• Non ci sono risultati.

L’ENERGIA DELLA FENICE

Nel documento LINGUAGGIO ASTRALE (pagine 103-108)

ne, secondo gli Egizi, proprio da Sirio, e costruisce o anima il nostro Zodiaco ed i suoi elementi (deformata a volte in certi fantomatici sottoprodotti, come la cosid-detta “energia della piramide”).

Che poi la Fenice rappresentasse un’energia di polarità femminile, lo dimostra anche il fatto che il trasferimento del Doppio faraonico era guidato dalle regine egizie. Come la Dea Iside, esse generavano magicamente sul piano sottile, ovvero facevano nascere per la seconda volta (non fisicamente!) il Faraone stesso, trasfor-mato nel dio Horus. Simbolo di questo potere sacerdotale era la custodia di quest’e-nergia, il sacro fuoco (di Ptah - Vulcano) da parte delle sacerdotesse, prima di Kh-num e poi di Amon, il dio nascosto. Com’è noto, presso i Romani erano le Vestali a svolgere quel ruolo. In epoca più vicina a noi, certi aspetti filtrarono, anche attra-verso i Druidi e le loro feste del fuoco (a volte quasi come in una parodia) in certe sette gnostiche (Ofiti) e nella Wicca delle streghe. Anche la custodia della Sindone da parte delle Pie Donne è un’eco di questa vigilanza.

L’energia della Fenice avrebbe potuto incarnarsi in personaggi umani, soprat-tutto nei momenti cardine del suo ciclo astronomico-astrologico di 502 anni, in cui si ripete un’eclissi di sole presso il Nodo di Venere, quando quest’ultima passa sul disco solare oscurato. Quadri viventi di questa forza sarebbero state le regine Nefer-titi, Hashepsut e Nitocris, le imperatrici bizantine Pulcheria ed Irene, quest’ultima mancata sposa di Carlo Magno e, più di recente, Serafina Cagliostro, Maria Anto-nietta e la contessa di Castiglione.

Astrologicamente, la Fenice corrisponde quindi al pianeta Venere, ma nella sua fase vespertina. Presso gli Aztechi, lo stesso ruolo era svolto da Quetzalcoatl, l’uc-cello-serpente di fuoco o serpente piumato. Per quel popolo si trattava di un dio “amoroso”, ma con un volto bellicoso, pericoloso, nella versione mattutina. Anche in Egitto la Venere mattutina era divinità infera (un Horus sotterraneo in cui riviveva il Faraone morto). In certe culture, il ruolo guerriero del pianeta e della divinità era più chiaro, e allora troviamo la fenicia Ishtar, drago femminile vestito di fuoco, la si-riana Atargatis, l’indiana Kalì e le tibetane Dakini, personificazioni del serpente in-fuocato Kundalini, ed infine la druidessa solare Velleda, dai biondi capelli coronati di verbena, appunto pianta di Venere.

Nel cristianesimo il ruolo è stato demonizzato (come per la biblica Lilith), e dobbiamo accontentarci di qualche ambigua e sotterranea Madonna Nera, e della Donna vestita di sole nell’Apocalisse. Tracce fresche si rinvengono però nella tradi-zione britannica, che ispirerà i Fedeli d’Amore. Ci appaiono la regale Ginevra, nome che significa “il bianco fantasma”, la fata Morgana, cioè “uscita dal mare” (da quali strane “acque”?), e la Dama del Lago, il cui candido braccio emerge ad offrirci l’i-gnea Excalibur (l’energia della Fenice) da un fluido portale di nebbia. Sempre nell’i-sola britannica, troviamo lo Zodiaco di Glastonbury, visibile solo da fotografie aeree per le sue dimensioni chilometriche. Alcuni segni sono scolpiti in modo veramente strano: lo Scorpione è un’aquila, il Capricorno è un unicorno, la Bilancia è una co-lomba, il Cancro è una barca, e l’Acquario è una forma alata subito battezzata

“Aquarian Phoenix”. Gli allineamenti “solari” della Collina del Calice, del labirinto di Tor, e dell’abbazia di Glastonbury, sono terribilmente complessi, e magari ci ritorne-remo con più calma. Essi formano una croce astronomica nei punti intermedi fra equinozi e solstizi, cioè sulle quattro grandi feste celtiche: il primo giorno di Feb-braio, Maggio, Agosto, Novembre.

