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La giurisprudenza: «orientamento «liberale» e «governativo»

Le conseguenze delle leggi del 1938 sulla vita delle persone

ANTIGONE E PORZIA (1938-1955)

6. La giurisprudenza: «orientamento «liberale» e «governativo»

Da ‘storico della magistratura’ Alessando Galante Garrone – giudi-ce a Torino nel 1938 – ha scritto di magistrati impegnati all’epoca nella «difesa a oltranza della legalità», che, da «fatto istintivo per ogni giu-dice», nell’applicazione delle leggi razziali si era tradotta in una «affer-mazione polemica», in una «resistenza», un’«arma da brandire di fron-te a qualsiasi fron-tentativo insidioso di menomare la nostra indipendenza», «comportamento non eroico, che non ci espose mai, come giudici, a preoccupanti conseguenze, ma almeno dignitoso» 63. I Ricordi, affidati nel 1988 alla Rassegna mensile di Israel, evocavano la «nuda infamia travestita da un simulacro di legge», le «leggi non scritte di Antigone contro le inique leggi scritte di Creonte», l’«illegalità» delle sentenze»

contra legem, argine alla «mostruosità morale».

L’(auto)rappresenta-zione del giudice comunque «subditus legum» 64 era iscritta nell’habitus

dei magistrati ancorati al «sistema della legalità», alternativo al «diritto

la revoca dell’insegnamento. L’edizione 1947 portava il titolo Intorno alla questione

ebraica, Lineamenti di storia e dottrina, su cui S. Gentile, La legalità del male, cit., pp.

81 ss.; indicazioni anche in G. acerbi, Le leggi antiebraiche, cit., pp., 181 ss.

62 La Ristampa anastatica della Rivista ora in G. la pira, Premessa, in Principi,

To-rino, 2001, p. 3; id., Valore della libertà, ivi, p. 19; id., Premessa, ivi, Gennaio-febbraio

1940, p. 3. Su La Pira antirazzista O. de napoli, La prova della razza, cit., p. 122 ss.

63 A. Galante Garrone, Amalek: il dovere della memoria, Milano, 1989, p. 143.

Sull’assenza di «agiografia» nelle parole del magistrato piemontese cfr. G. Speciale,

La giustizia della razza, cit., p. 277. Cfr. anche P. borGna, Un paese migliore: vita di

Alessandro Galante Garrone, Roma-Bari, 2006.

64 A. Galante Garrone, Ricordi e riflessioni di un magistrato, in Rassegna mensile

libero». Il tema era discusso da tempo; nel 1921 Calamandrei riteneva le giurisdizioni di equità, frutto della guerra, strumentali a «rafforzare la dittatura» 65. Jemolo esaminava la dottrina di Kantorowicz e quella francese sulla rivincita del fatto sul diritto; osservava che il Novecento andava cambiando l’ordine giuridico liberale, ma sosteneva che il rap-porto istituito dal giudice tra la norma ed il tempo non dovesse sfocia-re in un’interpsfocia-retazione scollegata dalla legge 66. Francesco Carnelutti asseriva invece che l’equità assolveva meglio al bisogno di giustizia, col mettere in evidenza la legge ingiusta come «costo del sistema della legalità» 67. Calamandrei obiettava a Carnelutti che «gli sbagli del legi-slatore si correggono in via legislativa e non in via giurisdizionale» 68; nel 1953 lo stesso Calamandrei – con l’argomento ripreso da Galante Garrone – avrebbe celebrato l’«incontenibile senso della ingiustizia», che aveva ispirato ai giudici un «generoso tradimento delle abomine-voli leggi razziali» 69.

Nel 1939 Il problema del ‘tradimento’ era avvertito dagli ‘speciali-sti’ del diritto antiebraico: Cutelli stigmatizzava le «conseguenze anti-razziste» della giurisprudenza, intesa a interpretare le norme alla luce dei «principi egualitari del diritto comune», conseguenza dello «scan-dalo», che le «leggi Mussoliniane» avevano sollevato nei «pontefici del vecchio mondo giuridico, ancor duro a morire» 70. Baccigalupi soste-neva che, in caso di lacuna, si dovesse applicare la «soluzione che più sia conforme all’interesse di razza» 71. Dal canto suo Calamandrei –

im-65 P. calamandrei, Il significato costituzionale delle giurisdizioni di equità, in M. cappelletti (a cura di), P. calamandrei, Opere giuridiche, cit., I, pp. 3 ss, 38. Sui giu-dici italiani che «non abdicarono al ruolo di interpreti dell’ordinamento, per

abbrac-ciare quello di sacerdoti del sentimento del popolo» cfr. G. Speciale, «Rimane ferma

le regola». I giudici e le leggi razziali (1938-1943), in Quaderni del Consiglio superiore della magistratura, 2014, p. 36.

