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Dalla legislazione coloniale al primo libro del Codice civile

Le conseguenze delle leggi del 1938 sulla vita delle persone

PREMESSE DELLA LEGISLAZIONE ANTIEBRAICA TRA SVOLTA ANTISEMITA E PROGRESSIONE RAZZISTA

5. Dalla legislazione coloniale al primo libro del Codice civile

L’ingresso in grande stile della razza bianca nella legislazione ita-liana avviene con L’ordinamento organico per la Somalia e l’Eritrea ai sensi della legge 6 luglio 1933 n. 999 93. L’art. 17 prevede: «Il nato nell’Eritrea o nella Somalia Italiana da genitori ignoti, quando i carat-teri somatici ed altri eventuali indizi facciano fondatamente ritenere che entrambi i genitori siano di razza bianca, è dichiarato cittadino italiano». L’articolo successivo stabilisce che «il nato nell’Eritrea o nel-la Somalia Italiana da genitori ignoti, quando i caratteri somatici ed altri indizi facciano fondatamente ritenere che uno dei genitori sia di razza bianca, può chiedere, giunto al, 18° anno di età, di assumere la

88 Citazione tratta dal «Corriere della Sera» del 24 ottobre 1933: Profonda eco del

discorso del Duce alle Camicie nere fiorentine. «La nostra razza latina e mediterranea darà ancora le parole che il mondo inquieto e confuso attende».

89 Ivi.

90 r. de felice, Storia degli ebrei, ed. 1961, cit., p. 281.

91 a. ventura, Il fascismo e gli ebrei, cit., p. 5.

92 Ivi, p. 10.

cittadinanza italiana». Il nesso cittadinanza-razza è così formalizzato, nell’autoevidenza del tratto somatico-cromatico, in un paradossale ri-svolto garantistico.

La legislazione coloniale è dunque lo schema di una cittadinanza fondata sull’omogeneità razziale, intesa come unità biologica senza im-plicazioni culturali 94. Tutto il discorso igienista e popolazionista grava dunque sulla legislazione coloniale che assume un significato generale ben più ampio delle fattispecie che contempla. Nel divieto di rapporti di indole sentimentale con i sudditi dell’Africa orientale vi è lo schema di cittadinanza che prevede esclusioni sulla base di un preambolo bio-logico-razziale. Un varco dunque si apre anche nel discorso civilistico circoscritto dalla cornice razziale.

Se la cittadinanza è la forma giuridica della nazione fondata su una determinata razza, che rispetto all’Africa Orientale può essere defi-nita come bianca, l’ordinamento deve tutelare il colore e combattere il meticciato, andando progressivamente alla sostanza relazionale del contatto sessuale. In questo contesto viene costruito il delitto di mada-mato 95, con la reclusione da uno a cinque anni per «il cittadino italiano che tiene relazioni d’indole coniugale con persone suddite dell’Africa Orientale Italiana», in una logica di «Apartheid nell’Africa Italiana» 96, con il reato di pericolo previsto dall’articolo unico del R.D.L. 19 apri-le 1937 n. 880, convertito nella apri-legge 30 dicembre 1937 n. 2590: «la norma sta a tutela delle razze e quindi contro la formazione del metic-ciato, e pertanto contro la riproduzione mista che può anche mancare nei rapporti di sesso». Pertanto «la obiettività giuridica è costituita da qualunque probabilità che si attui il rapporto pericoloso» 97.

Se la razza è il fondamento biologico della nazione, in un regime che dal lavoro alla mezzadria passando per la scuola, costruisce apparati ideologici con le Carte, non sorprende l’annuncio della Dichiarazione

94 R. baiocchi, Scienza italiana e razzismo fascista, Firenze, 1999, pp. 241 ss.; O. De Napoli, La prova della razza cit., p. 79.

95 Si veda il contributo di F. bacco, Il delitto di «madamato» e la «lesione al

presti-gio di razza». Diritto penale e razzismo coloniale, in l. Garlati - t. vettor (a cura di),

Il diritto di fronte all’infamia nel diritto. A 70 anni dalle leggi razziali, Milano, 2009,

pp. 85-119.

96 Cfr. La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e

dell’antisemi-tismo fascista, a cura del Centro Furio Jesi, Bologna, 1994, pp. 293-296.

97 M. manfredini, Ancora alcune questioni in tema di madamato, in Rivista penale, 66 (1939), p. 609.

sulla razza 98 deliberata dal Gran Consiglio del fascismo il 6 ottobre 1938, seguita dal Regio Decreto legge 17 novembre 1938 n. 1728 (con-vertito nella legge 5 gennaio 1939 n. 274) che stabilisce il divieto di matrimonio con persone di razza camita, semita e altre razze non aria-ne, riscrivendo in chiave razziale il diritto matrimoniale e familiare, al punto da incrinare l’equilibrio raggiunto con il Concordato 99.

