1. L'EUROPA E LA MIGRAZIONE PER MOTIVI DI LAVORO.
1.1. IL TRATTATO DI MAASTRICHT E LA MIGRAZIONE PER MOTIVI DI LA VORO
Lungi dall'essere connotato da linee di tendenza omogenee, l'approccio delle istituzioni comunitarie al tema della migrazione economica ha subito nel corso del tempo oscillazioni vistose in relazione tanto agli strumenti, che al contenuto dell'azione europea.
Mentre i primi si sono evoluti sulla scia del progressivo ampliamento delle competenze comunitarie perdendo, in parte, la natura 'morbida' che li caratterizzava, il contenuto dell'intervento sovranazionale, dopo una prima fase particolarmente restrittiva imperniata sul princ ipio del contingentamento dei flussi di entrata, cui è seguito l'approccio multidimensionale partorito sulla scorta della filosofia promozionale riecheggiante nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, si è assestato attorno a standard minimi e settoriali che hanno contribuito in modo vistoso a frammentare la fisionomia dello straniero 'normotipo' fino ad allora oggetto delle cure del legislatore europeo.
La dottrina è sostanzialmente concorde nel collocare temporalmente l'ingresso nei discorsi comunitari del tema della migrazione economica a ridosso delle modifiche apportate al Trattato Ce con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht297.
In occasione della riunione dei rappresentanti dei dodici Stati membri nella cittadina olandese si era assistito, in effetti, ad uno slittamento delle materie atte a fondare una politica migratoria latamente intesa all‟interno nel “terzo pilastro” dell‟Unione, disciplinato nel successivo Titolo VI relativo alla “Cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni” e teatro della cooperazione intergovernativa tra gli stati membri.
E' stato proprio all'interno dell'orizzonte di 'giuridicità duttile' che ha preso forma all'indomani della riconduzione della materia migratoria tra le materie oggetto di un interesse condiviso dagli stati che appare possibile rintracciare alcuni strumenti normativi soft che dimostrano un'attenzione, che può già anticiparsi essere stata
297
Ryan, The EU and Labour Migration, in Ba ldaccini, Gu ild, Toner (eds), Whose Freedom,
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fortemente sbilanciata sul versante del contingentamento degli ingressi298, dell'Unione al fenomeno della mobilità per l'ingresso e lo svolgimento sul territorio degli Stati membri di un'occupazione retribuita e di attività di lavoro autonomo.
Nella risoluzione del 20 giugno 1994 sulle limitazioni all'ammissione di cittadini extracomunitari nel territorio degli stati membri per fini di occupazione legale, il Consiglio invitava gli attori nazionali a “continuare ad applicare e, se necessario, rafforzare le attuali misure restrittive sull‟ammissione di cittadini extracomunitari a fini di occupazione” attraverso una politica di contenimento degli ingressi e di incremento dei circuiti di accesso preferenziali al mercato del lavoro riservati ai cittadini in possesso della nazionalità di uno degli stati membri o in grado di dimostrare l‟esistenza di un legame significativo con lo stato ospitante299
.
Fatta eccezione per l'ipotesi in cui l'offerta di lavoro non fosse stata assorbita da cittadini comunitari o cittadini di paesi terzi residenti legalmente e a titolo permanente in detto Stato membro, l'ammissione per fini occupazionali dei lavoratori avrebbe dovuto essere consentita esclusivamente su base temporanea e per una durata determinata in forza di un'offerta di lavoro e previo rilascio di un'autorizzazione amministrativa da parte delle autorità competenti300.
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E' affermazione condivisa che tutto il periodo che va dalla metà degli anni setta nta fino all'inizio degli anni novanta “rappresenta l'idealtipo dell'accettazione condizionata o integrazione limitata, cioè del controllo leg islativo con profili normativ i più strutturati. La tecnica regolativa statale è fig lia della congiuntura economica e occupazionale e produce il contingentamen to, se non il blocco temporaneo dei flussi di entrata”, Veneziani, Il “popolo” degli immigrati e il diritto al
lavoro”..., cit., p. 515.
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Sulla risoluzione: Peers, Building Fortress Europe: the Development of EU Migration Law, in
CMLR, 1998, p. 1235; Gu ild, Niessen, The Developing Immigration..., c it., pp. 311-330 e 361-175.
Secondo Venezian i l'inserimento nell'ordina mento giuridico del princ ipio di precedenza che, come detto, “caratterizza e condiziona il rilascio del documento con cui si autorizza il sogg iorno dello straniero nel paese ospite (…) costituisce una sfida al riconoscimento costituzionale al lavoro e alla pa rità di trattamento, se si accetta l'idea che essi appartengono al rango dei diritti u mani e pertanto sono solo eccezionalmente comprimib ili” (p. 527).
300
V. pt. C, lett. i). Si è già dato conto in precedenza – v. infra § cap itolo I - d i co me nel prosieguo dell'atto venissero previste ampie opportunità di deroga ai principi generali in rela zione a categorie di soggetti accomunati da una permanenza “temporanea” sul territorio degli Stati me mb ri (ad esempio: lavoratori stagionali, apprendisti, lavoratori frontalieri), ritenuti meno dispendiosi sul piano della ripartizione costi-benefici. Nei confronti d i tali soggetti erano comunque destinate a trovare applicazione le misure descritte alla lett. V del pt. C, tese con tutta evidenza ad evitare che l'a mmissione di tali soggetti divenisse permanente.
