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3. Il film di Luca Guadagnino

3.3 La narrazione e lo sguardo

3.3.1 Il punto di vista

Per un’analisi più dettagliata sullo sguardo occorre esaminare la questione del punto di vista. Seguiamo quindi l’esempio di alcuni grandi studiosi che si sono occupati dell’argomento tra gli anni ’70 e ‘90: Gerard Genette, Andrè Gardies e Edward Branigan.

Secondo Genette, la questione del punto di vista rientra nella categoria del mondo con il quale è gestita la narrazione e coincide con la nozione di focalizzazione: il punto di vista viene inteso nella sua valenza cognitiva, come determinazione del rapporto di “sapere narrativo” tra narratore, personaggio e lettore/spettatore121.

In Chiamami col tuo nome la gestione del sapere avviene tramite un filtro: un filtro selettivo, limitatore nell’erogazione della conoscenza dei fatti, interno al racconto; viene usato come filtro un personaggio, Elio, e vengono fornite al lettore soltanto le informazioni di cui tale personaggio è in possesso. Si tratta quindi di una focalizzazione interna.

Gardies ha ripreso il concetto di focalizzazione di Genette, sviluppandolo come principio di polarizzazione (1993): seguendo questa nozione possiamo affermare che in Chiamami col tuo nome ci troviamo di fronte a una polarizzazione- personaggio, in cui l’enunciatore finge che il proprio sapere aderisca ai limiti del personaggio e lo spettatore, di conseguenza, si trova a muoversi entro questi limiti cognitivi. Lo spettatore, posizionato all’interno dell’universo diegetico, è ancorato ad un personaggio – in questo caso ad Elio – al suo sapere e ai suoi effetti ed ha la

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sensazione di esplorare il mondo del racconto attraverso quello che può vedere ed ascoltare il personaggio.122

L’altra riflessione su cui vogliamo concentrarci viene proposta dallo studioso statunitense Branigan:

articola l’opposizione tra “inquadratura soggettiva” (point of view shot) e “inquadratura oggettiva” (nobody’s shot) in una serie di varianti, di forme intermedie e marcate da aspetti che non riguardano solo l’origine visiva e implicitamente cognitiva di ciò che ci viene mostrato sullo schermo, ma anche i condizionamenti percettivi, affettivi e ideologici, rispettivamente dell’autore e del personaggio123. Tabella 2 – Il cerchio della soggettività di Branigan124

I passaggi e i confini tra una forma e l’altra sono graduali e non sempre netti, spesso anche sfumati e ambigui.

Seguendo come spunto lo schema di Branigan possiamo osservare il punto di vista che caratterizza Chiamami col tuo nome.

122 Ivi, p. 104. 123 Ivi, p. 105. 124 Ivi, p. 106.

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La narrazione del film è contrassegnata da uno sguardo oggettivo, anche se sembra carico della soggettività dei personaggi, soprattutto di Elio. Si parla quindi di oggettive neutre nel caso in cui le inquadrature sono motivate solo dall’esigenza di rappresentare l’azione dei personaggi e la scena nella quale si muovono. È il caso, ad esempio, della sequenza successiva alla pedalata in bicicletta – nella parte iniziale del film – in cui i due ragazzi si trovano seduti ad un tavolino di un bar, a parlare del più e del meno, fino a quando Oliver non si alza e si allontana con la bicicletta, lasciando il giovane Elio stupito per il suo brusco modo di salutare. La camera impassibile, invece, non è funzionale alle esigenze dell’azione e si carica di un valore principalmente autoreferenziale: è la manifestazione di un puro esercizio dello sguardo. È possibile individuarla nell’episodio che risale alla prima notte di amore tra Oliver ed Elio: i due ragazzi sono sdraiati nudi sul letto e la macchina da presa si sposta fuori dalla finestra ed inquadra gli alberi. Ci troviamo, così, di fronte ad una manifestazione dell’enunciatore che non commenta il mondo diegetico, anzi, è impassibile rispetto a questo125.

