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Chiamami col tuo nome: una scoperta di sé Dal romanzo di André Aciman al film di Luca Guadagnino

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione

...1

PRIMA PARTE – DALLA LETTERATURA AL CINEMA

1. La traduzione cinematografica

...3

1.1 Storia delle interazioni tra letteratura e cinema...3

1.2 Teorie dell’adattamento...9

1.2.1 Uno sguardo d’insieme...12

1.3 La traduzione secondo Jakobson...16

1.4 Metz e le interferenze semiologiche...18

1.5 Appropriazione: Vanoye...20

1.6 La sceneggiatura: l’adattamento in pratica...25

1.7 Dal romanzo alla sceneggiatura...28

SECONDA PARTE – IL CASO DI CHIAMAMI COL TUO NOME

2. André Aciman e il romanzo

...34

2.1 L’autore e il romanzo...34

2.2 Analisi dei personaggi...39

2.3 Gli ambienti...45

2.4 La struttura narrativa...51

3. Il film di Luca Guadagnino

...59

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3.1.1 Chiamami col tuo nome...62

3.2 Il tempo della narrazione...71

3.3 La narrazione e lo sguardo...77

3.3.1 Il punto di vista...80

3.4 Funzioni e modelli...85

4. Dal romanzo alla pellicola

...88

4.1 Elementi della storia e del mondo diegetico...88

4.2 La struttura dell’intreccio...96

4.3 L’atteggiamento della narrazione...109

5. Conclusioni.

...114

Scheda tecnico-artistica del film

...118

Ringraziamenti

...120

Bibliografia

...121

(3)

1

Introduzione

Fin dalla sua nascita il cinema ha instaurato continui e importanti contatti con la letteratura: i due mondi sono di fatto molto più collegati e comunicanti di quanto non siamo soliti pensare. Lo studioso Armando Fumagalli ritiene che sia difficile parlare, per letteratura e audiovisivo, di due “mondi” autonomi; è in realtà molto più corretto parlare di un unico mondo narrativo che si esprime con due mezzi diversi. Infatti, lo scopo principale, sia del cinema che della letteratura, è quello di raccontare una storia1.

Per evidenziare il rapporto che lega la letteratura al cinema, nel seguente elaborato si analizzerà un caso pratico di adattamento cinematografico: la realizzazione, da parte di Luca Guadagnino, del film Call Me By Your Name (nella versione italiana

Chiamami col tuo nome), tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman.

Si è scelto di analizzare questa traduzione in quanto, trattandosi di due opere recenti – il romanzo è stato pubblicato nel 2007, mentre la pellicola è uscita nelle sale cinematografiche nel 2017 –, non sono ancora presenti delle monografie a riguardo. Inoltre, avendo avuto modo di assistere, la scorsa estate, ad un’interessante incontro con il regista e con il suo collaboratore Walter Fasano, è cresciuto l’interesse nei confronti di questo soggetto.

Lo studio di questo adattamento verrà anticipato da una prima parte in cui ci si soffermerà sul problema della traduzione cinematografica da un punto di vista storico e teorico-metodologico. Verranno quindi analizzate le caratteristiche che

1 A. FUMAGALLI, I vestiti nuovi del narratore: l’adattamento da letteratura a cinema, Il Castoro,

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2

hanno spinto il mondo del cinema a legarsi con la letteratura, fino ad arrivare ad esaminare le teorie di alcuni studiosi, tra cui Jakobson e Vanoye, che si sono occupati dell’argomento.

Si proseguirà, poi, con l’analisi, sia del romanzo che del film, di Chiamami col tuo

nome, per procedere, infine, al confronto tra i due media. Indispensabile per lo

sviluppo di questo lavoro saranno ovviamente il testo letterario e il film, che verranno esaminati nella loro versione italiana, in modo da poter accennare al problema della traduzione, e si farà qualche riferimento anche alla sceneggiatura, reperita solo nella sua versione originale. Inoltre, verranno sfruttati articoli critici e le interviste che, soprattutto nel corso dell’ultimo anno, i due autori hanno rilasciato.

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PRIMA PARTE – DALLA LETTERATURA AL

CINEMA

1. La traduzione cinematografica

1.1 Storia delle interazioni tra letteratura e cinema

La data della nascita del cinema è convenzionalmente indicata come il 28 dicembre 1895, giorno in cui i fratelli Lumiere hanno proiettato, tra lo stupore e lo sgomento della folla, le loro prime immagini in movimento, con il loro Cinematografo. In un primo momento, così come gli autori avevano immaginato, la nuova attrazione viene percepita dal pubblico come un trucco, che di lì a breve avrebbe rivoluzionato il concetto stesso di intrattenimento.

Nonostante l’importante novità introdotta, per assistere all’introduzione di strumenti in grado di predisporre una trama narrativa articolata, sarà tuttavia necessario attendere ancora qualche decennio anche se, grazie a Melies, si ha l’invenzione del montaggio già a partire dai primi anni dalla nascita del cinema2.

Il cinema ha, fin dal suo esordio, un carattere popolare: è un fenomeno di massa, che coinvolge perfino il ceto più basso. Emerge subito un elemento di contrasto con la letteratura. Quest’ultima, infatti, ha un carattere individuale, e si rivolge in particolare ad un pubblico più colto. Possiamo quindi affermare che il cinema

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4

«poteva garantire l’accesso ad un variegato patrimonio letterario, anche a chi non era alfabetizzato o chi non aveva alcuna consuetudine con il libro»3.

Per molto tempo, un altro elemento di contrasto tra i due media è stato il tempo di fruizione: il film infatti, aveva un tempo imposto, dato dalla proiezione della pellicola, e lo spettatore non poteva intervenire sul tempo di visione, fattore poi superato con l’introduzione dello strumento della videoregistrazione. Inoltre, si è persa la ritualità di andare al cinema4, e con essa il fenomeno di massa che ha caratterizzato il cinema per gran parte dei suoi anni. Oggi, un film, può essere visto comodamente da casa, quindi ha assunto un carattere individuale, più simile alla lettura.

In Italia, durante il periodo del cinema muto, è stato perseguito il rapporto tra cinema e letteratura. La borghesia, attratta dal cinema, ai cui piaceri non voleva rinunciare, ha sofferto della scarsa considerazione che si dava a questa nuova arte, ritenuta nei primissimi tempi come fenomeno appartenente ai ceti meno abbienti, collocata tra i generi di divertimento più volgari. Per questo si è cercato un compromesso per elevare la visione che si ha del cinema: ricercare soggetti letterari e scrittori di fama per la redazione di soggetti originali.

Nonostante la fitta collaborazione che si è instaurata negli anni tra letterati e cinema, gli intellettuali hanno avuto un rapporto ambivalente con la nuova arte. Infatti, hanno sfruttato la collaborazione con il cinema per ragioni economiche e pubblicitarie, anche per far circolare il nome d’autore, pur tuttavia guardando al cinema con sufficienza, considerandolo come un’arte minore5.

3 G. TINAZZI, La scrittura e lo sguardo: cinema e letteratura, Marsilio, Venezia, 2007, p. 11. 4 Ivi, p. 170.

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5

Prendiamo quindi in esame il caso di due intellettuali, Giovanni Verga e Gabriele D’Annunzio, che si sono posti sulla stessa linea dei letterati del tempo. Seguendo l’analisi di Giorgio Tinazzi – giornalista, critico cinematografico e storico del cinema – possiamo osservare che in un primo momento, intorno al 1915, Verga sembra essere entusiasta del rapporto con il cinema, mostrandosi disponibile a prestare racconti, novelle, drammi, per farli cinematografare. L’atteggiamento ben presto muta, in seguito alla sintesi a cui è stato sottoposto il suo racconto Caccia al

lupo, del 19176. Verga si è così rifiutato di apportare la sua firma a questo lavoro, e ai successivi a cui ha partecipato. Infatti, anche se con distacco, ha continuato a collaborare come sceneggiatore, lavorando pure agli adattamenti, cercando però di non far associare il suo nome a quell’arte ancora poco apprezzata.

Il secondo caso, che riguarda D’Annunzio, è simile. I suoi romanzi e le sue opere teatrali sono stati portati regolarmente al cinema, ed è proprio l’immaginario poetico e letterario dannunziano a condizionare il cinema italiano degli anni ‘107.

