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I L T RATTATO DI A MSTERDAM ED IL NUOVO APPROCCIO EUROPEO ALLA MIGRAZIONE LEGALE

1. L'EUROPA E LA MIGRAZIONE PER MOTIVI DI LAVORO.

1.2. I L T RATTATO DI A MSTERDAM ED IL NUOVO APPROCCIO EUROPEO ALLA MIGRAZIONE LEGALE

Il primo visibile cambiamento di rotta nell'approccio delle istituzioni europee al tema della migrazione legale va fatto risalire al periodo immediatamente successivo all'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam.

Nell'ottobre del 1999 il Consiglio europeo di Tampere, con il coraggio ispirato dall'afflato riformatore che aveva accompagnato la ratifica del Trattato, aveva incluso tra gli aspetti necessari a garantire il fair treatment dei cittadini di paesi terzi legalmente soggiornanti nell'Ue l‟esigenza di decisioni rapide sul “ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei paesi terzi, in base a una valutazione

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comune sia degli sviluppi economici e demografici all‟interno dell‟Unione sia della situazione dei paesi di origine” (par. 20 delle conclusioni della Presidenza). Tale obiettivo era stato ripreso dalla Commissione nella prima comunicazione dedicata alla politica comunitaria in materia di immigrazione: dando atto dell'inadeguatezza delle politiche di immigrazione zero attuate dagli attori nazionali nel corso del trentennio precedente in rapporto al mutato contesto socio- economico307, l‟istituzione europea suggeriva di approcciare il feno meno migratorio con sguardo lungimirante.

Facendo proprie le conclusioni della ricerca sociologica, pressoché concorde nel ritenere che la migrazione verso il continente europeo avesse assunto la fisionomia di un fenomeno permanente308, destinato a proseguire in futuro e quindi da regolare adeguatamente operando in modo congiunto per cercare di massimizzarne gli effetti positivi per l‟Unione, per gli immigrati stessi e per i paesi di origine, la Commissione concludeva essere “venuto il momento di esaminare le esigenze a lungo termine dell‟Ue nel suo complesso, di valutare in che misura possano essere soddisfatte dalle attuali risorse e di definire una politica a medio termine di ammissione graduale e controllata di cittadini di paesi terzi per colmare le carenze individuate”.

E l'anno successivo presentava una proposta di direttiva – sul cui contenuto gli Stati non raggiunsero mai un accordo in seno al Consiglio - dedicata alla disciplina delle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendessero svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo309.

Lo scopo della direttiva era, in buona sostanza, quello di definire “un quadro normativo armonizzato a livello dell'Unione in materia di condizioni di ingresso e di residenza dei cittadini di paesi terzi ai fini dello svolgimento di un'occupazione

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Definito dalla Co mmissione, appena qualche anno dopo, quale “scenario di necessità”. Cfr. COM(2005) 669 def.

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Zanfrin i, Sociologia delle migrazioni, cit., p. 112.

309COM(2001) 386 in GUCE n. 332 del 27 novembre 2001. Per un commento sulla proposta di

direttiva v. a lmeno Ryan, The EU and Labour Migration, in Ba ldaccini, Gu ild, Toner (eds), Whose

Freedom, Security and Justice?.., cit., p. 499; Manca, L'immigrazione nel diritto.., cit., p. 232 ss.;

Ce lla ma re, Diritto dell'immigrazione..., cit., p. 145 ss.; Peers, Rogers, Legal Migration..., cit., p. 661 ss. Questi ultimi manifestano peraltro qualche perplessità in merito alla co mpatibilità della proposta di direttiva con i d iritti u man i protetti dalle carte internazionali.

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retribuita e di attività lavorative autonome” nonché le procedure finalizzate al rilascio di un titolo unico in grado di combinare in unico atto amministrativo il permesso di soggiorno e di lavoro.

La proposta legislativa avanzata dall'organo europeo era racchiusa in un atto indubbiamente corposo, composto di trentasette articoli suddivisi in sei titoli: il primo dedicato alle disposizioni generali (artt. 1-3); il secondo relativo all'ingresso e al soggiorno ai fini dello svolgimento di un'attività di lavoro subordinato suddiviso in due sezioni: l'una dedicata alle norme generali (artt. 4-11), l'altra a categorie specifiche di lavoratori (artt. 12-16); il terzo relativo all'ingresso e al soggiorno ai fini dello svolgimento di un'attività di lavoro autonomo (artt. 17-24); il quarto contenente quattro disposizioni orizzontali (artt. 25-28); il quinto intitolato 'Procedura e trasparenza' (artt. 29-31); il sesto, infine, contenente le disposizioni finali (artt. 32-37).