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L'autorizzazione al lavoro iniziale avrebbe dovuto, altresì, essere limitata allo svolgimento di un impiego esclusivamente in un determinato settore di attività e con un datore di lavoro predeterminato e non modificabile nel breve periodo. Ulteriori limitazioni venivano previste con riferimento alla possibilità dei titolari di un visto turistico o di un permesso di soggiorno per motivi di studio, ai tirocinanti e ai dipendenti di un impresa fornitrice di servizi di accettare o ricercare un impiego: alla scadenza del termine fissato nei rispettivi titoli di soggiorno tali soggetti dovevano fare rientro in patria, venendo ritenuta incompatibile con la natura dei titoli in questione la permanenza sul territorio per la ricerca o lo svolgimento di un'attività lavorativa.
Analogamente, in una risoluzione coeva relativa all'ingresso dei cittadini di paesi terzi per lo svolgimento di un'attività autonoma il Consiglio ribadiva la necessità di circoscrivere l'ammissione di tali soggetti alle ipotesi in cui l'attività imprenditoriale costituisse un valore aggiunto per l'economia del paese ospitante o fosse significativa e subordinava ancora una volta l'ammissione degli imprenditori stranieri al rilascio di una autorizzazione amministrativa non cedibile e limitata nel tempo301.
Per altro verso, ulteriori segnali dell'avvenuto ingresso nell'arena sovranazionale delle questioni legate alle migrazione per motivi economici sono rintracciabili nella proposta di Convenzione relativa alle norme di ammissione di cittadini di paesi terzi all'interno degli Stati membri presentata dalla Commissione al Consiglio il 30 luglio 1997 avvalendosi delle prerogative riconosciutele dal Titolo VI del Trattato Ue302.
L'atto in questione – che non venne mai adottato dal Consiglio – stabiliva un quadro composito di regole atte a governare le politiche nazionali di ingresso e soggiorno dei cittadini stranieri sul territorio degli stati membri per motivi di lavoro subordinato e autonomo, oltre che per ragioni di studio, ricongiungimento familiare ed altre ragioni.
301Risoluzione del Consiglio del 30 novembre 1994 concernente la limitazione all'a mmissione di
cittadini di paesi terzi nel territorio degli Stati me mb ri a i fin i dell'eserc izio di un'attività professionale autonoma, in GUCE C 274 del 19 settembre 1996, p. 7 ss.
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In relazione alla gestione della migrazione economica, la premessa da cui muoveva la Commissione era sostanzialmente identica a quella fatta propria dal Consiglio nelle risoluzioni del 1994 richiamate poc‟anzi. Essa risultava, di conseguenza, appiattita su una logica di contingentamento dell'immigrazione per lavoro303.
Scorrendo le norme generali contenute nella proposta emergeva, peraltro, un invito agli Stati ad esaminare le singole domande di ammissione scrupolosamente e prestando peculiare attenzione, oltre che al concreto soddisfacimento dei requisiti prescritti ai fini dell'ingresso, alle disposizioni nazionali tese al mantenimento dell'ordine pubblico, della pubblica sicurezza e della sanità pubblica.
Con riferimento alla disciplina dell'ammissione dei cittadini stranieri ai fini dell'esercizio di un'attività di lavoro dipendente veniva confermata tanto la necessità di subordinare i meccanismi di ingresso dei lavoratori non ricompresi nell'elenco contenuto nell'art. 2 ad un market labour test teso a privilegiare nel breve periodo l'occupazione dei lavoratori europei e di quelli stranieri, rispettivamente, legalmente residenti e già inseriti all‟interno del mercato del lavoro nazionale ovvero long-term residents304, quanto la previsione che il rilascio di un permesso di soggiorno di durata massima quadriennale avrebbe dovuto continuare ad essere subordinato al possesso di un contratto di lavoro di durata minima annuale e al contestuale rilascio di un'autorizzazione al lavoro da parte della autorità competenti305.
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Nell'explanatory memorandum allegato alla proposta di direttiva COM(97) 387 def la Co mmissione osserva che ”the economic c ircu mstances which once pushed the Member States to encourage a steady, regular inflo w of immigrant workers and their settlement on the territory of the Union no longer apply. Member States have therefore adopted selective policies on admission for paid e mp loy ment and self-e mp loyed activity. Inn the Co mmission's view, the current economic and labour market situation does not permit those policies to be abandoned, though there can be no question of imag ining a zero immig ration target” (p. 4). In proposito, Guild, Primary Immigration:
the Great Myths, in Guild, Ha rlo w (eds), Implementing Amsterdam Immigration..., cit., p. 66, ivi p.
79 ss.
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Art. 7.
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Infine, merita di essere segnalata la regolamentazione, invero appena abbozzata, delle condizioni soggiacenti lo spostamento dello straniero riconosciuto come 'persona stabilitasi a titolo duraturo' sul territorio di un altro Stato membro. Dopo avere subordinato l'ingresso per motivi di lavoro in un altro Paese alla presentazione di una domanda che rispondesse ad un'offerta di lavoro rispettosa dei principi elencati nell'art. 7, l'art. 35 stabiliva che decorsi due anni dall'ingresso nel territorio del secondo Paese, quest'ultimo provvedesse a riconoscere allo straniero il titolo di lungo soggiornante mediante il rilascio di un'autorizzazione al soggiorno di durata pari a quella in base a cui gli era stato consentito l'accesso. Sull'altro versante, le attività imprenditoriali autoctone venivano protette continuando a richiedere che ai fini del rilascio dell'autorizzazione al lavoro e del permesso di soggiorno – in questo caso della durata iniziale di almeno due anni – l'attività autonoma venisse intrapresa esclusivamente in presenza di un consistente capitale iniziale proprio e fosse suscettibile, inoltre, di arrecare un non meglio precisato 'effetto positivo' sullo sviluppo economico dello Stato ospitante306.
1.2. IL TRATTATO DI AMSTERDAM ED IL NUOVO APPROCCIO EUROPEO ALLA