Nel 1914 è stato realizzato un capolavoro del cinema italiano: Cabiria, di Giovanni Pastrone, colossal storico-mitologico, il cui soggetto e didascalie sono firmate dallo stesso D’Annunzio. In realtà sembra che non sia stato lo scrittore a curarne direttamente la stesura, ma leggendo la didascalia si riconosce il suo stile, aulico e compiaciuto, celebrativo. Si intuisce che nelle dinamiche della narrazione la corrispondenza con l’estetica da lui promossa acquisisce una importanza prioritaria, contrariamente al suo operato in senso stretto. Nonostante la fitta collaborazione

6 TINAZZI, La scrittura e lo sguardo, cit., p. 14. 7 MANZOLI, Cinema e letteratura, cit., p. 13.

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6

con il cinema, lo stesso D’Annunzio, ha considerato questo nuovo medium come un’arte minore e spuria8.

Un confronto su un livello di parità tra cinema e letteratura si ha grazie alla sperimentazione sulle potenzialità narrative, avviate fin dai primi anni del Novecento, da David Griffith. Il regista e sceneggiatore americano, infatti, a differenza dei “colleghi” italiani, ha intuito come il cinema fosse lo strumento giusto per poter essere un grande narratore epico-popolare, grazie all’utilizzo di mezzi nuovi e più efficaci.

Lo stesso Sergej Ejzenstejn ha messo a confronto le strategie narrative di Griffith con quelle utilizzate da scrittori quali Charles Dickens, elevando così il potenziale delle pellicole9.

Possiamo quindi osservare che tra letteratura e cinema si è creato un rapporto di influenza – che può essere considerato reciproco, ma che in molti casi vede privilegiare l’ipotesi di un cinema che riceve, più che dare10 – ma non solo. Il

cinema, infatti, ha svolto anche un ruolo di rottura, di liberazione, principalmente sul piano dello stile, verso una maggiore riduzione: ha aiutato la letteratura a sganciarsi dai suoi schemi di racconto11; inoltre «il cinema ha tolto alla letteratura la persistente tentazione del naturalismo»12.

Con il passaggio dal muto al sonoro, avvenuto intorno alla fine degli anni ’20, il cinema ha bisogno, oltre che di intrecci appassionati, anche di dialoghi capaci di

8 Ivi, p. 14. 9 Ivi, pp. 16-17.

10 TINAZZI, La scrittura e lo sguardo, cit., p. 36. 11 Ivi, p. 161.

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7

catturare l’attenzione dello spettatore. Per questo vengono ricercate figure all’altezza di questa sfida tra gli scrittori, tra i più talentuosi. Continua così il rapporto conflittuale tra gli intellettuali e il cinema il quale, col passare degli anni, andava dimostrandosi sempre proficuo, soprattutto per gli scrittori che si sono cimentati nell’avventura hollywoodiana13.

A partire dagli anni ’50, però, il rapporto tra cinema e letteratura ha subito un cambiamento.

Nel 1948, infatti, è stato pubblicato sulla rivista L’Ecran Francais, un articolo del romanziere e regista Alexandre Astruc che riguarda il principio della camera stylo, cioè:

la pretesa per un autore cinematografico di potersi esprimere con la stessa libertà di cui godevano gli scrittori, sia per quanto attiene alla scelta dei temi da trattare sia rispetto allo stile migliore per metterli in scena.

Per capire la portata innovativa di questa proposta bisogna tenere presente il fatto che, anche in Europa, prima ancora di essere un fatto di cultura, il cinema era un’industria e come tale legata a una serie di vincoli di mercato e sociali in grado di condizionare pesantemente l’apporto individuale dei singoli registi14.

L’idea di Astruc trova dei sostenitori in alcuni giovani critici – da cui è nata Cahiers

du Cinema, la quale diverrà ben presto una delle più influenti riviste di critica del

mondo – che sono diventati registi, come Francois Truffaut, all’interno del movimento della Nouvelle Vague. Questi registi hanno concentrato la loro attenzione sulla maniera convenzionale e poco creativa con cui gli sceneggiatori sono soliti curare le trasposizioni letterarie dei grandi romanzi15, spendendosi a più

13 MANZOLI, Cinema e letteratura, cit., p. 20. 14 Ivi, p. 23.

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8

riprese in accese critiche verso tale fenomeno, le quali divennero spesso argomento di dibattito nei salotti culturali del tempo.

Per quanto riguarda il panorama italiano, è stato Pier Paolo Pasolini uno dei più illustri teorici del rapporto fra cinema e letteratura. Nel suo cinema confluiscono intrecci teatrali, musicali e pittorici, ma predomina l’interesse per la letteratura, come confermano titoli dei suoi film, quali Decameron (1971) e Il fiore delle Mille

e una notte (1974)16. Inoltre, vediamo che per Pasolini la letteratura elabora forme

specifiche in funzione del cinema. Queste forme traggono la propria ragion d’essere da una vocazione dei loro segni, quelli scritti, e farsi altri segni, quelli filmati17.

All’interno del cinema contemporaneo permane una certa confusione. Da sempre, infatti, il rapporto tra cinema e letteratura è corso su binari paralleli: con la caduta di una distinzione vincolante tra cultura alta e cultura bassa, i piani continuano ad intersecarsi in continuazione18.

Lo scambio tra cineasti e letterati si è mantenuto costante nel tempo, ne sono prova le numerose trasposizioni di romanzi che gli stessi hanno sentito vicini alla loro sensibilità e alla loro poetica. Qualche esempio: i fratelli Taviani hanno realizzato più volte un adattamento, come Padre Padrone (1977), tratto dal romanzo di Gavino Ledda e, un film più recente, Una questione privata (2017), tratto dall’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio; Giuseppe Tornatore, ha realizzato La

leggenda del pianista sull’oceano (1998), tratto dal monologo teatrale Novecento,

di Alessandro Baricco.

16 Ivi, p. 26. 17 Ivi, p. 58. 18 Ivi, p. 27.

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9

Ci sono poi scrittori che hanno fornito una base sostanziale al rinnovamento di alcuni dei principali generi e sono quindi stati sceneggiati sistematicamente, come Stephen King, a cui si sono ispirati registi quali Brian De Palma e Stanley Kubrick19.

Possiamo concludere questo excursus sulla storia delle interazioni tra i due media prendendo in considerazione un caso recente di adattamento: Harry Potter della scrittrice J. K. Rowling. Giunta al suo terzo libro, la scrittrice ha firmato un contratto con la Warner Bros, con cui ha ceduto i diritti cinematografici fino al settimo capitolo della saga: l’autrice, quindi, non è più “libera” nella stesura dei suoi romanzi, ma è impiegata a scrivere per “contratto”. Emerge, inoltre, l’evoluzione di quello che in principio era un semplice rapporto bivalente tra cinema e letteratura, in uno sfruttamento industriale del marchio: partendo dall’impatto mediatico e dalla diffusione commerciale di questo, si va ad articolare un’incisiva strategia commerciale, volta a diffondere prodotti legati all’immagine da questo rappresentata (dai videogiochi al merchandising)20. In tempi recenti, il caso di

Harry Potter non è isolato.

1.2 Teorie dell’adattamento

Come abbiamo osservato nel paragrafo precedente, l’adattamento è una pratica molto apprezzata dall’industria cinematografica: la storia del cinema è caratterizzata da un’influenza continua della letteratura.

19 Ivi, pp. 28-29. 20 Ivi, p. 33.

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10

Alcuni dati forniti da Linda Seger, una script-consultant hollywoodiana, sembrano indicare che, se all’origine di un film c’è un romanzo o una biografia già pubblicata, le probabilità di fare un buon lavoro sono particolarmente alte21. Nell’analisi di Armando Fumagalli possiamo ritrovare quali sono i motivi di questa buona riuscita dell’adattamento, tra cui la notevole capacità espressiva del linguaggio del cinema e della televisione.

Il dover comprimere in 90/120 minuti circa, un racconto a volte molto articolato, una quantità notevole di eventi e personaggi, aiuta a costruire sceneggiature molto ricche, piene di eventi e di significati veicolanti non solo dai dialoghi o dalle azioni principali, ma anche attraverso tutte le altre modalità espressive della comunicazione audiovisiva22.