Come è stato condivisibilmente fatto notare in sede dottrinale l'atto in questione pur muovendo, almeno formalmente, da presupposti differenti da quelli che avevano ispirato l'intervento delle istituzioni europee sul finire degli anni novanta, continuava a palesare la persistenza di numerosi elementi di carattere restrittivo ispirati alle politiche contenimento dell‟immigrazione accompagnati, però, da spiragli di maggior apertura310.

Si pensi, su tutto, all‟estensione del novero dei potenziali istanti: se la proposta della Commissione fosse stata approvata senza modifiche, la direttiva si sarebbe spinta sino a ricomprendere nel novero di potenziali beneficiari della norma coloro che storicamente erano stati sempre esclusi dal campo di applicazione delle soluzioni regolative che avevano solcato l'arena sovranazionale.

Si trattava, nello specifico, dei cittadini di paesi terzi già residenti regolarmente nello Stato membro (ad esempio, in forza un permesso di soggiorno rilasciato per motivi di studio), ma anche di coloro i quali si trovavano legalmente sul territorio per ragioni temporanee (in quanto titolari, cioè, di un visto turistico, di un visto per cercare lavoro o un visto per la domanda di permesso di lavoro).

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Ryan, The EU and Labour Migration, in Ba ldaccini, Gu ild, Toner (eds), Whose Freedom,

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Ebbene, nella proposta della Commissione tali soggetti avrebbero avuto titolo per avviare l'iter di rilascio del permesso di soggiorno- lavoratore implementato dalla direttiva.

In linea con la propria precedente proposta, l'ammissione per lo svolgimento di un'attività di lavoro subordinato sul territorio di uno stato membro veniva fatta dipendere dal rilascio di un atto amministrativo – che può già dirsi, però, avere caratteristiche peculiari - al termine di un esame volto ad acclarare il soddisfacimento dei requisiti indicati negli articoli 5, pt. 3 e 6 della direttiva. Ad essere richiesto era, in particolare, che l'aspirante lavoratore subordinato dimostrasse di possedere un contratto di lavoro valido o un'offerta vincolante di lavoro e, nondimeno, garantisse l‟avvenuto superamento della cd. 'prova della necessità economica' disciplinata con le modalità descritte nel successivo art. 6. Nella logica della „concorrenza verso modelli di successo‟ agli Stati era lasciata facoltà di fare dipendere l'esito positivo del labour market test oltre che all'espletamento, in linea di principio obbligatorio311, della procedura di collocamento ordinaria, al superamento di certe soglie reddituali o alla corresponsione da parte del datore di lavoro di un determinato importo alle autorità competenti (art. 6, ptt. 4-5).

All‟interno della proposta, disposizioni specifiche deroganti il principio della necessità economica erano previste a favore dei lavoratori stagionali, dei lavoratori transfrontalieri e dei lavoratori in trasferimento interno nella sezio ne seconda del titolo II.

Tra di esse, merita di essere ricordata la disposizione volta ad estendere ai migranti per motivi di lavoro l'accesso graduale al nucleo di diritti di cui all'art. 11 della direttiva tra i quali è d‟obbligo menzionare la garanzia di un trattamento

311In un'ottica di libera lizza zione, i destinatari della direttiva venivano lasciati liberi di prevedere

disposizioni più favorevoli – e quindi, se del caso, di esime re dalla prova della necessità economica - i soggetti rico mpresi nelle categorie e lencate nell'a rt. 3, pt. 4, della proposta. Si trattava, nello specifico, di: rice rcatori e specialisti accade mici, min istri di culto e me mbri del cle ro e di ord ini religiosi; sportivi professionisti; artisti; giornalisti e rappresentanti di organizza zioni senza fini di lucro.

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sostanzialmente analogo a quello riservato ai cittadini dell'Unione nei settori ivi elencati312.

Da parte loro, le procedure atte a sovrintendere l'ingresso degli aspiranti imprenditori erano concepite come parallele rispetto a quelle dettate con riferimento ai lavoratori subordinati e venivano disciplinate negli artt. 18 e 19 della proposta.

Particolare risalto veniva attribuito alla dimostrazione che i loro mezzi finanziari comprendessero risorse proprie (articolo 18, paragrafo 3, lett. c), della direttiva), all'allegazione di un piano d'affari dettagliato e del fatto che l'attività economica costituirà un'opportunità di occupazione per il richiedente e avrà un effetto positivo sullo sviluppo economico dello Stato membro interessato” (cd. prova degli effetti benefici).

