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L’eguaglianza dei culti e i riflessi dell’antisemitismo ottocentesco

Le conseguenze delle leggi del 1938 sulla vita delle persone

PREMESSE DELLA LEGISLAZIONE ANTIEBRAICA TRA SVOLTA ANTISEMITA E PROGRESSIONE RAZZISTA

2. L’eguaglianza dei culti e i riflessi dell’antisemitismo ottocentesco

Una premessa appare doverosa sulla distinzione tra razzismo e anti-semitismo nella cultura europea, evitando così di trasformarli in termi-ni intercambiabili. Un nesso evidente collega l’antiebraismo ottocen-tesco a livello europeo e l’idea di nazione. Un antiebraismo capace di inventare l’antisemitismo, la formula in grado di contenere i pregiudizi vecchi e nuovi di zecca.

Un antisemitismo che si afferma nel contesto europeo intorno all’i-dea dell’estraneità degli ebrei all’unità etnica e culturale della nazio-ne. Un antisemitismo vecchissimo nel recupero e l’attualizzazione di

32 a.c. Jemolo, Lettere a Mario Falco, t. II, (1928-1943), a cura di m. viSmara

stereotipi e pregiudizi religiosi e al tempo stesso nuovissimo, inserito in una società europea attraversata da un percorso di laicizzazione. Il pregiudizio da religioso diventa di tipo culturale e come tale immodifi-cabile. Mentre il credo religioso ammette la conversione, il pregiudizio laico teorizza, per rafforzarsi in termini di credibilità e consenso, l’irre-versibilità di un modo di essere che non può essere soltanto culturale, ridotto nella categoria di usi e costumi. Vi sono tutte le potenzialità per estrapolare dal dato antropologico già configurato una diversità biologica riconducibile a una distinta razza.

L’elemento nazionale è tuttavia ancora predominante su quello raz-ziale. Gli ebrei non temono le discriminazioni per motivi razziali, ma avvertono fortemente il pericolo dell’esclusione dal circuito della cit-tadinanza. La preoccupazione maggiore è insomma il rischio di essere respinti dalla nazione. L’unico modo per rimanere dentro la prospet-tiva della cittadinanza, e dunque della nazione, è quello talvolta di en-fatizzare proprio il dato della diversità nella razza: stessa nazione ma di razza diversa. Un uso all’epoca innocuo della razza, molto diffuso nel mondo ebraico 33. La diversità di razza dunque anche come modo per riaffermare la propria identità storica, senza cedere nulla sotto il profilo del processo di integrazione nazionale, indica un problema in-torno al concetto di nazione. Sulle pagine del «Corriere della Sera», l’ebrea Helen Zimmern 34 scrive, commentando e citando lo studio di F.F. Dowsett, I due lati del carattere degli ebrei, pubblicato nella

West-minster Rewiew: «freddo, materialista, cinico, talora, una cosa solleva

l’Ebreo ad un sublime fervore [...] il culto della sua razza, per la qua-le professa una devozione che sembrerebbe dover essersi estinta con le antiche religioni di razza e forse appunto nel suo spirito di razza congiunto al suo materialismo dobbiamo cercare il movente della sua impopolarità. Egli ama troppo la propria nazione per assimilarsi alle al-tre, mentre d’altra parte egli stesso si assimila quando gli sembra meri-tevole d’appropriazione. Esclusivo egli stesso si trova escluso e concul-cato dalla gente in mezzo alla quale la sua comunità vive» 35. Puntuale

33 c. pilocane, Una finestra sull’ebraismo italiano dell’Ottocento nelle lettere

ine-sidite del rabbino Marco Momigliano (1825-1900), in Materia giudaica, 2010-2011, p.

224.

34 Su questa figura si veda C. del vivo, Helen Zimmern. Corriere di Londra

1884-1910, Milano, 2014.

è la nota redazionale a piè di pagina: «notiamo che il sig. Dowsett e la sig. Zimmern discorrono più specialmente della situazione degli Ebrei in Germania, in Russia ed in Inghilterra. In Italia fortunatamente non c’è spirito antisemitico e giustamente, giacchè molti Ebrei sono bene-meriti del risorgimento nazionale, avendo dato per l’Italia la libertà e la vita» 36. La razza semita del resto è evocata anche per stigmatizzare l’antisemitismo che si respira in Europa: «ancora oggi il telegrafo ci narra le pazze vittorie dell’ignoranza e della superstizione cattolica, sulla inerme e disseminata razza semita», scrive Giacomo Raimondi sul «Corriere della Sera» nel 1883 37.

Il rapporto nazionalità-razza come elemento per comprendere la rappresentazione e l’autorappresentazione degli ebrei ben poteva ri-guardare anche l’Italia. Si comprende così l’attenzione che il «Corriere della Sera» dedica al dilagare dell’antisemitismo ottocentesco.