Un romanzo richiede molto tempo di elaborazione da parte dello scrittore, quindi i personaggi acquistano spessore, e le storie hanno una dimensione e una profondità maggiori di quelle che si ottengono con una semplice elaborazione della sceneggiatura (che va dai 6 a 8 mesi, in Europa, più di 10 in Usa).

Nel fare un adattamento si corrono numerosi rischi e non è infrequente che da un grande romanzo, che risulta molto apprezzato dai lettori, nascano film – ma anche fiction televisive – deboli, poco comunicativi, piatti, o troppo pesanti23.

Nei confronti del testo narrativo, le strategie di adattamento sono molteplici. Seguendo l’esempio di Tinazzi possiamo fare una prima schematizzazione generale:

- Si attua una restrizione quando si utilizzano solo alcune parti di un racconto;

21 Linda Seger, The Art of Adaptation, Henry Holt, New York, 1992, in A. FUMAGALLI, I vestiti

nuovi del narratore: l’adattamento da letteratura a cinema, cit., p. 46.

22 A. FUMAGALLI, I vestiti nuovi del narratore, cit., p. 47. 23 Ibidem.

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11

- La dilatazione può riguardare l’intero sviluppo narrativo, e avviene prevalentemente quando il racconto di base è solo una traccia;

- Può essere isolata una parte di narrazione.

Inoltre, abbiamo modo di osservare le principali tipologie di tattiche narrative. Infatti, in un adattamento, si può:

- Giocare su significative differenze apparentemente marginali, pur aderendo da vicino ad un testo. Ad esempio, in Morte a Venezia, film tratto dal romanzo La morte a Venezia di Thomas Mann, Luchino Visconti ha trasformato il protagonista, Gustav von Aschenbach, da scrittore in musicista, ritenendo che un musicista fosse più facilmente rappresentabile di uno scrittore: la sua opera, infatti, non deve far ricorso alla parola. - Aggiungere personaggi e/o toglierne;

- Ordinare diversamente le scene; così si ha modo di modificare i congegni narrativi e quindi di alterare le attese dello spettatore;

- Dosare in modo diverso le informazioni date allo spettatore;

- Cambiare la fine o l’inizio della storia. L’epilogo di un racconto ne sancisce definitivamente la tonalità e qualsiasi variante diventa particolarmente significativa.

- Mutare il contesto, cambiando spazio e/o tempo;

- Rendere differente il peso del referente storico: avvenimenti che nel testo letterario fanno da sfondo, vengono dilatati nel film, assumendo un valore emblematico;

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12

- Operare una contaminazione tra più testi, spesso dello stesso autore. Le infiltrazioni da altri testi possono essere marginali, in qualche modo sotterranee;

- Ottenere il cambio del narratore24.

Avremo modo di osservare più nel dettaglio questi passaggi nei prossimi paragrafi, quando andremo ad analizzare la realizzazione della sceneggiatura. Inoltre, vedremo come vengono sviluppati in modo pratico questi punti, esaminando più approfonditamente l’adattamento di Chiamami col tuo nome, realizzato da Luca Guadagnino, con la sceneggiatura di James Ivory.

1.2.1 Uno sguardo d’insieme

Nel corso degli anni, numerosi studiosi di cinema si sono interrogati sulla questione dell’adattamento cinematografico. Possiamo quindi vagliare brevemente le idee di alcuni di loro.

Uno degli esponenti più significativi del formalismo russo, Victor Sklovskij, si è occupato di adattamenti cinematografici intorno agli anni Venti; a causa di una serie di riduzioni sceniche, i tentativi di utilizzare la letteratura per fini cinematografici non hanno avuto esito positivo. Secondo lo studioso l’impossibilità di una traduzione vera e propria viene dalla diversità di materiale delle due opere, e questo provoca una riduzione, riconducibile semanticamente alle accezioni di limitazione

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13

e di semplificazione. Nel romanzo quasi niente può essere trasferito sullo schermo, se non il nudo soggetto25.

Negli anni Sessanta, il teorico del cinema Jean Mitry si è opposto all’idea di una traduzione integrale tra due testi diversi, sia nel significante che nel significato. Per il teorico l’adattamento si basa sul principio assurdo che i valori significati esistano indipendentemente dall’espressione che li rende visibili e ascoltabili.

L’adattamento cinematografico mette a confronto due semiotiche diverse non solo sul piano dell’espressione ma anche sul piano del contenuto per il modo di costruire delle significazioni. Per Mitry esistono due possibilità di adattamento:

1) Fedeli alla lettera, in cui si riconosce l’inevitabile tradimento e deformazione del pensiero dell’autore, per cui il film sarà solamente rappresentazione, illustrazione.

2) Fedeli allo spirito. Si ha la volontà di esprimere per vie indirette le stesse idee e passioni presenti nel racconto26.

I teorici della Nouvelle Vague, invece, hanno considerato l’adattamento come una fruttuosa moltiplicazione del senso del testo di partenza, con una nuova responsabilità espressiva, che si faccia carico di una dimensione interpretativa metatestuale27. Truffaut, stigmatizza la formula “inventare senza tradire”, che consiste nel rispettare lo spirito delle opere letterarie trovando degli equivalenti per le scene descritte dall’autore del romanzo che si ritiene impossibile portare nel cinema28. Come abbiamo osservato nel paragrafo 1.1, è presente

25 N. DUSI, Il cinema come traduzione. Da un medium all’altro: letteratura, cinema, pittura, UTET

Università, Torino, 2003, pp. 13-14.

26 Ivi, pp. 14-15. 27 Ivi, p. 16.

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14

un doppio assunto che guida l’amore trasversale di Truffaut e dei suoi colleghi (Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Eric Rohmer, Claude Chabrol e altri) nei confronti del cinema e della letteratura: fare film con la stessa “disinvoltura” con cui gli scrittori scrivono libri e mantenere, però, un sacro rispetto per la natura profonda di un testo letterario e per le leggi che ne hanno determinato la struttura29.

In tempi più recenti, lo studioso americano, Dudley Andrew, ha dedicato un capitolo alla pratica dell’adattamento, nel contesto di una riflessione più generale sulle dinamiche significative del cinema30. Per Andrew la vera e propria adaptation si ha quando il modello preesistente è già testualizzato, sotto forma di un romanzo, un’opera teatrale ecc… Andrew in questo caso distingue 3 tipologie di adattamento, denominandole:

borrowing (presa a prestito) – quando si prendono in prestito materiali, idee o forme

da un testo di successo o da testi classici –, intersection (intersezione) – una sorta di rifrazione del testo originale nel nuovo testo; il nuovo testo fa in modo di restituire almeno un fascio di luce fra quelli proiettati dal testo di partenza, usando le proprie specificità per salvare le specificità dell’originale – e fidelity of transformation (fedeltà della trasformazione) – fedeltà allo spirito, al tono, al valore, al ritmo del romanzo originale: trovare equivalenti stilistici cinematografici per questi aspetti così sottili e delicati è un processo tutt’altro che automatico o meccanico31.

Andrew, come Mitry, distingue tra la fedeltà alla lettera e la fedeltà allo spirito del romanzo. La buona riuscita dell’adattamento sta proprio, sempre secondo Andrew, nella capacità di percepire, e poi trasmettere, il feeling del romanzo32.

29 Ibidem.

30 Dudley Andrew, Concepts in Film Theory, Oxford University Press, New York, 1984, in

FUMAGALLI, I vestiti nuovi del narratore, cit., p. 85.

31 FUMAGALLI, I vestiti nuovi del narratore, cit., pp. 86-87.

32 Secondo Aldo Viganò, Dalla letteratura al cinema: problemi di trascrizione, in Elisa G. Bussi,

Laura Salmon Kovarski (a cura di), Letteratura e cinema. La trasposizione, pp. 22-27. In FUMAGALLI, I vestiti nuovi del narratore, cit., p. 87.