66 A.C. Jemolo, Il nostro tempo e il diritto, in Archivio giuridico, 1932, pp. 131ss.

67 F. carnelutti, L’equità nel diritto penale, in Rivista di diritto processuale, 1935,

pp.105 ss.; idem, La certezza della legge, in G. aStuti (a cura di), F. lopezde oňate,

La certezza del diritto, Milano, 1968, p. 194; idem, L’equità nel giudizio penale, in

Giu-stizia penale, 1945, col. 11 ss.; nello stesso senso cfr. anche N. bobbio, L’analogia nella

logica del diritto, (1938), Milano, 2006, pp. 105 ss.

68 P. calamandrei, Non c’è libertà, cit., p. 52.

69 P. calamandrei, La crisi della motivazione, in Processo e democrazia, Milano, 1954, p. 114.

70 S. cutelli, Corte d’appello di Torino, 5 Maggio 1939, in Il diritto razzista, 1939, p. 154.

pegnato nella redazione del codice di procedura civile – segnalava che un’eventuale stravolgimento del modello processuale nazionale non avrebbe risparmiato all’Italia il disorientamento della processualistica tedesca davanti alle «controversie razziali» 72. Il ‘salvare il salvabile’ de-gli ebrei (pochi) ricorrenti davanti al giudice ordinario e amministrati-vo poteva poggiare sulla cultura del formalismo, su una interpretazione forte del positivismo legalista, il rapporto tra la regola – il codice civile – e l’eccezione – le leggi del 1938, la distinzione tra precetti politici – le norme antisemite – e principi generali dell’ordinamento giuridico, con le prime prive del rango costituzionale. Come ha considerato Fubini, se i ricorsi furono pochi, talune sentenze, non tutte, ebbero comunque «risultati pratici non indifferenti», grazie ad una giurisprudenza «di orientamento «liberale», opposta a quello «governativo», specie nelle «questioni di principio» 73.

Tra i noti esempi, Peretti Griva – nel 1939 presidente di Corte d’ap-pello a Torino, poi ‘storico’ di una magistratura che, anche negli anni del fascismo, aveva seguito la sua «testa e coscienza» 74 – risparmiava i nati da matrimoni misti dall’applicazione delle norme razziali, definite «di diritto pubblico», da intendersi, ai sensi dell’art. 4 delle preleggi, «strictissimae interpretationis». Decideva per la competenza del tribu-nale presso il quale fosse stato «dedotto in causa un diritto civile o politico», di contro all’art. 26 d.l 17 Novembre1938, che affidava la risoluzione delle questioni di status alla decisione del Ministero

dell’In-p. 22.

72 P. calamandrei, Rassegna di letteratura e legislazioni straniere, in Rivista di

di-ritto processuale civile, 1939, p. 295. Indicazioni in O. de napoli, La prova della razza, cit., pp. 184 ss. Come è noto, Calamandrei in quegli anni lavorava al codice di proce-dura civile; cfr. ora Piero Calamandrei e il nuovo Codice di Proceproce-dura Civile (1940). Una

riflessione sul «Codice degli Italiani», Bologna, 2018. Su un testo estraneo alle derive

totalitarie del diritto libero, su Calamandrei liberale «conservatore della legalità», in opposizione al «germanesimo», anche in riferimento alle questioni sollevate in

Germa-nia dalle leggi antiebraiche cfr. G. cianferotti, Ufficio del giurista nello Stato

autorita-rio ed ermeneutica della reticenza. Maautorita-rio Bracci e Piero Calamandrei: dalle giurisdizioni d’equità della grande guerra al codice di procedura civile del 1940, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2008, pp. 268 ss.

73 G. fubini, La condizione giuridica dell’ebraismo, cit., pp. 75-76

74 D.R. peretti Griva, Esperienze di un magistrato, Torino, 1956, p. 327. Sul

magi-strato G. cottino, Peretti Griva, Domenico Riccardo, in I. birocchi - e. corteSe - a.

mattone - m.n. miletti (a cura di), Dizionario biografico dei giuristi italiani, cit., pp. 1537-1539.

terno, caso per caso e senza gravame, nè in via amministrativa nè in via giurisdizionale 75. Se la Corte dei conti affidava al Ministero l’appli-cazione della «legge politica», il Consiglio di Stato negava al decreto «carattere costituzionale, non essendo legge formale»; affermava che la «sovranità dello Stato non può subire attenuazioni o deroghe», e che la Carta della Razza, pur frutto del «più alto consenso costituzio-nale» – il Gran Consiglio – non stravolgeva l’ordinamento giuridico, dal momento che non era «invocabile» in presenza di «norme di diritto positivo, che debbono senz’altro venire applicate» 76.