Il collegamento tra antisemitismo e nazione è la chiave di lettura per decifrare la complessa eredità ottocentesca dei nazionalismi e della lai-cizzazione della società. La questione ebraica costituisce per certi versi l’altro lato della questione cattolica. La diversità italiana deriva proprio dal fatto di un processo nazionale che avviene contro la tradizione re-ligiosa, come scrive Eugenio Artom negli anni della persecuzione raz-ziale, «la sola nazione europea [...] che la unificazione abbia raggiunto lottando contro la propria religione» 38. Gli israeliti entrano a far parte del circuito della piena cittadinanza con il riconoscimento da parte di Carlo Alberto di Savoia dei diritti civili agli ebrei piemontesi e liguri con il regio decreto del 29 marzo 1848 n. 688, dato dal Quartier gene-rale di Voghera, venticinque giorni dopo l’emanazione dello Statuto e sei giorni dopo l’avvio della guerra con l’Austria: «gli Israeliti regnicoli godranno dalla data del presente di tutti i diritti civili e della facoltà di conseguire i gradi accademici, nulla innovato quanto all’esercizio del loro culto, ed alle scuole da essi dirette. Deroghiamo alle leggi con-trarie al presente». Nell’ambito del diritto di associazione è possibile un’Italia ebraica strutturata sulla base di un particolarismo giuridico 39

36 Ivi.

37 G. raimondi, Antisemitismo, in Corriere della Sera del 29-30 settembre 1883.

38 e. artom, Per una storia degli Ebrei nel risorgimento, in Rassegna storica toscana,

1978, p. 144, citato da M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, cit., p. 7.

39 Sulle differenze normative tra le varie comunità nel periodo postunitario, si veda G. fubini, La condizione giuridica cit., pp. 30 ss.

in cui le comunità israelitiche costituiscono «persone giuridiche pub-bliche necessarie, costituite da tutti gli israeliti domiciliati nella loro circoscrizione, fornite del potere di imposizione su di essi» 40.

Ciò che distingue l’Italia da altri paesi 41 è una dimensione nazionale costruita intorno alla laicità che non significa indifferenza per il senti-mento religioso, visto che tutto ciò che attiene alla cura della persona è permeato dalla morale della religione dello Stato, ma depotenziamento istituzionale della Chiesa cattolica nel girone della libertà in un regi-me di eguaglianza con gli altri culti. Per lo Stato italiano il problema dell’eguaglianza è anche se non soprattutto un problema di laicità. L’o-riginalità del Codice civile del 1865 attiene al matrimonio civile. I re-gnicoli israeliti accettano di buon grado il dettaglio negativo dell’indis-solubilità 42 rispetto alla tradizione, completamente ammortizzato nel positivo contesto dell’eguaglianza, intesa come orizzonte di inclusione nazionale e di cittadinanza piena. Persino l’art. 1 dello Statuto Alber-tino – La religione Cattolica Apostolica Romana è la sola religione dello

Stato – assume un’intonazione nuova, se riletto nell’ottica della

cavou-riana formula della «libera Chiesa in libero Stato» che contiene al suo interno la libertà individuale di professare il culto e la libertà collettiva nel solco del diritto di associazione 43. Lo Stato può avere una sua re-ligione, soltanto liberandosi dei corpi morali e liberando la Chiesa 44.

40 m. falco, Sulle comunità israelitiche italiane, in Rivista di diritto pubblico, 1931, I, p. 512.

41 Si veda almeno P.F. fumaGalli, Ebrei e cristiani in Italia dopo il 1870:

antisemi-tismo e filosemiantisemi-tismo, in Italia judaica. Gli ebrei nell’Italia unita 1870-1945. Atti del

IV congresso internazionale, Siena 12-16 giugno 1989, Roma, Ministero per i beni culturali, 1993, pp. 125 ss.

42 M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, cit., p. 7.

43 «E di vero la celebre formola Libera Chiesa in libero Stato, messa fuori da quell’il-lustre ed accolta con tanto plauso da tutta la nazione, richiede che né la Chiesa sia mai d’impedimento allo Stato, né lo Stato alla Chiesa; e sotto questo secondo aspetto quella formola inchiude due concetti, il diritto individuale della piena libertà di coscienza e il diritto collettivo della Chiesa di governarsi e di svolgersi liberamente secondo le sue proprie instituzioni e i suoi peculiari destini: il diritto il cui esercizio non può non riuscir mai pericoloso allo Stato, dacchè risguarda solo religiose credenze e spirituali offici» (Camera dei deputati, Progetto di legge relativo alla soppressione delle

corpora-zioni religiose presentato dal Guardasigilli Pisanelli nella tornata del 18 gennaio 1864,

doc. 159, pp. 18-19).