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15

Anche Umberto Eco si è occupato della questione della traduzione33. Secondo la sua tesi non si può parlare di vera traduzione nel caso di un adattamento da letteratura a cinema, in quanto, l’adattamento, richiede una quantità di scelte strategiche, opinabili, e di libere interpretazioni: un insieme di operazioni che il termine traduzione, tradizionalmente, non comprende. Per questo Eco preferisce parlare di trasmutazione, in quanto, ogni adattamento, aggiunge significato34. Inoltre, sempre secondo il semiologo, non è possibile elaborare una regola univoca per la traduzione: una buona traduzione «deve rendere il senso del testo originale»35. Eco spiega: «non c’è regola per stabilire come e perché una traduzione

sia fedele, ma nel giudicare di una traduzione bisogna mantenere la metaregola per cui una traduzione deve essere fedele», e prosegue: «i criteri di fedeltà possono mutare, ma debbono essere contratti all’interno di una certa cultura e debbono mantenersi coerenti nell’ambito del testo tradotto»36.

Eco sostiene che:

per trasporre un romanzo in un film bisogna rendere evidente la propria interpretazione, a partire dai dettagli del mondo possibile messo in scena. Quest’ultimo viene arredato e mostrato, rappresentato, fin dalla scelta dei personaggi e, necessariamente, si incarna nella loro configurazione fisica, nel loro abbigliamento, nei codici prossemici, nei codici visivi e certo anche sonori. Parlare di «traduzione» intersemiotica è dunque più che altro metaforico, secondo Eco, e bisognerebbe piuttosto parlare di adattamento, perché nel valutare una trasposizione bisogna fare sempre molte concessioni alle trasformazioni dovute a scelte testuali non previste dal testo di partenza37.

33 U. ECO, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Bompiani, Milano, 2003 (315-344). 34 FUMAGALLI, I vestiti nuovi…, cit., p. 99.

35 Eco, Riflessioni teoriche-pratiche, in NERGAARD (a cura di), Teorie contemporanee della

traduzione, p. 138, in DUSI, Il cinema come traduzione, cit., p. 69.

36 Ibidem.

37 U. ECO, Traduzione e interpretazione, pp. 91-97, in N. DUSI, il cinema come traduzione, cit., pp.

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16

Secondo Nicola Dusi, la posizione di Eco è condivisibile, almeno parzialmente, poiché riguarda la necessità di una scelta interpretativa rispetto al testo di partenza, che si evidenzia nei casi di trasposizione. C’è da obiettare però che, «nella valutazione di una traduzione, come di una trasposizione, la fedeltà al testo dipende non solo dallo scopo della traduzione stessa, ma anche dal livello di pertinenza scelto nella comparazione e dall’isotopia (o il fascio di isotopie) dominante nel processo traduttivo38.

Possiamo concludere il discorso su Eco evidenziando che per lui, l’adattamento, è un tipo di interpretazione, che a volte finisce col prendere un testo per farci qualcos’altro39.

1.3 La traduzione secondo Jakobson

La semiotica40 e la teoria della letteratura si sono più volte occupate della trasposizione del racconto, da scritto ad audiovisivo, denominata “traduzione intersemiotica” da uno dei maestri della semiotica contemporanea, Jakobson41.

Roman Jakobson – linguista e semiologo russo naturalizzato statunitense – è stato uno dei primi studiosi a occuparsi dell’adattamento da letteratura a cinema. In un

38 N. DUSI, Il cinema come traduzione, cit., p. 121. 39 A. FUMAGALLI, I vestiti nuovi del narratore, cit., p. 102.

40 La semiotica del cinema, apparsa sulla scena intorno alla metà degli anni ’60, mette in luce, da

una parte, l’insoddisfazione per i discorsi troppo generali, per la ricerca delle essenze; dall’altra l’esigenza di precisare i propri interessi, di mettere in atto procedure di analisi rigorose, di usare categorie ben definite. Sono i tratti che caratterizzano l’approccio metodico. Si veda FRANCESCO CASETTI, Teorie del cinema, 1945-1990, Bompiani, Milano, 1993, pp. 143-170.

41 Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 1966. Sulle radici teoriche della posizione di

Jakobson, cfr. Savina Raynaud, Il circolo linguistico di Praga (1926-1939). Radici storiche e apporti teorici, Vita e pensiero, Milano, 1990, in FUMAGALLI, I vestiti nuovi del narratore, cit., p. 83.

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celebre saggio del 1959, intitolato Aspetti linguistici della traduzione, ha fatto rientrare la nozione di adattamento nel territorio di “traduzione”42.

Jakobson, nella sua tesi, ha esposto una distinzione tra 3 diversi tipi di traduzione, che possiamo riassumere in modo schematico:

1. Traduzione endolinguistica e riformulazione: un segno linguistico viene tradotto in un altro segno appartenente alla stessa lingua. A essa, Jakobson, fa risalire pratiche come la parafrasi, l’espansione o la condensazione; 2. Traduzione interlinguistica o traduzione propriamente detta. È quello che si

intende normalmente per traduzione: il passaggio da una lingua all’altra; 3. Traduzione intersemiotica o trasmutazione. È il passaggio da un sistema di

segni a un altro completamente differente, anche non verbale. Perché possa esserci questo tipo di traduzione, deve darsi equivalenza semantica, cioè si deve, pur nella differenza, mantenere lo stesso significato43.

Jakobson ha definito la traduzione intersemiotica uno dei «modi di interpretazione di un segno linguistico per mezzo dei sistemi di segni non linguistici»44. Come abbiamo già osservato occupandoci di Eco, anche Jakobson dà un’alternativa terminologica di trasformazione, usando il termine trasmutazione45.

Jakobson ricorda che il processo traduttivo esclude per definizione un’equivalenza “totale”, a partire dalla differenza che si pone nella più banale sostituzione semantica.

42 Ivi, p.83 43 Ivi, pp. 83-84.

44 R. JAKOBSON, trad. it., Aspetti linguistici della traduzione, in ID., Saggi di linguistica generale,

Feltrinelli, Milano, 1966, in DUSI, Il cinema come traduzione, cit., p.3.

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18

La poesia è intraducibile per definizione. È possibile soltanto la trasposizione creatrice: all’interno di una data lingua (da una forma poetica all’altra), o tra lingue diverse. Oppure è possibile la trasposizione intersemiotica da un sistema di segni a un altro: per esempio dall’arte del linguaggio alla musica, alla danza, al cinematografo o alla pittura46.

1.4 Metz e le interferenze semiologiche

Anche il semiologo francese Christian Metz si è occupato del problema dell’adattamento.

Nel 1964, ha scritto il saggio Il cinema: lingua o linguaggio?47, dove stabilisce che:

il cinema non può essere assimilato a una lingua perché non possiede unità di senso stabilite a priori come i monemi, dal momento che ogni inquadratura è unica e irripetibile, e nemmeno unità malleabili come fonemi, da combinare fra loro per formare nuovi monemi, poiché tutti gli elementi che compongono un’inquadratura sono dotati di un senso48.

Per Metz: «rispetto al binomio letteratura/lingua, abbiamo un solo cinema, che assomiglia più alla letteratura che alla lingua»49. Metz inoltre propone di:

distinguere i piani del discorso e chiarire sempre a quali di questi quattro elementi si riferisce l’eventuale analisi:

- Il testo (un film piuttosto che un altro); - Il messaggio;

- Il codice – che ha valenza generale e deve essere scomposto, a sua volta, in codici specifici, e non, del cinema;

46 JAKOBSON, Aspetti linguistici della traduzione, pp. 61-62, in Dusi, Il cinema come traduzione,

cit., p. 59.

47 Ora in METZ, 1972.

48 MANZOLI, Cinema e letteratura, cit., p. 41. 49 Ibidem.

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- Il sistema singolare – le regole interne dell’organizzazione che reggono l’organizzazione di un determinato film e che risultano dall’intersezione degli elementi chiamati in causa50.

Queste nozioni verranno messe in discussione a partire dalla doppia articolazione51.

Vediamo intervenire in questo dibattito Pasolini, che in un saggio del 1966, La

lingua scritta della realtà, sostiene che, se è vero che il regista deve ogni volta

creare gli strumenti della sua lingua, egli ha a disposizione elementi come le inquadrature, simili ai monemi, ed elementi come i singoli oggetti che rientrano in ciascuna inquadratura: i cinémi, che si comportano come i fonemi della lingua. Il cinema sarebbe una lingua che possiede una doppia articolazione52.