La principale posta in gioco della fubiniana «giurisprudenza libera-le» era insomma il rapporto tra potere politico e magistratura, questio-ne che non riguardava solo gli ebrei, ma tutti i cittadini, laddove il col-lasso della giurisdizione, iscritto nell’art. 26, appariva a Calamandrei «lesivo del principio fondamementale dello Stato di diritto» 77. In que-sto senso Galante Garrone affermava che la peraltro risalente tendenza legislativa a sottrarre competenze alla magistratura era in contrasto con le «più salde tradizioni giuridiche italiane», ancorate alla «sicurezza del diritto» 78. Jemolo da un lato riconosceva che spettasse al Ministero de-cidere «chi sia ebreo»; dall’altro asseriva che il giudice ordinario fosse competente della sua «condizione giuridica» 79. Non a torto soprat-tutto il riconoscimento dell’esperibilità dei gravami, ribadito da una sentenza della Cassazione – estensore Costamagna 80 – è parso decisivo

75 Foro italiano, 1939, I, col. 915. Sulla questione G. fubini, La condizione giuridica

dell’ebraismo, cit., p. 78; G. Speciale, Giudici e razza, cit., pp. 66 ss.; O. de napoli,

La prova della razza, cit., pp. 164 ss.; G. Speciale, La giustizia della razza. I tribunali e

l’art. 26 del Rd 1728 del 17 Novembre 1938, in L. lacchè (a cura di), Il diritto del duce.

Giustizia e repressione nell’Italia fascista, Roma, Carocci, 2015, pp. 249 ss.; A. patroni

Griffi, Le leggi razziali e i giudici: considerazioni sugli spazi dell’ermeneutica giudiziaria

nell’Italia fascista, in Le carte e la storia, 2016, pp. 107 ss.; G. meliS, La macchina

im-perfetta, cit., pp. 559 ss.

76 Foro italiano, 1941, III, col. 18 ss, su cui G. Speciale, Giudici e razza, cit, pp., 60 ss.

77 P. calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile secondo il nuovo codice,

Padova, 1944, p. 78; sulla datazione dell’opera indicazioni in G. cianferotti, Il

con-cetto di status, cit., p. 142.

78 A. Galante Garrone, Conflitti di competenza in questioni di razza, in Rivista del

diritto matrimoniale italiano e di rapporti di famiglia, 1939, p. 409.

79 A.C. Jemolo, Su una pretesa privazione di giurisdizione, in Foro italiano, 1941, III, coll. 92 ss.

in una «neutralizzazione» del corpus antiebraico 81 prima della depor-tazione. Come ha ricordato Fubini, «i repertori di giurisprudenza non riportano alcuna sentenza in materia razziale pronunziata dal Settem-bre 1943 all’Aprile 1945. Gli eSettem-brei come entità giuridica avevano ces-sato di esistere» 82.

7. La «persona colpita dalle leggi razziali». Una riparazione

incom-presa

Nel dramma dell’Italia divisa, il Rdl 20 Gennaio 1944, n. 25 – volu-to soprattutvolu-to dagli Alleati – dettava disposizioni per la reintegrazione dei diritti civili e politici dei cittadini italiani e stranieri, già dichiarati o considerati di razza ebraica, e per la restituzione dei beni sottratti; si af-fidava dunque all’interprete il compito di individuare la «persona col-pita dalle leggi razziali» 83. Al tempo stesso il legislatore era preoccupa-to di non alterare il principio dell’uguaglianza degli italiani, a sfavore, questa volta, dei non israeliti; tra epurazione, defascistizzazione, con-tinuità dello Stato, i vari governi non esprimevano un ‘atto solenne’ sulle infamie commesse dal regime fascista, con la riparazione affidata ad una sorta di ‘terra di nessuno’. In seguito le provvidenze – tra tutte la legge Terracini per i perseguitati politici, estese all’ultimo momento a quelli per motivi razziali 84 – erano legate alle varie stagioni politiche