Nelle culture islamiche e giudaiche, quel ruolo femminile “brilla per l’assenza”, non a caso, anche se è rivelatore il tabù della carne di maiale (cioè di Maia, la Dea Bianca, bianca come una scrofa, delle civiltà mediterranee).

Perché poi la Fenice sarebbe stata “araba”? Il Faraone intraprendeva un viaggio per acqua alla ricerca delle sorgenti celesti del Nilo, nel mitico paese di Punt, patria spirituale delle Regine. Si riteneva fosse proprio nell’Arabia meridionale uno degli ingressi al sotterraneo mondo dorato (El Dorado) custodito dalle Amazzoni e dalle Druidesse (altri erano nel deserto del Gobi, e nelle caverne del Tibet, ma ogni civiltà ha punti sensibili e meridiani diversi della Geografia Sacra). Laggiù, oltre il tempo e lo spazio (oltre le nebbie di Avalon, insomma), sopravvive la civiltà antidiluviana dell’Età dell’Oro, da cui ci giungono i risplendenti UFO.

Secondo la leggenda, la Fenice si recava ad Eliopoli ogni mezzo millennio, e deponeva un uovo di mirra, sostanza simbolo d’immortalità, che conteneva le spo-glie materne. Essa proveniva proprio dal mitico paese sotterraneo: l’Arabia dei bal-sami e degli aromi, ma non quella fisica che conosciamo. La Fenice andava poi a consumarsi per autocombustione, rinascendo dall’uovo deposto. Gli gnostici cristia-ni hanno voluto vedere questo mito racchiuso nelle parole di Gesù: “Ho il potere di deporre la mia anima, e quello di riprenderla” (Gio. X, 18). Per questo il Salvatore è paragonato alla Fenice o al pellicano.

L’ignea energia serpentina di polarità femminile-venusiana è importante in alchimia e tantrismo, dove le trasformazioni descritte nell’Apocalisse avvengono già in anteprima nel “corpo” degli adepti. Per gli Arabi la Fenice si posa su Qaf, la montagna di smeraldo e ombelico del mondo. Per i Cinesi è l’uccello di cinabro, dove questo minerale rappresenta l’immortalità, ma anche, nell’espressione “grotta di cinabro”, il sesso femminile. Il fuoco fonde passato e futuro, e il Libro dei Morti Egizio definisce la Fenice “guardiana delle cose che sono e saranno”. Dante dice dell’uccello:

“Così per li gran savi si confessa, / che la Fenice muore e poi rinasce, / quanto al cinquecentesimo anno appressa. / Erba e biada in sua vita non pasce, / ma sol d’incenso lacrime e amomo; / e nardo e mirra son l’ultima fasce” (Inf. XXIV, 107).

È un riferimento all’imbalsamazione, riempiendo di balsami il “corpo” e le sue fasce. La mirra, lo abbiamo detto, simboleggia l’immortalità, dono che con oro (re-galità) e incenso (sacerdozio) rappresenta il corredo dei Tre Mondi che i Re Magi de-pongono ai piedi dell’Uomo-Dio. Tutto è donato a lui, anche il tempo, con la barba bianca di Melchiorre (il passato), quella nera di Baldassarre (il presente), e il volto imberbe di Gasparre (il futuro).

Il bellissimo pavone dalle piume d’oro, che talvolta è contornato di ninfee, e allora simboleggia la castità, ha dunque abbondantemente suggestionato mistici e poeti. I versi più famosi sono di Metastasio:

“È la fede degli amanti come l’araba fenice: che vi sia ciascun lo dice; dove sia nessun lo sa. Se tu sai dov’ha ricetto, dove muore e torna in vita, me l’addita, e ti prometto di serbar la fedeltà” (Demetrio II, 3).

