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L’evoluzione normativa del settore vitivinicolo

LO SVILUPPO DELLA NORMATIVA COMUNITARIA NELLA TUTELA DELL’INDICAZIONE GEOGRAFICA

2.1. I primi testi legislativi dopo la nascita del mercato unico europeo

2.1.4. L’evoluzione normativa del settore vitivinicolo

Il legislatore degli anni Sessanta è orientato all’attuazione degli obiettivi sanciti nel reg. CEE 24/62 che imponevano la creazione di un catasto viticolo e agli imprenditori agricoli le dichiarazioni di raccolto e di giacenza (considerando n. 5). Solo la Francia poteva vantare un catasto viticolo dal quale era possibile calcolare la produzione potenziale e una dichiarazione annuale obbligatoria del raccolto e delle giacenze129.

Questi elementi tecnici sanciti nel regolamento avevano lo scopo di gettare le basi per una politica comunitaria dei vini di qualità associata all’origine geografica130. Il progresso francese nell’organizzazione rispetto

agli altri Stati europei, particolarmente verso l’Italia, l’altro importante produttore mondiale, ha causato anni di dibattiti in sede comunitaria per risolvere queste disparità e riportare ad unità un quadro regolamentare ancora frammentario131.

Una tappa significativa per la “strutturazione completa dell’OCM” e per la definizione di un concetto comunitario di indicazione geografica si raggiunge con l’emanazione dei regolamenti 816/70 e 817/70132. Se il

primo si può definire come un regolamento quadro, comprensivo di tutti gli elementi tecnici, il secondo stabilisce disposizioni particolari relative ai vini di qualità prodotti in regioni determinate. La separazione di questi due regolamenti è stata motivata dalla considerazione operata dalla

127 Id., 65.

128 Id., 66.

129 BUCHER P., Das Europäische Weinrecht, Luzern, Books on Demand GmbH, 2003, 49. 130 POMARICI E., SARDONE R., L’OCM vino. La difficile transizione verso una strategia di comparto, pubbl. Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), 2009, 2.

131 BUCHER, op. cit., 54. 132 POMARICI, op. e loc. ult. cit.

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Commissione che i vini di qualità potessero essere indipendenti da quelli comuni133.

L’obiettivo del perseguimento di una politica di qualità è stabilito dal legislatore come il fondamento per il miglioramento delle condizioni del mercato attraverso la precisazione dei singoli elementi indicati nel reg. 24/62. Lo sforzo di creare un mercato unico armonizzato doveva raffrontarsi con la prassi e talvolta anche con le normative dei singoli Paesi.

L’ultimo considerando ribadisce la necessità di tutelare attraverso i vini di qualità sia i “produttori contro la concorrenza sleale sia i consumatori contro le

confusioni e le frodi”, riservando alla Comunità Europea la definizione delle

prescrizioni e assicurando l’uso di menzioni tradizionali ormai conosciute sul mercato.

La denominazione coniata dal legislatore associa i vini prodotti in regioni determinate, la cui delimitazione e il cui riconoscimento avvengono per mezzo delle autorità competenti previste da ciascuno Stato membro. La competenza di questi si estende anche all’individuazione dell’elenco dei vini atti alla produzione dei v.q.p.r.d., i cui vitigni possono essere esclusivamente della specie di “Vitis Vinifera” (art. 3/1). La coltivazione e la trasformazione delle uve in vino devono avvenire all’interno della stessa regione, eventuali deroghe possono essere previste dagli Stati e sono ammesse solo a seguito dell’esito positivo della procedura prevista dall’art. 7 del reg. 24/62.

Le competenze del legislatore nazionale si estendevano alle pratiche enologiche ammesse (acidificazione, arricchimenti, etc.), alle rese per ettaro, nonché alla gradazione alcolica all’interno della cornice comunitaria che definiva i criteri minimi.