Vi è ormai un’oggettiva «confluenza a questo punto tra legislazione razzista coloniale e legislazione antiebraica», dettata da «un nesso logi-co e logi-concettuale assolutamente indissociabile: erano due rami che di-scendevano dallo stesso tronco» 100. Il profilo giuridico è riassunto in un bio-diritto che su base pseudo-scientifica dà forma alla purezza della raz-za disegnata in ragione della propaganda contro i nemici della nazione.

L’influenza della legislazione coloniale sulla normativa antiebraica deve essere tematizzata con particolare attenzione. Si tratta infatti di fenomeni distinti che il diritto razzista coordina e omogeneizza nella sfera della soggettività giuridica. Il punto di incontro a livello giuridico è rappresentato dalla normativa matrimoniale che richiama un preciso schema di cittadinanza. Uno schema fondato sull’identificazione tra razza e nazione 101 che ridisegna il diritto delle persone.

98 A due mesi dall’uscita de «la Difesa della razza», a prezzo modico ed ampia tiratura, sotto la gestione del ministero della Cultura popolare. Su questa rivista cfr. V. piSanty, La difesa della razza. Antologia 1938-1943. Prefazione di U. eco, Milano,

2006; F. caSSata, «La Difesa della razza». Politica, ideologia e immagine del razzismo

fascista, Torino, 2008. Nel 1939 appare anche «Il diritto razzista». Su questa rivista,

cfr. G. cianferotti, Leggi razziali e i rettori delle Università italiane (con una vicenda

senese), in Le Carte e la storia, X (2004), pp. 12-23; G. Scarpari, Una rivista

dimenti-cata: «Il diritto razzista», in Il Ponte, 60 (2004), pp. 112-145; I. Pavan, Prime note su razzismo e diritto in Italia. L’esperienza della rivista «Il diritto razzista» (1939-1942), in

d. menozzi - r. portici - m. moretti (a cura di), Culture e libertà. Studi in onore di

Roberto Vivarelli, Pisa, 2006, pp. 371-416.

99 Le proteste della Santa Sede ottengono l’eliminazione della qualificazione dei

matrimoni nulli per differenza di razza nei termini del concubinato. Cfr. P. unGari,

Storia del diritto di famiglia in Italia 1796-1975, Bologna, 2002 (1974), p. 216.

100 E. collotti, Il fascismo e gli ebrei, cit., p. 38.

101 Il «Resto del Carlino» del 2 settembre 1938 titola in prima pagina: «Il consiglio dei ministri per la difesa della razza. Provvedimenti nei confronti degli ebrei

stranie-ri. Politica demografica del Regime. Il requisito di «coniugato» indispensabile per la

promozione dei funzionari. Le donne negli impieghi non possono superare il dieci per cento dei posti. Una Commissione consultiva permanente per il diritto di guerra alle dirette dipendenze del Duce. Istituzione del Governo dello Sciioa e del Consiglio Superiore per la Demografia e la Razza. Provvidenze per gli operai nell’A.I».

I lavori preparatori al Codice civile 102 procedono lungo un percor-so che dal Progetto di Codice civile 103, passando per la fase dell’ascolto delle osservazioni e proposte dal mondo accademico e giudiziario 104, giunge alla revisione della Commissione parlamentare 105, attraversato da contenute recriminazioni sulla mancata fascistizzazione del Codice, ma nulla più 106. A un Costamagna che domanda se sia ammissibile la «legittimazione di un negro», D’Amelio può ancora rispondere che «se è un bianco che domanda la legittimazione di un negro, non potrà essere un negro, ma un mulatto», che non potrà essere escluso dalla legittimazione, considerando che i matrimoni misti, per quanto visti con sfavore, non sono proibiti 107.

Il «mimetismo» tra diritto civile e diritto canonico prodotto dalla di-mensione concordataria, deprecato da Jemolo sul piano dogmatico 108, conduce a un tracciato codicistico che prosegue il Concordato, oltre il Concordato, lasciando fuori dalla porta ogni ipotesi di fascistizzazione, determinando una sorta di doppio canale nel solco di un’interminabile mediazione 109: da una parte, i lavori del Codice civile in cui la formula-zione delle norme avviene dentro parametri predeterminati dalla legge matrimoniale, dall’altra, vaste praterie di legislazione in cui il regime può coltivare un controllo sulla società all’altezza delle ambizioni totalitarie.

Basta prendere in considerazione gli artt. 1, 91, 155, 292, 342, 348, 404, usciti tecnicamente puliti dal progetto e dai lavori della

Commis-102 Si veda S. Gentile, La legalità del male, cit., pp. 321 ss.

103 Il progetto preliminare del primo libro è pubblicato nel 1930 e ripubblicato

l’anno successivo con la relazione: commiSSionerealeperlariformadeicodici,

Codi-ce civile. Libro primo. Progetto e relazione, Roma, 1931.

104 miniSterodi Graziae GiuStizia, Osservazioni e proposte sul progetto del Libro

primo, vol. II, Roma, 1933.

105 Atti della Commissione parlamentare chiamata a dare il proprio parere sul proget-to del libro primo del codice civile «delle persone», Roma, 1937.