81 S. falconieri, Tra “silenzio” e “militanza”, cit., p. 166 ss.

82 G. fubini, La condizione giuridica dell’ebraismo, cit., p. 79.

83 L’espressione era indicata dall’articolo 14 del Rdl 26/44, contenente disposizioni relative alla reintegrazione nei diritti patrimoniali, per cui, in deroga al codice, era prevista azione di annullamento di contratti di beni aventi per oggetto l’alienazione di beni immobili stipulati o non stipulati nel tentativo di sottrarsi all’applicazione delle

disposizioni; cfr. M. toScano (a cura di), L’abrogazione delle leggi razziali in Italia

(1943-1987). Reintegrazione dei diritti e ritorno ai valori del Risorgimento, Prefazione

di G. Spadolini, Roma, 1988, rist. 2018, p. 99.

84 L’elenco in M. toScano (a cura di) L’abrogazione, cit., pp. 88 ss.;

sull’applicazio-ne delle norme cfr. S. benvenuto, Orientamenti giurisprudenziali e bibliografia

giuridi-ca, ivi, pp. 93 ss. G. d’amico, Quando l’eccezione diventa la regola. La reintegrazione

degli ebrei nell’Italia post-fascista, Torino, 2006; E. corrradini, Il difficile reinserimento

degli ebrei. Itinerario e applicazione della legge Terracini n. 96 del 10 Marzo 1955,

Tori-no, 2012; S. falconieri, La legge della razza, cit., pp. 261 ss.; G. Speciale, Il

risarcimen-to dei perseguitati politici e razziali, in G. reSta, v. zeno zencovic (a cura di), Riparare,

della storia nazionale; intendevano anche ‘fare i conti’ con il fascismo e veicolare i valori della democrazia. Queste tensione rimanevano irrisol-te; si privilegiavano le vittime della RSI – di cui si voleva responsabile l’alleato nazista – rispetto a quelle del regime monarchico-fascista. Pur senza guardarsi indietro, la società italiana non pareva rimuovere la tragedia; dal canto suo la Comunità ebraica – che avanzava richieste di reintegrazione alle autorità di governo – elaborava lo sterminio, ora ancorandolo alla tradizione sionista in funzione identitaria, ora alla Re-sistenza, per affermare il legame degli ebrei con una nuova Italia 85

Quanto ai giuristi, la legislazione restitutoria pareva mettere in cri-si la legalità, già collassata con quella persecutoria; chiamare in causa concetti ‘morali’, estranei al ‘giuridico’, il perdono, la cancellazione delle colpe; mettere di nuovo in discussione il principio di uguaglianza, laddove il decreto del 1944 beneficiava la «persona colpita dalle leggi razziali». Discutendo dei non molti ricorsi avviati dai sopravvissuti – spesso senza soddisfazione per i colpiti 86 – nel 1949 Sofo Borghese considerava le «leggi anti-leggi razziali privilegio per gli effetti sostan-ziali processuali e tributari» 87. L’applicazione delle norme implicava inoltre un giudizio su quanto operato della magistratura di fronte alla

prima legislazione eccezionale, i cui effetti parevano esser stati

‘mini-mizzati’; pertanto la portata delle norme risarcitorie era ritenuta ampia, da limitare. Soprattutto nelle cause tra privati un’interpretazione lette-rale si traduceva, ad esempio, nelle scelte della Cassazione di escludere i «discriminati» e chi dalla persecuzione non avesse subito «alcun dan-no»; per concedere assegni e benemerenze si chiedeva un quid pluris

85 Su questa stagione cfr. A. cavaGlion, Sopra alcuni contestati giudizi intorno alla

storia degli ebrei in Italia, in M. Sarfatti (a cura di), Il ritorno alla vita vicende e diritti

degli ebrei in Italia dopo la seconda guerra mondiale, Firenze, 1998, p. 154; i. pavan

- G Schwarz (a cura di), Gli ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintegrazione

post-bellica, Firenze, 2001; G. Schwarz, L’elaborazione del lutto. La classe dirigente

ebraica italiana e la memoria dello sterminio (1944-1948), in M. Sarfatti (a cura di),

Il ritorno alla vita, cit., p. 173 ss.; G. Schwarz, Ritrovare sè stessi. Gli ebrei nell’Italia

post-fascista, Roma-Bari, 2004.