Torniamo però alla ricerca di Metz. Il semiologo ritiene che non si possa pretendere che la stessa figura passi da un’arte all’altra senza cedere ad un abuso di linguaggio, poiché, al termine di questo passaggio, essa non è più propriamente la stessa di prima53. Metz propone di distinguere tra le interferenze possibili quelle che

permettono un’analisi sistematica, che divide in localizzate e codicali:

le interferenze localizzate si danno quando una figura precisa risulta comune a due o più linguaggi e vanno sempre esaminate da un punto di vista diacronico e contestuale rispetto agli altri elementi dell’opera. Le interferenze codicali si verificano quando un sistema o un frammento notevole di sistema appare in due o più linguaggi, in una forma più o meno largamente omologica. Vi sono casi ad

50 Ivi, pp. 41-42.

51 «La lingua scritto-parlata articola le sue parole in due momenti distinti. Vi è un’articolazione

che avviene sui piani dei monemi (parole, unità dotate di senso) e una, ulteriore, a livello dei fonemi. Nel tentativo di verificare la validità dell’applicazione di un modello linguistico al modo in cui il cinema produce significati, nel corso degli anni ’60 si è sviluppato un aspro dibattito che prende avvio proprio dalla questione della doppia articolazione». MANZOLI, Cinema e letteratura, cit., p. 40.

52 Ivi, p. 42.

53 C. METZ, La significazione del cinema, Bompiani, Milano, 1975, p.184, in DUSI, Il cinema come

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esempio in cui non c’è una condivisione vera e propria di sostanze dell’espressione, ma solo di un identico codice, manifestato in due diversi linguaggi, come avviene in chiaroscuro nella fotografia a colori e in pittura54.

1.5 Appropriazione: Vanoye

Un contributo importante alla riflessione sulla trasposizione dalla letteratura al cinema viene da un altro studioso francese, Francis Vanoye. Egli sottolinea come l’adattamento richieda sempre una serie di scelte estetiche rilevanti55. Vanoye

considera l’adattamento come la trasposizione di una forma dell’espressione in un’altra. Questa trasposizione obbliga lo sceneggiatore, in questo caso anche adattatore, a confrontarsi con problemi tecnici, delle scelte estetiche e dei processi detti di appropriazione. Ci sono alcune operazioni fondamentali che deve affrontare l’adattatore: la costrizione temporale del film spesso porta a tagli, se si tratta di romanzi, o a dilatazioni, nel caso di testi brevi. Dusi osserva come per Vanoye ci sia un problema di visualizzazione: è fondamentale considerare l’adattamento come un processo di appropriazione di un testo sull’altro, un vero transfert storico e culturale56. «L’appropriazione designa il processo di integrazione e assimilazione di un’opera o di certi suoi aspetti, che vengono adattati al punto di vista specifico del contesto di adattamento e degli adattatori»57.

54 C. METZ, Linguaggio e cinema, Bompiani, Milano, 1977, pp. 220-221, in DUSI, Il cinema come

traduzione, cit., pp. 17-18.

55 FUMAGALLI, I vestiti nuovi del narratore, cit., p. 89. 56 DUSI, Il cinema come traduzione, cit., pp. 20-21. 57 Ivi, p. 22.

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Seguendo il capitolo sull’adattamento di Vanoye58 possiamo osservare alcune sue

definizioni sull’argomento: «L’adattamento troppo sottomesso al testo “tradisce il cinema”, l’adattamento troppo libero “tradisce la letteratura”; solo la trasposizione […] non tradisce né l’uno né l’altro, collocandosi ai confini di queste due forme di espressione artistica59»; l’adattamento è componente fondamentale del cinema, è il terreno, il catalizzatore dell’eterna rivalità tra cinema e letteratura; «ogni adattamento è trasposizione di una forma espressiva in un’altra. Tale trasposizione obbligata colloca lo sceneggiatore-adattatore di fronte a problemi che classificheremo secondo tre categorie»60:

1. L’adattamento come insieme di problemi tecnici. L’adattamento deve affrontare il problema della limitazione temporale: si dovrà tagliare, cioè sopprimere (episodi, personaggi, descrizioni, intrusioni dell’autore etc.), e ancora accorciare, sintetizzare, amalgamare. Seguendo l’esempio di Vanoye vediamo che nel film di Stanley Kubrick, Barry Lyndon (1975) – tratto dal romanzo Le memorie di Barry Lindon, di William Makepeace – il reverendo Samuel Runt e il capitano Potzdorf sono due “concentrati” di diversi personaggi secondari del romanzo; inoltre assistiamo nel film ad un accorciamento drammatico del corteggiamento e poi del matrimonio di Redmond Barry e Lady Lyndon.

L’adattamento però può comportare anche aggiunte, supplementi, dilatazioni. Il che è evidente per testi brevi e lungometraggi. Un altro

58 F. VANOYE, La sceneggiatura. Forme, dispositivi e modelli, Lindau, Torino, 1998. Capitolo III,

L’adattamento, pp. 131-162.

59 A. GARCIA, L’Adaptation du roman au film, I. F. Diffusion, Parigi, 1990, p. 203, in F. VANOYE, La

sceneggiatura, forme, dispositivi e modelli, cit., p. 131.

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esempio preso in esame da Vanoye: Lettera da una sconosciuta (1948) di Max Ophuls, tratto dal racconto Lettera di una sconosciuta, di Stefan Zweig, in cui assistiamo ad un accorciamento drammatico combinato con la dilatazione di un momento privilegiato61.

2. L’adattamento come insieme di scelte estetiche. Può essere utile, dal punto di vista operativo, che due modelli di racconti simmetrici – l’uno “classico”, derivante dalla tradizione realista, caratterizzato dalla concentrazione sull’azione, dall’attenzione alla razionalità dei collegamenti unita all’efficacia drammatica, con personaggi consistenti e motivati collocati in un contesto chiaro, e l’altro “moderno”, derivante dalle esperienze di scrittura di inizio secolo, e che coltiva la polifonia, la “soggettiva indiretta libera”, la riflessività, la sdrammatizzazione, l’ironia etc. – vengano a confronto, nel processo di adattamento.

Vanoye ha riassunto, col seguente schema, questa scelta estetica teorica:

sceneggiatura classica Racconto classico Sceneggiatura moderna Sceneggiatura classica Racconto moderno Sceneggiatura moderna62 61 Ivi, pp. 132-142. 62 Ivi, p. 143.

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Potrebbe sembrare che il lavoro di adattamento dal testo classico alla sceneggiatura classica sia il più facile; tuttavia anche gli adattamenti più brillanti sono caratterizzati da sottili variazioni,

da attribuirsi senz’altro a un acuto senso di ciò che vi è di fecondo nelle limitazioni essenziali dell’adattamento cinematografico, da un lato, e alla necessaria appropriazione dell’opera originale da parte dell’adattatore, dall’altro63.

3. L’adattamento: un processo di appropriazione. L’appropriazione è la conseguenza di una limitazione esistenziale dell’adattamento che Vanoye indica con il termine transfert. Un transfert storico-culturale, in quanto l’opera adattata si trova sempre in un contesto storico e culturale diverso da quello in cui è stata prodotta. Il transfert non comporta necessariamente la trasposizione di contesto e

non sempre ha effetti sull’intreccio, sullo spaziotempo diegetico, sui personaggi, ma tocca immancabilmente il punto di vista, lo sguardo, perché riguarda la sensibilità, il modo di un’epoca di intendere le cose, perché è un cambiamento obbligato di prospettiva. Se ne coglie la prova flagrante nei remake e negli auto-remake. […] Gli americani praticano deliberatamente il remake fondato sulla rielaborazione dei modelli di sceneggiature originali. I film europei forniscono loro intrecci, idee, personaggi interessanti, ma dialoghi e schemi narrativo-dinamici vengono giudicati inadeguati per il pubblico. Si assiste allora a tipiche trasformazioni da modello moderno in modello classico64.

63 Ivi, p. 147. 64 Ivi, p. 150.

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L’appropriazione viene assunta più o meno deliberatamente dal processo di adattamento. Essa può essere oggetto di una negazione o di operazioni di trasposizione e formazione sistematica; a suo avviso si esercita a tre livelli:

1) sociostorico, dipende da un’epoca, da un contesto di produzione; 2) estetico, dipende da una corrente, un movimento, da una scuola; 3) estetico individuale, dipende da un autore o da un gruppo.

