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4. Dal romanzo alla pellicola

4.3 L’atteggiamento della narrazione

Più volte, nel corso dell’elaborato, abbiamo visto che nel romanzo si ha a che fare con una narrazione che passa attraverso i ricordi di Elio; è proprio a partire dalla memoria del ragazzo che si sviluppa l’intero racconto: è la parola Dopo che lo porta a ripensare all’estate che ha trascorso con Oliver, tanti anni prima. Quindi, il racconto, assume un tono nostalgico: nel film questo elemento non compare. Infatti, non si ha a che fare con un ricordo di Elio, in quanto la narrazione procede in modo regolare, creando un racconto al presente, che si sviluppa intorno al punto di vista del protagonista; la malinconia per il passato si trasforma così in progetto di vita per il futuro.

Sia nel libro che nel film emerge il forte sentimento di scoperta di sé che caratterizza il giovane Elio, che si trova di fronte a delle emozioni che, da una parte, lo entusiasmano e, dall’altra, lo spaventano. Nel film, inoltre, anche la camera con vista si apre ad un orizzonte più vasto, fino ad allora sconosciuto, e si cerca di esplorare la capacità di accogliere l’altro nella sua alterità invece che ricondurlo a sé e basta: è, come lo chiama Guadagnino, una sorta di collasso del narcisismo156. Il romanzo è legato al concetto della memoria; ha una visione del tempo che viene accostata all’analisi del tempo in stile proustiana. Anche a Guadagnino il tempo della narrazione del romanzo ricorda, come ha affermato in più interviste, Proust, con uno stream of counsciousness continuo, che si avvolge nella lingua di un io narrante, quindi un’emozione unica157. Per la realizzazione del film, invece, il

156 EXCL – Chiamami col tuo nome, Luca Guadagnino: “È un film sul collasso del narcisismo”,

intervista recuperata da https://www.youtube.it (consultato a dicembre 2018).

157 Intervista a Guadagnino e Aciman al Parenti di Milano, 21/06/2018 – reperibile su

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regista si è ispirato al cinema del regista francese Maurice Pialat, in particolare alla pellicola Ai nostri amori (Á nos amours, 1983)158.

Nella prima parte del romanzo (Se non dopo, quando?) in più occasioni, possiamo leggere le emozioni di Elio, spesso anche negative nei confronti dell’ospite americano. Riportiamo qui qualche passo:

Volevo che se ne andasse da casa nostra, così sarebbe tutto finito.

Volevo che morisse, così almeno, visto che non riuscivo a smettere di pensare a lui e di preoccuparmi di quando l’avrei rivisto, la sua morte avrebbe messo fine a tutto. Volevo ucciderlo con le mie stesse mani, addirittura, per fargli capire che anche solo la sua esistenza era diventata un peso per me, che la disinvoltura con cui trattava tutto e tutti […] erano insopportabili […]. Se non lo avessi ucciso, l’avrei reso storpio a vita, così sarebbe rimasto con noi su una sedia a rotelle e non sarebbe mai tornato negli Stati Uniti. Se fosse stato su una sedia a rotelle, avrei sempre saputo dov’era, l’avrei trovato facilmente. Se fosse stato storpio, mi sarei sentito superiore a lui e sarei diventato il suo padrone.

Poi mi balenò il pensiero che mi sarei potuto uccidere io, invece, o ferirmi in modo grave, e poi fargli sapere perché lo avevo fatto. Se mi fossi sfigurato il viso, avrei voluto che mi guardasse e si chiedesse perché, perché qualcuno possa arrivare a tanto, finché, anni e anni dopo – sì, Dopo! – avrebbe ricomposto le tessere del puzzle e sbattuto la testa contro il muro159.

Elio è come ossessionato da Oliver, vorrebbe essere a conoscenza di tutti i suoi spostamenti ed è spaventato dall’idea di poterlo perdere:

La paura non mi abbandonava mai. Mi svegliavo con la paura, la osservavo trasformarsi in gioia appena lo sentivo farsi la doccia e sapevo che sarebbe sceso a fare colazione con noi, poi la vedevo inasprirsi quando lui, invece di bere il caffè, si

158 Intervistando/Luca Guadagnino si racconta, intervista al regista, svoltasi a Milano il

22/02/2018 – reperibile sul sito https://www.gerundiopresente.wordpress.com (sito consultato a gennaio 2019).

