La decisione adottata dalla Corte nel caso Metock, divenuta invero la capostipite di un filone giurisprudenziale di stringente attualità, è stata anticipata da una serie di pronunce che hanno definito le “condizioni alle quali possono essere fatti valere i diritti conferiti dal diritto comunitario derivato ai familiari di paesi terzi di cittadini comunitari” in modo in realtà ben poco coerente, svelando con ciò l‟esistenza di un‟area entro la quale le prerogative nazionali relative alla determinazione del numero di ingressi degli immigrati stranieri si prestano talora ad essere scalfite dalla lettura ampia dei diritti di cittadinanza fornita dalla Corte e ad essere di tal guisa sottratte alle logiche restrittive ed emergenziali che tendono a caratterizzare le politiche statali in materia.
Nello specifico, la Corte è stata chiamata ad individuare l‟esatta portata de i diritti conferiti ai familiari di paesi terzi di cittadini comunitari migranti e, di seguito, a chiarire se il diritto di ingresso e di soggiorno riconosciuto a questi ultimi in forza della normativa comunitaria possa essere concesso non solo a prescindere dalla
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nazionalità dell‟interessato, ma anche dal requisito del previo soggiorno legale in un altro Stato membro.
Ipotesi, quest‟ultima, atta a ricomprendere sia il caso del soggetto residente illegalmente sul territorio europeo prima della richiesta di riunificazione familiare sia il caso di colui il quale si appresti ad entrare per la prima volta in Europa direttamente dal paese terzo di origine.
A questo proposito come si è già avuto occasione di anticipare, l‟art. 10 del regolamento 1612/1968 e l‟art. 1 della direttiva 73/148 – come del resto, successivamente, la direttiva 2004/38/Ce – erano silenti, limitandosi a riconoscere ai coniugi dei lavoratori subordinati autonomi e agli ascendenti a carico, a prescindere dalla loro nazionalità, un diritto di stabilimento sul territorio dello Stato membro ospitante il proprio congiunto.
Peraltro, l‟accennata competenza statale nel settore dell‟immigrazione comporta, almeno in linea teorica, che la prima ammissione di un cittadino extracomunitario sul territorio nazionale sia subordinata ad un esame individuale dell‟interessato, che andrà condotto pur sempre avendo riguardo agli obblighi e alle limitazioni imposti dal rispetto della vita familiare protetto all‟interno di numerose convenzioni internazionali e, per quanto di interesse, dall‟art. 8 della Cedu.
Nelle sentenze MRAX del 2002 e Commissione c. Spagna del 2005 i giudici europei “tenuto conto dell‟importanza che il legislatore comunitario ha ricollegato alla protezione della vita familiare” (par. 53 e 61 della sentenza) allo scopo di sopprimere gli ostacoli all‟esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato257, ha subordinato il diritto di soggiorno riconosciuto dalla legislazione comunitaria al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell‟Unione, alla sussistenza del 'solo legame familiare', deducendo l‟illegittimità delle misure di espulsione motivate esclusivamente in virtù dall‟inosservanza di formalità di legge relative al controllo degli stranieri (par. 73-80 della sentenza MRAX), nonché il carattere meramente ricognitivo del rilascio del titolo di soggiorno a detto familiare (par. 28 della sentenza Commissione c. Spagna).
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Cgce 25 lug lio 2002, C-459/ 99, MRAX , in Racc. p. I-6591 e Cgce 14 aprile 2004, C-157/03,
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Diversamente, nella sentenza Akrich, la Corte ha utilizzato un criterio più restrittivo.
Il signor Hacene Akrich altri non era che un cittadino di origine marocchina che aveva soggiornato illegalmente in Inghilterra per un certo periodo, durante il quale aveva commesso diversi reati ed era stato inoltre sottoposto ad un provvedimento di espulsione. Rientrato illegalmente nel Regno Unito, il medesimo aveva contratto matrimonio con una cittadina britannica con la quale, a fronte dell‟ennesimo diniego del permesso di soggiorno da parte dell‟autorità amministrativa competente, aveva deciso di trasferirsi in Irlanda, fruendo dei diritti riconosciuti al familiare del cittadino europeo migrante. Una volta tornata in Gran Bretagna, la coppia aveva tentato inutilmente di far valere i diritti conferiti ai familiari dei cittadini- lavoratori comunitari dall‟art. 10 del regolamento n. 1612/68, così come interpretato dalla Corte nella causa Singh258, ma si era vista opporre un netto rifiuto delle autorità inglesi, motivato in ragione dell‟intento fraudolento che sarebbe stato sotteso al trasferimento della coppia sul suolo irlandese.