L’appropriazione, quindi, indica il processo di integrazione, di apprendimento dell’opera, adattata al punto di vista, allo sguardo, all’estetica, all’ideologia del contesto di adattamento e degli adattatori65.

Per concludere l’analisi su Vanoye possiamo osservare come, nella sua trattazione sull’adattamento, si sia occupato anche della trasposizione di un testo teatrale; tale opera esiste nel testo e nelle rappresentazioni.

L’appropriazione del testo si evolve, nel caso del teatro, in un’appropriazione scenografica. Le scelte estetiche manifesteranno una fedeltà più o meno marcata allo spaziotempo scenico, all’arredamento, alla recitazione dell’attore etc.

La decisione di “aerare” il testo teatrale, ossia di far uscire l’azione dallo spazio delimitato della scena, conducono a ricercare soluzioni di sceneggiatura accettabili, a volte contenute in embrione nella pièce. […] Esiste anche il partito preso inverso, che consiste nel sottolineare la teatralità del testo con mezzi cinematografici66.

65 Ivi, p. 151. 66 Ivi, pp. 153-154.

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1.6 La sceneggiatura: l’adattamento in pratica

Dopo aver analizzato le teorie dell’adattamento, è fondamentale concentrarci anche sul passaggio pratico: dalla letteratura al film, grazie al supporto della sceneggiatura. La sceneggiatura è propriamente quel testo letterario che comprende la suddivisione in scene, i dialoghi che devono svolgersi in ciascuna scena, l’indicazione degli ambienti ed a volte i movimenti di macchina67. Per arrivare alla

stesura di una sceneggiatura soddisfacente, ogni adattamento ha bisogno di un lavoro attento, mai facile o scontato. La dinamica della trasposizione è mobile e complessa. I meccanismi di base sono elementari, ma le direzioni e le modalità con cui essi agiscono possono essere intricati68.

Gli sceneggiatori americani sono concordi nell’affermare che non è possibile essere troppo fedeli al romanzo69.

Tra i problemi che possiamo riscontrare esaminando la sceneggiatura, notiamo che non si accontenta di essere libro, ma non è neppure cinematografica, essendo una struttura di passaggio. Quindi è possibile parlare di sceneggiatura come prodotto, o genere, autonomo? Può avere valore di per sé, indipendentemente dalla realizzazione del film? Le opinioni in proposito sono differenti. Secondo alcuni intellettuali, tra cui i registi Rohmer e Antonioni, la sceneggiatura non può avere valore di per sé, non può essere autonoma, può avere senso solo se realizzata cinematograficamente70; Pasolini, inoltre, parla della sceneggiatura come volontà

67 MANZOLI, Cinema e letteratura, cit., p. 65. 68 Ivi, p. 83.

69 FUMAGALLI, I vestiti nuovi del narratore, cit., p. 122. 70 TINAZZI, La scrittura e lo sguardo, cit., pp. 63-64.

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di essere un’altra cosa71, per dirlo con le sue parole: «struttura che vuol essere altra

struttura»72. Rimanda così al suo statuto transitorio, all’essere concepita per

trasformarsi e compiersi in film73.

Per Manzoli si può fare una distinzione tra due tipi di sceneggiature: quelle vere e proprie e quelle “desunte”, o meglio detto, trascrizioni. Entrambe possono essere redatte in diversi modi, e svolgono un ruolo diverso. Nel primo caso si tratta di testi al servizio del regista, sulle quali si basa il loro lavoro; solitamente sono estremamente dettagliate. Il film finito può riscontrare differenze notevoli con questi tipi di sceneggiatura, dovuto a delle necessità durante la lavorazione sul set o in fase di montaggio. Le seconde, le sceneggiature desunte, coincidono con il film stesso, essendo un lavoro di trascrizione. In questo caso si cerca di dar conto dell’opera finita, ai fini dell’analisi o della semplice documentazione, per studiosi e cinefili74.

Seguendo l’indagine di Fumagalli possiamo prendere in considerazione la struttura più semplice di realizzazione di un film, tipicamente hollywoodiana: si ricerca un personaggio con cui possiamo empatizzare, che abbia un obiettivo chiaro e molti ostacoli da superare per raggiungerlo. È importante che la storia “prenda” lo spettatore emotivamente. Se ciò non avviene, la storia verrà considerata noiosa75. Il canone hollywoodiano, sempre seguendo l’analisi di Fumagalli, ha raggiunto alcuni elementi fondamentali76:

71 MANZOLI, Cinema e letteratura, cit., p. 65.

72 P. P. PASOLINI, La sceneggiatura come «la struttura che vuol essere altra struttura», in Id.,

Empirismo eretico, Garzanti, Milano, 1972, pp. 188-197.

73 M. AMBROSINI, La prefigurazione del film. Sulle sceneggiature di Paolo e Vittorio Taviani,

EDIZIONI ETS, Pisa, 2008, p. 49.

74 MANZOLI, Cinema e letteratura, cit., p. 66.

75 FUMAGALLI, I vestiti nuovi del narratore, cit., p. 131. 76 Ivi, pp. 123-127.

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- La struttura in 3 atti: generalmente si ha un film con un primo atto, di preparazione, che si conclude con un evento perturbatore. A partire da questo si sviluppa la storia vera e propria: si definisce l’obiettivo che il protagonista vuole raggiungere e ci sono complicazioni e ostacoli da superare. Poco dopo la metà del film, si ha un’apparente sconfitta, seguita da un altro evento che muove la storia in una nuova direzione. Inizia così il terzo e ultimo atto, in cui c’è il confronto finale al termine del quale, tendenzialmente, il protagonista raggiunge il suo obiettivo. L’atto finisce con lo scioglimento della storia. Durante la storia il personaggio matura, impara qualcosa: sarà in grado di combattere, e vincere, la battaglia finale. - Obiettivi e desideri del protagonista. Il protagonista deve avere un obiettivo

chiaro. Mentre persegue questo fine, spesso difficile, compie un percorso interiore di maturazione. Questa duplicità di livelli è esposta, ad esempio, dallo sceneggiatore John Truby con la distinzione tra desire, l’obiettivo esterno, tangibile, e il need, il desiderio profondo, la ferita da risolvere. Secondo Truby l’elemento più importante di ogni film è la self-revelation, che ha il protagonista alla fine del film.

- Il conflitto e l’antagonista. Per suscitare interesse, la storia ha bisogno di una qualche forma di conflitto, di qualche ostacolo che il protagonista deve superare. È ricorrente il conflitto tra protagonista e il suo antagonista. Quest’ultimo non deve essere necessariamente un cattivo, può anche solo avere obiettivi incompatibili con quelli del protagonista.

- Un film con un tema forte ha presa sul pubblico. I temi sono spesso simili: amore, sacrificio, relazioni complesse (come quelle padre-figlio); da

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ricerche espletate sul pubblico, emerge la tendenza dello spettatore a sentire come proprie le tematiche inerenti alle problematiche sociali del momento, a patto che siano inquadrate da una nuova prospettiva in grado di avvicinare tali fenomeni alle riflessioni personali del soggetto.

1.7 Dal romanzo alla sceneggiatura

Un adattamento parte da un romanzo per arrivare a un film o a un prodotto televisivo. La cosa importante è quindi pensare a quali fini si vuole adattare il romanzo, non a come rispettarlo.

Manzoli distingue tra almeno 3 grandi tipologie di approccio a un testo letterario da parte di colui che è incaricato dell’adattamento:

1. Prendere il romanzo, mantenerne alcuni elementi e quindi lasciare che il film segua la sua strada liberamente: nel suo testo Manzoli prende come esempio Apocalipse Now, film di Francis Ford Coppola del 1979, che “ha lo scheletro” di Cuore di Tenebra, romanzo di Conrad del 1902.

2. Un “programma di operazioni” che può coinvolgere un film e un libro in una relazione più stretta della precedente, riguarda la possibilità di trasporre cinematograficamente un testo cogliendone solo alcuni momenti chiave. Si tratta delle “opere tratte da”. Gli esempi emergono dall’insieme del cinema di Visconti.