106 Edoardo Rotigliano non si capacita di tanto grigiore tecnico: «rileva che la com-missione è chiamata a dar parere sull’intero nuovo Codice di diritto privato che tutti i fascisti desiderano rechi l’impronta del Regime. Senonchè, [...] l’analisi articolo per articolo fatta finora del Libro I ha rilevato non costituire il progetto quel Codice di diritto privato fascsita che era lecito attendersi» (ivi, p. 346).

107 Ivi, p. 349.

108 Osservazioni e proposte cit., p. 301.

109 La riflessione di G. meliS, La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato

fascista, Bologna, 2018, p. 569, si conclude proprio con il riferimento allo Stato fascista

«mediatore», espressione di «una macchina possente, pervasiva, ma al tempo stesso strutturalmente imperfetta».

sione parlamentare. L’art. 1 del progetto stabiliva che «l’uomo è sog-getto di diritti dal momento della nascita, quando sia nato vivo e vitale. Si presume vitale chi sia nato vivo». Nel capo III delle Del matrimonio

celebrato davanti all’Ufficiale dello Stato civile, sezione I Delle condizio-ni necessarie per contrarre matrimocondizio-nio, il progetto conteneva le norme

sugli impedimenti, dall’art. 93 (parentela, affinità, adozione) all’art. 95 (lutto vedovile), passando per il delitto (art. 94), quelle sul matrimonio del minore (artt. 96-97), e chiudeva con il matrimonio della famiglia reale (art. 98). L’art. 160 del progetto regolava i provvedimenti riguar-do ai figli, in regime di separazione personale. In tema di ariguar-dozione il progetto stabiliva un preciso divieto di adozione per i figli nati fuori dal matrimonio da parte dei propri genitori (art. 299). Il titolo IX Della

patria potestà si chiudeva con la «responsabilità del nuovo marito» ex

art. 350 del progetto. L’art. 356 regolava la scelta del tutore. Dai lavori della Commissione parlamentare era emersa la proposta dell’aggiunta di un titolo X-bis Dei minori affidati alla pubblica o alla privata

assisten-za che prevedeva l’istituto dell’affidamento del minore (art. 408 f).

Le stesse norme escono terribilmente imbrattate di oscenità razzia-li 110 nel libro I che entra in vigore nel 1939, a partire dall’art. 1 sulla capacità giuridica 111. Nella materia matrimoniale viene inserito l’art. 91 che introduce la Diversità di razza o nazionalità stabilendo al primo comma che «i matrimoni tra persone appartenenti a razze diverse sono soggetti alle limitazioni poste dalle leggi speciali». Nell’art. 155, sui prov-vedimenti relativi alla prole nella separazione, è aggiunto un secondo comma: «se uno dei coniugi è di razza non ariana, il tribunale dispone, salvo gravi motivi, che i figli considerati di razza ariana siano affidati al coniuge di razza ariana». L’art. 292 prevede il divieto di adozione per diversità di razza: «l’adozione non è permessa tra cittadini di razza aria-na a persone di razza diversa. Il Re o le autorità a ciò delegate possono accordare dispensa dall’osservanza di questa disposizione». La fantasia dell’orrore giuridico concepisce la norma sulle nozze nuove del genitore

non ariano naturalmente con persona non ariana: «il genitore di razza

110 Sull’indifferenza della dottrina civilistica, si veda G. alpa, La cultura delle

rego-le. Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari, 2000, p. 284. Su come si diventa giuristi

antisemiti «a comando», cfr. G. acerbi, Le leggi antiebraiche e razziali italiane ed il ceto

dei giuristi, prefazione di A. creSpi, Milano, 2011, pp. 226 ss.

111 Il terzo comma prevede che le limitazioni alla capacità giuridica derivanti

non ariana, che abbia figli considerati di razza ariana, se passa a nuove nozze con persona di razza pure non ariana, perde la patria potestà sui fi-gli stessi, e la tutela dei medesimi è affidata di preferenza ad uno defi-gli avi di razza ariana» (art. 342). L’ultimo comma dell’art. 348, stabilisce che «la tutela dei cittadini di razza ariana non può essere affidata a persone appartenenti a razza diversa». Il terzo comma dell’art. 404 prevede che «l’affiliazione non può essere domandata da persona di razza non ariana, salvo che il minore appartenga pure a razza non ariana».

Il Codice civile che entra in vigore nel 1939 non può essere spiegato attraverso i suoi lavori preparatori. Una vera e propria interruzione si registra tra il testo licenziato dalla Commissione parlamentare e il pro-dotto finale. Un’interruzione alimentata dall’irrompere di un profilo di cittadinanza razziale che si sovrappone alle norme, come una riforma riguardante un testo non ancora entrato in vigore. Una riforma che po-trà essere smontata in modo tale da ripristinare l’impianto originario. Deresponsabilizzato dalla pseudoscienza, il diritto prende atto delle razze senza apporre alcun argine 112.