟Unione ed in particolare col principio di proporzionalità227.
Tale interpretazione, oltre che dalla Corte di giustizia, è stata di recente avvallata dalla Commissione.
Nella relazione sullo stato di implementazione della direttiva a quattro anni dalla scadenza del suo termine di recepimento ha osservato che le limitazioni all'accesso al mercato del lavoro vanno esaminate con attenzione atteso che “gli studenti cittadini di paesi terzi non devono essere trattati come normali lavoratori: il loro accesso all'impiego è già limitato in termini di orario e se la situazione del
226Hailbronner, Sch ieber, Council Directive 2004/114/EC of 13 December 2004 on the conditions
of admission of third-country nationals for the purposes of studies, pupil exchange, unremunerated training or voluntary service, in Hailbronner (ed), EU Immigration and Asylum Law, Beck– Hart–
No mos, 2010, p. 287 ss., ivi pp. 353-354.
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mercato del lavoro è invocata sistematicamente ciò potrebbe in pratica e scluderli del tutto da tale mercato, cosa che pregiudicherebbe la finalità della direttiva”228
. Quanto, poi, a quella disposizione che consente agli Stati membri di restringere il diritto degli studenti di accedere ad attività lavorative nel corso del primo anno di permanenza sul territorio229, si rammenta che norme di contenuto analogo sono presenti sia nella direttiva 2003/86 in materia di ricongiungimento familiare, che nella direttiva 2003/109 in materia di lungo soggiornanti230.
La logica sottesa a disposizioni di siffatta natura è evidentemente quella di evitare l'ingresso nel mercato del lavoro di flussi 'altri', sottratti cioè alla determinazione statale, celati sotto le mentite spoglie della migrazione per motivi di studio; tuttavia, attesa la crucialità dell'orizzonte lavorativo all'interno del sistema migratorio231, non sono da trascurare gli effetti potenzialmente dissuasivi rispetto al fattivo esercizio della mobilità paventati da un tal genere previsioni. Ulteriori derive detrimenti appaiono, infine, direttamente collegate al mancato inserimento nel corpo della direttiva di un richiamo all'operatività del principio di parità di trattamento, potendo ipotizzarsi un trattamento deteriore nei confronti di coloro che vengono autorizzati ad accedere al mercato del lavoro dello Stato membro ospitante.
228
COM(2011) 587 def., p. 8.
229Si v. l‟art. 17, pt. 3. Dalla relazione di imp lementazione della direttiva redatta dalla
Co mmissione si apprende che la previsione di una limitazione all'accesso all'occupazione nel primo anno di soggiorno oscillante tra i sei e i 12 mesi è stata prevista esclusivamente da cinque Stati me mb ri.
230Si v., segnatamente, l'art.14, pt. 2,della d ir. 2003/ 86/ Ce e l'art. 21, pt. 2, della dir. 2003/ 109/ Ce. 231
Per a lcune considerazioni sul punto, v. Livi Bacc i, In cammino. Breve storia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2010, pp. 95-96.
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SOMMARIO PARTE SECO NDA: 1. Premessa – 2. L‟attrazione (indiretta) dei cittadini di paesi terzi nell‟ambito di applicazione della normativa europea – 3. La tutela della vita familiare del cittadino europeo migrante – 4. Il trattamento dei familiari cittadini di Paesi terzi nella giurisprudenza più recente della Corte di giustizia – 5. Il caso Metock: breve ricostruzione del fatto – 5.1 Il diritto comunitario e la portata dei diritti di ingresso e di soggior no dei familiari extracomunitari – 5.2 La natura 'fondamentale' del diritto alla vita familiare dei cittadini Ue – 6. Una chiave di lettura del rapporto tra condizione giuridica dei cittadini di paesi terzi e le politiche migratorie nazionali
1. PREMESSA
Nell‟estate del 2008 la Corte di giustizia ha dipanato alcuni dei dubbi attinenti l‟ambito di operatività delle previsioni normative comunitarie in materia di ricongiungimento dei cittadini comunitari migranti con i propri familiari provenienti da paesi terzi, stabilendo che il diritto di accesso e di residenza di tali soggetti sul territorio del paese membro ospitante il proprio congiunto non può essere subordinato al requisito del previo soggiorno (legale) sul territorio di un altro Paese europeo232.
Sulla scorta del vivace dibattito innescato dalla sentenza in questione, nel mese di luglio 2009 la Commissione europea ha inviato al Parlamento e al Consiglio una comunicazione concernente gli orientamenti per un miglior recepimento ed una migliore applicazione della direttiva 2004/38/Ce relativa al diritto dei cittadini dell‟Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri233.
Con l‟adozione di tale atto la Commissione affronta organicamente le 'questioni di cittadinanza' dei familiari di cittadini Ue che sono cittadini di paesi terzi e, segnatamente, la portata dei diritti di circolazione garantiti ai medesimi dal Trattato e dalla normativa derivata, fornendo agli Stati una serie di guide lines atte
232
Cgce sentenza 25 luglio 2008, C- 127/ 08, Blaise Baheten Metock e a.
233Direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004 relativa al d iritto dei cittadini dell‟Un ione e dei loro
fa miliari di circola re e soggiornare libera mente nel territorio degli Stati me mb ri, che modifica il regola mento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 72/194/CEE, 73/148/ CEE, 75/ 34/ CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/ CEE e 93/96/ CEE; si v., inoltre , la Co municazione della Co mmissione al Parla mento europeo e al Consiglio concernente gli orienta menti per un migliore recepimento e una migliore applica zione della d irettiva 2004/ 38/ CE relat iva al diritto dei cittadini dell'Un ione e dei loro familiari di circo lare e di soggiornare libera mente sul territorio degli Stati me mb ri - COM(2009) 313 definit ivo.
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ad “apportare un effettivo miglioramento a favore di tutti i cittadini Ue e a fare dell‟Unione uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.
Premessi, dunque, brevi cenni sulla disciplina del ricongiungimento familiare all‟interno dell'arena sovranazionale, ci si soffermerà ad analizzare lo status dei familiari extracomunitari di cittadini (a loro volta, migranti) europei, indugiando sul potenziale profilo di criticità nel rapporto tra politiche nazionali di determinazione e contingentamento dei flussi migratori e politica della libera circolazione comunitaria innescato dalla lettura espansiva del diritto europeo effettuata dalla Corte (anche) alla luce di quella disposizione della Convenzione sui diritti umani e le libertà fondamentali firmata a Roma nel 1950 posta a presidio del rispetto dei legami familiari234.
A fronte di un percorso di armonizzazione che nel settore dell‟immigrazione, nonostante la „comunitarizzazione‟ della materia avvenuta ad Amsterdam si è ribadito ripetutamente essere ben lungi dal dirsi conc luso, pare in effetti particolarmente interessante rilevare l‟esistenza di un‟area, qual è quella deputata alla regolazione della condizione giuridica del familiare extracomunitario di un cittadino dell‟Unione che abbia esercitato o intenda esercitare le prerogative riconosciutegli dal Trattato in virtù del proprio status civitatis, in cui la disciplina comunitaria sulla libera circolazione, risentendo degli echi della giurisprudenza di Strasburgo nel campo della tutela della vita familiare, potrebbe incidere in modo significativo sulle politiche nazionali di controllo dell‟immigrazione.
A ben vedere, sebbene la Comunità si sia occupata già da tempo risalente di garantire il rispetto del diritto all‟unità familiare dei propri cittadini, attraendo per via indiretta tra i destinatari delle norme sulla libera circolazione anche i loro familiari extracomunitari al fine precipuo di non ledere il diritto di libera
234Ai sensi dell‟art. 8 della Cedu: “1. Ogn i persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e
fa miliare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell‟esercizio d i tale d iritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l‟ord ine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la prote zione della salute o della mo rale , o la protezione dei d iritti e delle libertà altru i”.
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circolazione dei primi, è stata proprio la Corte di giustizia ad avere chiarito la portata progressiva (e progressista) di questa normativa.
Attraverso una lettura ampia della cittadinanza e delle prerogative ad essa collegate effettuata dal giudice europeo attraverso il prisma dei diritti fondamentali e, in particolare, del diritto al rispetto della vita privata e familiare, il percorso verso l‟acquisizione di uno status di (quasi)citizenship di tale categoria di migranti - che si concreta indubbiamente anche nell‟accesso per 'vie traverse' all‟area dell‟occupazione nel territorio dello stato membro ospitante – ha finito per essere connotato da indubbi elementi di specificità. Specificità che, tuttavia, non esime la disciplina in questione dal palesare indiscutibili profili di criticità.
Da un lato, riprendendo le inquietudini palesate dagli Stati, l‟accennata lettura espansiva dei diritti di ingresso e di soggiorno nell‟area della ricomposizione degli affetti si rivela potenzialmente in grado di scompaginare le determinazioni statali sul versante delle politica dell‟immigrazione e dell‟accesso al sistema di welfare, dando il via ad un temuto 'effetto moltiplicatore0 delle presenze straniere sul territorio e, di conseguenza, anche sul mercato del lavoro nazionale.
Dall‟altro lato, l‟attribuzione ai medesimi soggetti di un diritto di ingresso e di soggiorno sul territorio degli Stati membri in virtù del 'solo legame familiare', evidenziando l‟insussistenza di una nozione di unità familiare condivisa a livello comunitario, induce ad interrogarsi sull‟eventuale esistenza di cause di giustificazione alla disparità di trattamento che si verrebbe a creare “rispetto ai cittadini di paesi terzi che intendono ricongiungersi con un familiare che è cittadino di uno Stato membro ma non si è spostato all‟interno della Comunità, o con un familiare cittadino di un paese terzo che soggiorna già legalmente in uno Stato membro. (…) Nei casi da ultimo citati, i cittadini di un paese terzo vengono sottoposti ad un esame individuale prima di essere ammessi, mentre il familiare che si trova nella prima situazione non viene sottoposto a tale esame”235.
Sarà proprio ripercorrendo la fitta trama giurisprudenziale stesa dalla giurisprudenza con riguardo a detto tema che si tenteranno di delineare tratti e
235
Così l‟avvocato generale Geelhoed nelle proprie Conclusioni del 27 aprile 2006, C-1/ 05, Jia, par. 74.
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contenuto essenziale della tensione (in)generata dalle interferenze ravvisabili tra la politica europea sulla libera circolazione e la politica dell'immigrazione.
2. L'ATTRAZIONE (INDIRETTA) DEI CITTADINI DI PAESI TERZI NELL'AMBITO DI