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3. In qualche maniera utopica, in quanto si propone l’obiettivo della fedeltà assoluta, che è forse possibile solo nel caso del romanzo che nasca in contemporanea del film77.

A questo punto occorre analizzare alcune delle questioni a cui si deve far attenzione nel momento dell’adattamento – seguiamo come guida, ancora una volta, lo studio di Fumagalli78:

- Il livello del conflitto. La letteratura è ideale per trasmettere conflitti interiori, quelli che avvengono nella testa dei personaggi. Il cinema esprime al massimo il suo potenziale comunicativo quando ha a che fare con conflitti estesi e ampi, che Fumagalli chiama extra-personali, che oppongono un uomo all’intera società in cui vive, ovvero ad una schiera di nemici. Nel cinema occorre trasformare ciò che è mentale in fisico, e spesso si usano i dialoghi per esprimere questi conflitti interiori.

- I personaggi. Risolto il problema del personaggio principale – e dell’empatia che questo deve instaurare col pubblico – nel lavoro di adattamento si pone un altro problema: i personaggi secondari. Nel film non è possibile riportare tutti i personaggi presenti nel romanzo, per questo spesso si deve ricorrere a dei tagli, elemento che abbiamo già osservato nel paragrafo sulle teorie dell’adattamento cinematografico. In un film l’insieme dei personaggi deve avere una funzione strutturale: vengono creati e trovano spazio nella misura in cui riescono a mettere in evidenza alcune caratteristiche del personaggio principale; possono fungere da catalizzatori

77 MANZOLI, Cinema e letteratura, cit., pp. 71-74.

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che servono a far procedere la storia o a trasmettere informazioni essenziali. Per questo se un personaggio secondario non ha una di queste caratteristiche, deve essere tagliato. Nel film, inoltre, è necessario chiarire fin da subito chi sono i personaggi principali e quali sono le loro relazioni. Per non confonderli è meglio non scegliere nomi simili tra loro, e i volti e le acconciature non devono essere troppo rassomiglianti.

- La story lines. Il passaggio dalla letteratura all’audiovisivo comporta la necessità di semplificare una storia. Solo nel caso di novelle brevi si possono costruire percorsi nuovi, ad integrare la storia iniziale. L’importante è che nel cinema, la storia, venga riportata in modo chiaro e intenso, affinché lo spettatore non si perda e riesca a seguire la trama.

- Il finale, il tema e il senso della storia. In alcuni casi può succedere che il romanzo venga quasi interamente rispettato, con un cambiamento solo nel finale. Con il cambiamento del finale si può rischiare di cambiare interamente il contesto, dando soluzioni opposte a quelle dei romanzi stessi. - Il punto di vista e la voce del narratore. Nel caso in cui le vicende nel romanzo non siano raccontate secondo una narrazione oggettiva e impersonale, ma attraverso gli occhi e la voce di un personaggio, si possono creare dei problemi nell’adattamento. Per questo, nel film, per un adattamento fedele ed efficace, non si deve necessariamente rispettare il tipo di narratore che il romanzo pone, ma bisogna verificare quale tecnica sia più adatta, avendo ben chiara la distinzione fra il punto di vista cognitivo e il punto di vista morale del racconto.

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- Lo stile. Uno stile diverso dal realismo diventa, per il cinema, una scommessa difficile da vincere. Di rado funzionano gli stili al confine con il satirico o il cinico, mentre hanno migliore probabilità di riuscire le opere che adottano lo stile del fumetto. Nel film occorre dare informazioni chiare allo spettatore riguardo al livello di realismo su cui si muoverà la storia. - I dialoghi. Il cinema richiede dialoghi brevi, per non rischiare di far annoiare

gli spettatori, ma ricchi di spessore: il “sottotesto”. Nei dialoghi, quello che si dice deve servire a comprendere più di quello che si vede a livello di superficie. La funzione dei dialoghi è quella di accompagnare in modo essenziale le immagini e le azioni; devono essere brevi e rimanere “naturali”, dando così la sensazione di essere reali e realizzati da persone reali. Quindi, oltre a non annoiare, non devono cadere nell’artificiosità. Qualche battuta, considerata di troppo, può essere tagliata anche nella fase di montaggio.

- Gli image systems. Nel cinema ogni oggetto assume un significato, è un segno voluto da qualcuno.

- Il metodo di lavoro. Per adattare è necessario ripensare la storia a partire dal nuovo mezzo. La macchina da presa tende a rendere tutto in modo molto più veloce. Il film deve cercare di essere sempre un passo avanti rispetto allo spettatore. Per realizzare un buon adattamento bisogna leggere molte volte il libro da cui si vuole partire, bisogna comprenderlo fino in fondo, estrarne l’essenza e capire a fondo i personaggi. Quindi, la parte di stesura, che può richiedere, talvolta, poco tempo, deve essere preceduta da una lunga parte di riflessione e di elaborazione degli snodi narrativi.

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Ci sono delle linee di coerenza testuale che portano ad associare un libro ad un film, anche se i due supporti hanno caratteristiche essenzialmente diverse: hanno una “sostanza” diversa, l’immagine in movimento rispetto alla parola. Sia il film che il libro possono essere analizzati sul piano dell’espressione e su quello del contenuto, ed è proprio dal piano del contenuto che i due media possono esprimere delle somiglianze, che inducono gli spettatori/lettori ad avvicinarli e i critici a compararli. I semiotici sono arrivati a studiare così l’isotopia, delle linee di coerenza testuali, che consentono di collegare un film e un libro a partire dalla somiglianza fra alcune loro componenti a livello del contenuto. «Greimas individua tre categorie che possono essere utili a collocare questi fili conduttori che fanno da ponte, tengono legato un libro e un film nella percezione di coloro che ne fruiscono o li analizzano»79:

- Isotopie tematiche: questioni di fondo di cui si occupano sia il romanzo che il film. Un esempio può essere lo sfondo della guerra, che porta a ricollegare più testi e film;

- Isotopie figurative: riguardano i dati oggettivi in cui i temi sono rappresentati. In questa categoria possono essere collocati i dati che riguardano l’identità dei personaggi, le loro azioni, le coordinate spaziali e temporali in cui il racconto si svolge. Questi fattori possono subire modifiche nel corso di traduzione del testo, si misura così il grado di fedeltà della traduzione stessa;

- Isotopie patemiche: cambiamenti caratteriali ed emotivi che subiscono i personaggi nel corso del racconto, la loro trasformazione (o non) nel corso

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della vicenda. Le eventuali somiglianze o differenze che un film e un libro possono avere da un punto di vista psicologico e passionale dei personaggi influiscono sulla ricezione emotiva dello spettatore80.

Alcuni testi classici, tra cui annoveriamo le opere di Shakespeare, subiscono molte traduzioni, essendo riportate frequentemente al cinema. Questa caratteristica viene definita, dallo studioso Groensteen, adaptogenie (termine difficilmente traducibile, che quindi viene riportato con il suo nome originale), cioè la propensione di un’opera a suscitare un gran numero di adattamenti. Questa caratteristica può dipendere dalla notorietà dell’opera come da elementi intrinseci, quali la ricchezza dell’intreccio o la sua capacità di trascendere se stessa per trattare temi universali, incarnati in situazioni archetipiche e in personaggi fatali81.

Per concludere questa prima parte possiamo osservare che esiste un altro problema che si riscontra nella traduzione: il doppiaggio. Quest’ultimo, infatti, può modificare in modo sostanziale il film: altera i valori della colonna sonora originale e trasforma i personaggi, che possono subire quasi una metamorfosi82. Come il doppiaggio, anche i sottotitoli possono essere considerati un fatto di traduzione. Pertanto, nell’analisi che andremo ad affrontare, sull’adattamento cinematografico di Chiamami col tuo nome, ci concentreremo solo sulla versione italiana, sia del romanzo che del film.

80 Ivi, pp. 77-78. 81 Ivi, pp. 90-91. 82 Ivi, p. 62.

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SECONDA PARTE – IL CASO DI CHIAMAMI COL

TUO NOME

2. André Aciman e il romanzo

2.1 L’autore e il romanzo

Lo scrittore Andrè Aciman ha un modo tutto particolare di raccontarsi:

Sono nato nel 1951 ad Alessandria, ma non sono egiziano. Sono nato da una famiglia turca, ma non sono turco. Ho frequentato scuole inglesi, ma non sono inglese. I miei familiari hanno ottenuto la cittadinanza italiana, ma la mia lingua madre è il francese. Rimango inestirpabilmente ebreo, benché non creda in Dio e non conosca nessun rituale ebraico83.