Nel Parsifal di Von Eschenbach, si dice che il Graal arde la Fenice. L’energia serpen-tina ed infuocata del sacro uccello è quindi ciò che è contenuto nel calice del Graal, smeraldo caduto dalla corona di Lucifero, angelo di Venere e demone dell’astrologia. E’ noto infatti il significato magico del pentacolo o stella a cinque punte, ed il suo valore diabolico se rovesciato. Guarda caso: Venere traccia proprio una stella a cinque punte lungo lo Zodiaco ed attorno all’osservatore terrestre, con le sue congiunzioni solari. Inoltre, se Venere è stella della sera in un dato anno, dopo otto anni lo sarà di nuovo nello stesso segno zodiacale e nella stessa stagione. Moltiplicando poi 365 x otto, si ot-tiene un numero di giorni (2920) che, se diviso per le “cinque punte della stella”, dà ap-punto come risultato il periodo sinodico medio del pianeta (584 giorni).

Il diluvio atlantideo sarebbe stato provocato proprio da un satellite di materia oscura, sfuggito a Venere e avvicinatosi troppo alla Terra (e non da Venere stessa come sosteneva Velikovsky). Questo corpo diventerà poi Lilith, seconda e invisibile luna terrestre.

La stella a cinque punte era anche legata ai misteri della Pentapoli, un gruppo di cinque città che replicavano geograficamente la stella stessa. Esse erano poste a sud del Mar Morto e sotto il controllo della regina egizia Nitocris. Secondo Ghiva-rello, in questa zona avvenne una battaglia tra i “nostalgici” della tradizione atlanti-dea e i suoi dissidenti, battaglia combattuta non solo sul piano fisico, ma anche su quello astrale, e che ebbe per conseguenza lo sprofondamento della valle e la crea-zione del Mar Morto stesso, come riflesso della catastrofe che fece sprofondare (certo non nel mare) Atlantide stessa. Quindi:

“Il mondo era stato partorito con quel grande cataclisma, già interamente co-struito con alle spalle la storia infinita della sua evoluzione, attraverso l’oscuro fe-nomeno definito “emersione” od esteriorizzazione della coscienza, che provocò la grande frattura tra osservatore e osservato, a cui è riconducibile ogni livello della manifestazione. Quest’atto magico veniva anche collocato in un tempo preciso (il 4000 a.C.), ed era considerato come l’uscita dalla placenta, la separazione della te-sta dalla coda nel serpente del tempo” (S. Ghivarello, comunicazione personale). E’ un po’ lo stesso processo che applichiamo ai sogni, la cui storia, o sequenza logica, pare sia aggiunta istantaneamente al nostro risveglio.

Torniamo a Lucifero: la sua caduta ha scavato il centro della terra formando gli Inferi, proprio dove si trovano le sorgenti del Nilo celeste e l’ingresso al profondo paese dell’immortale Fenice. Questo fuoco serpentino (Beleno per i Druidi) è parti-colarmente disponibile ad essere risvegliato le notti precedenti le ricorrenze celtiche già citate, quando questo mondo e “l’altro”si compenetrano maggiormente.

Il ciclo della Fenice, coinvolgendo astri oscuri, Venere-Lucifero e, culto del ri-torno del dio nascosto, cui non furono alieni i Templari, simboleggerebbe anche il rientro della coppia Lilith-Lucifero (Adamo ed Eva astrali) nel paradiso perduto. Sempre a proposito d’astri neri, la scoperta di un immateriale transplutoniano do-vrebbe corrispondere alla manifestazione dell’Anticristo. Noi pensiamo però che questi non sia un personaggio diabolico, ma esprima solo l’altra faccia di Gesù, che tornerà come giustiziere e restauratore dell’Eden, piuttosto che come agnello sacri-ficale. Se si preferisce, sarà Artù, non più ferito, a scatenare sul mondo il Drago Ros-so della collera e quello Bianco della morte.

Per quel che riguarda il segno del Toro, la famosa leggenda del Vedanta dice che allo scadere dell’Età dell’Oro, la Vacca o Toro celeste perde una zampa. Perde gli altri arti allo scadere delle Età dell’Argento e del Rame. Nell’attuale Età del Ferro (o Età Nera = Kali Yuga) l’ultima zampa si staccherà, ed il Toro crollerà su se stesso in-sieme al mondo, che sarà rigenerato come la Fenice dalle sue ceneri.