86 L. martone, L’infamia dimenticata: l’esproprio dei beni patrimoniali dei cittadini

ebrei imposto dalle leggi del 1938-1939 ed il problema delle restituzioni, in L. Garla

-ti - t. vettor (a cura di), Il diritto di fronte all’infamia nel diritto, cit., pp. 158 ss; I.

pavan, Tra indifferenza e oblio. Le conseguenze economiche delle leggi razziali in Italia

1938-1970, Milano, 2004.

87 S. borGheSe, Considerazioni in tema di leggi e anti-leggi razziali, in Il foro

rispetto alla semplice soggezione alla legislazione antiebraica 88. Nel 1949 le colonne dedicate dal Foro italiano alla giurisprudenza risarcitoria portavano un contributo alla costruzione del «mito»  del ‘buon italiano, cattivo tedesco’ 89, veicolato anche da Croce, voce cri-tica delle leggi antiebraiche durante il fascismo 90. Borghese scriveva di «campagna razziale mai sentita in Italia, dove non è mai esistito un problema ebraico», specie nel confronto con «le camere a gas ed altri sistemi teutonici la cui vergogna quasi incredibile è ormai consegnata alla storia» 91. Giovan Battista Cecchi rivendicava per la Rivista del

di-ritto matrimoniale italiano il merito di aver «seguito» il «movimento

razzista», con un utile aiuto per il «futuro storico di quell’infausto pe-ricolo». Cecchi argomentava che giudici e giuristi avevano contenuto gli effetti delle legislazione razziale, forti del principio di legalità come pietra angolare del loro lavoro; da qui un giudizio sulle norme risarci-torie come improvvida eccezione rispetto ai principi generali dell’or-dinamento 92. In questo orizzonte una monografia di Eucardio Momi-gliano – avvocato antifascista, radiato dall’Albo nel 1938, internato ad Urbisaglia – sosteneva che la persecuzione dei diritti di cittadini perfet-tamente integrati nella nazione era stata ‘poco pubblicizzata’, quasi che il fascismo se ne fosse vergognato, «più spregevole perchè insincera», «imposta dalla Germania». Quanto alla legalità, Momigliano mostrava la vanitas del principio, cui il regime non aveva rinunziato, rivelando un volto del razzismo italiano «tragico e grottesco» 93

Anche nei decenni a venire l’Italia repubblicana avrebbe visto in-dirizzi giurisprudenziali restrittivi, perchè inadeguati a cogliere la cifra

88 Indicazioni in G. Speciale, Giudici e razza, cit., p. 163; S. falconieri, La

rivivi-scenza dell’istituto della discriminazione, in G. reSta - v. zeno zencovich (a cura di),

Riparare, risarcire, ricordare, cit. pp. 139 ss. ; G. Speciale, Il risarcimento dei

persegui-tati politici e razziali, ivi, pp. 115 ss.

89 Indicazioni in D. biduSSa, Il mito del bravo italiano, Milano, 1994 ; G. focardi,

Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mon-diale, Roma-Bari, 2016.

90 B. croce, Discorsi e scritti politici (1943-1947), Bari, Laterza, II, 1962, p. 325.

91 S. borGheSe, Considerazioni, cit., pp. 739 ss.

92 G. B. cecchi, Recensione a E. momiGliano, Storia tragica e grottesca del razzismo

fascista, in Rivista del diritto matrimoniale italiano, 1947, p. 64.

93 E. momiGliano, Storia tragica e grottesca del razzismo fascista, Milano,1946, p.

147. Sulla memorialistica ebraica nel primo decennio dopo la Liberazione E. collot

-ti, Il razzismo negato, in E. collotti (a cura di), Fascismo e antifascismo. Rimozioni,

‘morale’ di norme risarcitorie affastellatesi negli anni, da ricondurre ad un non semplice ordinamento generale. Una sentenza è parsa esem-plare di una diversa prospettiva, nel riconoscere però il beneficio non tanto in nome della cultura del formalismo legalista, piuttosto del «di-ritto naturale dei cittadini appartenenti alla minoranza ebraica alla loro identità socio-culturale, preesistente alla stessa formazione dello Sta-to» 94. Questo senso del debito era chiaro a Tina Anselmi, presidente della Commissione per la ricostruzione delle vicende circa le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei. Anselmi affermava dunque che la «persecuzione, prima di essere un affare di danaro […] era l’an-nullamento morale e quindi lo sterminio». Da qui una lezione, «nes-suna storia saprà raccontare ciò che uomini e donne vissero quotidia-namente»; il ‘mai più’ era affidato a «ciascuno di noi», vocato a «non legittimare in nessun modo la violazione dei diritti umani che devono essere a fondamento della società e delle leggi del nostro paese» 95.