Successivamente, il giudice a quo innanzi al quale era stato impugnato il provvedimento di diniego da ultimo citato aveva interpellato i giudici europei domandando, in buona sostanza, se sulla scorta dell‟interpretazione delle previsioni in materia di libera circolazione rese in precedenza dalla stessa Corte dovesse inferirsi che la normativa nazionale sia destinata a rimanere inapplicata nel caso di coniugi di cittadini comunitari extracomunitari che, nel momento in cui potrebbero far valere benefici fondati sull'ordinamento comunitario, non siano ancora legittimati a soggiornare nel territorio dell'Unione europea
Ebbene, nel caso di specie, la Corte ha affermato che il beneficio del diritto di soggiorno riconosciuto al familiare di un cittadino dell‟Unione che si trasferisce in uno Stato membro nel quale il cittadino dell‟Unione sia migrato è subordinato alla condizione della previa residenza legale nel territorio di un altro Stato membro
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(par. 50), in quanto il reg. 1612/68 si limita a disciplinare la libera circolazione “all‟interno della Comunità” (par. 49).
Salvo precisare, poi, nel prosieguo della decisione, che “quando il matrimonio è autentico e, al momento del ritorno del cittadino dell'Unione nello Stato membro di cui egli ha la cittadinanza, il suo coniuge, cittadino di un paese terzo, con il quale egli viveva nello Stato membro che lascia, non soggiorna legalmente sul territorio di uno Stato membro, occorre tuttavia tenere conto del diritto al rispetto della sua vita familiare ai sensi dell'art. 8 della Cedu” (pt. 58) nell‟ambito del procedimento prodromico al rilascio del permesso di soggiorno259.
Provando a tirare le fila del ragionamento della Corte sembra quasi che il diritto di soggiorno del familiare cittadino extracomunitario, una volta uscito dalla porta principale (ovvero le disposizioni interne sulla libera circolazione), possa comunque essere fatto rientrare dalla finestra (ovvero il diritto fondamentale alla vita privata e familiare protetto dall'art. 8 della Cedu).
Fuor di metafora, è indubbio che le conclusioni rese dalla Corte in Akrich abbiano evidenziato la sussistenza di una possibile “biforcazione” delle fonti del diritto al ricongiungimento dei migranti europei con i propri familiari privi della cittadinanza260.
Da un lato, alcune famiglie traggono il proprio diritto di vivere congiuntamente sul territorio dello stato membro direttamente dalla disciplina comunitaria sulla libera circolazione.
Sul versante opposto, altri nuclei familiari potranno vedere tutelato il proprio diritto alla vita familiare (solo) in forza dell‟applicazione dell‟articolo 8 della Cedu, che si fa carico di imporre agli stati un giusto contemperamento tra il rispetto della vita familiare e la protezione degli interessi pubblici sottesi all‟eventuale diniego del permesso di soggiorno.
259Tale inciso, secondo la dottrina, segna l‟emersione “in ambito co munitario di un diritto alla vita
familiare: in questa sentenza la Corte sembra, infatti, utilizzare il parametro dell‟art. 8 della Cedu come un parametro proprio”. Così Ninatti, Il diritto alla vita familiare all‟esame della Corte di
giustizia, in Cartabia (a cura di), I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, Il Mulino, Bo logna, p. 239 ss., ivi p. 267.
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Da qui, l‟esigenza di chiarezza invocata dall‟avvocato generale Geelhoed nelle Conclusioni presentate in un caso di poco successivo, che è stato risolto, tuttavia, in modo piuttosto stringato dalla Corte.
In Jia il giudice comunitario, evitando di prendere una posizione chiara in merito alla delicata questione dei rapporti tra diritto comunitario e nazionale nel campo dell‟immigrazione, si è in effetti limitato a precisare che il requisito del previo soggiorno legale richiesto in Akrich era legato alla peculiarità della fattispecie261.