Per gli Egizi le quattro ere venivano rappresentate, nella cripta di Denderah, dai ripiani su un pilastro che s’inclinava sempre più fino al crollo definitivo, che corri-spondevà però anche al suo simultaneo RADDRIZZAMENTO. Il pilastro sostiene un fior di loto in boccio (l’uovo della Fenice), nel cui interno dimora il serpente zodia-cale o drago del tempo, destinato alla fine del processo a mordersi la coda. Que-st’atto eliminerà le contraddizioni spazio-temporali che affliggono il nostro mondo fisico, che sarà reintegrato nel giardino paradisiaco e riconsegnato al suo gardinie-re, sicché inclinazione e caduta non saranno mai avvenute.

La Fenice venusiana, che si posa sul pilastro o asse del mondo, costruisce, per poi distruggerle, quelle contraddizioni, attraverso la sua duplice natura, volatile e sotterranea, d’uccello-serpente. Quest’energia, che sappiamo far ruotare i quattro elementi astrologici attraverso i tre mondi della Tradizione, nella materia resta oc-cultata dalle iridescenze del bel piumaggio, dalle ombre dell’inestricabile selva oscu-ra in cui, come Dante, ci dibattiamo. In questa “selva selvaggia ed asposcu-ra e forte” il poeta entra “pien di sonno”, attendendo che Virgilio e Beatrice lo destino alla “vita nuova”. La presenza di una guida “pagana”, mostra che queste tradizioni primordiali sono anteriori al cristianesimo, che ne ha solo raccolto l’eco, insieme a quella vetri-na d’antichità che è l’astrologia.

L.A. 126.412

Una interessante applicazione della quinta armonica (quintili, quindicili e derivati) come indice di potere intenso e spesso distruttivo.

Certamente il potere è un tema affascinante e all’astrologia non mancano ar-gomenti per circoscrivere il problema. Il fattore più espressivo sembra essere un nesso, armonico o dissonante, fra Giove e Plutone, con i pianeti rapidi in veste di staffetta, i quali conferiscono una connotazione alla natura del potere: risplendente e sovrano con il Sole, dominatore e tirannico, addirittura crudele, con Marte, prote-so ad un predominio dell’intelletto con Mercurio. La relazione con i Nodi, sta ad in-dicare che il potere tende ad esercitarsi nell’ambito di una collettività, mentre un rapporto con il MC evoca l’aspirazione e quello con l’ASC le capacità proprie del soggetto ed il modo di esercitarle. I segni del Leone, dello Scorpione e del Capricor-no conferiscoCapricor-no al potere un tocco solare, plutoniaCapricor-no e capricorniCapricor-no, deCapricor-notando, rispettivamente, una regalità legittima e di ostentazione, un potere irriducibile, che ama circondarsi di mistero, una padronanza cavillosa, che bada a mantenere tutto sotto il proprio controllo. A questi mezzi tradizionali, si può aggiungere l’esame del-la 5° Armonica - vale a dire gli aspetti di 72°, di 144° ed anche quelli di 36° e di 108° - il cui accumulo in un tema è indice di un potere intenso, spesso distruttivo, come testimoniano, ad esempio, i temi di Robespierre, di Hitler, di Mao Tse Tung.1Il potere, così come l’amore, ha una storia. È necessario all’inizio, nella maggior parte dei casi, conquistarlo e l’accesso al potere richiede una sorta di adeguamento fra il felice eletto e la collettività che egli si accinge a dirigere. Perciò è interessante stu-diare, quando ciò è possibile, le affinità fra il tema di un Capo di Stato e quello della nazione che governa. Parimenti, sono le grandi circostanze, i momenti tragici della storia, quelli che rivelano, a se stesso ed al mondo, il grand’uomo eccezionale: è va-lido, a tal fine, esaminare la corrispondenza del tema individuale con i grandi cicli in corso durante il periodo in cui si manifesta l’autorità di una personalità di rilievo. Ma nulla nel cielo è stabilito in maniera definitiva ed il movimento degli astri

Nel documento LINGUAGGIO ASTRALE (pagine 103-108)