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fiondava fuori casa e si metteva a lavorare in giardino. Per mezzogiorno, l’agonia di aspettare che mi dicesse qualcosa, qualunque cosa, era diventata insopportabile. Sapevo che dopo un’oretta mi attendeva il divano. Odiavo me stesso perché mi sentivo così sventurato, completamente invisibile, afflitto, immaturo. Dimmi qualcosa, Oliver, toccami, non chiedo altro. Se mi guardi abbastanza a lungo, vedrai che ho le lacrime agli occhi. Bussa alla mia porta di notte e forse la troverai aperta per te. Entra. C’è sempre posto nel mio letto.

Ciò che più mi spaventava erano i giorni in cui non lo vedevo per tanto tempo – a volte interi pomeriggi e sere senza sapere dov’era stato160.

Inoltre, nel corso della narrazione, si ha a che fare con i sogni di Elio, che talvolta potrebbero sembrare reali, da quanto vengono descritti minuziosamente. Nel secondo capitolo del romanzo, La collina di Monet, ad esempio, possiamo leggere:

Quella notte, per l’ennesima volta, una risposta arrivò, benché in un sogno che, di per sé, era un sogno nel sogno. Mi svegliai con un’immagine che mi diceva più di quanto volessi sapere, come se, pur avendo confessato a me stesso che cosa volevo da lui, e in che modo, ci fossero ancora dei dettagli che avevo tralasciato. In questo sogno scoprii finalmente ciò che il mio corpo senz’altro sapeva già dal primo giorno. Eravamo in camera sua e, a dispetto delle mie fantasie, sdraiato sul suo letto non c’ero io, ma Oliver; io gli stavo sopra e osservavo il l’espressione del suo viso, d’un tratto così eccitata e pronta a compiacermi che, seppur nel sonno, mi svuotò di ogni emozione e mi rivelò una cosa che fino a quel momento era lontanissima dalla mia immaginazione: non dargli ciò che morivo dalla voglia di dargli a qualunque prezzo era forse il crimine più grande che avrei potuto commettere in vita mia. Volevo disperatamente dargli qualcosa. Per contro, prendere qualcosa mi sembrava banale, facile, meccanico. Poi lo sentii e ormai sapevo che sarebbe successo. Se ti fermi mi uccidi, diceva ansimando, consapevole di aver pronunciato le stesse parole qualche notte prima in un altro sogno e dunque, avendole già dette, era libero di ripeterle ogni volta che entrava nei miei sogni, anche se nessuno di noi sembrava sapere se fosse

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la voce che mi usciva dal profondo o se il mio ricordo di quelle parole esplodesse dentro di lui…161

Nel film, non essendo presente una voce over narrante, non abbiamo modo di sapere nel dettaglio quello che prova Elio; solo in un’occasione, nella parte iniziale del racconto, vediamo il ragazzo seduto sul letto a scrivere su un bloc-notes. Quando si allontana dalla sua postazione, la macchina da presa si avvicina ad inquadrare il blocchetto lasciato incustodito, che, a causa di una folata di vento, inizia a sfogliarsi da solo; si blocca su una pagina in cui Elio ha scritto: «Ho esagerato a dirgli che pensavo odiasse Bach» e ancora «Volevo dire che pensavo odiasse me». Quindi, il resto delle sue emozioni, si esprimono sullo schermo grazie alla mimica di Timothée, alla macchina da presa, che ha uno sguardo partecipe e spesso complice nei confronti di Elio, ed alla musica extradiegetica, che non appartiene alla realtà della narrazione ma si fa voce dei dissidi interiori del protagonista e della portata sempre più ampia del suo sentimento. Ad esempio, il testo di Futile Devices – brano che, come già accennato, si sente nel momento in cui Elio è solo a riflettere sull’allontanamento di Oliver – comprende le seguenti frasi: “And I would say I love you/ But saying it out loud is hard/ So I won’t say it at all”162; la musica, quindi, comunica quello che il ragazzo non ha il coraggio di dire all’amico. Ed anche nell’ultima scena, in cui viene inquadrato il volto di Elio, vediamo un cambiamento della sua espressione: la tristezza lascia spazio a un nuovo sguardo, come di sorpresa e di consapevolezza. Nuovamente, è la musica ad evidenziare questo cambiamento; infatti, il testo di Visions of Gideon lascia intuire che Elio comprende che ha visto e amato Oliver per l’ultima volta.

161 Ivi, pp. 122-123.

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