Aciman ha sempre frequentato scuole di lingua inglese, prima ad Alessandria e poi a Roma, dopo che la sua famiglia si è trasferita in Italia nel 1965, per sfuggire alle persecuzioni degli ebrei promosse dal presidente egiziano Nasser. In Egitto lascia un’originale famiglia cosmopolita e un’esistenza agiata, per ritrovarsi a Roma, in ristrettezze economiche, solo con la madre e il fratello84.

Nel 1969 Andrè, con la famiglia, si trasferisce ancora, stavolta a New York, dove frequenta il Lehman College, laureandosi nel 1973. Consegue poi il dottorato in letteratura comparata presso l’università di Harvard.

81Maria Laura Giovagnini, “André Aciman: «Resto un adolescente inibito (ma non quando

scrivo)»”, interviste e gallery, 4 agosto 2018, https://www.iodonna.it (sito consultato a dicembre 2018).

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Oggi insegna letteratura comparata alla City University di New York, è scrittore di romanzi e di saggi, ed è uno dei più grandi studiosi di Marcel Proust85.

Anche se vive con la famiglia a Manhattan, Aciman ha mantenuto un forte legame con l’Italia, che ha iniziato ad amare, come ha raccontato lui stesso, guardando Il

Gattopardo86.

Nel 2007 pubblica il romanzo Call Me By Your Name, il suo primo libro che viene tradotto in italiano; questo romanzo d’esordio viene pubblicato nel 2008, da Guanda, con la traduzione di Veleria Bastia e con il titolo Chiamami col tuo nome. Aciman ha dichiarato di aver impiegato davvero poco tempo nella stesura di questo romanzo:

You mentioned to me that you wrote the book very quickly. How long did it actually take you, and what was that process like?

I began on April 7, 2005. By July was already going over the manuscript. Which means it was more or less done. For me the hardest part is getting the plot right; once this is taken care of, the rest is easy. […]

Four months to finish a novel is incredible. Do you always write that fast?

No, I seldom write that fast. It could take me two months to write a 10-page essay. But maybe because this was different, or because I wasn't taking it too seriously, or because it felt so contemporary (to me, at least) and never classical enough, or because it felt so slangy, so down-to-earth... each sentence wrote itself on my screen in no time. I was writing fast, very fast, the way you might write an e-mail, or a letter, or a journal entry. I was writing as if questions of style and form weren't even being addressed. I was writing for myself, for the fun of it, because no one was ever going to read it. Or maybe it's just that I was writing because I was having a ball. Having a crush on someone, or watching two individuals falling in love with one another, or simply living in Italy for four months by the beach was so spectacular that perhaps I

85 https://www.gc.cuny.edu, biografia di facoltà (sito consultato a dicembre 2018).

86 Abbiamo intervistato Andrè Aciman, https://www.supereva.it (sito consultato a dicembre

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also fell in love with the act of writing itself. I couldn't wait to be done with dinner to get back to my computer.

When you read the finished novel now, does it still strike you as too contemporary?

No, it feels right. Not too contempo, nor too archaic. All I know is that I was trying to capture certain emotions and psychological states as precisely as I could without,

however, naming them – I guess that's where the whole question of style comes in87.

Da un’intervista rilasciata per La Repubblica, inoltre, Aciman ha dichiarato il motivo per cui ha scelto di raccontare un amore gay, e perché ha deciso di ambientarlo proprio in Italia:

Lei è eterosessuale, ha moglie e figli. È stato difficile raccontare un amore gay? No. Quando ero molto giovane — avrò avuto 10 anni — ero attratto da un altro ragazzo 16enne, un po' come Elio. Tra noi non c'è stato niente, ma i sentimenti erano lì, vivi, e li ho recuperati quasi cinquant'anni dopo quando ho scritto Chiamami col

tuo nome.

Perché?

Più di dieci anni fa io e la mia famiglia dovevamo partire per la mia amata Italia, come ogni anno.

87 An interview with Andrè Aciman, intervista di DREW NELLINS, Marzo 2007,

http://www.bookslut.com (sito consultato a dicembre 2018).

“Mi ha detto che ha scritto il libro molto velocemente. Quanto tempo le ha effettivamente preso, e come ha proceduto?” “Ho iniziato il 7 aprile 2005. A luglio stavo già andando oltre il manoscritto. Il che significa che era più o meno finito. Per me la parte più difficile è trovare la trama giusta; una volta individuata, il resto è facile. […]”. “Quattro mesi per finire un romanzo è incredibile. Scrive sempre così in fretta?” “No, raramente scrivo così velocemente. Potrebbero volermici due mesi per scrivere un saggio di 10 pagine. Ma forse perché questo era diverso, o perché non lo prendevo troppo sul serio, o perché lo sentivo così contemporaneo (per me, almeno) e mai abbastanza classico, o perché mi sentivo così goffo, così concreto... ogni frase si è scritta sul mio schermo in poco tempo. Stavo scrivendo in modo veloce, molto veloce, nel modo in cui potresti scrivere una e-mail, una lettera o una voce di diario. Stavo scrivendo come se le domande su stile e forma non fossero nemmeno affrontate. Stavo scrivendo per me, per il gusto di farlo, perché nessuno lo avrebbe mai letto. O forse è solo che stavo scrivendo perché avevo una palla. Avere una cotta per qualcuno, o guardare due persone innamorarsi l'una dell'altra, o semplicemente vivere in Italia per quattro mesi vicino alla spiaggia è stato così spettacolare che forse mi sono anche innamorato dell'atto stesso di scrivere. Non vedevo l'ora di finire la cena per tornare al mio computer”. “Quando leggi il romanzo finito ora, ti sembra ancora troppo contemporaneo?” “No, sembra giusto. Non troppo contemporaneo, né troppo arcaico. Tutto quello che so è che stavo cercando di catturare certe emozioni e stati psicologici nel modo più preciso possibile, tuttavia, nominandoli, credo che sia qui che entra in gioco l'intera questione dello stile”.

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ma non siamo riusciti a trovare una sistemazione in Toscana. Allora la nostalgia mi ha avvinghiato e ho cominciato a scrivere pensando alla casa di Bordighera dipinta da Monet. Adesso ne faccio un romanzo, mi dissi, ma non gay. Poi però ho deciso di ripercorrere quell'amore che avevo intravisto a dieci anni. Ma era davvero amore? Non lo so.

Quindi "Chiamami col tuo nome", dove lei ha un cameo con un personaggio omosessuale, è il rimpianto di non aver vissuto quel sentimento per un altro adolescente?

No, per niente. Nessuna nostalgia. Ma certo non ho mai dimenticato quel turbamento vis-à-vis che ho provato per quel ragazzo e poi per altre persone negli anni successivi88.

Il vero successo del romanzo, però, è arrivato in seguito alla distribuzione, nelle sale cinematografiche, dell’omonimo film di Luca Guadagnino, nel 2017 (in Italia è approdato nelle sale a gennaio 2018); con l’uscita del film è mutato il tipo di pubblico interessato al libro. In molte interviste, infatti, Aciman ha dichiarato che in un primo momento riceveva lettere di approvazione da parte di persone adulte, che si rispecchiavano, o comunque trovavano una certa affinità, con il padre di Elio. Nel 2018, poi, in seguito al successo del film, anche i ragazzi più giovani si sono appassionati alla storia di Elio ed Oliver, ritrovandosi nella paura di affrontare un amore travolgente – talvolta confortati dal fatto che possa esistere un sentimento così grande – un po’ come il giovane Elio89.

Oltre a questo romanzo d’esordio, Guanda ha pubblicato altri testi dell’autore: Notti

Bianche, Harvard Square, il memoir Ultima notte ad Alessandria, la raccolta di

saggi Città d’ombra e Variazioni su un tema originale.

88 Andrè Aciman “Così racconto il turbamento che mi provocò quel ragazzo”, intervista di

Antonello GUERRERA, febbraio 2018, https://www.repubblica.it (sito consultato a dicemre 2018).

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