44 Cfr. Discorsi del deputato P. Stanislao Mancini pronunciati nella camera dei

depu-tati nelle tornate del 10,11, 12 luglio 1867 sulla discussione del progetto di legge sulla liquidazione dell’asse ecclesiastico, Firenze, 1867, p. 31.

Lo Stato italiano mira a ridimensionare la Chiesa cattolica come ingombrante istituzione intermedia, non il sentimento religioso che è anche un interesse dello Stato quando laicizzato, scorporato dalla Chiesa-istituzione 45. Il principio di eguaglianza dei culti è così rita-gliato nella legislazione intorno alla rilettura laicista dell’art. 1 dello Statuto e al diritto di associazione inteso come pacifica proiezione del diritto di adunanza ex art. 32, con aperture alla liberta degli altri culti e la ricollocazione della Chiesa cattolica, nel quadro di un’architettura complessa, lontana nella forma ma non nella sostanza dalle previsio-ni di Cavour che nel 1848 vagheggiava una «Magna Charta italiana» capace di «dichiarare nel modo più esplicito essere ogni coscienza un santuario inviolabile», in modo tale da «accordare a tutti i culti una intiera libertà» 46.

Se dunque l’eguaglianza giuridica, che non può non essere anche eguaglianza dei culti, è l’orizzonte costituzionale, è facile comprende come il mondo cattolico, emarginato dal circuito istituzionale, com-batta questa eguaglianza utilizzando vecchi e nuovi pregiudizi: l’inte-grazione degli ebrei dunque come elemento di contestazione dell’equi-librio imposto dallo Stato, che dalla letteratura cattolica si apre con facilità alla propaganda antistatuale e dunque più o meno direttamente antigiudaica 47.

La questione romana, da un lato, depotenzia l’antisemitismo inte-so come problema collaterale interno allo Stato avvertito dai cattolici come nemico diretto, dall’altro, restituisce un antigiudaismo di oppo-sizione ad alta gradazione politica, ma senza implicazioni biologiche, capace però di mantenere nella memoria profonda della società italia-na stereotipi e pregiudizi sull’ebraismo.

La dinamica liberale nel rapporto stato-cattolici-israeliti è eviden-ziata in un grande caso di cronaca in grado di condizionare la

questio-45 I gesuiti ironizzano nel 1860 sui processi a vescovi e cardinali colpevoli di non aver cantato il Te Deum per Vittorio Emanuele, considerati come un tratto di strava-ganza estraneo al «governo laico di qualunque paese di questo mondo». Citazione

tratta da M. ventura, Creduli e credenti. Il declino di stato e chiesa come questione di

fede, Torino, 2014, p. 6.

46 L’intervento di Cavour sul giornale «Il Risorgimento» del 18 maggio 1848 è

ri-portato in c. a. ciampi, La libertà delle minoranze religiose, a cura di f.p. caSavola

- G. lonG - f. marGiotta broGlio, Bologna, 2009, p. 90.

47 Si veda G. miccoli, Santa Sede, «questione ebraica» e antisemitismo alla fine

ne ebraica nell’Ottocento europeo: nel 1858, sulla base delle indagini dell’inquisitore di Bologna, la polizia pontificia allontana dalla fami-glia, per incompatibilità religiosa, Edgardo Mortara, il bambino di sei anni figlio di israeliti, fatto battezzare in modo clandestino dalla dome-stica 48. Lo Stato italiano segue la vicenda con attenzione utilizzandola in chiave anti-cattolica. Il clamore del caso Mortara è uno dei fattori alla base dell’affermazione della prima organizzazione internazionale per la tutela dei diritti degli israeliti, l’Alliance israélite universelle 49. Proprio l’organizzazione degli ebrei rafforzerà il pregiudizio, alimen-tando il filone del complotto giudaico.

Nel contesto italiano l’antigiudaismo rimane una sorta di vulcano inattivo a livello istituzionale, ma non spento negli strati popolari. Tra Otto e novecento nei libelli dell’esercito dei parroci contro il divorzio i nemici sono lo Stato liberale, la massoneria e i socialisti 50. Altri sono i nemici attuali che occorre sconfiggere subito. Ma l’antigiudaismo praticato da Pio IX con la gestione del caso Mortara e teorizzato nel discorso pastorale 51 non può non indicare il permanere di un’ostilità e di un pregiudizio di fondo, alimentato proprio dal regime dell’egua-glianza.