I produttori che avessero voluto utilizzare la denominazione v.q.p.r.d., erano tenuti a sottoporre i propri vini ad un esame analitico ed a uno organolettico secondo i principi fissati nella Convenzione

133 Così SCOPPOLA M., ZEZZA A., (a cura di) La riforma della Organizzazione Comune di Mercato e la vitivinicoltura italiana, in POMARICI, SARDONE, op. et loc. ult. cit.

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internazionale per l’unificazione dei metodi di analisi e di valutazione dei vini del 13 ottobre 1954134.

Diventava dunque obbligatoria per tutti i produttori di mosti e vini atti a v.q.p.r.d. e vini v.q.p.r.d. la compilazione della denuncia di raccolto e di giacenza.

La sovrapproduzione vinicola europea, che si tentò negli anni di superare attraverso numerosi regolamenti correttivi che prevedevano interventi più incisivi per affrontare questo problema: distillazione obbligatoria, divieto di nuovi impianti, supporto all’uso del mosto, etc. non riuscì a contenere la produzione di vino da tavola, che rimaneva predominante sui vini di qualità soggetti a normative più restrittive in termini di quantità135.

La seconda normativa organica dei v.q.p.r.d. si raggiunge nel 1987 con il reg. (CE) n. 823/87, che introduce alcune precisazioni rispetto ai regolamenti precedenti. Il nome di una regione determinata può essere utilizzato per designare un vino v.q.p.r.d., fatta eccezione e per un periodo limitato di tempo per quei vini da tavola tradizionalmente conosciuti sotto tale nome136. La tutela del nome di una zona registrata estende il divieto di utilizzo al di fuori dei casi espressamente previsti dal regolamento, quando accanto al nome compaiano termini quali “genere”, “tipo”, “modo”, “imitazione” o altre espressioni simili, che possano creare confusione nella designazione e presentazione del vino, e che vengono apposte alle bevande ricavate dall’uva (il legislatore indica quelle appartenenti alla voce 22.07 della tariffa doganale comune), e a quelle che imitano il vino e sono destinate all’elaborazione e al consumo dei privati.

La seconda novità specifica la struttura del disciplinare di produzione, nel quale ciascuno Stato, attribuendo tale compito agli organi

134 Legge del 20 dicembre 1956, n. 1536, Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per l’unificazione dei metodi di analisi e di apprezzamento dei vini, conclusa a Parigi il 13 ottobre 1954, GU n. 20, 23/01/1957.

135 POMARICI, SARDONE, op. cit, 3. In Italia nel 1983 la produzione raggiunse gli 84 milioni di ettolitri, di cui 75 di vino da tavola e 9 di vino di qualità.

136 Regolamento 2061/96/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’8 ottobre 1996 che modifica il regolamento 1601/91/CEE che stabilisce le regole generali relative alla definizione, alla designazione e alla presentazione dei vini aromatizzati, delle bevande aromatizzate a base di vino e dei cocktail aromatizzati a base di prodotti vitivinicoli, GU n. L 277, 30/10/1996.

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preposti, impone la definizione dell’area di produzione, le prescrizioni sulle varietà, sull’irrigazione, sulle pratiche colturali ed enologiche, nonché i principi sulla localizzazione delle aree di lavorazione delle uve e le rese massime137.

Infine il legislatore ribadisce l’assoggettamento dei vini atti a v.q.p.r.d. all’esame analitico del possesso degli elementi caratteristici e ad uno organolettico (art. 13/1).

L’evolvere del mercato del vino in Europa, in particolare verso una stabilizzazione del rapporto tra la domanda e l’offerta, ottenuta grazie agli aumenti dei consumi nei Paesi non produttori e dall’ingresso sul mercato dei vini del Nuovo Mondo, ha imposto una revisione della normativa a favore del rilancio della competitività138.

Il processo di riforma si è concluso nel 1999 con l’emanazione del reg. 1493/1999, in cui la disciplina sino a quel momento separata dei v.q.p.r.d. è stata incorporata nell’organizzazione comune del mercato vitivinicolo, in un’ottica più ampia volta a ricondurre il settore vitivinicolo all’interno della politica agraria comune e conseguentemente verso un’organizzazione comune dei mercati agricoli.