Per altro verso, sempre in una logica di contingentamento degli ingressi, il soddisfacimento delle condizioni richieste dagli artt. 5 e 6 e dagli artt. 18 e 19 non garantiva il rilascio automatico del titolo di soggiorno e lavoro e il susseguente accesso all'insieme di diritti previsti dal citato art. 11.

Ai Paesi membri era difatti espressamente consentito di adottare disposizioni interne tese a limitare il numero di permessi rilasciati ai sensi della direttiva o a sospenderne o interromperne il rilascio in considerazione della capacità complessiva di accogliere e integrare cittadini di paesi terzi nel proprio territorio, in omaggio al riconoscimento in loro capo dell'esclusivo potere di determinare il volume di ammissione di cittadini di paesi terzi sul territorio313.

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Art. 11. Peers, Rogers, EU Immigration Law.., cit., p. 683 criticano il grado di equità garantito agli stranieri dalla direttiva. In partico lare, non sarebbe garantita l'a pplica zione di a lcune regole sostanzia li scaturenti dalla disciplina della libera circola zione delle persone nè un'adeguata protezione dei lavoratori nel caso di perdita dell'imp iego né, infine, la parità di trattamento in materia di vantaggi sociali e tas se, ricerca di un alloggio e diritti sindacali si cui all'art. 11, Dir. 2004/38/Ce .

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Art. 26. Secondo Peers, Rogers, EU Immigration Law.., cit.: “ Legally speaking Art. 26 was vague as to how any quota could be applied and how this should reflect the other provisions in the Directive, for e xa mp le as regards ranking of categories of migrants. But the underlying problem was that decisions on quotas could be driven by political and not economic considerations”. In senso contrario, vi è ch i rit iene essersi comunque di fronte ad una significativa ridu zione degli spazi di discrezionalità dell'a mmin istrazione dei singolo stati nell'esame di una richiesta di permesso di soggiorno. L'ammin istrazione sarebbe, cioè, tenuta “a verificare il soddisfacimento dei requisiti previsti, ma non è chiamata a valutare l'opportunità dell'accoglimento o del diniego

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Ma anche di negare il rilascio o il rinnovo del permesso o di revocarlo per ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza o salute pubblica, così come di impedire l'accesso dei cittadini di paesi terzi all'impiego nella pubblica amministrazione o alle attività connesse, anche occasionalmente, con l'esercizio di pubblici poteri314. All'atto di accoglimento della domanda, poi, gli stati erano tenuti a rilasciare un permesso di soggiorno- lavoratore subordinato o autonomo della durata iniziale di tre anni, rinnovabile per singoli periodi non superiori a tre anni.

La creazione di un'unica procedura nazionale di domanda per il rilascio di un unico titolo che riconduceva ad unità permesso di soggiorno e di lavoro subordinato o autonomo (cd. one-stop shop) rappresentava, senza dubbio alcuno, una delle novità più interessanti contenute nella proposta della Commissione. La ratio soggiacente al ravvicinamento delle legislazioni nazionali coincideva con la volontà di quest'ultima di addivenire ad una semplificazione ed un'armonizzazione delle sequenze procedurali – talora rapsodiche, come nel caso italiano315 - che consentono, con modalità differenti da paese a paese, l'ingresso degli stranieri nel paese di accoglienza.

Nonostante la direttiva lasciasse ampi spazi di manovra agli Stati membri, essa non è mai stata mai adottata a causa delle resistenze politiche emerse in sede decisionale316, esacerbate dalla sottoposizione alla procedura consultiva e alla regola dell'unanimità delle decisioni da assumere in tale area protrattasi sino all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Come se non bastasse, essa è stata oggetto di un percorso di rimeditazione culminato nella pubblicazione di un Piano

della rich iesta, se non mediante l'applicazione 'fredda' dei criteri oggettivi stabiliti dalla direttiva” (p. 685). Briguglio, I criteri di ammissione dei migranti per lavoro tra normativa italiana e

armonizzazione europea: la difficile gestazione del 'diritto di immigrazione , in DLRI, 2004, p. 729

ss., qui p. 752.

314Artt. 27 e 28.

315McBritton, La legge italiana sull‟immigrazione e l‟inclusione sociale, in Riv. dir. lav. prev.,

2007, p. 568 ss.

316La proposta di direttiva è stata abbandonata formalmente nel mese di marzo 2006 OJ C 64/ 8 del

2006. Per un riepilogo: Ryan, The EU and Labour Migration, in Baldaccini, Gu ild, Toner (eds),

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sulla migrazione legale nel mese di dicembre 2005 e nella stesura successiva di una nuova proposta di direttiva317.