Il primo caso di «antisemitismo» è segnalato dalla «Nazione» il 13 novembre 1882 e rilanciato dal «Corriere della sera». Non è un caso marginale trattandosi dell’esito elettorale nel collegio di Viterbo: «l’Arbib 52 fu vinto perché israelita. In città furono affissi cartellini a stampa colle parole abbasso l’ebreo, morte all’ebreo. Io stesso, dice il corrispondente della Nazione, ho letto una circolare diffusa a molti esemplari nel Collegio e indirizzata agli elettori clericali, nella quale,

48 Nonostante le enormi pressioni a livello internazionale per la riconsegna del bambino alla famiglia, Pio IX resiste: «non possimus». Edgardo rifiuterà il ritorno nella famiglia d’origine, difenderà a spada tratta Pio IX da ogni accusa e da sacerdote farà della conversione degli ebrei la sua missione pastorale. Sulla vicenda si veda il

fondamentale contributo di d.i. kertzer, Prigioniero del Papa Re, Milano, 1996.

49 Cfr. m. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., p. 10.

50 Sia consentito il rinvio a P. paSSaniti, Diritto di famiglia e ordine sociale. Il

percor-so storico della percor-società coniugale in Italia, Milano, 2011, pp. 344 ss.

51 Cfr. Discorsi del sommo Pontefice Pio IX pronunziati in Vaticano ai fedeli di Roma

e dell’orbe dal principio della sua prigionia fino al presente, Roma 1874-1878, citati da

G. miccoli, Santa Sede, «questione ebraica» cit., p. 225.

52 Sul garibaldino Edoardo Arbib (1840-1904), fondatore prima della «Gazzetta del popolo di Firenze» e poi della «Libertà» a Roma dove si era trasferito nel 1870, si

sulla autorità di rabbini fatti cattolici, si accusano gli Ebrei di odio implacabile contro i cristiani, si rimette in uso tutto l’arsenale delle an-tichissime atrocissime accuse contro i seguaci di Mosè». Pregiudizi in grado di avanzare sulle masse «ancora terrorizzate dall’educazione pre-tina» che si inseriscono in un «movimento anti-semitico, che si ha tutta la ragione di schiacciare sul nascere» 53. Il dato curioso è la vittoria di Enrico Pani Rossi con un passato da fervente anticlericale 54, capace di inventare l’antisemitismo elettorale pur di vincere in una provincia «pretina».

Il miglior antidoto rispetto all’antisemitismo di stampo europeo, che separa gli ebrei dalla nazione, è rappresentato dalla piena inte-grazione nella cittadinanza, in una dimessa veste laica perfettamente su misura dell’ebraismo secolarizzato. Basti pensare a grandi figure di uomini di governo come Luigi Luzzatti, presidente del consiglio nel periodo 1910-1911, o al grande processualcivilista, giudice e ministro Lodovico Mortara 55 o di opposizione come i socialisti Giacomo Emilio Modigliani, Claudio Treves, stretto collaboratore di Turati, la stessa Anna Kuliscioff e Margherita Grassini Sarfatti che diventerà la prima biografa di Mussolini. La storia amministrativa di Roma nel Novecento è caratterizzata da Ernesto Nathan, sindaco dal 1907 al 1913 56.

L’integrazione nel circuito della cittadinanza avviene a livello indivi-duale depoliticizzando l’appartenenza religiosa nel solco del principio di eguaglianza che consente un’effettiva integrazione nella cittadinanza

53 Un caso di antisemitismo, in Corriere della Sera del 15-16 novembre 1882.

54 e. pani roSSi, Le censettantuna ribellioni dei sudditi pontifici dall’896 al 1859, Firenze, 1860.

55 Un giurista capace di riconoscere il voto alle donne per via giurisprudenziale, con la celebre sentenza della Corte d’appello di Ancona sul ricorso delle maestre di Senigallia nel 1906, autore della riforma del processo sommario nel 1901, e della legge sulla condizione giuridica della donna nel 1919 come ministro di Grazia e Giustizia e dei culti di osservanza nittiana (1919-20). Su Lodovico Mortara si veda Giornata in

ricordo di Lodovico Mortara, in collaborazione con l’Associazione Italiana fra gli Studiosi del Processo civile: Roma 17 aprile 1997, Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1998;

n. picardi, Mortara Lodovico, in Dizionario biografico degli italiani, 77 (2012).

56 A livello di biografie, il livello politico locale può congiungersi a quello nazionale e internazionale in una piccola ma significativa comunità come Pigliano: basti pensare al caso di un parente di Dante Lattes, Azaria Lattes, deceduto nel 1906 quando rive-stiva la carica di Sindaco di Monte Argentario in circostanze mai chiarite dall’autorità giudiziaria, padre dell’architetto Enrico Lattes autore del piano regolare di Terni negli anni Trenta, scomparso giovanissimo.

nazionale. A ben vedere, il modello dell’integrazione è concepito sul prototipo dell’ebreo laico e di indiscutibile spessore professionale. In una dimensione costituzionale costruita intorno alla laicità, questo mo-dello di integrazione può essere sufficiente, per mantenere sotto con-trollo pulsioni antisemite che l’eredità ottocentesca non può non aver lasciato.