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Per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica francese, nessuno dei due partiti dominatori della scena politica da sessant‟anni, quello socialista e quello gollista, ha avuto un suo candidato alle presidenziali del 2017. L‟impopolarità delle politiche sociali ed economiche del presidente uscente François Hollande è stato forse uno dei motivi principali alla base degli scarsi risultati ottenuti dal partito socialista di Benoît Hamon che, con il 6,4% , ha raggiunto il suo minimo storico. Altrettanto modesto il risultato del centro-destra di François Fillon (20,01%), in parte motivato dalle accuse di corruzione emerse contro di lui in campagna elettorale64. Il vuoto politico lasciato dai due partiti maggiori francesi è stato colmato dal partito centrista liberale di Emmanuel Macron, vincitore della corsa per l‟Eliseo, dal capo della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon e dalla leader di estrema destra del Front National Marine Le Pen. Queste elezioni, sebbene siano riuscite ad arginare i partiti populisti, hanno visto un Front National che, mai così forte, è riuscito a contendersi la presidenza al ballottaggio contro il leader di “En marche”; questo, ha indubbiamente aperto le porte al populismo. Si tratta di un fenomeno particolarmente vivo in Francia. La stessa Costituzione del 1958 contiene al suo interno le pre-condizioni favorevoli all‟attecchimento di forze populiste: l‟articolo 2 difende un governo “du peuple, par le peuple et pour le peuple” e l‟articolo 3 enuncia il principio secondo il quale la “sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso i

suoi rappresentanti e i referendum (Surel in Meny, Surel 2002)”. Da qui è facile

dedurre come ogni tentennamento democratico possa essere letto in chiave anti- costituzionale e diventare preda di populismi.

Il populismo è dunque un‟esperienza tutt‟altro che nuova ai francesi. Basti pensare che uno dei padri fondatori del moderno populismo europeo è stato il francese Pierre Poujade che, nel 1953 organizzò in un movimento nazionale “Union de Défense des Commerçants et Artisans” (UDCA), le proteste dei commercianti di Saint-Céré, un paesino nel sud-ovest della Francia (Taggart 2000). A innescare la protesta, una serie di controlli a tappeto degli ispettori fiscali di Parigi che indispettì parecchio commercianti e artigiani locali, già spaventati dalle prime aperture ai prodotti dei mercati esteri.

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Poujade, con un passato trascorso presso il Partito popolare francese (di estrema destra) di Jacques Doriot e nel movimento giovanile del maresciallo Pétain, combinò le aspirazioni dei piccoli commercianti con i principi populisti di opposizione al sistema fiscale, alla supremazia di Parigi, alla burocrazia e ai politici in generale. Il momento era particolarmente propizio vista la situazione altamente precaria in Francia che incontrava serie difficoltà nel gestire il proprio impero coloniale. In due anni il movimento contava già mezzo milione di iscritti. Nel 1955, Poujade fondò il partito “Union et Fraternité Française (UFF), che alle elezioni del 1956 ottenne l‟11,6% dei voti e conquistò 52 seggi all‟Assemblea Nazionale (incluso quello di Jean Marie Le Pen). Proprio il 1956 fu l‟anno in cui il poujadismo raggiunse l‟apice dei consensi. Già nelle successive sfide elettorali il partito cominciò a registrare un notevole calo di voti e in poco tempo si estinse a causa dei conflitti interni e dell‟instabilità politica generata dalla guerra d‟Algeria65

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Quando nel 1972 Le Pen formò il Front National combinò il retaggio poujadista con un messaggio nazionalista contro gli immigrati. Nel 1984, il partito si aggiudicò l‟11% dei voti alle elezioni per il Parlamento europeo (eleggendo due eurodeputati) e nel 1997 divenne parte integrante del sistema partitico francese ottenendo il 15% sia alle presidenziali che alle parlamentari. Sul Front National permane tuttora l‟imponente contributo lasciato da Jean-Marie Le Pen che, ormai ottantenne, nel 2011 ha passato il testimone alla terzogenita Marine Le Pen. Con lei il partito affronterà una vera e propria “dédiabolisation”, volta a rendere il FN un movimento standard, rispettabile, ripulito di quell‟antisemitismo e di quella xenofobia che aveva reso il partito non presentabile elettoralmente. Passo dopo passo l‟ex avvocato quarantatreenne è riuscita a guadagnare consensi, conquistando soprattutto la fiducia della classe operaia. Negli anni duemila, l‟elezione di Marine a nuovo capo del partito ha contribuito a trasmettere un‟immagine nuova del movimento che gli ha permesso di ottenere sempre più voti erodendo terreno ai due maggiori partiti francesi.

La Le Pen non è però l‟unica ad essersi aggiudicata una posizione di tutto rispetto. Non a caso le elezioni dell‟aprile-maggio 2017 verranno ricordate anche per le grandi abilità oratorie di Jean-Luc Mélenchon, esponente della sinistra radicale, fondatore e leader del partito “France Insoumise”. Il candidato della sinistra indipendente, arrivato quarto al primo turno con il 19,58% dei voti nelle ultime presidenziali, si è rivelato l‟ago della

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bilancia nel testa a testa tra Macron e la Le Pen. I suoi avversari e l‟opinione pubblica lo hanno definito come un‟outsider anti-sistema in grado di riaprire la competizione elettorale. Candidato all'Eliseo per la seconda volta, ex membro del partito socialista da cui si allontanò denunciandone la 'deriva liberale', già ministro con delega all'insegnamento professionale nel governo di Lionel Jospin tra il 2000 e il 2002, poi eurodeputato, Mélenchon sembra essere diventato il nuovo spauracchio della Francia moderata, quasi soppiantando i timori rivolti verso l‟onda nera di Marine Le Pen.