Le forme di sguardo semisoggettive caratterizzano molti episodi del film: infatti, sia Elio che Oliver vengono spesso inquadrati di spalle, con la macchina da presa leggermente di lato. Questo tipo di inquadratura configura un tipo di visione tecnicamente oggettiva, poiché la visione non conferisce direttamente dal personaggio; tuttavia, l’inquadratura e lo spazio che essa circoscrive è riconducibile all’interiorità del personaggio stesso126. Questa tecnica è usata, ad esempio, nella

scena in cui Elio, affacciato al balcone, osserva Oliver allontanarsi tra gli alberi o

125 Ivi, p. 107. 126 Ivi, p. 110.

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nella sequenza in cui, Elio ed Oliver, si trovano nella piazza di fronte al monumento dei caduti nella battaglia del Piave. In questa occasione la macchina da presa si trova alle spalle di Elio e segue gli spostamenti di Oliver. Questo tipo di sguardo è usato anche in una delle ultime sequenze del film, nel momento della partenza dell’ospite americano: Elio infatti viene inquadrato sempre di spalle ed osserva il treno che si allontana dalla stazione.

All’interno del film non sono presenti delle soggettive pure. Infatti, in più occasioni, lo sguardo sembra appartenere ad Elio, ma poi ci rendiamo conto che queste inquadrature non fanno capo allo sguardo del personaggio. Per questo motivo vengono definite false soggettive. Ne è un esempio la scena in cui la famiglia Perlman e Oliver si trovano nello studio del professore e l’americano dà la definizione etimologica della parola “albicocca”. In questo episodio si ha come l’impressione che lo sguardo sia legato alla soggettività di Elio, fino a quando la macchina da presa non si sposta leggermente, tanto da lasciar intravedere un pezzo di spalla del ragazzo.

All’interno della narrazione filmica, inoltre, compare una breve scena in cui si può parlare di riflesso di personaggio (per questa forma di sguardo è necessario uno specchio o una semplice superficie riflettente ed occorre che il personaggio vi indirizzi lo sguardo per vedervi riflesso il proprio corpo o altri oggetti)127: si trova nella parte iniziale della pellicola, in cui Elio, posizionato davanti allo specchio, si fa i baffi. Si osserva attentamente fino a quando non fa una smorfia.

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In alcuni casi è presente anche lo sguardo in macchina, che rispecchia uno sguardo di un “tu” cui il personaggio si rivolge; fa sì che lo spettatore resti ancorato alla storia, facendolo identificare con un pubblico diegetico. L’uso di questa tecnica era frequente nei primi anni di vita del cinematografo ma, con il progressivo sviluppo di forme narrative più complesse, lo sguardo in macchina è stato messo al bando – ad eccezione di casi in cui fosse giustificato da una motivazione diegetica – per non mostrare troppo l’artificiosità del cinema128.

Lo sguardo in macchina In Chiamami col tuo nome si può ritrovare, ad esempio, nella scena in cui il professore, in piedi accanto al proiettore, ed Oliver, seduto sul divano, osservano intensamente le diapositive delle statue ellenistiche – dal quale fascino vengono rapiti – e nell’ultima sequenza del film, dove Elio viene inquadrato in primo piano: si trova davanti al camino, con gli occhi lucidi, dopo aver ricevuto la telefonata dall’America di Oliver. L’amico ha appena comunicato ad Elio che in primavera si sposerà; ciò ha turbato profondamente il ragazzo, che si sente ancora legato ad Oliver e alla loro estate passata a scoprirsi meglio. Per gran parte dell’inquadratura, però, Elio non alza gli occhi verso la macchina da presa: ha lo sguardo rivolto in basso, assorto nei suoi pensieri; si intravede apparire sul suo volto una nuova espressione, mista a sorpresa e consapevolezza. Lancia un’occhiata intensa nella direzione dello spettatore solo nel momento in cui, la mamma, alle sue spalle, lo chiama, destandolo così dalle sue riflessioni.

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