L’incorporazione ha segnato il riavvicinamento dei vini a denominazione di origine ai vini da tavola.

Le particolari caratteristiche del mercato vitivinicolo hanno indotto l’Unione Europea a formalizzare il ruolo delle associazioni di produttori e degli organismi di filiera e ad orientarsi sempre più verso politiche di salvaguardia della concorrenza non solo interna, ma estera tra i produttori di vini di qualità e degli interessi del consumatore attraverso la designazione, la denominazione e la presentazione dei prodotti139.

137 POMARICI, SARDONE, op et loc. ult. cit. 138 Id., 4.

139 Il ruolo degli organismi di filiera è disciplinato dall’art. 41, il quale riconosce in primis a questi il compito di “migliorare il funzionamento del mercato dei v.q.p.r.d. e dei vini da tavola con indicazione geografica”, indicando agli Stati Membri le norme più opportune da adottare, sulla base delle decisioni prese dall’organismo di filiera, per la commercializzazione relative alla regolarizzazione dell’offerta; “migliorare la conoscenza e la trasparenza della produzione e del mercato; […] fornire le informazioni e svolgere le ricerche necessarie per orientare la produzione verso prodotti più adatti al fabbisogno del mercato e ai gusti e alle aspirazioni dei consumatori, soprattutto per quanto riguarda la qualità dei prodotti e la salvaguardia dell'ambiente;”

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Le disposizioni sulla designazione, la denominazione e la presentazione dei vini (art. 47) hanno come scopo a) la salvaguardia degli interessi legittimi dei consumatori, b) la tutela dei legittimi interessi dei produttori, c) il buon funzionamento del mercato interno, d) lo sviluppo dei prodotti di qualità attraverso e) l’obbligo di utilizzare alcune menzioni; […] f) modalità di protezione e di controllo per alcune menzioni; g) la disciplina dell’utilizzazione di indicazioni geografiche e di menzioni tradizionali.

La protezione degli interessi sanciti nel regolamento vieta l’utilizzo di informazioni, nella designazione, presentazione e nell’etichettatura dei vini, idonee a creare confusione o indurre in errore il consumatore, anche attraverso l’utilizzo della traduzione o di termini quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “imitazione”, “marchio” o simili (art. 48). La sanzione prevista avverso i prodotti la cui presentazione non è conforme alle disposizioni del regolamento impone il divieto di immissione sul mercato comunitario, nonché di esportazione e vendita degli stessi, salvo deroghe concesse dagli Stati membri (art. 49).

L’estensione della tutela non si limita alla protezione dei prodotti di origine comunitaria, ma copre anche quelli provenienti da Paesi terzi che siano stati immessi sul mercato in violazione delle disposizioni contenute negli artt. 23 e 24 dell’Accordo TRIPs, quando questi riportino un’indicazione geografica falsa o ingannevole rispetto alla reale origine del vino, indipendentemente che questa sia accompagnata dall’indicazione vera, da una sua traduzione o altri termini ad essa associati (art. 50)140.

In termini diversi l'indicazione geografica può essere utilizzata per designare i vini da tavola quando questi non siano ottenuti da uve provenienti esclusivamente dalla zona viticola di cui porta il nome, purché questa percentuale non superi il 15% (art. 51/2). Gli Stati membri possono subordinare l’utilizzazione dell’indicazione geografica per un vino

140 Art. 50/2 “Ai fini del presente articolo, per «indicazione geografica» si intende l'indicazione che serve a identificare un prodotto come originario del territorio di un paese terzo membro dell'Organizzazione mondiale del commercio, oppure di una regione o di una località di questo territorio, qualora una determinata qualità, rinomanza o altra caratteristica del prodotto possa essere attribuita essenzialmente a tale origine geografica.”

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da tavola se le uve utilizzate siano ottenute da “vitigni espressamente designati e provenga esclusivamente dal territorio precisamente delimitato di cui porta il nome” (art. 51/3).